domenica 18 novembre 2018

Da Lancillotto a Orlando

È da un po' che mi frulla in testa l'idea di questo post.
Ho spesso parlato dei poemi cavallereschi che sono fra le mie letture preferite. Fra quelli che conosco, la mia personale classifica di preferenza è questa: “La chanson de Roland” di Turoldo, “L'Orlando innamorato” di Matteo Maria Boiardo e i poemi di Chretien de Troyes su tutti, poi “L'Orlando Furioso” di Ludovico Ariosto, “La Gerusalemme liberata” di Torquato Tasso e il romanzo “Storia di Re Artù e dei suoi cavalieri” di Thomas Malory. Infine il “Morgante” di Luigi Pulci.
Quello su cui vorrei dire qualcosa è l'incredibile successo che questo genere e in particolare queste opere hanno avuto nel corso della storia della letteratura e del teatro. Dalla “Chanson de Roland” del 1080 circa, passando per Chretien nel XII secolo, poi per Boiardo, Ariosto e Pulci nel XV secolo, a Tasso nel XVI secolo, fino a Malory nel XVII secolo, abbiamo seicento anni di composizione, ma il successo di queste opere, successo letterario, di pubblico, il mutuo condizionamento, li fa assurgere a modelli tematici fino a tutto il XVIII secolo.
Perché accade questo? Perché questi temi sono così importanti da impegnare gli autori e gli uditori per secoli?
Questi poemi narrano le storie di due gruppi distinti di cavalieri. Formano il cosiddetto ciclo arturiano, o sia i cavalieri di re Artù, e il ciclo carolingio, cioè le avventure dei paladini di Carlo Magno.
Malory mette una data: “...454 anni esatti dopo la passione di nostro signore Gesù Cristo questo seggio sarà occupato” e Lancillotto esclama: 'Nel nome di Dio, credo che il seggio sarà occupato proprio oggi, il giorno della Pentecoste del 454° anno!'...” il che porterebbe molto indietro le storie del ciclo arturiano, subito dopo la fine dell'Impero Romano del 474 d.c. (454+33=487). La cosa sembra essere vicina alla realtà: se mai un re Artù è esistito, ha retto le sorti dell'Inghilterra dopo la ritirata dei contingenti romani dall'isola.
In questo caso ci dovremmo immaginare i guerrieri di re Artù molto diversi dai cavalieri medievali che sono descritti nei poemi di Chretien e nel romanzo di Malory.
Ma il poema più antico, almeno ch'io sappia, riguarda l'altro gruppo di cavalieri, quelli di Carlo Magno, ed è la “Chanson de Roland” del 1080 circa di cui ho ampiamente parlato nel post omonimo.
Questi cavalieri invece sono storicamente esistiti, almeno alcuni di essi: i cavalieri palatini (da palatium, da cui deriva il termine paladino). Essi erano i comandanti di Carlo e il suo consiglio supremo. Infatti si dice: il conte Orlando, da comites “inviato imperiale”. Rutulandus o Hruodlandus, Roland-Orlando insomma, era prefetto della Bretagna, per esempio. Morì davvero a Roncisvalle in un'imboscata, di Guasconi e non di Saraceni, a Ferragosto del 778, a 42 anni, comandando la retroguardia.
La morte di Orlando
Dal rispetto storico è estremamente interessante notare l'attenzione in Boiardo e Pulci, che poi collocano gran parte dell'azione in Spagna, nell'assegnare i due feudi di Orlando e Rinaldo, cugini, Chiaramonte e Montalbano (Clermont e Montauban) in Occitania, regione che ha la sua parte meridionale a ridosso dei Pirenei, storico confine fra il regno franco e i califfati saraceni di Spagna.
I cavalieri del ciclo arturiano sono invece, sembra, del tutto inventati, a cominciare, come detto, da king Arthur Pendragon. Non c'è luogo dell'Inghilterra meridionale che non ne abbia, pare, la presunta tomba o una spada incastrata in una roccia.
Fra l'altro, non ostante come su questo re e sui suoi cavalieri la fantasia interpretativa sia stata molto fertile, anche a livello popolare, oggi purtroppo nelle elaborazioni cinematografiche i fatti più importanti della vita di re Artù sono stati ridotti solo alla famosa spada nella roccia e alla spada Excalibur. Intanto, Excalibur non è la spada nella roccia, poi i due episodi sono appena accennati in Chretien e in Malory. Addirittura Excalibur fa il suo ingresso magico ma, nella battaglia appena successiva Artù combatte con un'altra spada e di Excalibur non si dice quasi più nulla.
Chretien de Troyes scrive nella metà del XII secolo e compone diversi poemi. I suoi personaggi sono Tristano e Isotta, Erec e Enide, Galvano, Artù e Ginevra e Lancillotto, Perceval, Ivano e moltissimi altri della corte.
Artù, Ginevra e Lancillotto
Tutto si svolge nella Gran Bretagna: Inghilterra meridionale, Cornovaglia, Galles, con escursioni in Irlanda e in Francia. Mentre il re Arthur 'vero' combatté contro i Sassoni e nelle lotte che si vennero a creare dopo l'Impero Romano, nei poemi di Chretien prevale l'attualizzazione della storia della Gran Bretagna colonizzata dai duchi di Bretagna, cioè Francesi. Infatti anche i nomi lasciano perplessi, non si sa come pronunciarli, richiamano a una lingua che sembra un misto di francese e inglese.
Ora non ho ovviamente lo spazio di raccontare tutte le vicende, del resto non è difficile conoscerle cercando in rete o meglio, leggendo i poemi, però molte delle avventure, dei personaggi, delle situazioni sono riprese nel ciclo carolingio.
Molte delle situazioni sono della tradizione celtica. Per esempio la spada nella roccia, che ripeto è solo un piccolo episodio iniziale, sembra la ripresa della profezia celtica fondamentale in cui una pietra posta nel centro dell'Irlanda avrebbe urlato quando su di essa si fosse seduto il futuro re dell'isola. Ma anche quando Orlando libera la fanciulla destinata a essere vittima dell'orca, ebbene questo è un mito celtico ripreso e giunto fino a Ariosto.
Per il lettore italiano i paladini sono senz'altro più familiari e ne ho già parlato nel post sulla “Chanson de Roland”, escludendo Rinaldo che sembra essere personaggio di invenzione ma che ebbe un grandissimo successo. Nelle corti italiane viaggiavano lettere fra i nobili dell'epoca per stabilire chi fosse il migliore: se Orlando o Rinaldo e ognuno aveva i suoi tifosi.
Proprio la differenza di carattere fra i due cugini, uniti e separati da un lungo amore-odio, si può introdurre l'asserzione di questo post.
Vale solo la pena, tanto sto dimenticando solo qualche migliaio di cose, di notare che in genere nei poemi più antichi c'è un maggiore realismo. Per meglio dire nel ciclo arturiano c'è più realismo perché la Chanson è di fatto una cronaca epica. Sembra che nei guerrieri di Artù il solo fatto d'essere cavalieri basti per la narrazione e solo in certi casi si ricorra a espedienti magici, che pure ci sono (anche se il famoso mago Merlino esce di scena molto presto).
Allora, veniamo alle differenze fra Orlando e Rinaldo. Chi è il più forte? In Boiardo, nel suo “Inamoramento de Orlando” che è il titolo originale del 1483 e successive pubblicazioni, passano il poema a rivaleggiare, aiutandosi solo quando è il caso. Certo il Rinaldo di Boiardo è di grande simpatia e l'autore non sembra molto preoccupato di celarlo.
Orlando è l'eroe solo, triste, deluso in amore, molto pio, preoccupato di essere sempre all'altezza della sua fama e della sua responsabilità di conte palatino. Grande cavaliere, forte come nessun altro ma sfortunato. Non bello, per via del naso, e strabico da un occhio per giunta.
Rinaldo è alto, bello, gran cavaliere ma allegro, mangiatore e bevitore e sempre a caccia di gonnelle. Anch'egli, va da sé, cadrà vittima dell'amore, ma si capisce subito che se ne farà una ragione molto presto.
Entrambi sono, per vero, sposati, ma della moglie di Rinaldo non mi ricordo se si dica almeno il nome, Orlando è sposo fedele della sua Alda la Bella, ma la magia lo farà cadere comunque nei lacci d'Amore. Per altro la tradizione (secondo il detto che la Fortuna è cieca ma la Sfiga ci vede benissimo) vuole che Alda muoia sul colpo alla notizia della morte di Orlando. Ma questo succederà dopo tutte le avventure che scrittori e poeti vorranno (ancora) scrivere sui paladini: tanto è già successo nella Chanson: il primo poema che racconta la fine.
Lo stesso si potrebbe dire delle personalità dei cavalieri d'Artù che sono un filo più standardizzati nei comportamenti, ma anche fra loro le indoli e le caratteristiche di personalità differenti ci sono e anche come guerrieri sono diversi.
Questi cavalieri stanno, in partenza, fra la Francia e l'Inghilterra o la Francia e la Spagna, poi viaggiano in Italia, Artù diventa addirittura Imperatore dei Romani (non di Roma) e Orlando e Rinaldo hanno avventure sull'Aspromonte in altri poemi, in Europa poi nei paesi saraceni, in Oriente, in Africa e persino nel Catai, che non è la Cina, ma l'Afghanistan o qualche 'stan' da quelle parti. Quindi Angelica è una bellissima iranica, se vogliamo immaginarcela, e non cinese, infatti è bionda e non è stranissimo che una afghana o tagika o uzbeka o persiana lo sia, anche perché i Mongoli non erano ancora arrivati e dunque gli occhi a mandorla ce li avevano solo i Turchi (di allora non di oggi). Hanno innumeri avventure in ciascuno di questi paesi, che mescolano il gusto dell'episodio a quello dell'esotico.
Ma ognuno di loro rappresenta un tipo di cavaliere e un tipo umano ed è legato a certe avventure, a certi nemici e a certe situazioni magiche e fantastiche.
Un caso invece di ritorno al realismo è la “Gerusalemme Liberata” di Torquato Tasso del 1575 dove si narra della riconquista alla cristianità di Gerusalemme da parte dei Normanni guidati da Goffredo di Buglione durante la prima crociata finita nel 1099.
Insomma, per non farla tanto lunga, credo che il successo di questi personaggi stia in una necessità psicologica profonda degli uomini del Medioevo e poi del Rinascimento, visto che i grandi poemi appartengono a questo periodo. Questa esigenza è la costruzione di una mitologia fondativa propria che in parte spieghi il sistema vigente di quei tempi (il pippone di Ariosto sulla dinastia degli Estensi che discenderebbero da Ettore ne è la forma esacerbata) e in parte abbia la funzione di paradigma di valori etici e sia modello di vita.
Il Cristianesimo aveva relegato la mitologia classica, quando non l'aveva proibita o fatta sparire (ma non ci riuscì mai del tutto e non ci riesce nemmeno oggi la scienza... e un motivo ci sarà...), a mite riferimento letterario, anche molto elitario ed esclusivo. Il mito diventa mite.
Era nata sì una mitologia ufficiale cristiana che avrebbe dovuto prendere il posto di quella classica ma, vivaddio!, tutta fatta di santi e eremiti sempre intenti a punirsi con penitenze se non addirittura, e preferibilmente, con il martirio! Martiri oltretutto passivi, per far passare la visione di un paganesimo crudele e violento: ecce agnus Dei... Modelli di fede e di mortificazione a volte solo in parte mitigati dall'ingresso nella mitografia ufficiale di alcune storie popolari. Casi, eccezionali anche, di abbandono estatico a Dio, di miracoli o di lunghe cogitazioni sapienti. Insomma : due palle...
La vita era un'altra e si sentiva il bisogno di immaginarsi a combattere, cavalcare, innamorarsi, morire a fianco degli eroi, com'è giusto, come era sempre stato giusto.
Mi verrebbe di parlare dell'iconografia del Cristo nelle prime epoche del Cristianesimo, ma diventerebbe un altro post. Io sono uno dei pochi che ha letto e studiato, cioè come intendo io: mangiato, digerito e cagato, la Bibbia, il Nuovo Testamento e il Corano, anche se non sono credente in nessuna di queste tre religioni. E vi consiglio di leggerli così come sono senza introduzioni e note pastorali, come ogni libro del resto: la prefazione semmai va letta dopo. Probabilmente perderete la fede ma scoprirete dei libri storici di grande interesse, perché secondo il senso delle parole, così come sono scritte, sono anche libri di una certa onestà intellettuale, nei limiti, come si dice degli spumanti. Con le note teologiche e pastorali crolla tutto il catafalco delle religioni di fede e del monoteismo, che non possono stare in piedi logicamente, e diventa tutto un cumulo di menzogne e rovine.
Torniamo ai nostri cavalieri, ai nostri eroi medievali e moderni.
Miguel de Cervantes ha scritto il suo grande “ Don Chisciotte ” per prendere in giro l'esagerata produzione di testi cavallereschi della sua epoca, ma se guardate bene critica lo scarso valore letterario di questi poemi, non tanto il contenuto simbolico della cavalleria. Un po' come se don Chisciotte fosse così tristo per la pochezza letteraria dei suoi amati testi. Infatti salva, fra i tanti libri di don Chisciotte, lo “Orlando Furioso”.
Il mio caro Casanova ne salva due: “Don Chisciotte” (questo fra tutti i romanzi in assoluto: era sempre esagerato...) e l'Orlando di Ariosto. Fra l'altro, Casanova, esponente quasi proverbiale del '700, conosceva a memoria “Orlando Furioso” che leggeva ogni anno.
Non posso finire questo post che vorrebbe avere, come tutti gli altri, un contenuto aperitivo più che conclusivo, senza parlare della enorme produzione lirica musicale su questo tema.
L'immenso Claudio Monteverdi ha musicato “ Il combattimento di Tancredi e Clorinda” della “Gerusalemme Liberata”. Ne ho già parlato: su You Tube c'è un recital di Anna Caterina Antonacci su questo brano e sul “Lamento di Arianna” messo in scena a Amsterdam, non perdetevelo.
Ah, a proposito: ho messo su You Tube i miei videini, fatte con le mie manine d'oro e sante, per chi volesse dare un'occhiata senza leggere i post. Come si dice: fate girare!
Il grande Lully compose un Orlando e un'Armida e un balletto su Alcina.
L'immenso Antonio Vivaldi fece due Orlando e un paio d'Armide.
L'immenso Georg Friedrich Haendel scrisse in musica un Orlando, un Rinaldo, un'Alcina, un Amadigi di Gaula.
Insomma questi nuovi eroi della mitologia hanno costituito uno dei temi privilegiati della letteratura e del teatro per secoli per colmare un vuoto identitario e un riferimento, a un certo punto anche nostalgico, a un mondo ideale.
Nel XIX secolo prevale l'aspetto del realismo storico e il XX secolo sembra poter fare a meno di una mitologia se non quella fra il comico e il tragico delle dittature o D'Annunzio o quella dell'Uomo di Marmo ecc... dei film di Andrzej Wajda sugli stakanovisti. O roba di questo genere che in fondo sono la negazione dell'eroismo quanto lo sono dell'esaltazione del realismo esasperato.
Però oggidì è tutto un fiorire di fiction cine-televisive, film su un medioevo molto variegato e fantasy come ogni cosa si fa attualmente e che ha successo. Un miscuglio a uso e consumo delle nuove tecniche digitali e dei giovini d'oggi che s'accontentano davvero di poco. È sconfortante come la gente si faccia imbonire dalla banalità senza opporre resistenza. Sarà l'ossitocina nei vaccini...
Forse il problema è sempre quello di don Chisciotte.
R.P.

Posteris memoria mea

p.s. dimenticavo: mi raccomando, non preoccupatevi del rinfocolarsi della tubercolosi, causata dallo smodato spostamento di carne umana nell'infame traffico di schiavi, o di altre malattie scomparse da noi dal primo dopoguerra (mia zia Antonietta morì di TBC a 28 anni dopo il conflitto come tanti giovani minati dalle privazioni belliche), nooo: preoccupatevi del morbillo...
Morbillo!