venerdì 27 gennaio 2017

Leggere un'opera d'arte 3: Schönbrunn e altri barocchi



Cari brutti anatroccoli del mio cuore eccomi di nuovo a voi (se non vi appalesate per altro vi posso chiamare così).
Oggi è il compleanno di Wolferl, quindi facciamoci un piccolo regalo prima di cominciare. Ho scelto un lied di Mozart che si intitola “Abendempfindung” che significa ‘sensazioni della sera’. Ho voluto mettere una composizione minore. Questi lied non erano arie operistiche famose rifatte o riviste come si usava allora, si tratta di composizioni più leggere e di pura melodia. Erano davvero le ‘canzoni di Sanremo’ del tempo: per dire di quanto siamo caduti in basso.
Nel video vedrete un ritratto della famiglia Mozart e uno di Wolfgang. Li ho messi perché a detta del padre Leopold sono quelli in cui i soggetti risultano più somiglianti alla realtà. Wolfgang ha in entrambi sui quattordici o quindici anni.
Già che ci sono vi faccio notare due cose, in sé banali, ma che non sembra siano considerate quando si parla di Mozart.
La prima è che Mozart non è un compositore austriaco, ma tedesco. Oggi Salisburgo rientra nell’Austria, ma al tempo era un principato indipendente. Mozart visse a Vienna dal 1781 al 1791: sono dieci anni su trentacinque di vita. Non solo ma il padre Leopold era tedesco di Augusta, la madre era di Sankt Gilgen, un paesino sui monti di Salisburgo.
La seconda è che Mozart non è un pianista. In tutta la sua breve vita non fece in tempo a provare un pianoforte. Molto di quello che ha composto per tastiera è stato suonato su un clavicembalo o uno strumento simile, poi cominciò a comporre ed eseguire su un fortepiano. I primi anni a Vienna se lo faceva prestare dalla baronessa von Waldstätten sua protettrice. Il fortepiano aveva un meccanismo, che si azionava dapprima col ginocchio e poi a pedale, che poteva riprodurre un certo effetto di forte. In ogni caso il suono era più martellato e meno duraturo dei pianoforti successivi, anche perché mancava la copertura armonica che c’è oggi sui pianoforte a coda.
 

Detto questo: play and enjoy.

Affronto con questo post un argomento interessante che si potrebbe riassumere con questa domanda: come attribuire un’opera d’arte a un periodo stilistico?
Fate finta di niente, ma è una delle domande che girano nel vostro cervelletto...
Buttate un occhio a questo edificio. Vi prevengo che parlerò solo di facciate in questo post.

 

Palazzo di Schönbrunn

A un occhio inesperto, o anche esperto, appaiono una serie di informazioni contraddittorie. Quali sono? Rispondete al quesito... 

Scherzo! Locconi di papà...
 

A tutta prima uno direbbe di getto: è un’architettura neoclassica. Però ci sono una serie di anomalie che ho evidenziato in rosso. Invece in verde ci sono anche altre cose sicuramente classiciste.
Poi dite che non vi voglio bene...


 

Avete già capito? OK bene, allora ciao e statemi bene. Al prossimo post...
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Come? Uno/a di voi non ha capito?
Allora glielo spiego con piacere. Basta chiedere.

Questa meravigliosa architettura è il Palazzo o Castello di 
Schönbrunn a Vienna del grande architetto austriaco Johann Bernhard Fischer von Erlach.
La facciata, composta da cinque volumi, è perfettamente simmetrica non ostante l’enorme dimensione. 

Ripercorrendo il metodo che ho illustrato nei post precedenti di questa serie, si evidenzia al primo piano degli elementi compositivi della facciata una struttura di lesene e architrave. Sono un ordine doppio di lesene ioniche e trabeazione relativa. L’ordine poggia su un basamento a bugnato regolare. Al coronamento c’è una balaustra che regge delle statue. Sembra tutto regolare, anzi potremo azzardare un richiamo diretto all’architettura manierista italiana: Michelangelo, Giulio Romano ecc... (lasciate perdere il Palladio se no la confusione aumenta).
Ci sono perfette soluzioni d’angolo e finestre rettangolari correttamente dimensionate per lo stile di architettura preso a riferimento.
Sono gli elementi che ho evidenziato in verde.
Tutto bene no? Eh, mica tanto... Dai uno sguardo agli elementi che ho evidenziato in rosso. Partiamo dal più evidente, che appartiene a un piano che non è quello della facciata, il sistema delle entrate. Qui abbiamo una grande scala doppia con rampe curvilinee che confluiscono in cima nel terrazzo di ingresso, sempre con balaustra e che porta via cinque campate. Se guardi agli ingressi dei corpi laterali vedrai che l’entrata è preceduta da un piccolo propileo, perfettamente classicista rinascimentale. Gli ingressi sono staccati dalla facciata dal cromatismo bianco che li rende ancora più visibili.

Il problema è che in un’architettura classicista non ci può essere una scala? Certo che no: nell’architettura romana o ellenistica ci sono scale che portano alla quota della nave del templi. Il problema è che non erano fatte così, anzi per meglio dire il problema è che queste sono fatte così, cioè come quelle nel periodo barocco
Confutazione: sono quelle del Campidoglio di Michelangelo. Giustissimo, dunque ci bastano a dire che sono manieriste, cioè classiciste, e che dunque l’edificio non è neoclassico. Ma perché? Vediamo.
 

Piccolo inciso per gli architetti in visione: questo vuole essere un post molto didattico. Lo so che avete già la risposta delle risposte, ma oggi mi sento maieutico e socratico. La risposta delle risposte, la madre di tutte le risposte arriverà solo alla fine del percorso di analisi. Se poi non siete d’accordo sul metodo di analisi del pezzo, mi scrivete e ne parliamo. Questo inciso vale anche per gli storici dell’arte, ma solo quelli intelligenti.
 

Procediamo coi rettangoli rossi. Al centro della facciata, in mezzo alla balaustra, c’è un tondo sormontato da una centina spezzata. Ahia! chiaro indizio barocco... stesso per il trattamento delle aperture ad arco fra un modulo delle lesene. Che si vedono pulite nel quadratino subito dopo la scultura della fontana. Anche qui nulla di strano: finestre grandi come tutto lo spazio fra le lesene sono un’invenzione di Giulio Romano, nella sua casa di Mantova. Ma poi questa soluzione prende frequenza nelle architetture barocche...
Di solito però, le aperture barocche sono molto più grandi di quelle che si vedono sulla facciata di Schönbrunn. L’indecisione serpeggia...

Guarda un po’ le altre finestre. Ce ne sono certe che hanno una cornice che non è di sicuro neoclassica per esempio proprio quelle in mezzo ai capitelli della parte centrale dell’ingresso (rettangolo verde in alto, ingrandisci un po’ e vedi un rettangolino rosso). Stesso subito sotto, sempre nelle cornici delle aperture ad arco e anche in quelle del lato ortogonale dell’ala (rettangolino rosso a destra).
Insomma è un edificio che propone degli stilemi classicisti e altri barocchi. Il Barocco utilizza gli stessi elementi di linguaggio del Rinascimento ma in un’accezione molto libera, inedita, tanto da essere collocato fra gli stili anticlassici. In realtà studi approfonditi, come quello di Paolo Portoghesi su Borromini, hanno dimostrato che certe soluzioni derivino da architetture romane di epoca tardo imperiale. Un po’ come se i Romani si fossero stufati del purismo greco. Però per altri versi è innegabile che il Barocco ha in sé una logica anticlassica o almeno post classica appunto

Uno potrebbe dire: e se questo fosse un edificio neoclassico, magari fra i primi, e mantenesse delle soluzioni divenute abituali nel precedente periodo barocco? Antitesi: di solito un nuovo stile e un nuovo periodo di linguaggio architettonico portano con sé un’intransigenza stilistica tipica delle nuove ideologie. Però non è un’ipotesi impossibile a verificarsi, tutt’altro. Il dubbio rimane...Allora, ceteris paribus, cosa possiamo dire? Che dalla sola osservazione del manufatto architettonico, non siamo in grado di attribuire con certezza il periodo architettonico di questo edificio.
Dunque dobbiamo fare riferimento a qualche dato aggiuntivo alla sola analisi formale. Per esempio la storia. Non so se hai notato, ma non ti ho ancora detto la data di costruzione del Palazzo di Schönbrunn.
 

A questo punto il metodologo di turno potrebbe commentare che sono un gran bastardo a prendere proprio Fischer von Erlach come esempio per fare questo discorso. È vero sono stato un po’ carogna, ma l’artista si presta a interessanti considerazioni rispetto a quanto dirò in seguito e poi, avvisando di lasciar perdere il Palladio, in fondo ho indicato il pericolo sulla via. Dirò di più, sto prescindendo dalle analisi specifiche sulla storia di ‘questo’ pezzo di Castello di Schönbrunn che è un complesso enorme e articolatissimo, nel tempo e nello spazio, non è il mio scopo, ho estrapolato una pelle per mostrare le difficoltà di attribuzione solo sulla base del linguaggio architettonico, che pure rimane la via più certa di lettura di un’architettura. A volte non basta, almeno per essere sicuri. È un esercizio didattico quello che propongo.

Bene, riprendo. L’inizio dei lavori del Castello di Schönbrunn è il 1695, dunque il progetto è almeno di qualche anno precedente. E, tutto d’un tratto, scopriamo che l’edificio non può essere neoclassico ma è barocco. Poi la costruzione è andata avanti per un secolo e perciò dicevo che trattasi di esercizio didattico. In ogni caso la costruzione non è andata avanti tanto da poter essere stata influenzata dal Neoclassicismo, e poi ti spiego perché. Al massimo si può parlare di tardo Barocco.
 

Ricordi il post “Il 4 dicembre vota no!” nel quale mostravo il palazzo di Potsdam (di Georg Wenzeslaus von Knobelsdorf, del 1745)? Lì i segni barocchi son più evidenti e non vi erano dubbi sull’attribuzione, poi c’era il confronto diretto col teatro di Berlino che toglieva ogni dubbio.
Teatro di Berlino di Karl Friedrich Schinkel, del 1821, architetto prussiano che fu anche pittore e a cui dobbiamo i forse più bei disegni di architettura di sempre.
 

Schinkel disegno di architettura 

A proposito l’hai capita la differenza fra gli edifici indicati e le architetture proposte? No? Bravo/a, vai avanti così... No, non è che gli edifici sono brutti e le architetture sono belle...Allora, la compresenza di elementi classicisti e barocchi a cosa è dovuta?
Te lo spiego fra un momento, prima però voglio mostrare un’architettura neoclassica, in modo che sia più evidente la coerenza stilistica che manca in Schönbrunn perché si possa definire neoclassica. Come al solito userò degli esempi della mia città, piena di monumenti poco conosciuti ai non addetti ai lavori e anche agli addetti ai lavori.È la Villa Reale di Milano già Villa Belgioioso, di Leopold Pollack, del 1823. Si trova a Porta Venezia, nel complesso dei Bastioni e dei Giardini Pubblici. Pollack, architetto austriaco, fu allievo di Piermarini (che è quello che ha fatto La Scala, e dai su...).

 

Villa Reale di Milano

Ho messo in evidenza gli elementi particolari che aiutano a capire la logica della composizione neoclassica rispetto all’uso di stilemi classicisti all’interno di architetture barocche o tardo barocche. Nota la parte centrale d’ingresso, che ha sempre un ordine ionico doppio. Qui i capitelli e le semicolonne, come anche le lesene nel resto della facciata, sono esattamente come il canone richiede. Anche qui abbiamo delle aperture ad arco larghe quanto lo spazio fra gli elementi verticali, ma la loro cornice è semplice, di conci. Stesso per gli archi del basamento a bugnato in cui è indicato il concio di chiave degli archi. Il timpano che copre le parti laterali della facciata è precisamente disegnato secondo la modalità classica. Anche laddove permangono dei retaggi di tipo classicista, come la decorazione manierista fra le finestre del primo e secondo livello dell’ordine, queste sono contenute entro forme e derivazione classica: sono targhe o se vuoi metope a decorazione classica romana (quasi sempre derivate o dalle grottesche ma ancora di più dall’Ara Pacis). Stesso codice linguistico anche quando la facciata non segue filologicamente i canoni, come ad esempio nella trabeazione che oltre a essere d’invenzione funge ancora da coronamento della facciata prima della copertura. 
Unica eccezione al purismo classico è la presenza di statue sulla balaustra che risolve l’andamento ortogonale delle coperture rispetto ai timpani e la loro altezza oltre la linea di gronda. Ma anche qui una citazione classica è possibile trovarla.
Infatti nell’antica Roma il mestiere dello scultore o dello scalpellino era molto diffuso, portato dal grande afflusso di greci dopo la conquista dell’Ellade. La mano d’opera greca, specializzata in molti mestieri e professioni, si era trasferita a Roma: artisti, letterati, medici ecc.... La produzione di statue era enorme, sculture erano messe ovunque: fra le aperture degli edifici maggiori, nelle piazze, nei fori... Le piazze e le strade di Roma erano talmente ingombre di statue che le leggi imponevano, quando nella via o nella piazza non si passava più, di eliminare periodicamente tutte le statue, un vero ripulisti. Poi in pochi anni la piazza tornava a riempirsi di statue e sculture e si ricominciava daccapo.
In sostanza nell’architettura neoclassica non ci può essere nessun elemento al di fuori di quelli previsti nell’architettura greca e romana, anzi vedremo più greca che romana.
Quindi torniamo al punto: perché invece nel Barocco o tardo Barocco troviamo presenze disomogenee, lo dico senza dare un’accezione negativa a questo termine. È perché nel Barocco c’è maggior libertà espressiva? In parte sì, l’ho già detto. Approfondendo un po’ di più questo concetto si può dire che in realtà non esiste un solo tipo di barocco, ma molti e indipendenti fra loro.
 

Ne abbiamo almeno quattro, giusto per dare delle coordinate poiché anche questi quattro sono declinati in modo molto differente fra loro. Li chiamerò con nomi convenzionali. E andrò col machete nel fare questa catalogazione: non mi rompete troppo le palle, piuttosto mandate immagini a commento o quello che è presente nella vostra città.
 

Il primo è il barocco romano, quello delle mille sculture e forme sovrapposte agli elementi di linguaggio. Anche qui subito grandi diversità possibili, basterebbe fare due nomi fatali dell’architettura: Bernini e Borromini. Gli esempi conviene che te li vai a cercare tu stesso/a altrimenti faccio un post di un chilometro. In questo gruppo rientrano anche i barocchi siciliani e leccese e altri simili.
Il secondo è il barocco francese nel quale sono maggiormente leggibili gli elementi classicisti nella trama di decorazioni. Lo definisco francese perché il prototipo è la Reggia di Versailles, di Jules Ardouin-Mansart (quello che ha inventato la mansarda, bravo/a!) e altri, iniziato nel 1623, di cui mostro un esempio degli interni. È la celeberrima Sala degli Specchi.

 

Castello di Versailles - Sala degli specchi

In questa immagine sono indicati gli elementi classicisti, nettamente leggibili e con un peso ritmico e compositivo discriminante. Le decorazioni plastiche sono sovrapposte, ma sempre in modo da non compromettere la lettura della facciata interna. Poi c’è una delle connotazioni più importanti del barocco: la luce. Grandi aperture, cui qui corrispondono grandi specchi a moltiplicare sia la luce naturale sia quella artificiale ottenuta con i ricchi candelieri e lampadari. A questo tipo di Barocco classicista appartiene anche quello torinese, quello veneziano e altri simili.
Il terzo è un Barocco tutt’affatto particolare ed è quello milanese. Qui mostro il cortile dell’Accademia di Brera, il cui primo intervento sull’antico Palazzo di Brera dell’ordine degli Umiliati fu di Francesco Maria Richini nel 1615 (è suo anche il cortile).

 

Accademia di Brera - Cortile

Chiunque guardi il cortile di Brera lo scambia per un’architettura neoclassica. In effetti il barocco milanese è definito matematico per la precisione e la purezza dei rapporti fra le parti. Per capire che è barocco nota l’uso della serliana per il portico e per il loggiato, e le finte finestre con timpano e centina spezzati. Ammira la soluzione d’angolo ormai perfetta senza bisogno di adattamenti o eccezioni nel fluire dei moduli compositivi. E qui sì che puoi pensare al Palladio.

 

Cortile di Brera - soluzione d'angolo 

In verde ho segnalato l’unica cosa neoclassica: la statua di Napoleone in eroica nudità come le statue greche o romane.
Dicono che i coglioni di Napoleone portino fortuna per passare gli esami agli studenti di Brera, un po’ come porta buono ‘schiscià i ball del tor’ sotto la Galleria: non saprei, ho studiato altrove.
Un altro esempio di questo tipo di barocco è il cortile del Seminario Maggiore in Corso Venezia, di Fabio Mangone, del 1608. Toglie il fiato. Purtroppo non ho trovato una foto più grande e ci ha pure un copyright illustre.

 

Seminario Maggiore - Cortile

Ultimo tipo di barocco è il tardo barocco dove spesso gli elementi maggiori di linguaggio non sono più usati e la facciata è risolta con le cornici delle finestre e dei portoni, più i marcapiani e qualche scultura o bugnato d’angolo. Ho messo lo splendido esempio di Palazzo del Bosco a Siracusa, rifatto da Luciano Alì nel 1779.
Siracusa - Palazzo del Bosco

Per finire accenno a un altro criterio per attribuire un edificio a un periodo. Si possono osservare gli anacronismi. Se si nota un particolare che c’è ma non dovrebbe essere ancora presente poiché introdotto nel linguaggio architettonico successivo si sarà in presenza di un ‘neo’ qualcosa di epoca eclettica (così pure per le incongruenze di stile o geografiche: compresenze di stili troppo lontani nel tempo o nello spazio). Casi a sé fanno le chiese per lo stratificarsi nei secoli di vari interventi.
Per esempio se in un mobile, comunque lo si classifichi in base alle decorazioni o agli elementi architettonici, classicisti e non, che si derivano, è tipologicamente una credenza a vetri, sapendo che l’uso di vani a giorno chiusi con vetro è in uso solo dalla seconda metà dell’ottocento e soprattutto dal primo novecento è chiaro che si potrà trattare solo di un Luigi Filippo, scartando tutti i periodi precedenti.
Così se un edificio presenta a esempio parti in calcestruzzo, armato o no, è di sicuro un ‘neo’ qualcosa o siamo di fronte a un restauro sciagurato.

Ti devo ancora la madre di tutte le risposte, che avrebbe reso inutile questo esercizio che invece è molto interessante aver fatto, anche perché le eccezioni che confermano la regola non si possono mai escludere.
Lo stile o periodo Neoclassico o Neoclassicismo, dove neo è contrapposizione a classicista o ripresa classicista che identifica il Rinascimento e il Manierismo, nasce a seguito degli studi sistematici che Johann Winckelmann compì a Roma e nell’Italia meridionale dagli anni sessanta del settecento e all’incremento che diede agli scavi archeologici in Italia e in Grecia. E per celebrare questa grande novità storica nacque un nuovo stile il quale si poneva verso i modelli archeologici con la volontà di copiarli e riprodurli nelle nuove architetture, senza aggiunte o commistioni. Solo adattandolo alle nuove tipologie che stavano nascendo (per esempio nel Teatro Pubblico di Berlino già visto o nei musei ecc...). Anche eventuali innovazioni dovevano essere poste sotto le ferree regole classiche.
Il nuovo stile si affermò alla corte di Luigi XVI per scelta della regina Maria Antonietta, soprattutto inizialmente negli arredi.
La sua fioritura dunque è databile dalla fine del XVIII secolo.
Poi naturalmente anche questo stile (il cui periodo arriva almeno agli anni trenta del novecento, ma anche oltre la sua influenza si fa sentire) ha avuto il suo sviluppo e le sue vicissitudini ma il concetto di base, la dipendenza dai tipi classici, non è mai venuto meno.
Saputo questo il Palazzo di Schönbrunn non poteva essere neoclassico e qui si sarebbe fermato lo storico dell’arte.

Ma a noi piace fare il viaggio dentro le architetture e le opere d’arte in genere, sapere come funzionano come avrebbero potuto essere, insomma riprogettarle nella nostra mente ancora un po’ per comprenderle del tutto. Dico noi perché se tu non fossi d’accordo non saresti arrivato fin qui.















lunedì 16 gennaio 2017

Un articolo di Pascal Mc Lee su " Nato di Marzo "

Pubblicato su Liguria e dintorni 
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Renato Pagnoncelli, 
un milanese “vicino al mare più azzurro”
 Ciò che Milano ci ha da sempre invidiato è il mare. Hai un bel che dire “Milano da bere "e giù a coniare una serie di slogan che ci raccontano le immagini della giornata milanese,
una città che «rinasce ogni mattina, pulsa come un cuore; 
Milano è positiva, ottimista, efficiente; Milano è da vivere, sognare e godere» 
Eppure Milano in un certo senso ce l’ha il mare. Perché il mare della Liguria è un po’ anche dei milanesi, schiere di vacanzieri che ogni estate la eleggono mèta delle loro villeggiature al mare. Perché il mare è a meno di due ore da Milano.


Anche Renato Pagnoncelli, architetto, ha trascorso in Liguria non solo le vacanze estive per tutta l’infanzia e l’adolescenza (da buon milanese…), ma anche altri lunghi periodi di svago da adulto.
Ed ama Renato la Liguria, tant’è che fra le poesie che egli predilige scrivere, e che fanno parte dell’ultima sua fatica letteraria appena pubblicata, la raccolta “Nato di marzo”, ve ne sono due che rappresentano un omaggio alla terra di Liguria ed al suo mare: “Una conchiglia” e “Vicino al mare più azzurro”.
Entrambe sono comparse nella raccolta “Versi liberi”. La prima racconta di una conchiglia e ricorda in un verso la “Canzone di Marinella” di Fabrizio De Andrè. La seconda, più ermetica, è un flash del fine giornata al mare, quando il sole lambisce e colora di rosso tutto ciò che sfiora.

Una conchiglia

Mi guarda quella conchiglia rossa
fra i mille sassolini bianchi.
Chissà che cosa vorrà dirmi, lassa,
quel cadavere di mare che parla.
La sua bocca asciutta e spessa
sembra tremula come labbri stanchi,
ma dentro romba voce di onda grossa
che ripete, perché possa capirla.
Narra che in sé un tempo era la vita
giace ora morta, vuota eppure saggia.
Un’onda che la vide così seria,
bella color cremisi e screziata,
la gettò senza vita sulla spiaggia
perché potesse raccontare la sua storia.

Vicino al mare più azzurro

Il sole arriva.
Viene rosso al tramonto
onda dopo onda.
Guardo il mare con occhi
più ampi dell’orizzonte.


In questi giorni è stato pubblicato il libro di poesie “Nato di marzo”, che raccoglie una selezione delle poesie che Renato Pagnoncelli ha scritto negli ultimi dieci anni, che sono anche i primi nei quali si è avvicinato a questa forma di espressione. La sua è una poesia che ricerca la semplicità. Versi leggibili, fatti di immagini, sensazioni, emozioni, all’interno dei quali si possono trovare riflessioni sulla vita e sul tempo in cui viviamo.
Biografia
Nato a Milano il 19 marzo 1961, si laurea alla Facoltà di Architettura, nel capoluogo meneghino, il 19 ottobre 1987. L’autore vanta dunque una formazione culturale tecnica e artistica. Come letterato è autodidatta. Ha trasposto la sua esperienza compositiva architettonica precedente in quella poetica come elemento connotante dell’idea stessa di poesia. Una ricerca cominciata per definire una visione e uno spazio alla poesia di oggi. La capacità di visione critica indipendente è l’unica cosa che conta veramente di lui.
Da anni cura il suo blog di poesia “Libera Associazione della Spada”.
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Ringrazio Pascal Mc Lee, Carmen Spigno, gli "Amici nell'arte","Liguria e dintorni" per la gentilezza e la disponibilità.