domenica 3 luglio 2016

Leggere un'opera d'arte: la Farnesina e Palazzo Marino



Lascio a mia memoria un utile esempio di come si analizza un’opera architettonica a chi fosse interessato all’argomento. Farò delle analogie riportando le considerazioni in ambito letterario sia per la prosa sia per la poesia.
L’opera che guarderò con occhio compositivo è un capolavoro dell’architettura di ogni tempo: la Villa Farnesina a Roma, del 1512, di Baldassarre Peruzzi.
Baldassarre Peruzzi nacque a Ancaiano (Siena) il 7 di marzo del 1481 e morì a Roma il 6 di gennaio del 1536, costruì la Farnesina fra i venticinque e i trentun’anni.
Di seguito proporrò un edificio della stessa tipologia e sostanzialmente coevo: il Palazzo Marino a Milano, del 1563, di Galeazzo Alessi in cui compaiono alcune particolarità anche queste degne di attenzione.
Galeazzo Alessi nacque a Perugia nel 1512 e morì nella sua città il 30 di dicembre 1572.

Cominciamo con la Farnesina.
È un edificio noto ai più perché ospita affreschi di Raffaello Sanzio, ma è di estremo interesse architettonico per le innovazioni compositive e per la straordinaria eleganza.
Ricordo che Sanzio non è il cognome di Raffaello ma la latinizzazione (Sanctius, forma singolare) del nome di famiglia che era de Santi. Erano tutti pittori.


 Il primo e fondamentale consiglio per partire col piede giusto nell’analisi dell’opera è di stabilire se l’edificio ha un volume certo. In ogni caso analizza (:o tu lettore/trice interessato/a all’argomento) sempre prima i volumi. Se non vi è un volume certo scomponi in volumi parziali.
Questo vale per l’architettura, l’arredo, ma anche per la scultura e la pittura e, se mi segui, anche per la letteratura, della quale costituisce l’architettura interna. Come sceneggiatura vale anche per teatro e cinema. Naturalmente in architettura e in scultura si tratterà di volumi veri e propri, in pittura di volumi rappresentati o ‘volumi di colore’   (Mondrian a esempio evidentissimo) ossia pesi compositivi su due dimensioni. Per la letteratura  immagina che un volume possa essere il numero di volumi (appunto) nei quali è ideata l’opera o i capitoli, i paragrafi, o ancora le strofe o le stanze, le sirme, l’uso di caudati ecc. in poesia.
Guardando la foto, ometti mentalmente la piccola torretta che non era prevista nel progetto originale.
Questo edificio è portatore di una nuova tipologia che consiste in un volume centrale affiancato ai due lati opposti da ali che escono dal filo del corpo di fabbrica centrale. Attenzione: escono di due moduli sui cinque di lato del corpo centrale dunque troppo poco per essere definita una semicorte. Lo scopo infatti è di muovere il volume complessivo definendo uno spazio di accesso alla loggia in funzione di progressivo passaggio fra l’edificio e il giardino della villa suburbana. Ho già parlato delle regole d’ingresso e questo è un tipico caso. Siamo dunque in presenza di un volume composito, ma precisamente definibile dal punto di vista geometrico.
Motivi di carattere funzionale possono essere il movimento di carrozze di fronte all’ingresso e un certo riparo dagli agenti atmosferici per la loggia affrescata (ometti anche i vetri della loggia, non era nemmeno immaginabile di poter ottenere delle lastre di quelle dimensioni). La larghezza delle ali è di due moduli e corrisponde a quella delle due parti laterali rispetto all’ingresso. Dunque le parti in aggetto sono dei quadrati.

Passiamo ora alla planimetria.


Si può apprezzare la grande eleganza distributiva in cui la loggia è molto di più di un elemento necessario per il disimpegno delle stanze, ma costituisce un’ulteriore graduazione del rapporto interno-esterno. È notevole osservare che almeno nella loggia e nella Sala di Galatea compare l’uso di elementi di linguaggio architettonico anche per gli ambienti interni, non posso dire se per la prima volta ma  di sicuro si tratta di una novità ricca di sviluppi futuri. In genere nell’architettura rinascimentale solo le cornici interne   delle finestre o delle porte sono trattate secondo gli elementi di linguaggio significanti per le facciate di moda (‘alla moda’ è un modo di dire proprio del periodo rinascimentale in ambito architettonico, negli arredi si diceva di foggia o sfoggiato se usciva dalla consuetudine). In seguito, dopo appunto applicazioni come la Farnesina, si comincerà a trattare gli interni con la stessa attenzione delle facciate.
Va da sé che nelle chiese questo è stato subito fatto ma la spiegazione è abbastanza semplice e immediata: i luoghi di culto, dai templi romani in poi, sono sempre stati visti soprattutto come spazi interni e come invasi di raccolta dei fedeli. Non a caso molte chiese hanno ricevuto una facciata solo nel XIX secolo (e quasi mai è stata una buona idea...).
È evidente nella planimetria la composizione a corpo centrale e ali laterali, con progressione della sala d’ingresso dalla via, l’imboccatura delle scale e la Loggia.
Per intenditori, alcune piccole varianti nel trattamento plastico dei muri, per esempio fra i lati corti della Loggia e della Sala di Galatea, funzionali alla decorazione pittorica e a cui forse si può pensare non sia stato del tutto estraneo Raffaello stesso, così come in generale sugli elementi di linguaggio usati all’interno. Si potrebbe fare un confronto stilistico con i dipinti di architettura, come la Scuola d’Atene già mostrata, o la pianta che Raffaello progettò con squisita raffinatezza (giudicata troppa per quella chiesa così magniloquente) per la basilica di San Pietro in Vaticano.
Sulla linearità e chiarezza dei percorsi non credo ci sia da dilungarsi. Puoi disegnarli tu stesso/a passando attraverso le porte... Sarebbe piuttosto da fare una riflessione sulla linearità dei percorsi all’interno di un romanzo.
La trasposizione letteraria di una tipologia del genere potrebbe essere una classica struttura di romanzo in prologo, trama ed epilogo. Oppure nel cinema l’inserimento di due flashback. In poesia per esempio un capo e una coda di metrica differente dal corpo. Per le arti figurative ci arrivi da solo/a.
Per comodità ripropongo la veduta d’insieme del prospetto sul giardino.


L’edificio è a due piani. Il modulo è scandito da lesene tuscaniche, nella luce delle lesene ci  sono eleganti finestre con una semplicissima cornice e cimasa a modanature. Scelta molto opportuna visto il carattere di leggerezza della villa in ambito suburbano e con piccolo giardino di delizie. Nel corpo centrale, in corrispondenza della Loggia, vi è un altrettanto semplice  arco, sostenuto da ribadite lesene tuscaniche, per l’intera luce e reiterato per cinque moduli come detto. L’arco centrale indica l’ingresso, il che fa dell’insieme una loggia e non un portico.
Come è normale nell’architettura rinascimentale il primo ordine deve dare un senso di solidità. Qui, date le dimensioni ridotte dell’edificio tutta la composizione tende a una certa verticalità che in genere non è preferita dagli architetti rinascimentali, ma ormai siamo alla fine di questo periodo iniziale del Rinascimento e questo edificio ci introduce con estrema leggerezza nel periodo successivo detto Manierismo.
Allora nota che le lesene del primo ordine poggiano su uno stilobate piuttosto alto in modo che le lesene siano proporzionate secondo quell’elemento di solidità. Lo stilobate è alto come le balaustre che fanno della Loggia una loggia.
La base della lesena determina un marcapiano che coincide con la quota delle aperture. Questa modanatura diviene una specie di legame fra tutte le finestre accentuando la direzione orizzontale della fascia dei vuoti.
La lesena tuscanica non pone nessun problema d’angolo e il risultato è molto bello.
La trabeazione del primo livello è tuscanica senza nessuna enfasi.
Molto interessante è la soluzione di continuità fra primo e secondo ordine ottenuta attraverso un cornicione aggettante. Soluzione direi classica nel Manierismo ma comunque notevole come separazione fra i piani. Ma tutto questo ha un significato. Sul cornicione appoggia (non in senso statico, l’ho già detto nei post sul linguaggio architettonico greco e romano: “Anatema” e “Caput mundi”) lo stilobate del secondo ordine di lesene, più ridotti rispetto al primo e ne costituisce una sorta di appoggio a terra. Anche questa è una maniera solita nell’architettura rinascimentale ossia di alleggerire man mano che si sale di piano.
Il coronamento dell’edificio invece riserva le migliori novità della nuova tendenza manierista. Su una trabeazione ridotta all’osso si imposta un coronamento di una certa altezza e decorato a putti reggenti dei festoni. Questo tipo di decorazione fu derivata dagli ornamenti interni delle case patrizie romane e sono conosciute come grottesche. Si chiamano così perché per poterle vedere e rilevare occorreva insinuarsi nei primi scavi archeologici nei monumenti semi sommersi dell’antichità romana. Un cercatore di grottesche fu Donato Bramante.
Raffaello fu un grande rilevatore di antichità romane, fece una collezione di rilievi per un editore di Venezia che fu per molto tempo la maggiore raccolta di antichità romane.
Conclude l’alzato della villa un cornicione a dentelli e mensole di notevole aggetto.
Questa è una soluzione molto felice nel corso dell’architettura manierista. Il più famoso è senz’altro il cornicione di Palazzo Farnese a Roma (oggi sede dell’ambasciata di Francia) di Michelangelo Buonarroti, del 1546, il quale aggetta, cioè sporge, di più di due metri. Siamo ai limiti statici per la pietra, ma per meno il maestro non si sarebbe scomodato.
In senso generale questa soluzione compositiva è uno dei capisaldi di quella che si definisce resa plastica della muratura e dell’architettura in genere, ovvero quando gli elementi del linguaggio architettonico sono trattati come sculture. Non è lo stesso di trattare le architetture come sculture! Questa frase è un autentica bestemmia, lascialo dire e  fare agli amanti delle idiozie architettoniche come Frank Gehry.
Nota anche le aperture quadrate in alto, in asse con le finestre, per dare maggior luminosità senza intaccare la proporzione fra pieni e vuoti nel modulo della facciata. Si nota di più al piano terra perché al primo piano le aperture sono comprese nella fascia del coronamento. Si vede che le aperture quadrate mitigano un po’ la parte piena sopra le finestre riportando la stessa proporzione, in maggior misura elegante, che si ha al piano superiore che è più basso di altezza.
In seguito, nel Manierismo e soprattutto nel Barocco, queste aperture rivelano che dietro c’è un piano mezzano di servizio. Qui hanno lo scopo compositivo che ho detto.


Questa è la Loggia vista dall’interno. Questa foto ha un copyright che ho preferito lasciare per correttezza. Non penso ci siano dei problemi, in ogni caso posso cambiarla.
Tralascio per brevità e evidenza il differente trattamento degli interni, a marmi e affreschi.
Faccio solo notare due cose. La prima è che la medesima lesena tuscanica è adottata anche all’interno e, come continuo a ribadire, è un puro elemento di linguaggio che non porta nulla, a parte sé stessa e l’intonaco che gli è immediatamente sopra. La struttura portante sono i setti di muro e gli archi impostati sopra. Questo anche per finirla con la querelle fra lesena e parasta che sono sinonimi: quello che è portante è sempre il muro di mattoni pieni.
Sul piano decorativo nota le grottesche dipinte nell’intradosso degli archi, particolare innovativo tipicamente raffaellesco.
La porta non è il massimo, ma non si può avere tutto nella vita...
Se vuoi fammi sapere se questa lettura della Farnesina ti convince e se hai notato le differenze con la classica esposizione da manuale di storia dell’arte o da documentario televisivo. O se vuoi un mio parere su un’opera d’arte.

Ora vorrei passare al Palazzo Marino di Milano che presenta delle analogie e delle differenze con la Farnesina la quale è una pietra miliare della storia dell’architettura. L’intento è anche di mostrare uno dei tanti bei monumenti che si possono vedere a Milano e che non sono debitamente conosciuti. Questo magari un po’ di più perché si vede spesso nei telegiornali essendo la sede del municipio.

La storia di Palazzo Marino è travagliata. Fu edificato su commessa del banchiere genovese Tommaso Marino (era banchiere anche Agostino Chigi che commissionò la Farnesina). E l’ingresso non era da piazza della Scala com’è oggi. La piazza è stata ricavata nel XIX secolo. Si entrava dalla strettissima via Marino (attuale ovviamente) che sarebbe quella vietta che passa lungo la Galleria per andare dalla Scala a San Fedele.
Dopo la morte di Tommaso Marino la famiglia andò in malora in poco tempo e il palazzo fu inglobato, nel corso dei secoli, in tutta una serie di edificazioni caotiche che riempivano tutto lo spazio dell’attuale piazza della Scala.
Il restauro e, per quanto riguarda la facciata sulla piazza, il vero e proprio rifacimento furono affidati alla mano sicura di Luca Beltrami. A lui dobbiamo molto. In qualità di senatore del Regno d’Italia si oppose alla demolizione del Castello Sforzesco e alla lottizzazione residenziale speculativa già prevista e la piazza d’armi della fortezza divenne l’attuale Parco Sempione.
Va detto che Beltrami non si è inventato nulla, ha completato la facciata ormai in gran parte perduta basandosi sui tre lati superstiti. Possiamo quindi considerare la facciata sulla piazza come originale. Fra l’altro, come molti monumenti milanesi, ha dovuto subire un restauro dopo le distruzioni belliche. L’ultimo restauro di ripulitura dallo smog ha fatto nascere molte polemiche, come al solito, ma a me sembra molto ben riuscito perché riporta la matericità dei materiali originali. Ma io non sono un architetto restauratore e me ne guardo bene dall’entrare nelle polemiche dei restauratori...
Insomma oggi Palazzo Marino ha l’ingresso originario sulla via omonima, il retro su via delle Case Rotte (cosiddette perché c’erano le case della famiglia Della Torre distrutte quando i Visconti divennero signori di Milano), la facciata su piazza della Scala e l’altro fianco su piazza San Fedele.
Quindi i quattro lati di piazza della Scala sono: Palazzo Marino, il retro della Galleria, il Teatro alla Scala e l’orribile sede della Banca Commerciale Italiana (tipico esempio di tronfio edificio post unitario), ahimè dello stesso Beltrami, tanto bravo nei restauri quanto negativo come progettista in questo caso.
Ultima notazione da guida turistica è che Galeazzo Alessi è l’autore dei finestroni sulla facciata del Duomo (al di là della Galleria). Mi spiace vedere i turisti che fotografano la facciata del Duomo che è un completamento ottocentesco, né bello né brutto, sulla brutta piazza dell’ingegner Mengoni, l’autore della Galleria (bellissima copertura in ferro e vetro, passabili i prospetti interni, orripilanti gli ingressi sulle due piazze del Duomo e della Scala). La parte stupenda del Duomo è quella più antica: la zona absidale, e poi anche i fianchi. E tutta la foresta di guglie e l’interno ovviamente.
I finestroni e le cinque porte sono le uniche cose rimaste della incompleta per secoli facciata del Duomo.

Comincio con la planimetria di Palazzo Marino, in un disegno storico. Nota che sul lato di piazza della Scala (cioè a sinistra di chi guarda) si vede un ingresso e alcune finestre ma tutto è già molto confuso e approssimativo per la presenza di altri edifici finitimi.


 In questa planimetria storica ho evidenziato la corte perché sia più evidente che ci troviamo di fronte alla stessa tipologia con corpo centrale e ali laterali, nella declinazione urbana di palazzo al posto di quella suburbana di villa di delizie.
Data la strettezza di via Marino è impossibile fotografare quella che in origine era la facciata principale. L’ho evidenziata in questa foto d’insieme presa da piazza della Scala.

 Si intravedono le due ali laterali fra le quali c’è il cortile.
Come vedi l’edificio presenta i tratti dell’architettura manierista. Sono enfatizzati tutti gli elementi architettonici, c’è abbondanza decorativa, compare il grande cornicione e in alto c’è un coronamento a balaustre, potrebbero anche esserci delle statue, qui no a motivo della presenza di cariatidi a sostegno del cornicione. Sono interessanti, per via dello sviluppo successivo, le centine spezzate sulle finestre del primo piano e di uno dei due portoni.

Stupendo è il cortile dove si possono vedere tutte le connotazioni dell’architettura manierista. È un eloquente esempio del cosiddetto ‘horror vacui’ del Manierismo, ossia la completa ricopertura dei pieni murari con elementi decorativi.


Ho evidenziato il tema compositivo che risolve il cortile. Al piano terra costituisce un portico e al piano superiore un loggiato.
Questo tipo di apertura composto da tre luci, di cui quella centrale archivoltata e quelle laterali architravate sono dette serliane, per il fatto che Sebastiano Serlio le disegnò nel suo trattato di architettura che pubblicò dal 1537 e seguenti della sua vita in vari volumi, ma si devono a Raffaello e sono uno dei più felici fra quei recuperi di architetture romane di cui ho accennato sopra. Un esempio di serliana lo puoi vedere nell’affresco delle stanze vaticane ‘L’incendio di Borgo’ di Raffaello stesso, del 1514.
Vale la pena notare che la scelta delle  serliane riprende il tema compositivo dell’intero edificio con parte centrale e ali laterali ed è per questo che appare così naturale non ostante la complessità del ritmo di quelle aperture. Mi permetto di dire che questa ultima considerazione compositiva è da annoverarsi fra la categoria ‘i dettagli che fanno la delizia dell’intenditore’ ed è da queste considerazioni che si capisce, scusa l’immodestia, chi sa di architettura e chi no.
Nota le due soluzioni d’angolo, con pilastri binati al piano terra e stondatura dell’angolo ottenuta con la decorazione.
I temi decorativi sono i più classici del manierismo: cariatidi, targhe, festoni, protomi leonine, teste teriomorfe, nicchie, vasi floreali, puttini, balaustre ecc...
Eppure tutta questa ricchezza decorativa non intacca la purezza della classicità delle serliane che sono sempre perfettamente leggibili.
Un esempio di trasposizione letteraria di questa composizione potrebbe essere un racconto o un romanzo che fosse costituito da elementi di esordio, episodio, esito nel quale le due parti iniziale e finale si legassero all’episodio successivo. Una roba tipo “Le mille e una notte”.

Finisco questo breve confronto con un’immagine del prospetto su piazza San Fedele.


Si vede uno scorcio di Palazzo Marino e la facciata originale della magnifica chiesa di San Fedele di Pellegrino Tibaldi del 1569, una delle cose più belle da vedere a Milano. Non ne parlerò in questa occasione, dirò solo che è al di là della sua bellezza, ma devi entrare, un esempio tipico di chiesa della controriforma.
Fra i due si intravvede la brutta Banca Commerciale Italiana (che invece non è una delle cose da vedere a Milano ma è impossibile non vederla...).

Chiudo con una nota storica. Il monumento che vedi al centro è a Alessandro Manzoni. Egli abitava poco più avanti in piazza Belgioioso (dove, oltre casa sua, si possono ammirare i due Palazzi Belgioioso, il più vecchio e bellissimo del XVIII secolo, di Piermarini, e quello più recente del XIX secolo), dunque San Fedele era la sua parrocchia. Il giorno della Befana del 1873, all’uscita dalla messa don Lisander scivolò sui gradini innevati batté la testa e morì in seguito a questo banale incidente il 22 maggio dello stesso anno.