martedì 28 aprile 2015

Amici nell'Arte



Laura Caligiuri ha pubblicato una pagina personale sulla sua fotografia sul sito

ed entrambi sono stati molto gentili a citarmi e ha postare il mio link attivo.
In risposta ai miei ringraziamenti ho ricevuto dagli Amici nell’Arte questa e-mail cortesissima.

“  Carissimo Renato,
accogliamo con piacere i ringraziamenti e ci complimentiamo per l’ottimo lavoro portato avanti nel suo blog .
Qualora volesse scambiare il link con noi, ne saremmo veramente lieti.
Siamo aperti ad ogni attività mirata alla promozione ed alla divulgazione dell’arte e della cultura nel tessuto sociale, ritenendoli “punti cardine” dello sviluppo di una nazione e di un popolo, fondamenti soprattutto per l’educazione dei giovani.

Notevoli le foto di Laura Caligiuri che ha selezionato per l’accostamento alle sue poesie, altrettanto toccanti.
Buona serata e a presto.

Carmen & Pascal  ”.

Questa è la pagina di Laura.



Sono assolutamente d’accordo sul senso della cultura come punto ineludibile di una nazione e direi anche, al massimo grado per l’Italia e per l’Europa, quale elemento di identificazione preliminare a ogni altro autoritariamente imposto da foschi “ vincoli esterni ” (ogni riferimento alla situazione politica attuale è ‘ volutamente voluto ’).
Sono grato agli Amici nell’Arte per l’apprezzamento al blog e, soprattutto, alle poesie.

Un saluto a Laura e agli Amici nell’Arte. 











domenica 19 aprile 2015

Parlare in poesia



Ebbi modo, un paio d’anni fa, di partecipare a una serata in cui si presentava una poetessa finlandese: Eeva Liisa Manner. La serata fu organizzata da non so chi presso la libreria della CISL in via Tadino a Milano. Vi andai più che per la poetessa, che non mi piace più di tanto, per la curiosità della lingua finlandese.
In quella occasione vi fu un’introduzione di una docente di letteratura finlandese di cui non ricordo più il nome e me ne dispiace. D’altronde comincio ad avere una certa età per la memoria e ho perso tutte le e-mail in un guasto del pc e insomma, come diceva John Belushi in “The blues brothers”: il terremoto, le cavallette, non è stata colpa mia! 
Era in questo periodo dell’anno perché ricordo che c’era il Salone del Mobile e fra gl’invitati l’ambasciatore della Finlandia, a Milano per l’occasione del design. Notai che nei pieghevoli di presentazione insistevano su Eero Saarinen dimenticandosi un altro finlandese, uno dei giganti dell’architettura moderna, caposcuola del design ma di più dell’architettura definita ‘ organica ’: il grande Alvar Aalto. Va be’: nemo propheta in patria e anche i finnici hanno i loro difetti di memoria.
A parte questa circostanza, che fa  intorcinare le budella solo ai vecchi architetti come me, la sera fu molto istruttiva perché, fra le altre cose, la bionda professoressa di lettere ci lesse alcune composizioni della Manner e potemmo apprezzare il suono dolcissimo del finlandese. Lingua composta da molteplici posposizioni che rendono le parole lunghissime ma facili da leggere perché, come in italiano, a ogni lettera corrisponde un suono preciso. Infatti la docente ci disse, un po’ vezzosamente, che il finlandese è detto l’italiano del nord.
Sapemmo in quell’occasione che in Finlandia è molto diffuso l’uso di comporre in versi, così che quasi ognuno lo fa.
Io credo che questo amore per la propria lingua, la volontà di esprimersi anche solo per sé stessi sia un grande insegnamento che mi sentirei di suggerire anche per il nostro paese. Soprattutto in un momento di abissale crollo culturale come questo e di smarrimento del proprio sé, sia a livello individuale sia nazionale.
Era invitato alla serata anche l’ambasciatore finlandese, che giunse, dal Salone del Mobile, con una ventina di minuti di ritardo e si scusò con una platea di una dozzina di persone!
Immaginatevi un assessore italiano che ritarda solo di venti minuti...
Il momento più notevole si ebbe, a mio parere, quando chiesero all’ambasciatore del perché in Finlandia v’era un così forte interesse per la poesia.
Egli rispose che il motivo era da ricercarsi nella storia della Finlandia, per secoli dominio o del regno di Svezia o dell’espansionismo della Germania (oh, qual espressione arcaica e dunque nuova per i nostri tempi!). In questo passare da un  regno all’altro, da una cultura all’altra, con il contraltare della lingua e della cultura lappone della Carelia nel nord-est del paese, il popolo finlandese identificò nella lingua del Kàlevala la sua connotazione nazionale comune.
Da lì l’amore che i Finlandesi nutrono per la loro lingua madre, che essendo madre a sua volta li nutre.
Be’, lasciatemi dire del disappunto per la situazione italiana, verso un paese che ha un’alta quota di analfabetismo di ritorno per cui aumentano le persone che non sanno parlare o scrivere o leggere correttamente in italiano. E con la televisione e personaggi pubblici che paiono (dubitativo retorico) assecondare questo fenomeno e non solo da oggi. Lo dico, a esempio, con tutta la simpatia per il bravo Troisi che affermava di ‘sognare’ (che cazzo vuol dire?) in napoletano e stava agli altri fare lo sforzo interpretativo. Ascoltate bene invece i film di Totò: a parte i modi di dire e i calembour recitava sempre in perfetto italiano, non era un attore dialettale ma nazionale.
E lo dico con tutto l’amore per i dialetti, enorme ricchezza della nostra lingua e letteratura. Ma un conto è esprimersi in dialetto, un altro è non saper cominciare o terminare le frasi in italiano o rifiutarsi di parlare nella lingua nazionale. Una lingua bellissima che qualcosa ha pur significato nella cultura europea.
E non venitemi a dire che è il solito razzismo verso il sud di uno del nord: questo presunto ‘razzismo ’ non è che la vostra frustrazione e sta tutto nella vostra mente.
Siamo un popolo, abbiamo una  cultura e una lingua, siamone fieri come i Finlandesi! E viva i dialetti anche se ormai sono una variante dell’italiano.
Pensate come mi sento io quando traducono la locuzione milanese ‘ tri cucümer e un peverun ’ (che significa cosa pagata o che costa  poco) come ‘ tre cocomeri e un peperone ’ e non come la vera traduzione ‘ tre cetrioli e un peperone ’ (che fra l’altro ha più senso) e ci si sente dire: “ ma io ho sentito tre cocomeri e un peperone ”. Ma da chi? Dove è nato? Quanti anni ha? In milanese cocomero inteso come anguria o popone che dir si voglia non esiste nemmeno. L’anguria si dice ingüria. La zucca si dice süca (con la s aspra) e gl’italici zucchini si chiamano i süchett. Cucümer sono solo i cetrioli.
Conserviamo i nostri preziosi dialetti, tenendo presente che ormai, lo ripeto, son da qualche secolo varianti dell’italiano. I dialetti nacquero dall’incontro fra le lingue locali, celtico, veneto, umbro, sabellico, sannitico, apulo eccetera con il latino, lingua dei dominatori Romani (cercate cos’era la Lega Italica ai tempi dei Romani: gli ultimi ad arrendersi furono i Piceni che scrivevano sui proietti delle fionde al comandante romano: ‘ mentre tu combatti qui tua moglie ti fa le corna a Roma ’). Poi furono varianti locali dell’italiano toscano che si andava, per merito dei suoi poeti, affermando come lingua nazionale italiana. E non ce l’ho nemmeno col romano (che infatti non chiamo romanesco): io da buon milanese amo Roma, purtroppo non è sempre vero il contrario, ma pazienza, non cambierò idea per quattro coatti.
Da italiano non posso dimenticare cosa fu la Repubblica Romana e nemmeno cosa fu la Repubblica Cisalpina e il suo tricolore, bianco rosso e verde, da festeggiare il sette di gennaio, come fu a Reggio nell’Emilia nel 1797. Vorrei dimenticarmi dell’annessione al Regno di Sardegna (‘ L’unità d’Italia ’!!!), di Garibaldi, i Cacciatori delle Alpi, il lombardo-veneto, gli ‘ insorti mazziniani ’ dei principati napoleonici, il furto del Banco di Napoli (pieno delle ricchezze rubate dai Napoletani ai Siciliani...), l’esercito borbonico che se ne va in Puglia a contrastare (forse?) lo sbarco degli Albanesi..., il Plebiscito di Napoli, le ‘ province redente ’ di Trento e Trieste.
Dai, salviamo la Breccia di Porta Pia, per carità di patria... E i progetti di un’Italia federale di Carlo Cattaneo.
La cultura, l’arte, gli scambi fruttuosi testimoniano della nazione italiana anche quando non era Italia. Quanti sanno che Antonio Vivaldi, uno dei massimi musicisti italiani, era veneziano figlio di due tintori: il padre immigrato da Brescia, la madre da Matera?
E esempi a non finire in tutto il mondo mercantile e culturale di scambi continui fra le varie zone dell’Italia e, tramite le zone di confine, con il resto d’Europa.
Recentemente alla Scala hanno dato “ Lucio Silla ” di Mozart, opera bellissima. Avete mai fatto caso che con tre opere: “Mitridate re di Ponto ”, “Ascanio in Alba” e “ Lucio Silla ” Milano è dopo Vienna la città in cui Wolferl ha dato più opere? E la prima che credette in lui. Non fosse stato per l‘opposizione di Maria Teresa l’avremmo avuto per un po’ d’anni a Milano. Ma lo sanno questo i Milanesi? O meglio quei rettiliani mutaforma che hanno sostituito i Milanesi.
Ma oggi ci decantano che grazie all’euro c’è l’Eurozona, l’Unione Europea e  di conseguenza l’Europa! Prima infatti non c’era: il continente era un immenso ghiacciaio inerte.
Ahimè, è proprio vero che al male non c’è limite.
Da popoli che hanno troppo combattuto fra loro per non amarsi oggi, a popoli che ricominciano a guardarsi con sospetto, a darsi le colpe l’un l’altro.
Ma non importa: c’è stata e dunque sempre ci sarà una Cultura Europea e Italiana che non teme nessun confronto con la Storia, con la S maiuscola. E continuerà a dispetto di chi ci vuole mettere uno contro l’altro, disponendoci in una dimensione falsamente unitaria e dittatoriale in nome di miti monetari ed economici.
Abbiamo sconfitto l’aristocrazia perché abbiamo capito che la guerra fra stati era un loro gioco di famiglia. Anche l’incubo di oggi finirà e torneremo a essere popoli che dialogano fra di loro, e saremo anche più utili al resto del mondo: il mondo non può fare a meno dell’Europa dopo che ne ha sposato le linee guida del suo sviluppo. Pensateci: è una nostra precisa responsabilità. L’alternativa è un mondo in cui il medioevo cosiddetto barbarico sembrerà una luce di saggezza al confronto.
Ma ero partito dai Finlandesi, che a detta di tutti sono dei buoni ragazzi, e buone ragazze soprattutto.
Essi amano la loro patria e identificano se stessi con la loro stupenda lingua, perciò la coltivano con la poesia, declinata in tutti i modi. E non si preoccupano di essere grandi poeti ma solo di misurarsi e valorizzare il loro idioma, fosse solo per leggere le proprie cose fra di loro o al saggio di fine anno della scuola superiore. Non solo, ma lo stesso fanno le minoranze linguistiche lapponi, svedesi (6%) e tedesche e non credo che la minoranza svedese bruci le biblioteche finniche o russe (altro impero ingerente).
È vero, è un altro mondo: a un chilometro fuori da Helsinki, dove risiede la maggioranza della popolazione, giri per una settimana e non incontri che renne e orsi (allora l’Eden esiste!), ma le statistiche mondiali ci dicono che il mondo si va conformando non, come ci vogliono far credere, in giganti che lottano fra loro (USA, Europa, Russia, Cina, India ecc...) ma in stati piccoli, sovrani e indipendenti con una popolazione media di sette-otto milioni di persone. Avete capito bene: 7-8 milioni di persone! Meno della Lombardia! Un paese leader dell’economia fra una ventina d’anni sarà la Corea del Sud che ha meno abitanti dell’Italia!
Il futuro dice che piccolo è bello, che differente è bello, che indipendente, autonomo e sovrano è bello e funzionerà. Non è il caso che vi faccia notare che un individuo su sette milioni in totale, vale più che uno su cinquecento milioni del colosso europeo. 1/500.ooo.ooo è uguale a 0,000000002, mentre 1/7.ooo.ooo è uguale a 0,000000143. Cioè a un rapporto di 71,5 a 1. In mere cifre aritmetiche e non in ricaduta sociale che sarà molto più incisiva.
Uno dice: e questo che c’entra con la poesia? Be’ c’entra, e molto e se non lo avete capito tornate a leggere Repubblica (e compagnia cantante) e a vedervi i talk show di mamma Rai (e compagnia cantante).
Vi amo Finlandesi (soprattutto le Finlandesi) che vi siete attaccati al carretto della Germania, ma in fondo siete pochi, simpatici e vi piacciono gli orsacchiotti e le renne, e vi amo Italici che non siete altro ma che non ostante tutto credete ancora in questo paese glorioso e sciagurato.

 Tutte le poetesse finlandesi sono così. Se non è vero: NON VOGLIO SAPERLO!



martedì 7 aprile 2015

Semplice quindi popolare (un qualcosina in più di pop)


Ho avuto occasione di accennare a Giorgio Caproni in un mio post e mi è venuta la voglia di rileggermi le sue poesie. Alla fine del libro c’erano delle critiche d’autore all’opera di Caproni e mi sono venute alcune considerazioni in ordine sparso, con valenza spero generale sulla poesia.
A me hanno insegnato che la realtà di uno stile è rappresentata dalla singola opera su cui si può applicare un’appartenenza cosiddetta di ordine o, nei casi maggiori, di canone. Invece trovo che la maggior parte dei critici letterari di professione si sforzano di inserire l’autore in precise caselle che rappresentano per loro delle evidenti necessità di sistematizzazione.
Per esempio in Calvino è la tematica ricorrente, ma anche il carattere ‘ popolare ’ dunque, prima o poi, di successo fra il pubblico delle sue composizioni.
Pasolini mette in evidenza il carattere espressionista di Caproni che giustifica il ricorso che egli ne fa di forme tradizionali di metrica.
Ce ne sono altre allegate nel libro ma considero solo le due citate. Calvino che ho apprezzato per una bella introduzione allo “ Orlando furioso ” di Ludovico Ariosto, in un’ottica da scrittore e non da critico, per Einaudi. Pasolini che considero grande regista e architetto e urbanista, dall’occhio acuto, ma in tutta onestà non grande poeta né critico letterario.
Cito da Pasolini “ ... e crediamo del resto che non ci sia riconoscimento migliore per lui che il saperlo leggere dentro questo quadro che abbiamo schematizzato: dove si senta tutto il buon sapore del suo lavoro compiuto ai margini, quasi, con commovente umiltà, ai piedi della nostra Letteratura... verso tecniche un po’ abnormi... e se pure la vita spirituale di Caproni è un poco ingombrata dalla sua forza illogica...”. 
Che squallida supponenza professorale! E meno male che erano amici...
Cito Calvino “ ... tanto questo poeta sembra avere tutti i rari requisiti della popolarità... bravura di versificatore, affabilità comunicativa e un particolare suspence tra lirica e racconto, mi sembrano siano appetibili da un gran numero di lettori. ”.
Conclude dicendo che Caproni ha successo perché è modesto e schivo ed è strano che essendo così popolare abbia avuto successo tardi.
Entrambi si sforzano di spiegare la scelta di Caproni di confrontarsi con la metrica tradizionale come trasformazione della stessa in acrobatici passaggi fra narrazione campestre e paesana e realtà cittadina ovvero uso, a loro dire, strumentale della tradizione considerata popolare, ma in un’ottica di superamento modernista. E altre pippe del genere.
Io capisco e comprendo la gergalità d’appartenenza, per averla io stesso sperimentata nei miei anni accademici.
Mi ricordo, alla presentazione fatta dall’allora preside della Facoltà di Architettura di Milano, professor Lamberto Secchi, che egli ci avvertì del fatto che avremmo sentito uno strano linguaggio tribale nelle nostre prime esperienze in università e di non preoccuparci perché di lì a poco avremmo cominciato anche noi a parlare la koinè architettonica e ci saremmo sentiti a nostro agio. Con la soddisfazione di escludere i profani che bussavano al tempio della luce.
Le cose non andarono proprio così, mi ricordo, poiché attraverso l’attico e il bizantinismo approdammo, io e i miei compagni di studio, a una sorta di francescanesimo linguistico per il quale ogni progetto o proposta compositiva si riduceva, dopo anni di bollitura alchemica, ai due aggettivi “ bello ” e “ brutto ” che contenevano in un linguaggio via che tribale, francamente di branco, tutte le categorie estetiche sottese.
Non state capendo niente? Ovvio: non siete del branco.
Dunque capisco i letterati di formazione e professione, ma io non appartengo al loro branco.
Per esempio se trovo congrua l’analisi delle tematiche ricorrenti in un poeta come argomento di analisi non comprendo, anzi, se devo dirla tutta, mi sembra fallace la lettura di un poeta considerando al sua produzione come un continuum volontario. In specie in un poeta come Caproni che ha avuto la fortuna di scrivere per quasi una sessantina d’anni.
Uno mi potrebbe dire: ma qualcosa dovranno pur scriverlo. Infatti non contesto, sapete come la penso: con tutto quello che succede, litigare sulla poesia è la cosa più stupida che si possa fare.
Però con Caproni o un altro, ancora vivi o caldi, collocarli subito in una casella del divenire storico della letteratura è o deformazione per addetti ai lavori oppure vezzo gergale.
Non  mi appartiene né l’una né l’altra cosa. Ma nessuno si adonti: io sono, dal rispetto letterario, un ignorante: ho un’altra testa. Sono ignorante, che sa di esserlo e sa anche di non essere stupido, e non solo in letteratura per la verità ma con l’autodenigrazione può bastare così, per il momento.
Io ho un’intelligenza di tipo rapido e intuitivo, posso fare sforzi sistemici, perché non sono, fino al momento, rincoglionito, ma rendo meno di quando mi abbandono alla sottile arte dell’ispirazione. Poi, dato che non prendo una lira, non mi sembra il caso di fare sforzi inutili rispetto a quelli che già la mia intuizione mi fa fare: intuizione non è incoscienza.
Allora i temi della poesia sono importanti anche se non sono ricorrenti o invarianti, ma appartengono a un momento della vita dell’autore. Per esempio, rimanendo a Caproni, i suoi versi “ anticaproniani ” (così da lui definiti) sono una normale rilettura delle sue tematiche, con un po’ di sana ironia sul fatto che non si può essere innovativi dai trenta agli ottant’anni e che capita, a noi umani, di riflettere su ciò che abbiamo fatto.
A me, per esempio piace, senza voler fare nessun paragone, sia il momento in cui scrivo sia quando mi rileggo, correggo, aggiungo, tolgo, vedo l’effetto che fa. Mi interressa l’esperienza del fare, mi nutro e mi diverto.
A volte dico “ bello! Ma questo l’ho scritto io? ” a volte “ be’, questo non è granché ” ma lo lascio perché odio la perfezione, ma per un solo motivo: l’imperfezione ridà il senso dell’esperienza e questo è quello che posso chiedere alla mia scrittura.
Tornando ai nostri critici, dunque per loro c’è una Poesia da intenditori, alla quale occorre accostarsi dopo aver avuto il pane spezzato della corretta interpretazione e una poesia che è fatta di buone intenzioni, buon carattere, pochi grilli per la testa ed è accessibile a una larga fetta di lettori che, poverini, arrivano dove possono.
Io faccio parte di questi lettori che fanno ciò che possono e non ritengono utile studiare un poeta (?) come Sanguineti che alla domanda: “ La gente non capisce la sua poesia ” rispose “ Che studino prima! ”. Be’ io non ho un cazzo di urgente da fare, ma mi rifiuto di perdere tempo a studiare uno che mette insieme frasi senza senso.
Pasolini ammoniva d’essere originali. E bè’ certo, se dico che quelle cose le so fare solo io ed è colpa vostra se non capite, sarò per forza originale. E se uso le parole per formare proposizioni di senso compiuto avrò uno spettro di combinazioni molto più basso che se uso le parole esistenti per comporre frasi senza senso: è una questione matematica. Poi dirò che il senso c’è ma lo so solo io.
Peccato però che tutti i grandi poeti, dagli albori dei tempi, abbiano fatto grande poesia dicendo cose di senso compiuto, con un tono che i due critici di cui sopra definivano ‘prosastico ’ o sia raccontavano delle cose o descrivevano luoghi e immagini.
Io leggendo questa poesia del ‘ qualcosina in più che pop ’ Giorgio Caproni, con la sua poesia da ‘ umile servo nella vigna della Letteratura ’ (con la L maiuscola!), ho fatto delle, per me, importanti considerazioni su alcune ipotesi che formulai nello scrivere la “Teogonia Vedica ”. Certo Caproni non le ha scritte per me e giustamente non gliene sarebbe fregato nulla delle mie elucubrazioni, ma a me invece la sua poesia è servita, è diventata attiva nella mia mente. Credo invece che di questo sarebbe stato felice.

Pierineria

Il Nulla, dicono,
è il “ non essere ”.
                               E allora,
come può, allora,
“ essere ” il “ non essere ”? 

È tratta da “ Res amissa ” del 1991 (postumo), nella sezione ‘ per sezis ’. Il testo da cui è tolta è: Giorgio Caproni “ Tutte le poesie ”, collana Gli Elefanti, Garzanti editore, 2013 (1a edizione 1999).

Un’ ultima cosa: e lasciatemi un commento! Rispondo a tutti, a meno che non siano insulti. Vi assicuro che non sono infettivo e non mordo e mi incazzo solo con quelli famosi che se la tirano.

                                         Giorgio Caproni


(Non ho potuto appurare se questa foto è protetta da copyright, se sì fatemelo sapere e o la tolgo o mi date il permesso di lasciarla e aggiungo il nome dell'autore e dei depositari dei diritti).