Si tratta di
un romanzo ambientato nel XV secolo in Giappone con personaggi e luoghi di
fantasia. All’interno della narrazione sono disseminati, come dei fermo
immagine, dei tanka che commentano e arricchiscono di evocazione gli
accadimenti. Ho voluto qui riprendere la tradizione di commentare con della
poesia la narrazione in prosa.
È la storia di
un maestro di spada che è incaricato dal suo signore di compiere una missione:
si tratta di trovare un ribelle e ucciderlo.
Il samurai
parte sicuro ma nel corso della vicenda le persone che incontrerà e le vicende
gli renderanno meno chiaro chi sia il ribelle e in cosa consista la ribellione.
Come tutti i
romanzi che ho scritto è un romanzo di avventure nelle quali chi vorrà potrà
leggere anche delle riflessioni e spunti di interesse anche molto lontano da quello
che la storia dice.
Presento il
primo capitolo che inquadra la trama e mostra il significato dell’inserimento
dei tanka.
Presento tre paragrafi del primo capitolo che
inquadra la trama e mostra il significato dell’inserimento dei tanka.
Capitolo I
La missione
I
Akiyama
Shiroichi, figlio di Shirokichi, del clan Akiyama, maestro di spada nel
castello del daimyoo Biwa’an no Kodaibi Jiroo, nel quale feudo era compresa la
città di Tebe a settentrione del Lago Biwa, era pronto per la sua lezione quotidiana.
Su c’è un castello,
giù uno spicchio di lago,
e i cormorani.
Fumo sale dai tetti:
quello è il mio paese.
Tebe si trovava all’imboccatura della
baia, detta allora appunto Biwa’an, posta all’estremo settentrionale del Lago
Biwa ed era una città sorta per dare ricetto ad alcune corporazioni di
lavoratori: artigiani, pescatori, allevatori di cormorani per la pesca. Le
campagne ospitavano risaie e boschi prima di salire sui monti. Tutte le terre
intorno alla baia erano sotto il controllo del daimyoo Kodaibi Jiroo. Sue in
particolare le contrade dalla parte occidentale, mentre il versante orientale
era diviso fra i possedimenti di tre clan legati al maggiore. Più vicino alla
costa c’era un villaggio chiamato Tatsuryu e verso le montagne i borghi di
Sambonmatsu e Akiyama, quest’ultimo verso il valico fra i monti. Molto vicina
al lago Biwa, ma dalla parte opposta, all’estremità sud, c’è Kyoto.
Attendendo l’ora della lezione, Akiyama
osservava il suo unico figlio Ichimaru giocare nel giardino. Il bambino si
divertiva a strappare i fiori rossi delle azalee, il padre scosse la testa
pensando che il figlio non avrebbe dovuto. Voleva riprenderlo insegnandogli che
in ogni cosa dimora una divinità e se l’azalea era fiorita significava che il
kami che fa fiorire le piante voleva mostrarsi in quella forma, se si era
un’ape il proprio compito sarebbe stato di suggere, per un uomo godere la
bellezza della fioritura e meditare sull’arrivo della primavera.
La vita scorre,
lo spirito la segue:
devi coglierla
prima ch’essa svanisca
nel continuo fluire.
Lasciò perdere un po’ per la puerilità
del figlio, che aveva allora sette anni, e in parte per la naturale riluttanza
che gli uomini avevano nell’occuparsi dell’educazione dei figli almeno fino
all’età adulta che, nella classe dei bushi, era fissata a quindici anni. Del
resto gli faceva tenerezza Ichimaru che svolazzava per casa e per il giardino
con la sua nuovissima hakama corta e larga, ancora un po’ rigida come le ali di
un aquilone. L’aveva ricevuta nell’autunno trascorso durante il rito del primo
taglio di capelli. Il padre gli aveva donato una piccola boken che Ichimaru si
era messo subito in cintura, ma quando correva spesso ci inciampava.
Buffa farfalla,
invece di succhiarli
spezzi i fiori
Attenta a non trovarti
senza cibo all’inverno!
Akiyama era il quarto figlio di suo
padre, il primo era succeduto al genitore alla guida del clan, il secondo era
morto in guerra e il terzo collaborava nella gestione del feudo famigliare.
Shiroichi era divenuto maestro d’arme molto stimato nel suo e in tutto il
feudo, la sua fama era giunta anche a Kyoto. Come seconda e ultima nata c’erano
due sorelle maritate con bushi degli altri clan. Poi venne Taisio, cioè ‘
l’ambasciatore ’, come veniva appellato un po’ scherzosamente il funzionario
che recava gli ordini del signore del feudo, e disse che il vassallo, Kodaibi
sama, chiamava Akiyama a rapporto.
Egli andò nella sua stanza, si spogliò
dei vestiti per la pratica e indossò l’abito per le udienze con il mon del clan
di Biwa’an: in un cerchio di foglie di salice vi era un rettangolo con una
fascia orizzontale scura, che rappresentava una di quelle tende per delimitare
un recinto militare, Sopra mise la hakama ufficiale che per la famiglia Akiyama
era color prugna.
Salì al castello dove i valletti lo
introdussero nello studio del daimyoo. Kodaibi stava sopra una bassa pedana e,
appoggiato su un bracciolo, leggeva un documento steso a terra davanti a sé.
Gli indicò di accomodarsi, il maestro si sedette fuori della pedana su un
cuscino di paglia rotondo posto a destra del daimyoo e attese.
Kodaibi Jiroo era il daimyoo, il
fratello, Oo Biwa’an no Kodaikioku Ichiroo sama, era il rappresentante a corte
del feudo presso l’Imperatore.
Il falco ha nido
sulle vette dei monti
e la cicogna
sui camini dei tetti:
ognuno ha il suo trono.
Infine Kodaibi si mette dritto e si
rivolge a Akiyama “ Devi andare in missione per me, perciò t’ho chiamato. Devi
trovare un uomo e ucciderlo ”.
Akiyama annuisce con un inchino “ Perché
avete scelto me e non un sicario ”.
“ La tua perizia di schermidore e il tuo
acume tattico, sia per trovarlo sia per ucciderlo, è necessaria. Ho ragione di
pensarlo. Ascolta. Sango detto Kurobata del clan Kaishoo si chiama l’uomo che
devi uccidere. Questo clan non esiste più, è stato distrutto dopo la battaglia
di Nootani dall’armata dello shoogun. È giunta una notizia importante: un gruppo
di essi si sono offerti ad appartenenti del clan Ishibei di Seitoo a venti ri[1]
a nord di Morioka. Kurobata li sta raggiungendo per ricostituire il clan e
formare un’alleanza con i signori locali. Vuole sconfiggere i fedeli alleati
dello shoogun e porre sotto controllo la zona per obbligare Yoshimasa a muovere
guerra contro di loro, perché da lì vogliono invadere la Yuki no Chihoo[2]
e cercare alleanze di intere regioni o parti di esse. Noi dobbiamo difendere lo
shoogun ma, cosa più importante, presso di lui deve essere nostro il merito.
Kurobata è il condottiero e la mente di ciò che resta del clan Kaishoo: senza
di lui i suoi uomini non sono in grado di riunirsi, non si possono fare le
necessarie alleanze e nessuno può rischiare la conquista dello Yukino. Vedi
bene la sua importanza. Il clan Makkataka ha saputo queste notizie prima di noi
e sono già sulle tracce di Kurobata Sango. Noi dobbiamo arrivare prima di loro
o si prenderanno il merito presso lo shoogun. Fai attenzione: Kurobata è un
ottimo tattico, un grande spadaccino e un uomo molto scaltro. Hai bisogno di
tutta la tua abilità per riuscire ”.
Da una porta laterale entra un notabile
del feudatario che aveva il compito di dare tutti i particolari della
questione. Akiyama si inchina al suo sire e segue il funzionario.
Escono dallo studio del daimyoo e
scendono in una sala dove li attende una dama di compagnia che stava preparando
il tè.
Gli uomini si siedono uno di fronte
all’altro, la donna serve la bevanda e se ne va subito dopo.
Mentre l’alto funzionario sorbiva il tè,
Akiyama, che aveva familiarità con quell’uomo, chiede “ In tutta confidenza,
Kusari san, di Kurobata Sango, da chi si è saputo? ”.
Kusari non alza gli occhi dalla tazza “
Da alcuni informatori che ci hanno offerto le notizie per compenso… Sono dei
ronin, fuorusciti del clan Makkataka. Gente dappoco, espulsi per indiscipline
continue ” si gira verso la finestra imbarazzato “ Non è una grande fonte di
informazione, lo riconosco … tuttavia per voi sarebbe cambiato qualcosa? ”.
È un ordine,
è arrivato dal sire,
è stabilito,
posso solo mettere
la mia vita al comando.
“ Assolutamente nulla ” concluse Akiyama
“ L’ultimo posto in cui hanno visto Kurobata? ”.
“ A Nisimaru, sulle montagne di Nagame,
vicino a Ueda… ”.
I due uomini parlarono sulla vicenda in
modo che l’onorevole Kusari poté dare a Shiroichi tutte i dettagli a sua
conoscenza, poi si salutarono e Akiyama tornò verso casa.
II
Il
maestro lasciò i sandali e entrò in casa, subito arrivò la domestica a cui
chiese di chiamare la moglie.
Akiyama era sposato con Zimi Midori,
appartenente a una famiglia nobile e facoltosa. Era una donna dolce, dal
carattere semplice, gli piacque subito e anche dopo il matrimonio le cose
andarono bene, anzi, come avevano detto i genitori: prima viene il matrimonio e
poi arriverà anche l’amore e così era stato.
A Shiroichi, dopo le lezioni di spada,
rimaneva parecchio tempo libero e pur coltivando tutte le passioni di un bushi
poteva ancora trascorrere buona parte della giornata con la moglie. Stavano
volentieri insieme, evitavano di discutere di cose inutili e parlavano
soprattutto del figlio. Ogni tanto passeggiavano nel giardino o nel parco del
castello dove ritrovavano le piacevoli ciarle di quando erano fidanzati.
Le lasciava molta libertà, non era
geloso, nonostante Midori, se lo avesse voluto, potesse risultare una donna
affascinante, era padrona in casa e di andare e tornare ogni volta che lo desiderasse
in visita ai parenti e alle amiche oppure in città per gli acquisti. Anzi,
doveva andare in città perché su una cosa Akiyama era intransigente: non voleva
mercanti per casa.
Entrò bellissima perché era appena
tornata da una visita di cortesia, con un lungo kimono del verde degli aghi di
pino in quella stagione, sotto al quale si vedeva l’orlo degli altri quattro,
di diversi colori di ricchissima stoffa cinese ricamata, la fusciacca era blu
profondo e tagliente. Naturalmente Midori si vestiva quasi sempre di verde[3].
Lui era in abito da udienza e si fermarono un momento ad ammirarsi
reciprocamente.
Restiamo fermi
a guardarci attoniti
come al bunraku [4]:
nobile cavaliere,
affascinante dama.
Akiyama andò nella sala seguito dalla
coniuge, si sfilò la spada dalla cintura e si sedette vicino alla finestra.
Spiegò alla moglie che doveva partire in missione, subito, ma non sapeva quanto
sarebbe stato via. Per il momento avrebbe dovuto fare un viaggio fino a Ueda e
poi in conseguenza degli esiti della sua spedizione. Le disse che partiva
tranquillo poiché aveva piena fiducia in lei.
Come il flutto
si cela nell’anfratto
della costiera,
dentro buio rimbomba,
così lei nel suo cuore.
Akiyama preparava i bagagli mettendo
nella custodia la katana, una lama di riserva, il wakizashi, poiché immaginava
di dover combattere anche in spazi chiusi e ristretti, anche se non avrebbe
voluto potendo scegliere, e un tanto[5].
Niente arco e frecce o lancia, da un lato per non destare troppa curiosità e
poi perché avrebbe dovuto uccidere Kurobata da vicino per essere sicuro della
sua fine e riuscire a portare la sua testa al daimyoo. Ogni lama fu
accuratamente avvolta in un drappo di seta viola e poi racchiusa in un guaina
di cuoio perché voleva muoversi solo con il suo cavallo Ga[6]
per essere più veloce.
Il suo animale si chiamava così per il
mantello sauro molto chiaro e la criniera bionda, come certe farfalle notturne.
Mio destriero,
la tua chioma bionda,
crepuscolare,
mi trasporta nel sogno
come ali di falena.
Portava con sé anche poca roba d’altro
per lo stesso motivo e anche perché sperava che la missione sarebbe stata
rapida. Solo per precauzione decise che avrebbe indossato durante gli
spostamenti una cotta di cuoio, del tipo di quelle che si usavano per la
caccia, ma nessun’altro tipo di armatura. Era in missione speciale e non doveva
dare nell’occhio.
III
L
|
a notte, Akiyama aveva pensato a come
affrontare la prima parte dell’incarico: trovare Kurobata Sango. La cosa più
semplice era quella di andare subito a Ueda e chiedere informazioni sui suoi
spostamenti successivi. Il ribelle aveva un certo vantaggio ma non era poi così
lontano, soprattutto andando a cavallo, pure non gli sembrò una buona
strategia.
Per prima cosa pensò che il clan
Makkataka era allo stesso modo alla ricerca di Kurobata e, anche nell’ipotesi
che fossero all’oscuro delle intenzioni di Kodaibi, dopo pochi giorni
l’avrebbero saputo, visto che muovendosi sulla strada per Nagame si
attraversavano i loro territori. A quel punto l'obiettivo dei Makkataka sarebbe
divenuto lui e non Kurobata.
Non si poteva del resto escludere che
anche lo stesso Sango venisse a conoscenza di quanti lo inseguivano: andava
verso un clan preciso e intendeva ricomporre i suoi cofamigliari, dunque aveva
degli informatori che, sapendo dove andare, sarebbero stati infinitamente più
veloci di lui, figuriamoci se le notizie fossero volate di bocca in bocca.
Qualora la caccia si fosse messa sul
piano dell’inseguimento puro e semplice, Sango avrebbe goduto di due vantaggi:
o lo menava per il naso muovendosi in modo imprevedibile e irrazionale finché
Shiroichi fosse caduto in un errore, oppure sarebbe volato dagli Ishibei per
paura di non arrivarci più, mentre fino a allora sembrava chiaro che i suoi
movimenti fossero in relazione con obiettivi di dettaglio da completare prima
di essere a destinazione. Una volta inserito nel clan Ishibei sarebbe stato
impossibile ucciderlo. O meglio, dato che Akiyama era un bushi, ma anche un
samurai di Kodaibi, e per un samurai era impensabile andare dal suo signore e
dichiarare l’impossibilità a compiere la missione, avrebbe dovuto ucciderlo
ugualmente epperò a prezzo della sua vita.
Fu colto da un dubbio. Se ciò fosse un
particolare da non tenere in conto, se fosse una debolezza anteporre la propria
vita alla riuscita della missione. Si tranquillizzò ricordando le volte che
aveva combattuto per il clan di Biwa’an senza preoccuparsi della sua
sopravvivenza e riflettendo sul fatto che il senso del suo compito era sì di
uccidere Kurobata, ma prima che avesse completato il suo intento, altrimenti
sarebbe stata una vittoria inutile.
Allora pensò una cosa. Avrebbe cercato
di far credere a Kurobata che in realtà lo stesse cercando non per ucciderlo,
ma per saperne di più sulle sue intenzioni e dunque, fattasene un’idea, avrebbe
deciso se ucciderlo o lasciarlo andare.
Era credibile perché erano sette anni
che Shiroichi svolgeva il compito di maestro di spada, dunque era affermato ma,
per così dire, non ancora consacrato, perciò anche in caso di insuccesso della missione
avrebbe potuto cavarsela con il suo padrone oppure lasciarlo e accasarsi come
maestro in qualche altro clan, a Kyushu per esempio. Non c’era ombra di
sospetto di tradimento, semplicemente non aveva fatto in tempo a raggiungere
Kurobata, e la sua famiglia non sarebbe stata colpita da disonore e il suo
volontario esilio in terre di lontana provincia sarebbe stato sufficiente come
riparazione. Messa in questo modo, del tutto realistico, anche lo stesso
Kurobata poteva cascarci. Era un buon piano, accidenti!
Doveva però ammettere con sé stesso che
in verità era perplesso. Non c’erano fatti che comprovassero la ribellione di
Kurobata, tutto era nato da informazioni casuali e da conferme labili che però
Kodaibi aveva subito prese per buone. Non aveva dubbi sul suo signore, tuttavia
era un altro buon motivo per non buttarsi imprudentemente a sfidare Kurobata
senza avere chiaro tutto il quadro di riferimento. Se Kodaibi gli avesse
chiesto di andare da solo contro un esercito di nemici non avrebbe potuto esimersi,
tuttavia qui il suo signore gli aveva affidato una missione e dunque poteva
rimettersi alla sua discriminazione su come e quando assolvere il compito.
Con quella strategia poteva conoscere il
suo avversario e cercare di portarlo allo scontro nel luogo e nel momento
migliori.
Doveva muoversi come colui che ha una
missione da compiere in segreto, ma allo stesso tempo tradirsi con
comportamenti non congrui. Questo avrebbe incuriosito Kurobata che sarebbe, in
qualche modo, rimasto sul campo per attenderlo. Tutti sapevano che Kurobata era
un ribelle: non che avesse tutto il Giappone che gli andava appresso, ma non
sarebbe apparso strano che un po’ di gente cercasse Sango, per un motivo o per
un altro e lui, per tentare ciò che aveva in proposito, doveva essere un tipo
d’uomo che amava l’azzardo. Se fosse stato capace di incuriosirlo o di far
nascere in lui un motivo di astio nei suoi confronti, sarebbe riuscito a
indurlo a fermarsi o addirittura a tornare sui suoi passi.
Considerando che il clan Makkataka lo
braccava con tutto il peso della sua forza militare e della sua ambizione, era
probabile che Kurobata sfruttasse l’occasione che Shiroichi gli metteva a
disposizione, poteva allearsi, per dir così, con il nemico più debole per
sfuggire a quello più forte.
La cosa principale era di evitare che
Kurobata, sentendosi il fiato sul collo, andasse a rifugiarsi dagli Ishibei,
rimandando le sue operazioni a dopo l’accordo con loro.
Akiyama pensò che era quello che avrebbe
fatto lui se si fosse trovato nei panni di Kurobata, ma cominciava a pensare
che Sango fosse un uomo diverso da lui.
Trentasei anni:
cosa so della vita?
di ciò che accade?
Fuori dall’obbedienza
e dal senso d’onore?
La prima cosa che avrebbe fatto
l’indomani sarebbe stata quella di presentarsi al daimyoo di Iwashiro, sulle
montagne di Fukui, alleato del suo signore e fare palese la sua missione, che
di certo era approvata da tutti i daimyoo amici della regione, i quali avevano
affidato l’incarico a Kodaibi. Una manovra strana che lo allontanava dalla via
per Nagame e che non sarebbe sfuggita né a Kurobata, avendo così la prova se
avesse o meno degli informatori, né al clan Makkataka, che si sarebbe fermato
nel suo inseguimento per appurarne il motivo.
Infine venne Midori, con il kimono
slacciato come di chi si sia alzata dal letto e un piccolo lume, a blandirlo
per convincerlo a coricarsi.
Gli fece capire che, dal momento che
quella sarebbe stata l’ultima sera insieme per un po’ di tempo, forse si poteva
attendere la mattina in qualche altro modo che non a pensare al buio.
Shiroichi, che era molto indulgente sulle debolezze delle donne, accondiscese a
seguire la moglie.
Fra quanto tempo
vedrò ancora il tuo viso
così arrossato
dalla tremula luce
di resina di pino?