sabato 7 dicembre 2019

Quando si cambia stile.

Ho avuto abbastanza di recente l'ennesima prova dell'ignoranza assoluta che le persone hanno dell'architettura, e della loro presunzione di parlarne anche se digiuni della materia. Dubito che il medesimo atteggiamento lo abbiano con altre discipline cosiddette 'difficili'. Ma si sa, l'architettura è semplice, è una specie di ingegneria ' più facile ' per gente che pensa solo alla figa e basta, e quindi chiunque può dir la sua. Scatta dunque l'allarme cultura che mi impone di intervenire.
Ho chiamato questo articolo “ Quando si cambia stile ” perché voglio insegnare quali sono state le cause che hanno determinato il cambiamento di linguaggio architettonico nella storia e in che misura è avvenuto questo cambiamento. Ho usato nel titolo la parola ' stile ' perché è la più comunemente diffusa per indicare una mutazione del linguaggio architettonico o artistico in genere.
Cercherò di essere il più chiaro possibile in modo che chi ha qualche cognizione della materia o un sincero interesse possa capire. Gli altri continueranno a far la figura degli idioti senza saperlo.

Se consideriamo le civiltà antiche, e qui premetto che mi riferirò all'architettura occidentale per comodità e maggior conoscenza, siamo di fronte a una sorta di unico stile che connota quella civiltà. Le ragioni possono essere la lontananza storica e dunque una conoscenza parziale dovuta ai ritrovamenti archeologici, ma senz'altro dobbiamo sospettare una minore sensibilità per il linguaggio architettonico. Ciò può dipendere dal fatto che si attribuiscano allo ' stile nazionale ' delle significanze sovrumane. Molto è dovuto naturalmente ai materiali disponibili e al sistema costruttivo e anche all'interesse o meno per il manufatto edilizio in genere.
Fatta questa premessa e al netto delle differenze nella decorazione scultorea o ai cambiamenti religiosi, o sia della simbologia, quando ci troviamo di fronte a un'architettura sumera o egizia ci sembra d'essere innanzi a una specie di invarianza. Avremo dunque colonne di un certo tipo, muri, tetti ecc... che portano una specie di marchio di fabbrica. Oltretutto questa architettura arcaica influenza assai poco lo sviluppo di quella che possiamo chiamare l'architettura degli stili o del linguaggio.
Allora facciamo un bel salto in avanti e arriviamo all'architettura ' madre ' di tutte le altre successive: quella greca. Fatto il salto in avanti, facciamo un passo di gambero subito. L'architettura greca non nasce certo dal nulla ma si forma su altre precedenti della stessa area.
È stato notato per esempio che mentre il tempio greco ha il tetto a capanna le abitazioni lo avevano a terrazza, ed è stato ipotizzato un incontro fra architetture continentali, dove acqua e neve rendono necessario il riparo a falda, con altre di tipo mediterraneo. Mettiamo anche che questo sia vero, giusto per fare un esempio.
I Greci prima di essere tali erano pregreci, micenei e cretesi, e prima ancora popoli indoeuropei nomadici. Quindi solo dopo la trasformazione stanziale si possono avere edifici stabili, anche nella forma intendo. La forma con cui possiamo leggere l'invarianza dell'architettura greca è identificabile con la sala quadrangolare ipostila.
Ma la tradizione non stanziale si farà a lungo sentire nella città greca, sia per un certo modo di vita (era normale dormire sotto un portico pubblico) sia per i siti più rappresentativi che partono sempre da un luogo sacro e non necessitano per forza di edifici.
Sull'influsso che l'architettura cretese ha svolto su quella micenea e poi greca ci sono prove solide. Sull'influsso che quella egizia abbia svolto su quella cretese possiamo presumerlo per gli stretti rapporti fra le due civiltà.
Abbiamo dei tipi micenei di difficile collocazione come la tholos o le case attorno all'acropoli palaziale. La prima potrebbe subire forti influssi simbolici dalla grotta e per le seconde abbiamo resti troppo indeterminati.
Lo spazio in cui per primo possiamo trovare degli elementi del linguaggio greco posteriore è il megaron. Esso è una grande sala rettangolare con al centro quattro colonne che reggono un tetto dal quale esce il fumo del fuoco posto al centro dello spazio. Attorno alle pareti ci sono dei sedili e intorno al fuoco si svolgevano diverse attività. Tutto questo è già presente nell'architettura palaziale cretese da cui quella greca probabilmente deriva. Ma quello che si sa è di carattere ipotetico e i restauri non ci aiutano perché troppo intensamente interpretati da Evans.
Però cominciamo ad avere sicuramente alcuni elementi su cui possiamo focalizzare l'attenzione. Per esempio qui la teoria del tetto a capanna o piano potrebbe andare a pallino: la falda avrebbe la funzione pratica di permettere di avere uno spazio fruibile e protetto dagli agenti climatici esterni cosa che a Creta non sembra la cosa più urgente.
Passa molto tempo prima che questi elementi si trasformino in una tipologia sulla quale si innesta il dibattito cosciente sull'importanza del linguaggio architettonico, o per lo meno del quale si abbia una conoscenza relativa ma non del tutto ipotetica.
Abbiamo già visto che il tempio, costruito nel temenos, compare nel VI sec. a.c.. però qui abbiamo un fenomeno di cui prima non abbiamo esperienza o prova inconfutabile: ogni tempio cerca di migliorare il tipo precedente e lo fa attraverso quegli elementi che abbiamo imparato a chiamare, come in effetti si chiamano, di linguaggio architettonico.
Certo, la domanda nasce naturale: perché questo avviene? e perché proprio ora?
La risposta, come spesso accade, è che non lo sappiamo. Potrebbe essere un'identificazione più forte della propria cultura, dunque una volontà di essere a un tempo riconoscibili e affermare la propria originalità nella formazione degli spazi simbolici e poi, con molta calma, anche quelli privati. Può essere una crescente importanza dell'arte come veicolo per affermare concetti, ideali, realtà sociali di tipo prettamente umano, una sorta di laicizzazione per dir così. Può, senza contraddizione, interpretare una diversa teologia nel rapporto fra uomo e piano divino: il Dio ha bisogno di una casa.
Perché ora. Il periodo è quello delle tirannidi e del grande flusso migratorio colonizzatore verso l'Anatolia e l'Italia, fenomeni che hanno connotato i Greci e li hanno posti come protagonisti della storia, a sostituire le antiche civiltà ormai in fase di museizzazione di sé stesse o anche l'hanno posta come antagonista con le civiltà mediterranee che, seppure molto antiche, continuavano nella loro opera di espansione, dico i Fenici su tutti.
Insomma a un certo punto i Greci hanno sentito il bisogno di essere tali anche nell'espressione artistica, e lo hanno fatto prima di quella filosofica per la quale essi sono giustamente famosi.
Ma quello che più interessa è che viene meno, quasi di colpo, l'elemento dell'invarianza del linguaggio, anzi la ricerca è violentissima in questa direzione, segnando il destino dell'architettura e in genere dell'arte occidentale.
E qui possiamo entrare nel vivo della questione di partenza: quando si cambia stile.

Il linguaggio greco aveva influenzato tutte le civiltà con le quali era venuto in contatto soprattutto nell'occidente: Etruschi e popoli italici, fra questi chi farà propri i canoni dell'architettura greca saranno i Romani.
Qui si apre una interessante questione. I Romani, i Latini in genere, utilizzano gli ordini greci aggiungendone alcuni che sono l'ibridazione fra quelli greci dell'epoca ellenistica e quelli derivati dagli Etruschi. In più l'architettura romana utilizza con notevole frequenza la volta, che i greci conoscevano ma non utilizzavano (se non nella forma abbozzata della tholos ricordata più sopra). Si può dunque parlare a questo proposito che il passaggio dall'architettura greca a quella romana sia un mutamento di stile?
La risposta è no. Gli elementi compositivi dell'architettura romana permangono gli stessi di quella greca: colonne, trabeazione, capitello, timpano... Muta solo, a volte, il trattamento scultoreo di questi elementi. Lo stesso si può dire per i muri.
Ma nemmeno per la volta si può parlare di mutamento di stile poiché la forma della volta determinerà in seguito i cambiamenti di stile. Inoltre nell'architettura greca la volta non esiste dunque non può esistere il suo mutamento.
Si dovrà parlare propriamente di innovazione nel sistema strutturale e, nel caso della volta in calcestruzzo, di innovazione anche nel sistema costruttivo.
Vediamo dunque che nell'architettura romana, benché si connoti in modo affatto suo particolare, non si può parlare di mutamento di linguaggio architettonico.
L'uso degli elementi classici (greco-romani) continua fino alla fine dell'Impero Romano d'Occidente. Poi avviene un cambiamento di stile?
La risposta è no ancora una volta. A parte che nell'Impero Romano d'Oriente si continua a usare lo stesso tipo di linguaggio, anche in Occidente la tradizione romana continua mutando solo le soluzioni scultoree e in genere formali dei medesimi elementi: colonna, capitello, trabeazione, muri ecc... Che poi nel medioevo ci sia un impoverimento della produzione di manufatti edilizi non di legno non inficia minimamente la conclusione poiché gli edifici lignei non hanno mai avuto in generale la conformazione dei canoni classici.
Certo, dal punto di vista della forma scultorea, del gusto, della decorazione o dei cromatismi la differenza è notevole ma non comporta l'uscita dal consueto sistema di riferimento. Prova ed esempio ne sono quegli edifici di costruzione parca al limite della povertà dove un muro o una porta sono solo l'assemblaggio di mattoni o pietre e relativi infissi e non compare alcun elemento di linguaggio architettonico.
Chi è arrivato a questo punto e sta ancora confondendo la decorazione con gli elementi di linguaggio è pregato di liberarsi subito di questo errore, che è ' l'errore ' dell'ignorante, soprattutto se hanno già letto i molti post sull'architettura che ho dedicato a questo tema in questo blog.
Tornando agli edifici semplici cui accennavo prima, notate che non appena le possibilità economiche lo concedevano subito si arricchivano di elementi di linguaggio, e questi erano ancora quelli classici.
E passano i secoli. A un certo punto in Italia, nell'epoca gloriosa, e troppo dimenticata, dei liberi comuni compare un nuovo stile: il Romanico.
Nuovo? Be' già dal nome non si direbbe... poi gli elementi di linguaggio architettonico sono sempre gli stessi: colonne, capitelli, trabeazione... Tenete presente che nel tardo medioevo la conoscenza dell'architettura classica non aveva quel carattere sistematico che avrà dal Rinascimento in poi, tutto quello che avevano e vedevano nelle loro città e nelle campagne era classificato, senza alcun dubbio e con ragione appunto, romano. Così anche dopo, quando apparirà il Gotico: quello che non era gotico e non ancora rinascimentale era romano.
Il Romanico è quindi il tentativo di riportare a una nuova purezza quello che noi oggi chiamiamo tardo-romano o bizantino in alcuni casi. Quindi tutt'altro che novità ma ritorno alla tradizione più pura come erano in grado di fare o forse come volevano fare essendo alieni dal classicismo della replica acritica, della ripresa tale e quale.
Del resto, riflettendo, non sarebbe stato possibile altro che così: i Comuni si strutturavano avendo per modello, ideale e pratico, l'organizzazione di Roma, per contrapporla al sistema aristocratico feudale. I magistrati più alti dei comuni si chiamarono Consoli. Il Podestà e il resto vennero solo dopo.
Ridendo e scherzando vediamo che, mutatis mutandis, l'architettura classica degli ordini o canoni parte dal VI sec. a.c. e arriva fino a tutto il XII sec. d.c.. Sono diciotto secoli di continuità. Un'invarianza paragonabile all'architettura egizia, per dire.

Nel corso del XI e XII secolo nelle foreste del massiccio centrale europeo, prima in Francia poi altrove, si comincia a costruire con un nuovo sistema strutturale. All'inizio gli elementi compositivi sono sempre quelli, ma l'arco (e la volta di conseguenza) sono a sesto acuto, la colonna è sostituita dal pilastro polistilo, il capitello si adatta sempre più alla mutazione fino a scomparire, la trabeazione non esiste più, perfino il muro è sostituito da grandi vetrate (portando una innovazione nel linguaggio in termini di proporzione e rapporto fra pieni e vuoti).

Suonano le campane (infatti i campanili sono di solito due): nunc est bibendum! Dobbiamo brindare al primo cambiamento di stile della storia dell'architettura europea e occidentale.

Così comincia l'epoca del Gotico, dapprima nelle chiese, ma da subito anche negli annessi monastici, poi anche nelle architetture civili. Ho già parlato sui motivi della nascita del Gotico nel post “ La casa di Dio ” a cui rimando chi fosse interessato. Diciamo che questo stile rappresenta al meglio sia la nuova aristocrazia, consolidata dalla Constitutio de Feudis del 1037, che rende ereditari i titoli feudali e infeuda le pievi (ossia i fondi agricoli della chiesa), sia la nuova classe nascente della borghesia mercantile.
L'unanimità su questo stile è comprovata dal fatto che esso si diffonde in tutta Europa.
Anche qui si possono trovare dei sotto-stili, sia dovuti alle differenti epoche sia ai luoghi geografici. In Italia per esempio l'eredità classica è più sentita e abbiamo delle modificazioni fra questi sotto-stili. Però non si può parlare di mutamento dello stile poiché gli elementi compositivi rimangono gli stessi: arco ogivale, pilastro polistilo, archi rampanti, vetrate ecc... Cambia il trattamento scultoreo degli elementi, i cromatismi ecc... Una differenza notevole si ha nello sviluppo dei volumi che possono essere considerevolmente diversi, ma a volte è il caso della preesistenza di manufatti del periodo antecedente, a volte è solo l'adattarsi del nuovo stile a esigenze tipologiche o funzionali (il Palazzo Pubblico per esempio).
La durata del gotico è molto variabile. Mentre in Europa continua dal XII sec. al XVI sec. e anche oltre, in Italia e solo qui la nascita dello stile rinascimentale lo sostituisce, con tempi differenti e sempre progressivamente, dalla fine del '300. Quindi abbiamo una durata di cinque secoli o più in Europa e di meno di trecento anni in Italia.
Perché accade questo? Per lo stesso motivo per cui sono scritti i poemi cavallereschi, credo di averne già parlato. Il ciclo arturiano vede nelle vicende subito dopo la fine dell'Impero Romano l'origine nazionale inglese, così i poemi norreni più antichi compongono coi più recenti il corpus del senso nazionale e identitario germanico. Il ciclo Carolingio conferma l'influsso francese sulla cultura europea ma pone le basi per una letteratura nazionale che poi diviene tout court europea col Sacro Romano Impero. Porta all'interno della letteratura europea anche la Spagna. In breve, è un ciclo che è universalmente riconosciuto come lo è, per forza, il Sacro Romano Impero, la sistemazione feudale carolingia e i regni che derivano da essa. Per questo motivo è ambientato anche in Italia. È anche il ciclo della lotta secolare contro l'espansione islamica.
E in Italia? Be' i Franchi sono alla base dell'identità europea contro il mondo musulmano, problema nascente in quei tempi. Prima il popolo germanico che occupava la penisola italica erano i Longobardi i quali avevano i cicli del nord: l'Edda o i Nibelunghi o il Reno ecc... ma non avevano prodotto un ciclo epico come Longobardi divenuti italiani. Il cantore dei Longobardi sarà Manzoni nello '800. Dunque in Italia si poneva il problema di quale letteratura fosse alla base del sentimento nazionale e identitario. Gli Italiani dunque non hanno fatto che andare indietro nel tempo fino a trovare i poemi che raccontassero l'identità italiana. Hanno trovato l'Eneide e di conseguenza Omero. Quindi si sono detti: non abbiamo bisogno di un ciclo cavalleresco poiché i nostri poemi sono quelli dell'antichità classica. La forma in cui la cultura classica si era espressa in Italia per più tempo era quella Latina e a questa architettura fecero riferimento.
Si potrebbe dire: ma anche il resto d'Europa era Romana. Infatti fu proprio così che andò ma negli altri paesi europei l'identità con differenti momenti epici era molto forte e ci volle più tempo. In un certo senso la guerra fra stili identitari arrivò al punto che anche quando tutti i popoli europei furono d'accordo che le origini erano quelle classiche, la Germania scelse l'architettura greca e non quella romana, per farne un nuovo stile. Vedremo meglio a suo tempo, ma il motivo stava nel fatto che ormai il gotico era fisiologico per loro e visto come stile nazionale dai Francesi e dagli Inglesi oltre che dagli altri popoli germanici. Oltretutto era chiaro per loro che sarebbe stato molto arduo recuperare il ritardo e riuscire a comporre i capolavori che il classicismo romano aveva prodotto nel Rinascimento d'Italia.
Si era verificato un altro mutamento in Europa con origine proprio in Italia. Mentre il gotico è lo stile della formazione dei grandi regni nazionali: spagnolo, francese, tedesco, il ritorno al classicismo segna la trasformazione della borghesia mercantile italiana in alta borghesia finanziaria. In sostanza la grande politica continentale era dettata dai grandi regni in cui si era diviso il Sacro Romano Impero, o meglio: che avevano defezionato dall'impero, più il regno spagnolo e portoghese della Reconquista, ma spesso chi finanziava queste imprese erano i banchieri italiani. Fate caso che in pratica non esiste nessuna città europea, con importanza mercantile, in cui non esista una via dei Lombardi (poiché coi Lombardi erano stati identificati tutti i banchieri o forse perché in generale l'Italia era la ' Longobardia ').

Fatta questa debita premessa siamo arrivati al secondo cambio di stile della storia dell'architettura europea. Prima in Italia e molto dopo e pian piano altrove, si operava il ritorno, la riscoperta dei canoni classici. Secondo brindisi... Alla fine, vedrete, non saranno poi molti.

Il periodo rinascimentale, che si definisce classicista proprio perché riprende gli elementi di linguaggio e compositivi dell'architettura classica con consapevolezza, vede per la prima volta, in modo che possiamo verificare e rintracciare, un costante lavoro e un dibattito sulla maniera di riacquistare la purezza classica e allo stesso tempo di affermare la propria novità di stile.
Dai primi tentativi di Brunelleschi abbiamo poi la ricerca di Leon Battista Alberti per il quale il purismo delle forme è essenziale tanto da portare il suo studio verso la riproduzione di un arco trionfale romano. Arco che poi porrà davanti alla chiesa di Sant'Andrea a Mantova.
Alberti sceglie l'arco di trionfo sia per motivi pratici: è un manufatto grande e alto dunque ancora in gran parte sopra il piano di campagna del suo periodo, ma anche per il fatto che era forse l'unico edificio che non avesse addossate tutte le case che gli altri monumenti romani avevano. L'architettura romana era conosciuta soprattutto per gli interni; al di fuori, a parte lo spoglio di materiale che era normale nel medioevo, gli edifici romani quasi scomparivano dietro l'edificazione dei secoli successivi. Inoltre Alberti aveva capito una cosa essenziale: l'arco di trionfo non serviva a niente di pratico. Dunque poteva essere ragionevolmente sicuro che lì avrebbe trovato l'architettura romana più pura. Non c'era nessun motivo per modificarlo, nessun uso nuovo.
Il Trionfo romano, che spettava ai generali vittoriosi in qualche campagna bellica notevole o in una battaglia decisiva per le sorti di Roma, era la riproduzione del percorso che Romolo avrebbe fatto tornando dopo la vittoria sui Ceniniensi. Egli era entrato in città, aveva percorso alcune vie ed era arrivato al Campidoglio dove gli era stato tributato, per la prima volta, il Trionfo. Col Trionfo si celebrava un uomo che era partito dalla città e l'eroe, il semidio, che tornava per farsi consacrare. Dunque nel suo itinerario passava attraverso alcuni punti sensibili per la storia topografica di Roma che erano poi diventati altrettante stazioni del processo di divinizzazione (che avveniva sempre dopo la morte, questo va ricordato sempre per evitare errori come: l'Imperatore era un dio e cose simili).
Perciò questo tipo non poteva aver subito molte manomissioni e rispondeva ai precisi canoni dell'architettura. Averlo messo come ingresso per una chiesa riprendeva a un dipresso il significato originale di passaggio attraverso una soglia.
Intorno a questa architettura romana ritrovata si dibatté a lungo e molte furono le modifiche sia d'uso compositivo, sia di forma scultorea, tanto che oggi parliamo normalmente di linguaggio rinascimentale, manierista, palladiano o barocco. Ma è come se parlassimo di diverse pronunce dello stesso linguaggio che resta immutato.
Voltare sulla colonna, l'ordine doppio del manierismo, le colonne girate di 45° del barocco, per fare degli esempi, sono sempre all'interno del medesimo linguaggio architettonico. Che il muro sia dritto o curvo non fa molta differenza per i fini che sto indagando.
Nella lezione sul Barocco “ Leggere un'opera d'arte: Schönbrunn ” ho enumerato i diversi tipi di questo stile, secondo le zone o altri motivi, ma spiegavo che sempre di Barocco si trattava.
Ho dedicato parecchi articoli sul linguaggio rinascimentale e dunque non mi diffondo ulteriormente, anche perché ci avviciniamo ai secoli nostri.

Il momento decisivo è il periodo tardo Barocco. Abbiamo visto che nel Manierismo a volte gli elementi di linguaggio erano allusi da alcune parti che sostituivano la totalità, essi richiamavano per così dire tutto il discorso, spiegato nell'articolo su Palazzo Farnese “ Composizione architettonica e poeti: archi, timpani e centine ”.
Questa tendenza prosegue nel tardo Barocco dove in più prevalgono alcuni elementi funzionali su quelli di linguaggio, uno per tutti la dimensione delle finestre per dare luce agli interni. È evidente che gli elementi di linguaggio, quando erano usati, venivano sempre dal classicismo. Essendo però le esigenze funzionali ad avere spesso la predominanza, la formazione degli spazi interni per esempio, spesso l'attenzione andava soprattutto a questi aspetti. Per gli esterni la soluzione poteva essere di varia natura: la citazione della classicità come simbolo (Fischer von Erlach), lo scatenarsi di fantasia senza porsi particolari problemi, o una composizione tranquilla che desse rilievo soprattutto alle novità tipologiche o funzionali (le mansarde a esempio o le gallerie vetrate).
Naturalmente non appena questa libertà o relativo disinteresse apparsero ' strani ' ci fu chi si ripropose di tornare a un classicismo purissimo, questa volta si scelse la Grecia e nacque il Neoclassicismo. Il riferimento era ai tre canoni greci e alla ricerca di purezza sia nel linguaggio adoperato sia nella linearità delle forme. E anche qui ne ho già parlato a proposito del Palazzo Reale di Milano.
Da quel momento la traccia neoclassica prosegue imperterrita fino ai primi decenni del XX sec,

Intanto però comincia a farsi strada un nuovo ragionamento: così come noi consideriamo classiche le architetture greco-romane, così sono classiche per loro quelle egizie, assire, cinesi e via dicendo, dunque possiamo ritenerle classiche anche noi. Questo ragionamento di relativismo culturale ha due tare: la prima è che non è vero che le architetture storiche siano ritenute classiche dalle attuali civiltà degli stessi posti geografici (per esempio l'architettura egizia non influenza quella islamica), secondo è che questo linguaggio architettonico non lo può essere per noi. Abbiamo visto come il la ricerca di linguaggio, architettonico come letterario, è una ricerca identitaria per sua natura. È banale dirlo ma il linguaggio grammaticale identifica appunto un popolo.
L'assunto che qualunque forma di linguaggio architettonico si potesse usare, tanto quello del tempo quanto quello storico geografico, a parte che magari non è una trovata particolarmente geniale, fa scadere gli elementi di linguaggio in elementi di decorazione. Sopra ricordavo di non fare mai questa confusione, che però spesso è fatta anche da storici dell'arte e spero mai da storici dell'architettura o architetti, ma non ci giurerei.
Comincia quello che è conosciuto come il periodo dell'Eclettismo. Qui si cambia linguaggio? Boh... a volte sì a volte no... Sarebbe troppo lungo vedere caso per caso se il mutamento riguarda solo la forma degli elementi compositivi oppure proprio il linguaggio. Per esempio una colonna neo-persiana è un cambiamento di linguaggio o solo di conformazione plastica? E se in un edificio sono presenti più elementi appartenenti a stili di zone diverse, o a epoche diverse? Una colonna neo-medievale in laterizio è solo un'uscita dal canone, se lo è, o è anche un uscita dal linguaggio? E via dicendo.
Il problema si fa insostenibile quando appunto i vecchi elementi di linguaggio divengono solo decorazione. Una società che cambia, che non ne può più di improbabili accrocchi di tutto, che è esempio politico, sociale, economico per le altre zone del mondo può esprimersi con un linguaggio così frivolo e arbitrario? Peraltro con tutta la pesantezza e il sussiego tipici dello '800.
Lo fa per molto tempo, e siamo appunto coi calici vuoti a mezz'aria perché non sappiamo se è avvenuto il terzo cambiamento di linguaggio. Personalmente non saprei proprio se sia il caso di festeggiare.
Fatto sta che negli ultimi decenni del XIX sec. e i primi del XX sec. coesistono il neoclassicismo, il neo-tutto-qualcosa e i primi tentativi di ricerca di una nuova forma degli elementi compositivi dell'architettura o di nuovi elementi compositivi.

Gli anni '20 del novecento segnano l'affermarsi del Razionalismo e del Movimento Moderno. Alziamo i calici e brindiamo perché è giunto a compimento il terzo cambiamento di linguaggio architettonico: quello moderno.

Qui non solo viene bandita la decorazione architettonica in quanto degenerazione del linguaggio architettonico, ma sia il sistema strutturale (dal semplicemente appoggiato al telaio a incastro o nel caso dell'acciaio alle cerniere) sia il sistema costruttivo (da quello tradizionale in laterizi e corpi di fabbrica in legno a quello del calcestruzzo armato o dell'acciaio) entrambi cambiano. Non abbiamo più colonne, trabeazione, capitelli ecc... ma pilastri, travi, setti portanti ecc... Certo, qualcuno potrebbe notare che qualcosa del genere si era già fatto nello '800 con l'acciaio, infatti ho scritto che gli anni '20 ' segnano l'affermazione ', non ' sono l'inizio '.
Con Movimento Moderno si intendono tutte le avanguardie di questo cambiamento, di cui il Razionalismo è stata la più ampia teorizzazione.
Per la verità ci sono stati tentativi di far coincidere la modernità con la tradizione evitando una rottura formale e concettuale che, appunto, non è compresa nemmeno oggi, in cui stiamo già forse uscendo da questo linguaggio moderno.
Il problema però è stabilire se ' queste cose qui di oggi ' sono architetture o manufatti di altro genere. Sapete che mi ritengo un anatomopatologo perché per me l'architettura è morta allo spirare del millennio scorso. Quindi non mi porrò il problema. Il design è cosa diversa dall'architettura a meno che non ne voglia far parte. Conformare un oggetto come si voglia, a capriccio uterino dei ' creativi ' o degli archistar, non è proibito dalla legge ma esce dalla disciplina architettonica.
Tornando al discorso dei tentativi chiamiamoli non traumatici di modernizzazione dell'architettura va reso il giusto omaggio all'Art Nouveau. I risultati estetici e formali sono sotto gli occhi di tutti, in più è estremamente importante la voglia di far coesistere la produzione industriale con l'intervento artigianale (solo questa ragione basterebbe a porre l'Art Nouveau fra i grandi gesti costitutivi dell'architettura contemporanea e ne dà tutta la valenza moderna e quasi profetica), e così dobbiamo considerare la sperimentazione plastica sotto il discrimine delle scienze percettive e empatiche, l'espressività della forma come modo di fusione delle arti. Insomma un grande tentativo perduto.
Perduto per un motivo semplice e ovvio: la società nascente è una società industriale che ha bisogno di essere rappresentata ed espressa da un'arte di frattura col passato, un'arte che prefiguri e disegni il mondo dell'avvenire e non il legame col passato. L'Art Nouveau non poteva essere il linguaggio della massa coinvolta nella grande trasformazione industriale.

Il linguaggio architettonico moderno non cambierà più fino alla morte dell'architettura. Ma fare architettura moderna non è facile, non vuol dire semplificare con delle linee rette quello che prima era curvo o fare le case come scatole coi buchi o eliminare la decorazione. Occorre una lunga e difficile ricerca estetica che può esistere solo se l'intenzione è eccelsa e la voglia di raggiungere grandi traguardi è vista come una necessità dello spirito.
Il mondo dell'ultimo decennio del XX sec. vi sembra sospinto da questo anelito? E il nuovo millennio? Ahi lasso! Ma tutto era cominciato prima.

Mentre si elaborava l'architettura moderna, sia nei movimenti prodromici a cavallo dei due secoli sia dagli anni '20, qualcuno si preoccupava di estrapolare o selezionare alcuni di elementi di linguaggio necessari per avere, se non un canone che sarebbe stata una contraddizione in termini (il MM è un'avanguardia e non può nascere da canoni!), almeno alcuni punti di riferimento per cominciare a delineare le norme del linguaggio, insomma una sua sintassi.
Alcuni invece si posero il problema di come questa architettura, dalle valenze simboliche così ampie, potesse diventare l'espressione di un mondo nuovo, un mondo in cui le differenze si annullavano nel nome della modernità.
Uno che tentò di fare entrambe le cose fu, con la solita supponenza, Le Corbusier.
Dopo la seconda guerra mondiale si impose, laddove non fosse presente il modello collettivista, il capitalismo internazionale e la sua rappresentazione artistica, per i nostri fini quella architettonica dello International Style.
Gli edifici, le tipologie, le forme dovevano esprimere l'adesione al mondo nuovo, indipendentemente dal luogo in cui erano costruiti.
Be', a molti potrà sembrare strano ma proprio l'indifferenza al luogo storico e geografico di progettazione e costruzione potrebbe essere un elemento abbastanza grave da far intendere questo linguaggio, detto International Style, come un vero e proprio cambiamento di linguaggio.
Il discorso è molto ampio e non ha come oggetto quello di questo articolo, ma l'ipotesi è più vera che falsa. Rimando al post “ Come è morta l'architettura ” e a successive riflessioni che potrò fare.
Se l'ipotesi fosse vera, e i risultati estetici e linguistici sgrammaticati o addirittura analfabetici degli edifici odierni sembrano confermarlo, saremmo al quarto cambiamento di linguaggio in duemilacinquecento anni di storia dell'architettura occidentale e cinquemila di quella conosciuta. Se non fosse che questo cambiamento è quello in exitus.

Per concludere: abbiamo visto come i cambiamenti di linguaggio architettonici siano molto rari e quando ci si riferisce a uno stile si intendono le mutazioni di carattere scultoreo e plastico degli elementi architettonici (quindi sarebbe una conseguenza che ha la sua origine al di fuori della disciplina) o alle diverse relazioni fra elementi di linguaggio invarianti.

Con questo articolo spero di aver fatto un po' di chiarezza almeno fra gli addetti ai lavori o fra gli appassionati di arte. Di spiegare agli ignoranti mi sono stufato, tanto è inutile.

Pietro della Vecchia - Allegoria dell'Architettura
R.P.

Posteris memoria mea

domenica 24 novembre 2019

Playlist su You Tube

Ho cominciato a pubblicare e continuerò a farlo dei brevi video, della durata di un minuto, che contengono mie composizioni poetiche corredate da immagini e una musica.

Si trovano su You Tube nella playlist “ Nato di Marzo ”.


C'è anche la playlist “ Libera associazione della Spada ” che contiene gli altri video musicali pubblicati all'interno dei post del blog.


Potete trovare i video anche cercandoli nel canale 

' Renato Pagnoncelli '.


R.P.

posteris memoria mea

giovedì 7 novembre 2019

L'Isola d'Alcina

Siamo in quella parte dello “ Orlando furioso ” in cui compare la bella e indomita Bradamante alla ricerca del suo Ruggero.
Ella giunge presso un fiume dove incontra il maganzese Pinabello il quale afferma di sapere dove si trovi Ruggero. La giovane segue questo cavaliere che con l'inganno la fa precipitare nella grotta di Merlino dove la fata Melissa le farà il pippone sul fatto che da lei, Bradamante, e da Ruggero discenderanno gli Estensi. Con l'aiuto di Melissa, Bradamante giunge al castello incantato dove è rinchiuso, con altre dame e cavalieri, il suo amante.
Il signore di quel castello incantato è un mago che ha il suo potere nella sua cavalcatura: un ippogrifo.

E qui inizia la narrazione che vo a fare.

Questo mago cavalcando l'ippogrifo rapisce tutte le belle fanciulle dei paraggi e atterra tutti i cavalieri erranti che poi imprigiona nel suo castello.
L'arma segreta di questo mago è uno scudo che, una volta tolto dal fodero, è in grado di abbacinare tutti gli avversari.
Non ostante Bradamante sappia queste cose è risoluta a liberare il suo Ruggero e tutti gli altri ospiti forzati del castello.
Ariosto dice che questo mago cavalca l'ippogrifo e ha alla mano sinistra lo scudo e alla destra un libro sul quale sono scritti tutti gli ordini magici per cui può fare le sue azioni.
All'improvviso Ariosto sente il bisogno di precisare che l'ippogrifo è un animale, nato da una cavalla e un grifo, come di rado succede che si accoppino nelle terre dell'estremo nord.
Perché il nostro ser Ludovico, mentre parla di fate, maghi, anelli magici, castelli e scudi incantati, sente il bisogno di specificare che l'ippogrifo non è una macchina ma un animale mentre tutto il resto è incantesimo del mago?
Si potrebbe dire che non vuole che si pensi alle macchine volanti di Leonardo da Vinci per esempio, come se qualcuno fosse riuscito davvero a realizzarle. O un argomento del genere. Rimane pero strano che si premuri di negare un fatto assolutamente reale anche se non realizzato, una macchina volante, adducendo una motivazione del tutto fantastica. Oltretutto l'ippogrifo è una sua invenzione e non una ripresa classica.
La bella Bradamante si presenta sullo spiazzo antistante la rocca, ma è in armatura ed è presa per un cavaliere dal mago che inforca la sua cavalcatura e sale in cielo per piombarglisi contro.
Il poema dice che Bradamante, guardandolo, ne rimane confortata poiché il mago non ha né lancia né spada, ma solo il libro e lo scudo, infoderato.
Per altro Bradamante ha un anello magico che la protegge da ogni incantesimo. Dunque è sicura.
Ma il mago comincia a farla a segno dal cielo di numerosi colpi, maneggiando il libro, colpi che Bradamante sente ma non vede da dove arrivino, in pratica il mago le ' spara ' addosso.

Da la sinistra sol lo scudo avea,
tutto coperto di seta vermiglia;
ne la man destra un libro, onde facea
nascer, leggendo, l'alta maraviglia:
che la lancia talor correr parea,
e fatto avea a più d'un batter le ciglia;
talor parea ferir con mazza e stocco,
e lontano era, e non avea alcun tocco ”.

( libro I, canto IV, ottava XVII)

Ella è disarcionata e il mago procede a sfoderare lo scudo per catturarla. Ma la nostra eroina è protetta dall'anello, tuttavia finge di essere caduta in potere dello scudo abbagliante e simula uno svenimento.
Il mago atterra poco distante e si avvicina a quello che crede un cavaliere con una catena per imprigionarlo e condurlo seco. Bradamante si rialza prontamente ed è tanto più aitante del vecchio mago che ne ha ragione facilmente e lo lega con il suo stesso laccio.
Sfodera la spada per ucciderlo ma ne prova pietà: è un vecchio decrepito e non ha core d'ucciderlo. Lo interroga e viene a sapere che egli è Atlante e che il castello fatato fu da lui costruito per tenervi Ruggero che ha allevato ed è per lui come un figlio. Atlante sa che se è vero che da Ruggero nascerà una stirpe di nobili, sa anche che il suo pupillo è destinato a morire giovane. Per salvarlo lo tiene prigione nella rocca ma si premura che abbia ogni sorta di compagnia, cavalieri e dame, in modo da formare una fastosa corte ricca d'ogni ben di dio. Sa che se Ruggero sentisse il richiamo della battaglia non saprebbe resistere e andrebbe incontro al su rio destino.
Bradamante risparmia il vecchio mago ma lo obbliga a liberare tutti i suoi detenuti.
Fra gli altri e le altre esce Ruggero e i due amanti si ritrovano felici.
Ruggero sente tutta la storia e vede l'ippogrifo su cui c'è lo scudo e il libro. Cautamente s'avvicina e sale in groppa. Ma l'ippogrifo non è un cavallo qualsiasi e improvvisamente spicca il volo e si porta via Ruggero, lasciando la nostra povera Bradamante disperata.

E qui comincia il clou della vicenda.

I dati sono questi. Noi sappiamo per certo che il castello di Atlante si trova sui Pirenei, anzi vicino a quel punto in cui si dice che nelle giornate particolarmente limpide si scorgono due mari: il Mediterraneo e l'oceano Atlantico. Precisamente il golfo del Leone e il golfo di Biscaglia.

Di monte in monte e d'uno in altro bosco
giunseno ove l'altezza di Pirene
può dimostrar, se l'aere non è fosco,
e Francia e Spagna e due diverse arene... ”

( I, IV, XI )

Nel suo volo l'ippogrifo, con a bordo Ruggero, compie con la velocità del fulmine tremila miglia avendo superato le Colonne d'Ercole.

“ … ma senza mai posar, d'arme guernito,
tre mila miglia ognor correndo era ito .”

(I, VI. XXV )

Durante il viaggio Ruggero vede sotto di sé solo il mare (lo si deduce sia dal testo sia perché non riconosce alcuna terra come invece farà al ritorno) e non è in grado di controllare il volo dell'ippogrifo perché non sa usare il libro. Infine atterra sull'Isola d'Alcina.
Ora, è vero che nell'antichità esistevano più luoghi chiamate le ' Colonne d'Ercole ' ma è altrettanto vero che le più famose erano poste a Gibilterra. D'altra parte sono le più vicine ai Pirenei. Se sono in una stanza e dico “è là, vicino alla finestra” pur esistendo più finestre nell'appartamento tutti capiranno che l'oggetto è vicino alla finestra della stanza. Così, stando sui Pirenei se dico ' Le Colonne d'Ercole ' si intenderà lo stretto di Gibilterra.
Se interpretiamo miglio come miglio romano avremo:
3.000 · 1,4875 m = 4.462,5 km.
Se tracciamo, facendo centro a Gibilterra, un raggio di 4.462, 5 km e consideriamo che andando verso est si arriva in Iran, sorvolando solo terre; a sud si va in Africa sorvolando solo terre; a nord non è possibile perché nell'isola di Alcina crescono palme e piante rigogliose come allori, cedri e aranci, mirti, rose e gigli; proviamo a vedere cosa si incontra andando verso ovest. Perché il percorso è in linea retta e non prevede di vedere terre.
Ecco a spanne la cartina. (allargare l'immagine)



L'unica terra che si incontra intorno a quella distanza è l'Isola di Bermuda.

È evidente che Ariosto quando dice 3.000 miglia intende una cifra tonda, non direbbe mai in poesia che Ruggero compì un viaggio di 3367 miglia a esempio, non ha senso. Se la distanza fosse in miglia marine, che non so se esistessero e a quanto corrispondessero, si arriverebbe lì o anche più avanti, ai Caraibi o alla costa del Brasile, ma se la misura si prende dal castello di Atlante? Torneremmo indietro. Le Isole di Capo Verde sono troppo vicine e sono aride. Altro non c'è se non sorvolando delle terre.
Facciamo un passo indietro.
Quando Ruggero scende a terra, lega l'ippogrifo a un albero di alloro. L'animale si muove e rischia di sradicare la pianta che si lamenta come Pier delle Vigne: “ perché mi schiante? ”. Ruggero sorpreso si rivolge all'albero e chiede chi sia, se una dea dei boschi o cos'altro. Gli risponde che è Astolfo, mutato in albero da un artificio di Alcina cui è venuto a noia. Fa così con tutti i suoi amanti che capitano nell'isola: li seduce con la sua bellezza e poi, quando gli vengono in uggia, li trasforma chi in alberi, chi in animali, chi in mostri.
Ma chi possono essere questi ' cavalieri ' che Alcina e le sue fate seducono? Forse marinai che naufragavano navigando verso le Americhe? La ' scoperta ' dell'America, come ognuno sa, è datata 1492. La prima edizione dell'Orlando di Ariosto è del 1516 l'ultima del 1532. Si cominciava a navigare verso il nuovo mondo e la notizia doveva in quel tempo essere sulla bocca di tutti come il più grande avvenimento. La scoperta delle Bermudas è del 1503.
Astolfo racconta come è giunto sull'isola. Mentre si trovava sulle coste africane, il Sahara Spagnolo o quelle parti (“ ver ponente io venìa lungo la sabbia/che del settentrion sente la rabbia. ” I, VI, XXXIV), una balena s'è accostata a riva e sembrava un'isola verdeggiante e invitante da dove Alcina lo lusinga bellissima a salire da lei. La balena era lunga due miglia, dice Astolfo. Lui sale sull'isoletta, che è il dorso emerso del cetaceo enorme, e questa balena parte sparata e in un giorno e mezzo lo porta nell'Isola d'Alcina.
Qui ci sono due versioni. La prima è questa detta di Ariosto, per Matteo Maria Boiardo invece l'Isola d'Alcina è sul dorso stesso di una balena. Due miglia sono circa 3 km, l'isola di Bermuda è lunga circa 16 km: meno di 11 miglia. Tolta la testa e tolta la coda...
Be' insomma, così è come appare l'Isola di Bermuda dall'alto
 


Adesso arriva tutta la parte della storia in cui Ruggero dapprima diviene amante della bellissima Alcina, poi giunge la fata Melissa che gli spiega tutto l'inganno (anche perché se no la storia intera che ha raccontato a Bradamante va a farsi benedire). Egli allora si ribella e libera i prigionieri della inebriante seduttrice e diviene amico della sorella Logistilla, fata anch'ella ma della ragione e non della bellezza, della voluttà e della lussuria come Alcina.
Melissa istruisce Ruggiero su come si pilota l'ippogrifo e quando Ruggero parte per tornare dove si combatte, (“ A riveder Ponente... ” anche noi ancora oggi chiamiamo l'Europa ' l'Occidente ' ), si muove verso occidente e tutti i critici hanno dapprima collocato l'Isola d'Alcina nell'Oceano Indiano (uno addirittura in Giappone) dimenticando che anche le Americhe erano dette Indie occidentali, e quindi trovano logico che per tornare egli vada verso occidente. Del resto lo dice anche Ariosto che va da oriente a occidente come fa il sole.

Quindi partì Ruggier, ma non rivenne
per quella via che fe' già suo malgrado,
allorché sempre l'ippogrifo il tenne
sopra il mare, e terren vide di rado:
ma potendogli or far battere le penne
di qua di là, dove più gli era a grado
volse al ritorno far nuovo sentiero
come, schivando Erode i Magi fero.

Al venir quivi, era, lasciando Spagna
venuto India a trovar per dritta riga
là dove il mar oriental la bagna*;
dove una fata avea con l'altra briga.
Or veder si dispose altra campagna
che quella ove i venti Eolo instiga,
e finir tutto il cominciato tondo,
per aver, come il sol, girato il mondo ”.

( I, X, LXIX-LXX)
    *L'Atlantico è a est delle Americhe
Ma i critici dimenticano che tutta l'umanità ha sempre saputo che il pianeta Terra è sferico e non piatto, così come tutti sapevano che il Sole era al centro del sistema solare. Solo che noi percepiamo il terreno come piatto e, data la non poco rilevante evenienza che viviamo sul pianeta Terra, tutti hanno sempre considerato la Terra come il centro del nostro universo.
Invece Ruggero fa esattamente il giro attorno al Pianeta e muovendosi verso occidente passa l'Oceano Pacifico e poi vede, e Ariosto le enumera (Catai, Himalaya, Mar Caspio, Russia Polonia, Ungheria, Germania, Inghilterra), tutte le terre dell'Asia, finché giunge in Europa.
Si muove sempre verso occidente e non fa avanti e indietro. Da est a ovest esattamente come il Sole.
Per ultimo si nota che l'ippogrifo, che è un animale e non una macchina, precisa ser Ludovico, però spara, ed è guidato muovendo la mano su un libro e dando dei comandi, che Ruggero non sa usare: e dunque nel suo viaggio di andata non sa pilotare l'ippogrifo.
Ma a Ruggero è andata bene perché a ovest di Bermuda cosa c'è? Il famoso triangolo omonimo, dove scompaiono gli aerei, secondo la leggenda...

Alcina.
quivi si forma quel suave riso,
ch'apre a sua posta in terra il paradiso. ”

R.P.

Posteris memoria mea

sabato 19 ottobre 2019

Canto sumero

In occasione del 19 ottobre, data importante per me, presento, a quei pochi giovani non decerebrati e alle pochissime persone che non hanno una cultura da borghesi del cazzo, una buona idea che mi è venuta riguardo alla forma della poesia. Si chiama “ canto sumero “ e si rifà ai canti più antichi di amore e morte di quel popolo o sia degli argomenti della vita. È pensato come alternanza di versi più brevi con versi più lunghi, qui settenari con endecasillabi. È tutto da definire, come schema, però presenta delle buone possibilità di espansione. L'alternanza della lunghezza dei versi, la ripetizione retorica e declamatoria (forse in origine musicale) da un lato permette di creare una certa suspence, un'attesa del formarsi del canto, dall'altra prende il posto dei lacerti che si trovano negli originali.
 
Ascoltano i meli. 
Cosa ascoltano i meli? 
Cosa ascoltano i platani e i pioppi?
 
Che ascoltano gli alberi 
quando con le cime 
ondeggiano seguendo il vento?
 
Ascoltano le vicende del mondo, 
portate dal vento e viste dal cielo. 
Il cielo che vede tutto da sopra.
 
Cosa vede il cielo? 
Vede, il cielo, dal cielo, 
ciò che da sempre accade sulla terra:
 
vede qui gli amori, 
vede là la guerra. 
Vede l'acqua che scorre nel suo corso,
 
l'erba che cresce, il bosco e la foresta 
la sabbia del mare e i piedi dei monti 
e l'uomo che ogni cosa calpesta.
 
Cosa vediamo noi? 
Cosa ci dice il vento? 
Cosa, a noi, sulle cime dei meli?
 
Sulle cime dei faggi e dei pioppi 
vediamo il cielo che sempre è su di noi, 
vediamo le stelle che son sopra di noi.
 
Sentiamo ciò che il vento ci dice, 
udiamo quel che accade nel cielo, 
sentiamo di che si parlano gli Dei.
 
Ciò che essi ci dicono. 
Se la Dea vuol parlarci 
si rivolge a noi con l'infinito.
 
Le sue parole le porta il vento 
e lei ci parla con l'infinito: 
l'infinito è come lei ci parla.
 
(schema: canto sumero 7-7-11 7-7-11 11-11-11 7-7-11 7-7-11 11-11-11 7-11-11 11-11-11 7-7-11 11-11-11)

Allego un video dei miei, tratto dal “ Delirio amoroso “ di Georg Friedrich Haendel. 


NOTIZIARIO 

Una poesia di Marina Cvetaeva di attualità oggidì.
 
I lettori di giornali
Striscia il serpe sotterraneo,
striscia, trasporta gente.
E ciascuno con il suo
giornale (con il suo
eczema!) tic da ruminante,
cancro osseo dei giornali.
Masticatori di mastici,
lettori di giornali.

Chi, il lettore? Un vecchio? Un atleta?
Un soldato? Né lineamenti, né visi,
né età. Scheletro – poiché non ha
viso: un foglio di giornale!
Di cui tutta Parigi
dalla fronte all’ombelico è vestita.
Lascia stare, ragazza!
Metterai al mondo
un lettore di giornali.
Dondolando – “vive con la sorella”
ruttano – “ha ucciso il padre!”
Si dondolano, il nulla
si pompano dentro.
Che sono per questi signori
il tramonto oppure l’alba?
Divoratori di vuoto,
lettori di giornali!

Di giornali, leggi: di calunnie;
di giornali, leggi: di sprechi.
Ogni colonna, una diffamazione
ogni capoverso: disgusto...
Oh, con che cosa vi presenterete
al Giudizio Universale, all’altro mondo?!
Arraffatori di minuti,
lettori di giornali!

“E’ partito, sperduto, sparito!”
E’ antica la paura delle madri.
Madre! Dei Gutemberg la presse
è più terribile della polvere di Schwarz!

Davvero meglio al cimitero
che nel marcio lazzaretto
dei grattatori di scabbie,
lettori di giornali!

Chi i nostri figli
fa marcire nel fiore degli anni?
I miscelatori di sangue,
gli scrittori di giornali!

Ecco, amici – e anche
più forte che in queste righe! -
che cosa io penso quando
con il manoscritto in mano

sto davanti alla faccia
(posto – più vuoto non c’è)
sicché dunque alla non faccia
di un redattore di giornalistica immondizia.
 
Un saluto ai pochi che leggeranno questo post e un abbraccio ai pochissimi degni del mio abbraccio. 

R.P. 

Posteris memoria mea