giovedì 13 dicembre 2018

Gli zampognari

Una volta a Natale c'erano gli zampognari, passavano per le strade a suonare e gli si buttava qualche moneta. Scendevano dalle montagne della bergamasca o dai laghi con le loro bestie e venivano a trovarci in città. Era il segno che anche quell'anno era arrivato questo periodo dell'anno.

Udii tra il sonno le ciaramelle,
ho udito un suono di ninne nanne.
Ci sono in cielo tutte le stelle,
ci sono i lumi nelle capanne.

Sono venute dai monti oscuri
le ciaramelle senza dir niente;
hanno destata ne' suoi tuguri
tutta la buona povera gente.

Ognuno è sorto dal suo giaciglio;
accende il lume sotto la trave;
sanno quei lumi d'ombra e sbadiglio,
di cauti passi, di voce grave.

Le pie lucerne brillano intorno,
là nella casa, qua su la siepe:
sembra la terra, prima di giorno,
un piccoletto grande presepe.

Nel cielo azzurro tutte le stelle
paion restare come in attesa;
ed ecco alzare le ciaramelle
il loro dolce suono di chiesa;

suono di chiesa, suono di chiostro,
suono di casa, suono di culla,
suono di mamma, suono del nostro
dolce e passato pianger di nulla.

O ciaramelle degli anni primi,
d'avanti il giorno, d'avanti il vero,
or che le stelle son là sublimi,
conscie del nostro breve mistero;

che non ancora si pensa al pane,
che non ancora s'accende il fuoco;
prima del grido delle campane
fateci dunque piangere un poco.

Non più di nulla, sì di qualcosa,
di tante cose! Ma il cuor lo vuole,
quel pianto grande che poi riposa,
quel gran dolore che poi non duole;


sopra le nuove pene sue vere
vuol quei singulti senza ragione:
sul suo martòro, sul suo piacere,
vuol quelle antiche lagrime buone!

(Giovanni Pascoli, “ Le ciaramelle ” - 1903)

Benché non ve lo meritiate, vi faccio gli auguri per il Natale 2018 e l'Anno nuovo e ve li faccio con un video. Compare un logo pubblicitario perché ho dovuto riconvertire il filmato poiché era troppo pesante e Blogger non me lo caricava.
È l'aria “ Già il sol si cala dietro alla montagna ” da “ Nina ” o ' La pazza per amore ' di Giovanni Paisiello, del 1789, che è appunto un canto pastorale accompagnato dalle zampogne. Il libretto è di Giambattista Lorenzi che adattò la traduzione di Giuseppe Carpani da Benoit-Joseph Marsollier de Vivetieres.
Paisiello non è un compositore colossale ma ebbe un successo strepitoso per tutta la sua carriera. Come compositore è stato il primo caso di superstar europea. Appartiene a quella genia di musicisti che cercarono di rinnovare l'opera lirica, considerando a un certo punto obsoleto il modo di comporre dei grandi del passato. L'iniziatore fu Glück ma chi ottenne i migliori risultati fu proprio Paisiello, che influenzò, essendo un poco più anziano, tutti i musicisti suoi contemporanei: da Salieri a Mozart. Ebbe così successo, che a un certo punto qualunque innovazione proponesse era valida.
Salieri a un momento della sua produzione si piantò paesiellizzando appunto, mentre Paisiello stesso continuò, tenendo per buona ogni innovazione che aveva avuto riscontro in un pubblico sempre meno colto e sempre più affamato di novità e cose alla moda, fino a porre le basi per la banalizzazione e poi il disastro della lirica del secolo successivo: Cimarosa, Rossini (il serial killer dell'opera) e poi ancora Donizetti e Verdi. Paisiello partiva dalle opere facili e divertenti, da Pergolesi nella “Serva padrona” e negli intermezzi in definitiva, come farà ai tempi di Mozart il suo amico (di Wolfgang intendo) Vicente Martin y Soler. Poi le cose presero il senso detto e la certa raffinatezza dei compositori del '700 si perse.
Le novità di “ Nina ”, non so se in senso assoluto, diciamo allora le connotazioni innovative di “ Nina ” sono sostanzialmente due. La prima sono delle parti recitate in prosa, come un singspiel tedesco, e l'introduzione di una musica folk, come la diremmo oggi, direttamente nell'opera. Un brano di musica popolare per esempio c'è già nella sua bellissima “ Osteria di Marechiaro ”, è il duetto a 'distanza' fra il conte di Zampano e Chiarella: “ Quanno vego Nenna bella ecc... ”. Ma là conservava ancora una qualche concertazione per orchestra come deve avvenire in un'opera, e casi simili ne abbiamo anche in altre opere di altri autori. Quest'aria che vi propongo è esattamente come degli zampognari l'avrebbero suonata, a parte la voce del tenore che nel video è Giuseppe Filianoti.
Forse questo carattere schiettamente popolare è l'innovazione più notevole di Paisiello, che peraltro fu un vulcano di idee nuove, più o meno belle. E dagli esiti disastrosi, ma non certo per colpa sua.

Il primo verso dell'aria m'ispirò una poesia, di quelle che io chiamo canoni, ma so che la struttura e lo schema non vi interessano. È piuttosto simbolica, ma certamente sarete in grado di ritrovare tutte le citazioni. E c'entra con l'ambientazione pastorale.

Il sole cala dietro la montagna,
la stessa collina orientale
da cui sorge il sole pazzo d’amore.
Là sopra brilla il Principe dell’Aurora
che è detto nemico del dio tiranno,
e in mezzo ci sto io come un nomade,
su questa neve senza fine intorno.
Mi volgo a guardare le mie orme al sole
e mi ostino a vedere i miei passi
che camminano davanti a me
ma non so se sono più vicino
al riposo notturno del pastore
o alla luna nuova della sera.

È tratta da “Lykauges” del 2012-14.



Passerò il Natale pensando a cosa ne devo fare di questo blog.

R.P.

Posteris memoria mea

domenica 18 novembre 2018

Da Lancillotto a Orlando

È da un po' che mi frulla in testa l'idea di questo post.
Ho spesso parlato dei poemi cavallereschi che sono fra le mie letture preferite. Fra quelli che conosco, la mia personale classifica di preferenza è questa: “La chanson de Roland” di Turoldo, “L'Orlando innamorato” di Matteo Maria Boiardo e i poemi di Chretien de Troyes su tutti, poi “L'Orlando Furioso” di Ludovico Ariosto, “La Gerusalemme liberata” di Torquato Tasso e il romanzo “Storia di Re Artù e dei suoi cavalieri” di Thomas Malory. Infine il “Morgante” di Luigi Pulci.
Quello su cui vorrei dire qualcosa è l'incredibile successo che questo genere e in particolare queste opere hanno avuto nel corso della storia della letteratura e del teatro. Dalla “Chanson de Roland” del 1080 circa, passando per Chretien nel XII secolo, poi per Boiardo, Ariosto e Pulci nel XV secolo, a Tasso nel XVI secolo, fino a Malory nel XVII secolo, abbiamo seicento anni di composizione, ma il successo di queste opere, successo letterario, di pubblico, il mutuo condizionamento, li fa assurgere a modelli tematici fino a tutto il XVIII secolo.
Perché accade questo? Perché questi temi sono così importanti da impegnare gli autori e gli uditori per secoli?
Questi poemi narrano le storie di due gruppi distinti di cavalieri. Formano il cosiddetto ciclo arturiano, o sia i cavalieri di re Artù, e il ciclo carolingio, cioè le avventure dei paladini di Carlo Magno.
Malory mette una data: “...454 anni esatti dopo la passione di nostro signore Gesù Cristo questo seggio sarà occupato” e Lancillotto esclama: 'Nel nome di Dio, credo che il seggio sarà occupato proprio oggi, il giorno della Pentecoste del 454° anno!'...” il che porterebbe molto indietro le storie del ciclo arturiano, subito dopo la fine dell'Impero Romano del 474 d.c. (454+33=487). La cosa sembra essere vicina alla realtà: se mai un re Artù è esistito, ha retto le sorti dell'Inghilterra dopo la ritirata dei contingenti romani dall'isola.
In questo caso ci dovremmo immaginare i guerrieri di re Artù molto diversi dai cavalieri medievali che sono descritti nei poemi di Chretien e nel romanzo di Malory.
Ma il poema più antico, almeno ch'io sappia, riguarda l'altro gruppo di cavalieri, quelli di Carlo Magno, ed è la “Chanson de Roland” del 1080 circa di cui ho ampiamente parlato nel post omonimo.
Questi cavalieri invece sono storicamente esistiti, almeno alcuni di essi: i cavalieri palatini (da palatium, da cui deriva il termine paladino). Essi erano i comandanti di Carlo e il suo consiglio supremo. Infatti si dice: il conte Orlando, da comites “inviato imperiale”. Rutulandus o Hruodlandus, Roland-Orlando insomma, era prefetto della Bretagna, per esempio. Morì davvero a Roncisvalle in un'imboscata, di Guasconi e non di Saraceni, a Ferragosto del 778, a 42 anni, comandando la retroguardia.
La morte di Orlando
Dal rispetto storico è estremamente interessante notare l'attenzione in Boiardo e Pulci, che poi collocano gran parte dell'azione in Spagna, nell'assegnare i due feudi di Orlando e Rinaldo, cugini, Chiaramonte e Montalbano (Clermont e Montauban) in Occitania, regione che ha la sua parte meridionale a ridosso dei Pirenei, storico confine fra il regno franco e i califfati saraceni di Spagna.
I cavalieri del ciclo arturiano sono invece, sembra, del tutto inventati, a cominciare, come detto, da king Arthur Pendragon. Non c'è luogo dell'Inghilterra meridionale che non ne abbia, pare, la presunta tomba o una spada incastrata in una roccia.
Fra l'altro, non ostante come su questo re e sui suoi cavalieri la fantasia interpretativa sia stata molto fertile, anche a livello popolare, oggi purtroppo nelle elaborazioni cinematografiche i fatti più importanti della vita di re Artù sono stati ridotti solo alla famosa spada nella roccia e alla spada Excalibur. Intanto, Excalibur non è la spada nella roccia, poi i due episodi sono appena accennati in Chretien e in Malory. Addirittura Excalibur fa il suo ingresso magico ma, nella battaglia appena successiva Artù combatte con un'altra spada e di Excalibur non si dice quasi più nulla.
Chretien de Troyes scrive nella metà del XII secolo e compone diversi poemi. I suoi personaggi sono Tristano e Isotta, Erec e Enide, Galvano, Artù e Ginevra e Lancillotto, Perceval, Ivano e moltissimi altri della corte.
Artù, Ginevra e Lancillotto
Tutto si svolge nella Gran Bretagna: Inghilterra meridionale, Cornovaglia, Galles, con escursioni in Irlanda e in Francia. Mentre il re Arthur 'vero' combatté contro i Sassoni e nelle lotte che si vennero a creare dopo l'Impero Romano, nei poemi di Chretien prevale l'attualizzazione della storia della Gran Bretagna colonizzata dai duchi di Bretagna, cioè Francesi. Infatti anche i nomi lasciano perplessi, non si sa come pronunciarli, richiamano a una lingua che sembra un misto di francese e inglese.
Ora non ho ovviamente lo spazio di raccontare tutte le vicende, del resto non è difficile conoscerle cercando in rete o meglio, leggendo i poemi, però molte delle avventure, dei personaggi, delle situazioni sono riprese nel ciclo carolingio.
Molte delle situazioni sono della tradizione celtica. Per esempio la spada nella roccia, che ripeto è solo un piccolo episodio iniziale, sembra la ripresa della profezia celtica fondamentale in cui una pietra posta nel centro dell'Irlanda avrebbe urlato quando su di essa si fosse seduto il futuro re dell'isola. Ma anche quando Orlando libera la fanciulla destinata a essere vittima dell'orca, ebbene questo è un mito celtico ripreso e giunto fino a Ariosto.
Per il lettore italiano i paladini sono senz'altro più familiari e ne ho già parlato nel post sulla “Chanson de Roland”, escludendo Rinaldo che sembra essere personaggio di invenzione ma che ebbe un grandissimo successo. Nelle corti italiane viaggiavano lettere fra i nobili dell'epoca per stabilire chi fosse il migliore: se Orlando o Rinaldo e ognuno aveva i suoi tifosi.
Proprio la differenza di carattere fra i due cugini, uniti e separati da un lungo amore-odio, si può introdurre l'asserzione di questo post.
Vale solo la pena, tanto sto dimenticando solo qualche migliaio di cose, di notare che in genere nei poemi più antichi c'è un maggiore realismo. Per meglio dire nel ciclo arturiano c'è più realismo perché la Chanson è di fatto una cronaca epica. Sembra che nei guerrieri di Artù il solo fatto d'essere cavalieri basti per la narrazione e solo in certi casi si ricorra a espedienti magici, che pure ci sono (anche se il famoso mago Merlino esce di scena molto presto).
Allora, veniamo alle differenze fra Orlando e Rinaldo. Chi è il più forte? In Boiardo, nel suo “Inamoramento de Orlando” che è il titolo originale del 1483 e successive pubblicazioni, passano il poema a rivaleggiare, aiutandosi solo quando è il caso. Certo il Rinaldo di Boiardo è di grande simpatia e l'autore non sembra molto preoccupato di celarlo.
Orlando è l'eroe solo, triste, deluso in amore, molto pio, preoccupato di essere sempre all'altezza della sua fama e della sua responsabilità di conte palatino. Grande cavaliere, forte come nessun altro ma sfortunato. Non bello, per via del naso, e strabico da un occhio per giunta.
Rinaldo è alto, bello, gran cavaliere ma allegro, mangiatore e bevitore e sempre a caccia di gonnelle. Anch'egli, va da sé, cadrà vittima dell'amore, ma si capisce subito che se ne farà una ragione molto presto.
Entrambi sono, per vero, sposati, ma della moglie di Rinaldo non mi ricordo se si dica almeno il nome, Orlando è sposo fedele della sua Alda la Bella, ma la magia lo farà cadere comunque nei lacci d'Amore. Per altro la tradizione (secondo il detto che la Fortuna è cieca ma la Sfiga ci vede benissimo) vuole che Alda muoia sul colpo alla notizia della morte di Orlando. Ma questo succederà dopo tutte le avventure che scrittori e poeti vorranno (ancora) scrivere sui paladini: tanto è già successo nella Chanson: il primo poema che racconta la fine.
Lo stesso si potrebbe dire delle personalità dei cavalieri d'Artù che sono un filo più standardizzati nei comportamenti, ma anche fra loro le indoli e le caratteristiche di personalità differenti ci sono e anche come guerrieri sono diversi.
Questi cavalieri stanno, in partenza, fra la Francia e l'Inghilterra o la Francia e la Spagna, poi viaggiano in Italia, Artù diventa addirittura Imperatore dei Romani (non di Roma) e Orlando e Rinaldo hanno avventure sull'Aspromonte in altri poemi, in Europa poi nei paesi saraceni, in Oriente, in Africa e persino nel Catai, che non è la Cina, ma l'Afghanistan o qualche 'stan' da quelle parti. Quindi Angelica è una bellissima iranica, se vogliamo immaginarcela, e non cinese, infatti è bionda e non è stranissimo che una afghana o tagika o uzbeka o persiana lo sia, anche perché i Mongoli non erano ancora arrivati e dunque gli occhi a mandorla ce li avevano solo i Turchi (di allora non di oggi). Hanno innumeri avventure in ciascuno di questi paesi, che mescolano il gusto dell'episodio a quello dell'esotico.
Ma ognuno di loro rappresenta un tipo di cavaliere e un tipo umano ed è legato a certe avventure, a certi nemici e a certe situazioni magiche e fantastiche.
Un caso invece di ritorno al realismo è la “Gerusalemme Liberata” di Torquato Tasso del 1575 dove si narra della riconquista alla cristianità di Gerusalemme da parte dei Normanni guidati da Goffredo di Buglione durante la prima crociata finita nel 1099.
Insomma, per non farla tanto lunga, credo che il successo di questi personaggi stia in una necessità psicologica profonda degli uomini del Medioevo e poi del Rinascimento, visto che i grandi poemi appartengono a questo periodo. Questa esigenza è la costruzione di una mitologia fondativa propria che in parte spieghi il sistema vigente di quei tempi (il pippone di Ariosto sulla dinastia degli Estensi che discenderebbero da Ettore ne è la forma esacerbata) e in parte abbia la funzione di paradigma di valori etici e sia modello di vita.
Il Cristianesimo aveva relegato la mitologia classica, quando non l'aveva proibita o fatta sparire (ma non ci riuscì mai del tutto e non ci riesce nemmeno oggi la scienza... e un motivo ci sarà...), a mite riferimento letterario, anche molto elitario ed esclusivo. Il mito diventa mite.
Era nata sì una mitologia ufficiale cristiana che avrebbe dovuto prendere il posto di quella classica ma, vivaddio!, tutta fatta di santi e eremiti sempre intenti a punirsi con penitenze se non addirittura, e preferibilmente, con il martirio! Martiri oltretutto passivi, per far passare la visione di un paganesimo crudele e violento: ecce agnus Dei... Modelli di fede e di mortificazione a volte solo in parte mitigati dall'ingresso nella mitografia ufficiale di alcune storie popolari. Casi, eccezionali anche, di abbandono estatico a Dio, di miracoli o di lunghe cogitazioni sapienti. Insomma : due palle...
La vita era un'altra e si sentiva il bisogno di immaginarsi a combattere, cavalcare, innamorarsi, morire a fianco degli eroi, com'è giusto, come era sempre stato giusto.
Mi verrebbe di parlare dell'iconografia del Cristo nelle prime epoche del Cristianesimo, ma diventerebbe un altro post. Io sono uno dei pochi che ha letto e studiato, cioè come intendo io: mangiato, digerito e cagato, la Bibbia, il Nuovo Testamento e il Corano, anche se non sono credente in nessuna di queste tre religioni. E vi consiglio di leggerli così come sono senza introduzioni e note pastorali, come ogni libro del resto: la prefazione semmai va letta dopo. Probabilmente perderete la fede ma scoprirete dei libri storici di grande interesse, perché secondo il senso delle parole, così come sono scritte, sono anche libri di una certa onestà intellettuale, nei limiti, come si dice degli spumanti. Con le note teologiche e pastorali crolla tutto il catafalco delle religioni di fede e del monoteismo, che non possono stare in piedi logicamente, e diventa tutto un cumulo di menzogne e rovine.
Torniamo ai nostri cavalieri, ai nostri eroi medievali e moderni.
Miguel de Cervantes ha scritto il suo grande “ Don Chisciotte ” per prendere in giro l'esagerata produzione di testi cavallereschi della sua epoca, ma se guardate bene critica lo scarso valore letterario di questi poemi, non tanto il contenuto simbolico della cavalleria. Un po' come se don Chisciotte fosse così tristo per la pochezza letteraria dei suoi amati testi. Infatti salva, fra i tanti libri di don Chisciotte, lo “Orlando Furioso”.
Il mio caro Casanova ne salva due: “Don Chisciotte” (questo fra tutti i romanzi in assoluto: era sempre esagerato...) e l'Orlando di Ariosto. Fra l'altro, Casanova, esponente quasi proverbiale del '700, conosceva a memoria “Orlando Furioso” che leggeva ogni anno.
Non posso finire questo post che vorrebbe avere, come tutti gli altri, un contenuto aperitivo più che conclusivo, senza parlare della enorme produzione lirica musicale su questo tema.
L'immenso Claudio Monteverdi ha musicato “ Il combattimento di Tancredi e Clorinda” della “Gerusalemme Liberata”. Ne ho già parlato: su You Tube c'è un recital di Anna Caterina Antonacci su questo brano e sul “Lamento di Arianna” messo in scena a Amsterdam, non perdetevelo.
Ah, a proposito: ho messo su You Tube i miei videini, fatte con le mie manine d'oro e sante, per chi volesse dare un'occhiata senza leggere i post. Come si dice: fate girare!
Il grande Lully compose un Orlando e un'Armida e un balletto su Alcina.
L'immenso Antonio Vivaldi fece due Orlando e un paio d'Armide.
L'immenso Georg Friedrich Haendel scrisse in musica un Orlando, un Rinaldo, un'Alcina, un Amadigi di Gaula.
Insomma questi nuovi eroi della mitologia hanno costituito uno dei temi privilegiati della letteratura e del teatro per secoli per colmare un vuoto identitario e un riferimento, a un certo punto anche nostalgico, a un mondo ideale.
Nel XIX secolo prevale l'aspetto del realismo storico e il XX secolo sembra poter fare a meno di una mitologia se non quella fra il comico e il tragico delle dittature o D'Annunzio o quella dell'Uomo di Marmo ecc... dei film di Andrzej Wajda sugli stakanovisti. O roba di questo genere che in fondo sono la negazione dell'eroismo quanto lo sono dell'esaltazione del realismo esasperato.
Però oggidì è tutto un fiorire di fiction cine-televisive, film su un medioevo molto variegato e fantasy come ogni cosa si fa attualmente e che ha successo. Un miscuglio a uso e consumo delle nuove tecniche digitali e dei giovini d'oggi che s'accontentano davvero di poco. È sconfortante come la gente si faccia imbonire dalla banalità senza opporre resistenza. Sarà l'ossitocina nei vaccini...
Forse il problema è sempre quello di don Chisciotte.
R.P.

Posteris memoria mea

p.s. dimenticavo: mi raccomando, non preoccupatevi del rinfocolarsi della tubercolosi, causata dallo smodato spostamento di carne umana nell'infame traffico di schiavi, o di altre malattie scomparse da noi dal primo dopoguerra (mia zia Antonietta morì di TBC a 28 anni dopo il conflitto come tanti giovani minati dalle privazioni belliche), nooo: preoccupatevi del morbillo...
Morbillo!

domenica 28 ottobre 2018

Shir Hasshirim

Oggi, dopo 32 anni, abbiamo, mia sorella Antonietta e io, colto la prima melagrana da uno dei nostri melograni bonsai.


L'abbiamo seguita come l'attesa di un nuovo nato, dopo aver perso le speranze che potesse succedere.


Per celebrare l'evento propongo dei versi dello “ Shir hasshirim ” o “Cantico dei Cantici”.

Come uno spicchio di melagrana è la tua guancia attraverso il tuo velo ”.

I tuoi germogli sono un paradiso di melograni con i frutti più squisiti... ”.

Nel giardino dei noci io sono sceso per vedere i germogli del torrente, per vedere le gemme della vite e se sono fioriti i melograni ”.

All'alba scenderemo nelle vigne, vedremo se la vite germoglia, se sbocciano i fiori, se fioriscono i melograni: là ti darò le mie carezze! ”.

“ … tu mi avresti iniziata all'amore e io ti avrei dato da bere vino aromatico e succo di melagrane! ”.

Offriamo il frutto alle Dee Demetra, Persefone e Era (di cui il melograno è albero sacro).

venerdì 19 ottobre 2018

No, don't do it!

Quando postate: non evocate Chtulhu! 
 
E nemmeno altre parole magiche come: google, censura, Partito Democratico, o il nome di qualche uomo politico o di cultura, o arte o spettacolo che abbia santi in paradiso (tutti praticamente).
Altrimenti incorrerebbe su voi la maledizione eterna! Il fuoco inestinguibile, la pece e il pus bollente.
Mi censurano persino Liz Taylor, una delle più belle fighe del cinema in assoluto!
I beg you! I please you.
Non evocate Chtulhu! Non evocate Chtulhu! Do you not evocate Chtulhu!!!!!
No! Noooo..... noooo..........

giovedì 11 ottobre 2018

Cleopatra

La mia Cleopatra preferita, ovviamente
Confesso che è difficile scrivere sapendo che almeno gli ultimi post, di cui uno sulle favole di Esopo e l'altro sulla crisi dell'architettura contemporanea, senza accenni alla situazione politica, non sono visualizzabili. Non li avrebbe letti nessuno, secondo le statistiche di Google.
Uno arriva sul blog e vede un articolo nuovo, anzi quattro, e non li degna nemmeno di un'occhiata. Mah...
Scrivo per reazione un po' a caso.
Volevo dire qualcosa su un pezzo di documentario fatto dal figlio di Piero Angela visto a cena per non sorbirsi il tgcom24. Sempre meglio dei film: ho già una digestione difficile e non è il caso di comprometterla con inquadrature o dialoghi antipeptici. Poi ho pensato che non ne valesse la pena.
Dopo però leggo che il Piero padre ha incensato l'azione del senatore a vita Mario Monti, uno dei principali e più recenti responsabili della distruzione dell'Italia e, ricordandomi di quello che in rete si trova su Peter Angela, pianista jazz, figlio di un medico, maestro di 33° grado della massoneria che avrebbe avuto una clinica ospitante ebrei fuggiaschi, con pratiche all'avanguardia, durante l'ultima guerra, ho deciso di scrivere qualche cosa. Perché la gavetta non l'ha probabilmente fatta né il padre né il figlio, ma il fratello...
Partiamo dall'individuo che definisco il figlio di Piero Angela. Non perché non lo sia ma perché non merita altro nomen.
Egli ha fatto un documentario su Cleopatra arrivando alla fine a dire che un busto conservato in un qualche museo illustra una regina egizia ma ha caratteristiche non egizie. Parbleu!
Egli descrive il conflitto fra Ottaviano e Antonio come un fatto personale omettendo di dire che entrambi sono eredi morali del partito dei Populares sostenitore di Gaio Mario ai tempi della guerra sociale, il cui erede politico era un certo Gaio Giulio Cesare. Omette che ai tempi della guerra civile romana ebbe corso l'introduzione della cultura greca in Roma e che la cultura greca era quella ellenistica, ovvero erede del po' po' di casino che creò un tale Alessandro di Macedonia. Tutto questo era avvenuto neanche duecent'anni prima (la distanza fra noi e la Rivoluzione Francese), ma non fa occorrenza per gli scopi di Angela junior.
Insomma egli ci fa edotti del miscuglio erotico esotico che fecero quei due zozzoni di Antonio e Cleopatra. Insomma l'uno attratto dalle arti amatorie della baldracca africana ed ella sedotta dalle virtù del membro romano.
Per via egli si dimentica che Cleopatra era greca e che l'Egitto stesso era greco, dunque la seduzione che ella compì verso Cesare e Antonio fu quella di una normale donna greca, cioè romana, senza implicazioni esotiche che non esistevano più da secoli. Dal faraone Necao del VI secolo? Mezzo millennio prima? Basterebbero la Bibbia o i nomi della genealogia a confermarlo, mais passons.
O forse che il contrasto fra Bruto e Cassio con Antonio e Ottaviano non fosse fra gli assassini di Cesare e gli eredi della super star romana, ma fra i repubblicani, i realisti e gli imperialisti e che fra quest'ultimi chi pensava cesarianamente che l'impero dovesse essere europeo e chi immaginava alessandrianamente il 'solito' impero di origine orientale? Dietro Ottaviano c'erano le legioni ereditate da Cesare e da Pompeo, sconfitto da Cesare, della Gallia e dalla Celtiberia. Tutta gente da sistemare perché di promesse gliene avevano fatte tante. Dietro Antonio le solite legioni del Levante: Grecia, Anatolia, Egitto ecc... e questo regno poteva avvalersi dell'oro dei reami orientali e appunto rimettere in piedi il sogno di Alessandro.
Tutte queste amene cose sono sorvolate dal figlio di Piero... Vabbe' è inutile proseguire.
Allora, l'informazione del principino dei divulgatori, Delfino (fra l'altro è nato a Parigi...) del vate depositario del vero in ogni campo dello scibile umano, è che Cesare s'innamora di Cleopatra perché è giovane e bella e balla da dea la danza del ventre. Lei è una zoccola e dopo Cesare seduce Antonio perché come fa lei i pompini non c'è nessuno a Roma. Tutti si vedono in riva al Nilo come fossero nell'Aida. Lei è fuuurba e ci prova persino con il futuro Augusto, ma Ottaviano, siccome ci ha scritto in faccia che è un misogino, non scende a patti... e lei si uccide. Facendosi mordere da un serpente, che mai è esistito, ma fa tanto ' chi di cazzo ferisce di cazzo perisce'.
Poi alla fine del documentario il pierangelide ci dice che il busto del museo de 'sto cazzo a Roma mostra dei seni ubertosi, gli occhi non allungati, le labbra tumide della bella gnocca greca o romana come è normale che fosse per una nata e vissuta in Anatolia. Dunque potrebbe essere uno dei ritratti di Cleopatra VII o, ci avvisa il nostro eroe, di un'altra regina di quel tempo, secolo più secolo meno. Siamo alla supercazzola pura...
Ma Monti è l'economista che ha tanto fatto del bene all'Italia, signora mia!
Scusatemi ma dell'architettura tardo romana o di qualche opera d'arte, per esempio sempre da un doc del figlio del Piero, la Cappella Sistina, ma ho già detto che non mi piace, potrei dire perché o percome, ma a che servirebbe?
Devo stare zitto? Va bene a tutti? Le indicazioni di visualizzazione di Google sono farlocche e nessuno di voi mi dice a o ba.
Mi viene voglia di mandare tutto e tutti affanculo. Ma è quello che vorrebbero, dunque continuerò sapendo che quando mi dicono che cinque visualizzazioni sono da Fazanal o 'sex date qualcosa' e il resto sono per la Chanson de Roland (magari fosse vero!) non è la verità ma forse qualcuno mi legge.
Ma poi, sapete un po', vado per i cinquantotto ed è una vita che dei coglioni di piddini mi dicono che non valgo un cazzo. Io so che non è vero, ma che ci posso fare? Voi latitate e dunque arrangiatevi.
Ma se qualcuno pensasse di poter fare a meno di gente come me, non dico di me ma di gente come me, arriveranno dei giorni in cui si pentirebbe di averlo pensato. E se non arriveranno, che Dio sia pietoso con costui. Ma non lo sarà perché non avrà dimostrato perché egli debba essere pietoso con lui.
Questo è il tempo in cui i tatticismi non servono a nulla. Il Nulla si sta aprendo di fronte a loro e a voi e pensate che non succederà niente. Poor guys....
R.P.
posteris memoria mea 

venerdì 21 settembre 2018

La censura di Google

Chiesero, qualche tempo fa, a Google in conto di certi interventi censori praticati ai danni di siti, blog e altro e sulla base dei cambiamenti di algoritmo nei risultati della ricerca che risultava tendenziosa. Questi interventi parvero indirizzati da precise scelte politiche. Google affermò che non praticavano alcun tipo di censura e non erano schierati per nessuna parte politica.
Purtroppo per loro però lo scorso 13 settembre li hanno beccati con le mani nella marmellata o, come si dice a Roma, 'cor sorcio 'm bocca'.
Ho messo solo uno screenshot dell'inizio dell'articolo.
Qua lo trovate completo:
Traggo questa informazione da un tweet della nota giornalista italiana Maria Giovanna Maglie (ex corrispondente RAI dagli Stati Uniti d'America, fra l'altro). https://twitter.com/mgmaglie/status/1040344578816126980
Retwittato sul blog del senatore Alberto Bagnai della Lega:
ai quali non credo dispiaccia se ne faccio uso.

Vi dissi già che il mio piccolo blog, non ostante si occupi d'arte, subisce una censura da parte di Google a seguito di alcuni articoli nei quali ho espresso le mie idee su certi fatti della politica italiana. La cosa può apparire assurda, vista l'irrisoria importanza politica del mio blog. Sembra impossibile che big G si metta a ostacolare il blog di un signor nessuno come me. E all'inizio anch'io mi sono messo a ridere, ma la cosa va avanti.
Siccome vanno di moda i grafici ho fatto lo screenshot delle visualizzazioni del mio blog dall'inizio, dall'apertura del blog intendo, al mese di settembre 2018.

In questo primo grafico sono indicate le date dei due articoli che hanno scatenato la 'rappresaglia': il post del 27 maggio 2018 “La battaglia di Savona” nel quale criticavo la scelta incostituzionale del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella rifiutante la nomina del professor Paolo Savona al ministero delle finanze e quello del 6 giugno 2018 “È (può essere) un momento storico per l'Italia” in cui mi dicevo speranzoso della nomina del governo Conte e (ahi ahi...) mi confessavo felice che non facessero parte della maggioranza il Partito Democratico e quello di Silvio Berlusconi.

In questo secondo grafico sono indicate le visualizzazioni dei mesi di maggio, giugno, luglio, agosto e settembre 2018. Vedete il calo verticale delle visualizzazioni.

Lascio a voi di trarre le conclusioni.

Ovvio che Google non ce l'ha con me come individuo, non sa nemmeno che esisto, o sia lo sa ma non gliene frega nulla, ma alcune parole chiave, qualche nome sensibile e certune combinazioni hanno fatto partire la censura automatica. Che non so come proceda di fatto perché non me ne intendo.
Dal momento che è di nessun conto che il mio blog esista o no, per gli altri e a un certo punto anche per me, almeno mi tolgo la soddisfazione di rompere a Google i coglioni dando la mia testimonianza, poiché penso succeda la stessa cosa a molti altri.
È chiaro che Google appartiene ad alcune sinergie che sfociano nei vari paesi nel sostegno di alcuni partiti (Partito Democratico, lo devo mettere per esteso se no in traduzione esce Parkinson Disease... e in genere la sinistra mondialista) e contro altri (soprattutto la Lega e in genere chiunque sia critico con l'Unione Europea e il disegno di ordine mondiale ordo liberista).

Altre ipotesi del calo delle visualizzazioni sono queste:
  1. i miei lettori erano tutti piddini che si sono offesi, ma non c'era però neanche un leghista che ha fatto il passaparola a favore
  2. i miei lettori si sono tutti contemporaneamente ammalati di un virus tropicale che uccide selettivamente
  3. i miei lettori sono tutti studenti delle medie che in estate vanno in vacanza e usavano solo Snapchat per farsi le orecchie e la linguetta da cane, e a tutt'oggi non hanno ancora iniziato la scuola
  4. i miei lettori si sono tutti suicidati per amore
  5. varie ed eventuali.
  6. oppure...
#HASTATOPUTIN!

Concludo con uno dei miei mitici videini musicali ben auguranti.

È l'ottima versione diretta dal maestro John Eliot Gardiner registrata in San Marco a Venezia del 1989.

R.P.

Posteris memoria mea


mercoledì 5 settembre 2018

Com'è morta l'Architettura (e non solo lei)

Mi sono chiesto di cosa sia morta l'architettura, anche per avere una risposta riguardo a tutte le altre arti. Non tanto perché è morta, magari nel corso del post ci arriveremo, ma di cosa è morta.
Come facevo notare nel post “Quiz a premi” l'architettura si è sviluppata dai tempi dei Sumeri fino a ieri con lo stesso linguaggio logico, non con la stessa lingua naturalmente.
Questo permette, non ostante appunto i linguaggi differenti, di accostare fra loro le architetture le più distanti nel tempo e nello spazio.
Se ne sono accorti anche i linguisti i quali ci dicono come le lingue del mondo, per quanto diversissime, debbano contenere alcuni principi di analisi logica per essere comprensibili. E questo è stato notato in tutte le lingue esistenti. Ma non m'addentro in un campo che non è il mio: il poeta è uno che lavora sulle increspature del linguaggio e non sulla struttura, altrimenti è solo uno che prende per il culo.
Una volta, quando ero laureando e vivaddio non avevo più il piano di studio da compilare ogni anno, ci si avvicina, ero con i miei due soci di università, una matricola alle prese col suo primo piano di studio.
Costui ci chiede consiglio: “Magari nel piano di studio posso non mettere Storia dell'architettura, eh... magari non è poi così importante per il progetto...” (le matricole dicono 'progetto' al posto di 'progettazione' o men che meno 'composizione' che, ma sono scusati, non sanno nemmeno cosa sia).
Lo guardammo con aria fra lo stupito e lo scandalizzato e rispondemmo “Veramente è la cosa più importante!”.
Accortosi di averla detta grossa conclude: “Allora le metto tutt'e due, prima e seconda?”.
Chiosammo: “Ci sono due annualità di corso, ma se ce ne fosse una terza mettici anche quella”.
Perché è così importante la storia dell'architettura per progettare? Perché conoscendola si impara a riconoscere le invarianti dell'architettura, o sia quegli elementi linguistici strutturali che sono sempre stati dei punti di riferimento perché l'architettura avesse un senso. Nel mutare delle forme c'è sempre stato un filo ininterrotto che legava un'architettura alle precedenti e alle successive.
Oggi questo filo è venuto a mancare. Perché? Per una perdita di senso delle forme, mi viene da dire. Vediamo se in seguito riuscirò a dire qualcosa di più.
Torniamo al come è morta, facciamo questa operazione fra la dissezione anatomopatologica e la necrofilia nella sua forma ormai nemmeno morbosa ma del tutto occultistica.
Michiel van Mierevelt - Lezione di anatomia del dottor Willem van der Meer - 1617
Mi viene questo paragone. Immaginiamo di avere una linea di evoluzione biologica. Da un antenato comune, nel corso del tempo, alcuni individui presentano delle connotazioni genetiche inedite e favorevoli e si distaccano dal ramo di appartenenza e speciano. Il ramo originario può continuare oppure estinguersi dopo un certo tempo, questo dipende dal motivo per cui sono insorte le nuove connotazioni genetiche. Se continua, lo stesso fenomeno avverrà altre volte e lo stesso su quello della nuova specie e su tutti gli altri. Avremo dunque forme di vita diverse e con evoluzione differente. Ma se andiamo a guardare come è fatto il loro DNA lo scopriremo quasi identico, tranne quelle poche diversità che danno appunto origine alla nuova specie e poi, conservandosi alla specie di appartenenza, in assoluto a quella forma di vita.
In fondo è per questo motivo per cui possiamo raggruppare le specie in insiemi più vasti abbastanza differenti da poter dire che quella è una pianta, quella è una scimmia, quell'altro è un uccello.
Immaginiamo che ognuno di questi insiemi sia un'arte: pittura, poesia, architettura ecc... Dentro possiamo avere molte specie, ma queste condividono un DNA comune che si trasmette immutato nella sua quasi totalità non ostante ogni specie abbia delle caratteristiche proprie.
Mettiamo allora il caso che da una specie ne derivi un'altra. Per essere più precisi sia dal punto di vista genetico sia da quello del mio ragionamento, sappiamo che una specie non 'deriva' da un'altra. All'interno della specie B compaiono nuove caratteristiche genetiche che divengono insormontabili e incompatibili con la specie di partenza A. Avremo quindi due specie: A e B. È il motivo per cui due specie diverse sono infertili fra loro o, se la distanza non è troppo grande, prolificano ma la prole è sterile o non sopravvive.
Se da una specie se ne distacca un'altra e quest'ultima presenta delle caratteristiche genetiche troppo grandi per ogni possibile confronto con quella di origine si passa a un nuovo ramo evolutivo. La nuova specie non si potrà più chiamare come una variazione della vecchia, sarà un'altra cosa. Se le connotazioni genetiche sono insorgenti senza motivo o vantaggio, la mutazione genetica è patologica e, se non riesce a essere assorbita dal vecchio DNA, gli individui che la possiedono muoiono o tutta la nuova specie si estingue, perché non adattabile all'ambiente o non portante alcun vantaggio rispetto all'ambiente.
Ed è quello che spero avvenga a quella nuova cosa che ha sostituito l'architettura. E lo spero anche per le altre arti.
È come succede in quei film giapponesi in cui delle nuove specie mostruose sono nate dalla contaminazione nucleare... Ecco, siamo in una situazione simile. E non solo per l'arte, ma non vado oltre altrimenti big G. si arrabbia (se n'è accorto anche Donald).
Quella cosa che pur provenendo dall'architettura non ne condivide il DNA è appunto un'altra cosa e non dovrebbe chiamarsi più architettura.
Vediamo a una prima indagine che segni presenta il corpo della vittima, della quale fortunatamente possiamo ancora ricostruire almeno la struttura primaria del DNA.
Il coroner è quello che è e ne verrà fuori la solita analisi fatta in casa. Del resto amo avere salme in giro per casa... Questo è uno di quei casi in cui una specie in via di estinzione disseziona una specie morta, ma io parlo ormai dall'Ade e dunque la cosa non deve stupire più di tanto. Fra un po' penso che mi meriterò almeno i Campi Elisi o forse le Isole dei Beati. Per il momento, helas, è dall'Ade.
Allora, l'architettura è fatta di forme: non tutte le forme sono architettoniche, mentre altrove lo potrebbero essere, per esempio nella scultura (vedi il post “La ragione sociale delle arti”). Fin da quando si conoscono manufatti architettonici questi presentano delle forme che soddisfano un significato. O sia ci deve essere uno scopo nell'architettura espresso da forme. Lo scopo non va confuso con la funzione: è la ragione d'uso di quel manufatto. Se si pensa a una tomba che contenga le ceneri del morto si capisce subito la differenza.
Le forme dell'architettura partono da alcuni principi invarianti: le strutture in elevazione, la copertura, gli spazi geometricamente definiti, la definizione di livelli diversi e il modo in cui sono collegati, e altri ancora.
Si dà il caso che le forme che esprimono questi principi, che danno lo scopo del manufatto architettonico, abbiano sempre preteso di descrivere con sincerità e i principi e lo scopo stesso.
Un altro principio invariante dell'architettura e di formare degli spazi idonei a esplicare uno scopo pratico. Se voglio conformare una sala, questa può essere tonda, quadrata, rettangolare, esagonale... ma la scelta della forma non sarà arbitraria bensì descriverà, attraverso la sua fruizione, lo scopo della sala e le attività materiali che lì si praticano. Casi in cui la forma non rappresenta la ragione d'essere dell'edificio sono possibili ma vanno catalogati come architetture sbagliate. Se per esempio decido di fare una sala per un'assemblea plenaria non la farò a forma di stella: perché nelle punte non è possibile vedere nelle altre, ma di più perché la connotazione semantica sarebbe un luogo in cui si svolgono cinque assemblee controllate da un unico punto panottico centrale. L'assemblea dunque non sarebbe, ma al massimo esisterebbero spazi di incontro sotto il controllo centrale.
Sul piano del linguaggio architettonico, tante volte analizzato, non sempre ci sarà il purismo di avere un elemento di linguaggio 'struttura' nel punto stesso dove in effetti c'è. Intendo con ciò che, per esempio, dietro una lesena non ci sarà per forza un pilastro o un ispessimento del muro per fini strutturali, ma una lesena non starà mai dove dovrebbe starci un altro elemento di linguaggio.
Se in un edificio non si trovano locali rettangolari, ma anzi quadrangoli irregolari, e di solito uno degli angoli sarà molto acuto, ci si può scommettere: è più figo, non solo quella forma renderà scomodo svolgere le funzioni per la quale è stata disegnata, ma sarà contraddittorio con l'idea stessa di locale nel quale si svolgono attività logiche secondo un criterio di razionalità. Per la cronaca l'angolo acutissimo che finisce a budello, in milanese si noma 'cantun de la pisa' (angolo, luogo della piscia).
Se invece questa forma è quella di un giardino non ci sarà nessuna contraddizione, sia perché in natura la regola è che l'angolo retto è in pratica inesistente sia perché la natura è uno spazio in cui si svolgono le funzioni della razionalità naturale e non umana. Si vuole affermare che uno spazio 'naturale' rende l'uomo naturale? Allora occorrerà buttare i computer, le scrivanie, il televisore, le penne, la carta igienica ecc... ma dopo servirà una casa?
Altro esempio il cui ritrovamento non dà particolari difficoltà. In una facciata il marcapiano indica appunto il piano, cioè indica che tutti gli ambienti di quel livello stanno su quel livello (?:!). Se si trovano facciate accartocciate o finestre con marcapiani differenti fra una e l'altra si crederà che dentro i pavimenti sono inclinati? O che la struttura sta cedendo? O che è una casa di pongo?
Si possono fare questi e molti altri esempi. Non vado oltre perché mi sembra abbastanza chiaro, a buon intenditore. E potremmo affrontare casi di composizione fra gli edifici.
Si apre a questo punto la domanda sul senso di queste presunte inedite forme.
Il senso credo sia nel rincoglionimento in atto o voluto come scopo di chi osserva o vive in queste cose erroneamente dette architetture. È il solito fanciullesco far credere che tutto sia possibile nel magico mondo di... (mettere nome a piacere purché schizofrenico con la realtà e la possibile comunicazione che superi la monade). E che questa sia la libertà, il nuovo, la modernità, il mondo senza confini... anatomicamente siamo all'interno di un corpo opaco ai raggi x altrimenti detto neoplasia tumorale.
Basta, l'anatomia è finita perché il cadavere puzza troppo. In un post passato ho messo l'immagine di “Accattone”, è il momento in cui uno dei tre (ci sono Accattone, Cartaggine e il suo socio) si leva le scarpe e Accattone commenta: “Ammazza: puzzi più da vivo che da morto!”. Ecco quello che ignobilmente oggi si definisce architettura puzza già da vivo, mentre l'Architettura è onorata di incensi, fiori e profumi nelle Isole dei Beati.
Un altro mondo che qui non fiorisce più. Dall'Ade è tutto per il momento.
R.P.


Posteris memoria mea







mercoledì 15 agosto 2018

Feria d'agosto

Propongo alcune favole di Esopo per ricrearci in questi giorni estivi, a cui ho cambiato il titolo e aggiunto delle immagini per farci su la morale.

Prendo il testo da: Esopo, “Favole”, trad. Elena Ceva Valla, 1° edizione Classici BUR deluxe, novembre 2016.

L'arte è sempre la celebrazione di un potere

Una volta un leone e un uomo camminavano insieme e, discorrendo, ciascuno dei due menava gran vanto di sé. Ed ecco, sulla strada, una stele di pietra dove era rappresentato un uomo che strozzava un leone. L'uomo, additandola al suo compagno : “ Vedi – disse- quanto siamo più forti di voi! ”. Ma l'altro sorridendo: “ Eh, se i leoni fossero capaci di scolpire quanti ne vedresti di uomini sotto una zampa di leone! ”.

La conquista dello spazio

Un astronomo aveva l'abitudine di uscire tutte le sere per studiare le stelle. Una notte che s'aggirava nel suburbio con la mente tutta rivolta al cielo, cascò senza avvedersene in un pozzo. Mentre egli si lamentava e gridava, un passante udì i suoi gemiti e gli si avvicinò. Saputo il caso gli disse “ Caro mio, tu cerchi di sapere quello che c'è nel cielo, e intanto non vedi quello che c'è sulla terra ”.

Il ' piagnina '

Mentre i buoi trascinavano un carro, l'asse strideva. Allora quelli, voltandosi indietro, gli dissero: “ Ohi amico! Il carico lo portiamo tutto noi e quel che si lamenta sei tu? ”.

Tempi moderni

Una vedova tutta lavoro aveva delle servette che svegliava d'abitudine al canto del gallo perché attendessero alle loro faccende. Quelle, stanche delle continue fatiche, considerando responsabile dei loro mali il gallo, che svegliava di notte la padrona, pensarono che conveniva tirargli il collo. Ma quando l'ebbero fatto, capitò loro di peggio perché la padrona, non sapendo più l'ora della levata dei galli, prese a svegliarle a notte più fonda per farle lavorare.

La cacciata dall'Eden

Quando Zeus ebbe creato l'uomo e la donna, ordinò a Ermes che li conducesse sopra la Terra e mostrasse loro come potevano procacciarsi il vitto scavandone il suolo. L'ordine fu eseguito. Ma la Terra, a tutta prima, non voleva saperne. E quando poi Ermes la costrinse all'obbedienza spiegando che si trattava di un ordine di Zeus: “ E allora scavino pure quanto vogliono – dichiarò – ma me la pagheranno con sospiri e lacrime ”.

Cromosoma XX e cromosoma XY

Una bella mula rimpinzata di biada si mise a scalpitare dichiarando ad alta voce a sé stessa: “ Cavallo dal rapido piede fu mio padre, e io son tutta lui! ”. Ma un giorno si presentò la necessità di correre e la mula dovette farlo davvero. Quando ebbe finito la corsa si sentì triste e le venne in mente, all'improvviso, che suo padre era un asino.

Er Libberismo

C'era un uomo che aveva un asino e un cavallo. Un giorno che stavano viaggiando per la strada l'asino si rivolse al cavallo: “Prendi un po' del mio carico se non vuoi vedermi morto ” ma l'altro non volle saperne. E l'asino stramazzò e morì, sfinito dagli stenti. Allora il padrone passò sul dorso del cavallo tutto il carico e in più la pelle dell'asino e il cavallo, piangendo, esclamava: “ Ahimè disgraziato! Che cosa m'è mai successa, povero infelice! Per aver rifiutato un pochino di quel peso, eccomi costretto a portarlo tutto, e in più anche la pelle ”.

Il lupo abiterà con l'agnello... ”

Una volta fu eletto re un leone che non era né collerico né crudele né violento, ma mite e giusto come un uomo. Sotto il suo regno fu convocata l'assemblea plenaria degli animali, perché ognuno desse e ricevesse scambievolmente soddisfazione dei suoi torti: il lupo con la pecora, la pantera col capriolo, la tigre col cervo, il cane con la lepre. Fu allora che il povero leprotto disse: “ Quanto ho sospirato di vederlo spuntare questo giorno, in cui i deboli avrebbero fatto paura ai forti! ”.

Sii bella e taci! ”

Una lampada ubriaca d'olio splendeva, vantandosi d'essere più luminosa del sole. Si udì fischiare un soffio di vento, ed ecco che la lampada fu spenta. Qualcuno la riaccese e le disse: “ Brilla, o lampada, e taci. La luce degli astri non si eclissa mai ”.

 " berran rugiada e mangeran speranza "

Sentendo cantare le cicale, un asino, pieno d'invidia per quella voce melodiosa, chiese loro che cosa mangiavano per poter emettere tali suoni. “ Rugiada! ” risposero quelle, e l'asino, aspettando che scendesse la rugiada, morì di fame.

Demografia

Una colomba allevata in una piccionaia si faceva gran vanto della sua fecondità. La cornacchia, dopo che ebbe ascoltato le sue chiacchiere, le disse: “ Smettila di vantarti di questo, cara mia. Quanti più figli metti al mondo, tanti più schiavi avrai da piangere ”.

I figli nella bambagia

Dicono che le scimmie mettono al mondo due figli alla volta; uno lo amano e lo allevano con ogni cura, l'altro lo odiano e lo trascurano. Ma succede poi, per un fatale destino, che la madre, a forza di abbracciare con appassionata violenza il prediletto, lo soffoca, mentre il fratello trascurato diventa adulto.

Poesia

Un amaranto cresciuto vicino a una rosa le disse: “ Che splendido fiore sei tu! Ti desiderano gli Dei e gli uomini, e io ti invidio per la tua bellezza e il tuo profumo ”.
O amaranto – gli rispose la rosa – io non vivo che pochi giorni, e anche se nessuno mi recide, appassisco; ma tu tu fiorisci e vivi sempre così, in perenne giovinezza ”.

E aggiungo qui un mio stornello:

Ah, ho dimenticato un madrigale,
forse è perché non so più contare,
o forse era un destino fatale,
per questo esitante mio pennello,
di riparare con uno stornello:

Fior d’amaranto
la vita corre dove soffia il vento
e alla fine resta solo il rimpianto.

Per finire la festa metto una storiella che ho sentito qualche anno fa, non è di Esopo, ma potrebbe.

L'asino e il maiale

Un maiale, avvoltolato nel brago, oziava tutto il giorno e si ingozzava di tutto quello che gli gettavano da mangiare. Vedeva davanti a sé passare, più volte al giorno, un asino stracarico di legno, sacchi, botti e ogni cosa. Avanti e indietro, avanti e indietro. Ogni volta che passava, il maiale lo prendeva in giro “ Ah, che brutta vita che fai! Sempre a lavorare e faticare, disgraziato... guarda me invece: mangio e non faccio niente tutto il giorno ”. Una volta e due e tre, sempre la solita storia ogni giorno. Finché, un giorno, stufo, l'asino si girò e gli chiese “ Te non sei quello dell'anno scorso, vero? ”.