CLEIDE



È un dramma teatrale che ho tratto dalla “ Medea ” di Euripide.
Si raccontava che il tragediografo scrivesse le sue opere in una grotta nell’isola di Salamina, di fronte ad Atene, sua località di nascita.
Ho immaginato che nell’isola vivesse una figlia ignota, Cleide, lo stesso nome della figlia di Saffo, che Euripide avrebbe avuto all’oscuro di tutti. Fra padre e figlia esiste una complicità segreta per la quale prima di mettere in scena le sue tragedie Euripide va nella sua mitica grotta e prova con la figlia. È noto che nel teatro greco recitavano solo uomini, anche le parti femminili, ma è noto altresì che Euripide ha una speciale attenzione per l’animo femminile. Da qui l’idea che la prova della bontà delle sue scritture avvenisse facendo recitare una vera donna, la figlia, che peraltro non avrebbe nessun altra possibilità di recitare e soddisfare così la sua passione per il teatro.
Il testo è una rilettura di Medea secondo un’ipotesi interpretativa che si discosta dalle solite, ma che trova riscontro nell’interpretazione più antica del miti di Giasone e gli Argonauti e Medea. È un’ipotesi misterica.
Ho cercato di rendere, nelle parti mie, il ritmo dei versi esametri con versi di diciassette lettere piani o tronchi e, quando possibile, far concludere il verso con una parola sdrucciola (a imitare il trocheo) e finire con una piana di due sillabe.
Ho poi montato i versi tratti da Medea, senza stravolgerli, in modo che fossero funzionali alla mia interpretazione. Ho qui cercato di rendere il trimetro giambico, che è il verso più comune nelle tragedie classiche, con versi di dodici sillabe sdruccioli o tronchi.
Ho usato dei versi sciolti, anche per rispettare la regola classica di non far rimare i versi, dovendo inserire dei versi originari da Medea appunto che non sono in rima.
Sono frequenti le notazioni su come recitare i versi in modo che emerga il senso misterico che propongo.
Il dramma è in tre atti e riprende lo schema (che appare tra parentesi sotto il numero della scena) della tragedia: prologo, parodo, episodio, stasimo, episodio, stasimo ecc… e infine esodo.

Propongo la lunga scena terza del II atto che mi pare riassuntiva della struttura narrativa del dramma. Va solo aggiunto che i versi fra “…” sono miei, quelli fra ‹‹…›› sono il montaggio di quelli della Medea di Euripide.


Scena terza
(Primo Episodio)

(Euripide e Cleide)

(Euripide prende posto al suo tavolo, Cleide gli sta di fronte, in piedi)

Cleide:
“ Due sono le frasi che prime dicono della tragedia:
‘ Medea detesta i suoi figli… ’ ci avverte la nutrice.
E Medea dice: ‘ Ah maledetti figli d’una madre odiosa,
morite con il padre e tutta la casa vada in rovina! ’.
Medea detesta i figli? E come può una madre, come,
odiare i suoi bambini? Così si chiede scossa la gente.
Ma lei, Medea, sa una cosa che gli altri non considerano:
essi sono i figli che ha avuto da Giàsone, da lui,
e egli è quell’eroe che lei stessa creò un tempo, per amore ”.

Euripide:
“ É un buon inizio, Cleide, sei sulla via corretta… ”.

Cleide:
“ Quando lui andò nella Colchide, viaggiando per mare,
verso quell’oscuro paese dove sempre sorge il Sole,
lei, che non è semplice donna così come si crede,
lei che è Dea, scelse e creò lui, Giàsone, come eroe.
Lo aiutò a entrare e uscire dal mondo dell’aldilà,
poiché lei può comandare nel regno impervio e oscuro
che sta fuori dalla sfera umana e prima dell’Ade ”.

Euripide:
“ E riguardo ai suoi poteri, quelli per cui è tanto nota,
decantata e detestata, cosa pensi di saperne? ”.

Cleide:
“ Il suo potere in specie è quello di far ringiovanire,
come fa il Sole passando ogni notte sulla coppa d’oro,
come Giàsone ha potuto, con la nave Argo navigando,
guidato dal vero amore, onda dopo onda, di Medea.

Euripide:
“ Il tuo dire mi conforta, figlia mia. Ma mi sono chiesto:
quali sono le conseguenze di questo suo privilegio? ”

Cleide:
“ Vedi, caro padre, si continua a ripetere che Medea
segue Giàsone solo per amore, ed è questo anche vero,
però è ancora più vero che Medea ha una missione
che deve compiersi: raggiungere l’Ellade navigando
e qui edificare i sacri misteri di immortalità.
E sceglie Giàsone, fra tutti gli uomini che veleggiando
furono in Colchide, per inverare la sua speranza.
Tutti i suoi atti son stati per questo solo scopo ”.

Euripide:
“ Quello che dici è vero: hai colto ciò che intendevo ”.

Cleide:
“ So che Corinto, di fra tutte, è la città ideale.
Là il Sole è il Dio tenuto in massimo grado,
e infatti già esistono i misteri sacri di Medea.
Sette bimbi e sette bimbe vivono, per un anno solo,
nel santuario di Era Acreia, su Acrocorinto.
A loro sono dedicati elogi e funebri riti.
Al termine d’un anno essi sono gli oblati alla Dea
e conquistano la vita eterna quando ancora son vivi.
Là si dice che fu proprio Medea a istituire
i misteri d’eterno ritorno dalla morte alla vita ”.

Euripide (celiando):
“ E tu, piccolina, queste cose come fai a saperle? ”.

Cleide (sullo stesso tono):
“ Ho preso una barca e ho fatto un giro… _ ”.

Euripide (c.s.):
“ - Conto che tu abbia
seguito i saggi consigli di Esiodo sul tempo adatto
alla navigazione del mare e… _ ”.

Cleide (c.s.):
“ _ Sì padre, certo,
e quelli allo stesso modo ponderati di Omero
rispetto all’indole dei marinai! _ ”.


Euripide (c.s.):
“ _ Oh, spero proprio di no! ”.

Cleide:
“ Padre, continuo e tu dimmi se dico il giusto o il falso.
Medea esclama ‘ Ah se potessi dissolvere nella morte
la mia esistenza odiosa e lasciarmela qui! ’.
Giàsone che l’abbandona: in quell’azione sta tutto
il fallimento della loro stessa missione divina.
Lui agisce per il potere e la ricchezza: per il futuro…
È qui, ma di che portata, l’offesa che Medea patisce:
in lui, vede anche la sua sconfitta, l’inutilità
della sua vita e la scelta fatta in Colchide, laggiù.
Altro che la furiosa gelosia di una  moglie tradita!
È questa la lezione che hai voluto dare al dramma ”.

Euripide (con entusiasmo):
“ È vero! E come è vero che tu sei la mia musa terrena.
Per te scrivo e il tuo giudizio anche oggi qui mi consola ”.

Cleide:
“ Le tue parole, padre, mi lusingano, pure mi sento
di farti una critica… _ ”.

Euripide:
“ _ Ti prego, continua cara… ”.

Cleide:
“ Alla fine della parodo non va tanto bene, vedi,
subito dopo, per la prima volta, in scena entra Medea.
Dice cose banali, di buon senso, di circostanza.
È normale ma se la parodo e il primo episodio
non sono legati non può funzionare il suo ingresso.
Medea è una leonessa, lo afferma anche la nutrice:
‘ …ha per i servi lo stesso sguardo di una leonessa
appena fresca di parto… ’e anche nel prologo rivela:
‘ …la sua indole non sopporta d’essere offesa… ’, dice ”.

Euripide:
“ Cosa dovrei aggiungere dunque? spiegati, Cleide ”.

Cleide:
“ Sempre la vecchia indica: ‘ …il suo selvaggio carattere
e la natura del suo animo che non conosce pietà… ’.
Ma di che pietà si parla? Non certo di devozione
o di sentimenti, perché di ciò ne è traboccante,
ma di quella morale della società delle convenienze.

Euripide:
“ E pertanto è così osteggiata e vista con sospetto! ”.

Cleide:
“ Lei ci ricorda chi siamo stati un tempo noi Greci,
prima che ci costruissimo quella meravigliosa
architettura della razionalità che ora abbiamo.
Non è una barbara straniera, delirante e selvaggia,
pur se così pensa la gente delle sue tristi azioni,
e ci tramanda da sempre una tradizione maligna.
È una donna che rifiuta il ruolo di moglie sottomessa,
in cui la relega Giàsone con la sua scelta insana.
Allora agisce all’opposto di ciò che la conformità
vorrebbe per le donne, e che appunto le ricorda il coro.
Ella è responsabile dei suoi atti e delle conseguenze
e ha una visione più vasta del proprio destino: lo accetta,
ma non rinuncia ad avervi un ruolo, anche se disperato.

Euripide (incalzandola):
“ Ma i figli, innocenti e innocui per definizione,
che c’entrano, perché sono così crudelmente coinvolti? ”.

Cleide:
“ Così ella ammette il fallimento di Giàsone come il suo,
di cui i figli sono la prova manifesta e vivente:
essi non diverranno immortali iniziati ai suoi misteri,
e mai più sarà esaudito lo scopo per cui sono nati
e per cui lei e Giàsone sono venuti a Corinto ”.

Euripide (sollevato):
“ Certo che è così, dolce creatura! Ma la critica qual è? ”.

Cleide:
“ Vedi, il Coro non la capisce e le dice cose banali.
Lei fa, per forza di cose, scontati discorsi da donna,
ma la sua furia di Dea arcana, deve adesso uscire,
e non può mai essere dimenticata o sottintesa.
Così come l’hai messo giù sembra invece di vedere
che chiamano ‘ la sora Lella che sorte fuori da casa… ’.
Allora, c’è bisogno di un verso più forte e intenso
che dia tutta la forza di donna fatale che Medea è ”.


Euripide:
“ Mmh… è vero, così è annullato il prologo tutto quanto…
Fammi pensare… potrei… (aggiunge sui fogli). Senti un po’ se così ti va meglio:

« …e nell’ingiustizia invoca Temi,
protettrice dei giuramenti per Zeus,
che la portò nella lontana Ellade,
proprio di fronte alla sua patria,
sulle onde notturne, verso il valico
che lì si apre sulla vastità salsa
delle acque del mare senza limiti »

Cleide:
“ E qui entra Medea in tutta la sua regalità
e questi nuovi versi richiamano l’origine cupa,
quale barbara e misteriosa donna: così funziona ”.

Euripide:
“ Ora passiamo alle sue prime parole dette al coro ”.

(Cleide si porta nel cono di luce)

Cleide:
“ Gli argomenti che svolge verso le donne di Corinto
sono consueti, ma condivisibili. Quando lei dice:

« …prima dobbiamo con un’enorme dote
comperarci un marito e insieme un despota
del nostro corpo. E qui è il peggio…
E se anche poi, con tutto il nostro sforzo,
ci va bene, e lo sposo convive con noi
senza portare il giogo per obbligo… »

E qui aggiungerebbe con dell’ironia leggera

« …oh, allora è una vita invidiabile! »

Poi la vedo incupirsi a richiamare un destino

« se no bisogna farla finita, è meglio… ».

Dice con un tono ambiguo a nascondere se la morte
di cui parla sia la propria o quella del marito.
Alla fine riassume così la sua situazione:

« Io qui sono sola, senza patria,
tolta come preda da terra barbara,
e subisco gli oltraggi del coniuge ».

Comprende d’essere al crollo di tutto il suo destino:
ha lasciato la casa del padre per la sua missione,
in tutto fidando in Giàsone, nell’amore che ha per lei.
Ma il coro intende sia per i torti subiti di moglie.
Lei segue Giàsone fuggendo la prossimità all’Ade,
vicino cui vive, per trovare altrove una terra nuova
dove vincere il fato della soluzione nella morte
e eternare la vita, se non l’immortalità degli Dei,
come una nuova sorta d’essere dell’anima pura,
luogo di coscienza nel quale si rinnova la vita,
come il ciclo del Sole che perenne muore e rinasce.

(guardando il padre pensierosa) Ora non mi ricordo più dove ho letto simili versi:

« Tutto ciò che esiste va alla quiete,
ma le Acque non smettono mai di fluire
e il Sole si scorda di sorgere »·.

(Euripide si alza e si mette dietro al braciere in modo che sulla parete della grotta si stagli un’ombra gigantesca che è Creonte)

Euripide:
“ Entra Créonte e dice chiaramente perché scaccia la Maga:
« Ho paura di te!… tu sei abile
ed esperta in tante arti malefiche,
e soffri senza il tuo uomo e il talamo.
E poi sento dire che minacciando vai
qualche impresa contro di me, mi dicono,
mia figlia e il marito nuovo che le ho dato… » ”.

Cleide:
“ Medea ammette che il suo scopo non è mai stato compreso,
o forse lo ha dissimulato troppo bene e riconosce:

« Non oggi per la prima volta, ma spesso,
la mia fama di maga mi fa del male…
Dato che sono, poiché così si dice,
sapiente nella mia arte, e abile,
ad alcuni riesco insopportabile,
per altri ancora sono un’apatica,
ai restanti di contraria indole… ».

Ora la vedo alzare su Créonte gli occhi inquieti

« …ed altri per nemica mi tengono… ».

China il viso e si commuove, cedendo alla disperazione

« Eppure qui non sono poi tanto brava… ».

Intende: qui in Grecia, fuori dalla mia barbara terra,
dal luogo in cui il Sole si rigenera perpetuamente ”.














·  Rig Veda, X mandala, inno 37, verso 2.