venerdì 23 settembre 2016

Leggere un'opera d'arte 2 - Lo Spedale degli Innocenti e la Ca' Granda



Secondo esempio, sempre a mia memoria per i posteri, poiché pare che ai contemporanei non interessi, di come svolgere la lettura di un’opera d’arte. Ancora architettonica perché l’ignoranza in questa disciplina regna sovrana, appunto: poiché pare che ai contemporanei non interessi. E non venirmi a dire che queste cose le sai già perché fai la figura di quello/a che non sta capendo nemmeno di cosa si sta parlando.

Le opere d’arte che analizzerò in questo post sono lo Spedale degli Innocenti di Filippo Brunelleschi, a Firenze, e per affinità di tipologia d’uso la Ca’ Granda di Milano.  
Filippo Brunelleschi nacque a Firenze nel 1377 e morì nella sua città il 15 di aprile del 1446.
Gli autori della Ca’ Granda sono molteplici nel corso dei secoli. Conoscete quel modo di dire milanese per indicare quando una cosa inizia ma non vede mai la fine: a l’è la Fabrica del Domm (è la Fabbrica del Duomo)? Be’ qui è una cosa simile.

Lo Spedale degli Innocenti è uno degli edifici cardine della storia dell’architettura. Punto. Il primo forse, senz’altro il primo compiutamente, dell’architettura rinascimentale.
L’architettura rinascimentale è la prima grande rivoluzione in campo architettonico e si svolge dalla fine del XIV secolo, al termine di un lungo periodo, almeno tre secoli, di architettura gotica. Perchè dico la prima. Voglio dire che lo stile gotico viene utilizzato per imitazione dall’europa centrale (Francia prima e poi Germania) durante una fase di importanti trasformazioni sociali e culturali, ma non esiste una consapevolezza del cambiamento artistico se non appunto nell’appartenenza al mondo e alla cultura centro europea. L’architettura ancora precedente si era a mossa in sostanza su diversi modi di vedere il retaggio romano: architettura paleo cristiana, bizantina, romanica. Nella critica d’arte rinascimentale tutti questi periodi erano compendiati ancora sotto la definizione di arte romana senz’altro.
Il passaggio all’architettura rinascimentale invece è il frutto di una precisa ideologia artistica che consiste nel recupero del linguaggio architettonico classico come precipuo della cultura italiana. Il rinascimento è un’esperienza soprattutto italiana in architettura, nel resto d’Europa si continua a usare il gotico senza incertezze. A grandi linee: solo quando in Italia si afferma il Barocco la moda rinascimentale fa i suoi ingressi  nell’architettura europea.

Lo Spedale degli Innocenti era uno dei primi orfanotrofi europei e forse questa sua novità avrà fatto decidere Brunelleschi a rompere gli indugi e presentare la sua rivoluzionaria architettura classicista. Fu iniziato nel 1419 e terminato nel 1451. Ma quello che ci interessa in questa sede è solo una parte del complesso: il portico colonnato che ho evidenziato nella planimetria.

Spedale degli innocenti - planimetria
Oggi sarebbe considerato un caso di facciatismo, ossia di intervento migliorativo della facciata, e considerato indegno dell’architettura moderna: meno male che allora certi problemi stupidi non se li facevano altrimenti non avremmo un capolavoro assoluto. In sostanza l’edificio esisteva già, pure se Brunelleschi intervenne anche nella parte del cortile.
Ti ricordi quando, parlando della Farnesina, ti dicevo che la prima cosa da osservare è il volume? Be’ qui siamo in presenza di un volume puro, se consideriamo solo il portico, anche se la questione, vedrai, è molto più sottile e intrigante.
Per commentare la planimetria è importante notare che la geometria del portico non ha che poche attinenze con lo sviluppo complessivo dell’edificio. Brunelleschi ha fatto tornare delle aperture, porte o finestre, in asse con le luci del colonnato, ma è evidente che il portico appare come un corpo indipendente incastrato nel vecchio. Questo denuncia, in un certo senso, ancora il timore della proposta di uno stile che, seppur riprendente gli stilemi classici che possiamo pensare non fossero mai stati obliati almeno nella conoscenza artistica, era visto come antitetico all’architettura gotica (e in effetti lo è) ed estraneo alla città.
Siamo, in Italia, all’esito del gotico, quel periodo artistico detto tardogotico o gotico cortese (leggi: di corte: deriva da corte nobiliare, non da cortesia). Ti prego di non usare mai, per gli edifici gotici di questo periodo, il termine gotico floreale o fiammeggiante che sono delle puttanate da critico d’arte. Si definisce cortese perché s’ingenera sul cambiamento politico, il quale è anche sociale e culturale ovviamente, che denota il passaggio dall’età comunale a quella delle signorie. Vedremo che per lo stesso motivo sarà concepita la Ca’ Granda, nome popolare del primo Ospedale milanese, lustro della relativamente recente signoria Visconti-Sforza.
Il tipo di volta che vedi in planimetria (c’è un errore: a chi lo trova x euri in premio) è quello detto a creste e vele, dove le creste sono le lunette perimetrali e le vele quella specie di lenzuolo gonfio tenuto per i quattro angoli. Le vedremo meglio dopo.

Passiamo alla facciata che contiene le principali connotazioni del nuovo stile alla moderna.

Spedale degli innocenti - facciata
La cosa che si nota subito e che costituisce il motivo per il quale è un edificio che ci (duale) interessa è che usa gli archi a tutto sesto. In quei secoli si usava l’arco a sesto acuto o ogivale che è il segno distintivo dell’architettura gotica. Dall’uso dell’arco a tutto sesto (non a tutto tondo o Betty piange) consegue tutta una serie di riprese derivate dal linguaggio classico. Naturalmente quello che rende questo portico così importante è che si ha la prima, o una delle prime, riprese di linguaggio in forma compiuta, come vedremo in dettaglio.
Di solito qui c’è il pippone sui moduli e allora facciamolo anche noi (duale). Ma no, è sbagliato! Mi sono subito ripreso...
Come vedi questa facciata è costruita su tre piani... No, non verticali: quelli sono solo due. Tre piani di profondità, anzi quattro per la verità.
Mormorio in sala...
L’intero edificio è molto lungo e nella foto che ho messo non c’è tutto, ma ho evidenziato le lesene a coppie alle estremità della facciata. Si vedono un po’ male perché c’è il monumento di quel signore a cavallo e a sinistra devi immaginarti che ce ne sia un’altra. Sono coppie di lesene composite scanalate con alla base quella tipica modanatura a forma e controforma di cui ti ho parlato nel post sull’architettura romana (‘caput mundi’). Le lesene sono alla distanza di circa una luce di portico, dunque troppo lontane per essere definite binate. Esse appoggiano sullo stilobate a gradini e reggono una lunga trabeazione a semplici modanature, purtroppo assai deteriorate. La trabeazione continua per l’intera lunghezza del fabbricato.
E questo è il primo piano di profondità della facciata.
Osserva ora appena a fianco della lesena. Vedi che la colonna e l’arco sono arretrati rispetto alla lesena? E lo conferma anche il tondo azzurro spezzato.
Il portico è a colonne composite e l’arco è risolto anche qui con semplici modanature che non mostrano i conci. Le colonne appoggiano sopra lo stilobate e reggono la serie di archi, nove in tutto. La quota della chiave dell’arco è compresa sotto quella della trabeazione. Si determinano così dei pennacchi che ospitano dei tondi in terracotta azzurra con puttini in fasce, ovviamente gli orfanelli.
Gli elementi strutturali sia di linguaggio sia reali (le colonne) sono in pietra serena, dunque grigia, l’intonaco è a calce, ossia bianco, i tondi risaltano col loro bell’azzurro, e ne riparleremo.
Il modulo di dimensionamento del portico è molto semplice e quasi obbligato direi. Ricorda che nell’architettura rinascimentale si tende a privilegiare un andamento generale orizzontale, per riprodurre la fermezza e la calma, l’affermazione direi, della scelta classica. Nei manuali troveresti detto l’armonia, ma è un’affermazione priva di senso: sono armonici anche gli edifici gotici, della loro armonia naturalmente e non è che una sia giusta e l’altra no. Sarebbe come dire che Bach è armonico, Mozart un po’ meno e Chopin per niente...
Qui il problema dell’orizzontalità è risolto dalle dimensioni dell’edificio: ce n’è fin troppa. Però Brunelleschi non poteva, sebbene sia perfettamente classico, scegliere un ritmo delle campate in cui la luce fosse più piccola dell’altezza delle colonne. E perché non poteva? Perché sarebbe stata una proporzione simile a quelle del gotico. E se per paradosso avesse deciso di fare la luce maggiore dell’altezza, l’arco si sarebbe ribassato, cosa perfettamente classica, ma troppo somigliante alle architetture tardo romane. Dunque l’unica strada era fare luce e altezza uguali, vale a dire che la campata inscrive un quadrato, fra le colonne, e un semiquadrato circoscrive l’arco. L’altezza del semiquadrato determina quella delle finestre del primo piano. Per i precisini: si deve intendere la luce netta: da stilobate all’intradosso di chiave, e dall’interno della colonna, nella sezione più rastremata, all’interno della colonna. Poi le varie parti della facciata sono ovviamente multipli o frazioni del modulo. Se no che modulo sarebbe?
Nei manuali troveresti: snelle colonne composite. Ma te lo devo dire io che sono snelle? E poi, benedetta Madonna, è una facciata bassa, di due piani soli, quindi la colonna porta un piano: non è logico che le colonne non siano gigantesche? Brunelleschi non era un dilettante...
In realtà manca ancora da dire una cosa ancora, ma la dirò dopo perché è molto importante ma adesso spezzerebbe il discorso dei piani di profondità che è altrettanto importante.
E questo è il secondo piano di profondità.
Al primo piano la facciata è piena con finestre a cornice e timpano in pietra serena, che stanno su un marcapiano piuttosto aggettante posto subito sopra la quota della trabeazione. Il muro è perciò più arretrato rispetto alla superficie dei pennacchi del portico.
Le aperture del primo piano sono in asse con la mezzeria della luce delle campate e questo è perfettamente logico: ha più senso alleggerire sull’arco che sulla colonna. Per alleggerire il carico si intende: se c’è una finestra manca il peso del muro per la superficie equivalente al vuoto. È intuitivo che la chiave sia il punto più debole dell’arco (se deve crollare, crolla lì).
Però puoi fare un esercizio di immaginazione (assolutamente teorico per la verità): sposta mentalmente, o disegna se hai voglia, le finestre sopra le colonne e riempi il vuoto attuale. Staticamente si poteva fare, forse la colonna sarebbe stata un po’ meno snella... non ostante il carico assiale sarebbe diminuito. Chiedi all’amico ingegnere e concentrati su come invece ne sarebbe stata compositivamente stravolta l’intera facciata.
E questo è il terzo piano di profondità.
Il quarto piano di profondità è ovviamente la quinta di fondo del portico che, essendo appunto un portico, si vede. Qui è evidente lo scollamento fra la composizione del portico e quella della planimetria del resto dell’edificio: ci sono sette tipi diversi di aperture, fra porte e finestre. Questo in effetti è strano, voglio dire questo repentino disinteresse di Brunelleschi per una parte che appunto è visibile. Sinceramente non so dare una spiegazione esaustiva. Forse non è stato possibile modificare la pianta e imporre una regola. Oppure la ripresa dello stile classicista era ancora vista come elemento di linguaggio estremo, simbolico, come citazione (sto pensando, in tutt’altro contesto, all’arco della facciata di Sant’Andrea di Leon Battista Alberti a Mantova). O semplicemente si riteneva che la forza del nuovo linguaggio lasciasse liberi da una composizione interna: la sensibilità in questo campo è molto variabile nella storia dell’architettura.
Per ultima considerazione della facciata, ti spiego il significato dei tre piani del prospetto. La trabeazione ha il compito di misurare tutta l’estensione dell’edificio e non contenendo archi non entra in immediato conflitto con la prassi esistente. È certo un richiamo classico ma non ha il compito immediato di comunicare la nuova teoria dell’architettura. Moderna teoria che invece è dispiegata nel nuovo corpo del portico il quale, posto in secondo piano, da un canto ha il suo posto sicuro, potremmo dire: il luogo dell’innovazione, e dall’altro contiene tutte le principali novità, ed è tanta roba, come si dice. L’ultimo piano è volutamente trattato con semplicità per non ingenerare confusione e lasciare tutto lo spazio al portico. Le finestre sono solamente incorniciate e l’unico elemento nuovo è un semplice timpano.
Tutto si svolge in pochi centimetri di differenza ma la scansione semantica è perfettamente ordinata. Questo è uno dei migliori esempi di uso del linguaggio architettonico.
Hai visto? Sembrava un portichetto...

Spedale degli innocenti - particolari
Passiamo a un’immagine più ravvicinata che permette di osservare meglio le volte a creste e vele e soprattutto di riprendere l’argomento importante che ho temporaneamente accantonato sopra.
Vedi che ho evidenziato degli elementi. Partiamo da quello più esterno. Fra il capitello e l’imposta dell’arco c’è un elemento che non troviamo negli ordini classici. Si chiama pulvino. Il pulvino compare per la prima volta nell’architettura bizantina, uno dei periodi di continuazione del linguaggio classico. Non ha uno scopo costruttivo essenziale: contribuisce a centrare le componenti laterali della spinta dell’arco che però sono già bilanciate da quelle degli archi precedente e seguente. Insomma se ne può fare a meno. Infatti qui Brunelleschi ne disegna uno molto sobrio, quasi accennato. Ma allora che ruolo ha il pulvino? Qui c’è un’altra raffinatezza filologica che vale la pena di notare.
Il canone prevede che un arco o una volta si impostino su un muro, mentre sopra una colonna ci va la trabeazione. Insomma, sarebbe scorretto impostare l’arco su una colonna.
Allora Brunelleschi interpone un pulvino fra il capitello e l’imposta dell’arco. Questo tiene il luogo del pezzo di trabeazione, che è corretto appoggiare sulla colonna, altrimenti mancante.
Infatti, se segui la nervatura dell’arco, vedi che dal lato del muro c’è un pulvino uguale incastrato, dato che la forma è molto scarna l’autore ha aggiunto sotto una decorazione che parte con due piccole volute composite e poi scende con un elemento genericamente fitomorfo (è una specie di palmetta o se preferisci un’enfatizzazione delle foglie d’acanto che dal corinzio erano state incorporate nel capitello dell’ordine composito).
Fai attenzione a una cosa che è fondamentale nel discorso che vo facendo sul linguaggio architettonico. La nervatura dell’arco finisce proprio sopra il pulvino, ma occhio, il vero  arco, quello portante, non corrisponde alla nervatura ma prosegue sopra e si va a impostare sul muro, o nel muro se preferisci. Naturalmente un arco si imposta sulle due metà e poi si unisce in chiave, ma ci siamo capiti.
Direi che un esempio più palmare e didattico di questo, per capire il significato del linguaggio architettonico nell’ambito dei periodi di stile, non sia facile da trovare. E tolga ogni dubbio o incertezza su cosa sia portante o no in questi tipi di architettura.
Ma evidentemente questa soluzione non soddisfaceva ser Filippo che infatti arriva alla più compiuta lettura del problema della corretta impostazione dell’arco, quando la struttura verticale sia una colonna, nella chiesa di Santo Spirito, sempre a Firenze, del 1444, sua ultima opera credo.

 
Santo Spirito - navata centrale
Qui  si  vede  molto   bene   che   sopra   il   capitello   e   prima dell’imposta   dell’arco   c’è   un   elemento   più   complesso.
Questo è quello che si denomina il ‘dado brunelleschiano’. Questo elemento corrisponde al pezzo di trabeazione che pertiene a ognuna delle colonne.
Se osservi bene l’elemento a tre scalini, subito sopra al capitello, è l’equivalente della fascia a tre aggetti della prima metà della trabeazione. La parte superiore e liscia corrisponde alla metà superiore della trabeazione. Siccome però non è corretto impostare l’arco su una trabeazione, Brunelleschi ha inserito, come nello Spedale, un pulvino. Era necessario poiché mancando ci sarebbe stata continuità, anzi fusione, fra la trabeazione e l’arco, e infatti il pulvino è stato convenientemente accresciuto di dimensione e enfatizzato.
In seguito il problema di voltare sulla colonna non è stato più al centro della discussione del linguaggio architettonico classicista.
Detto di passata, per me Santo Spirito è forse la cosa più bella da vedere a Firenze. Qui sotto ho messo la planimetria ideale in cui si vedono i moduli quadrati della composizione e ho evidenziato due punti, uno curioso e l’altro perché, non ostante gli sforzi non sono riuscito a trovare una foto.
La facciata che fu costruita realmente non è quella che si vede, a quattro moduli, con ingresso dalle nicchie, ma, saltando tutti i primi quattro moduli, si fece una facciata piena. Il motivo era di quelli insormontabili. Secondo la regola liturgica una chiesa deve avere un numero dispari di entrate: una, tre, cinque, sette, nove (anche se non ho contezza di una chiesa a nove navate...). Quattro non sono ammesse e non ostante le insistenze di Brunelleschi non ci fu nulla da fare.
Il secondo punto che ho evidenziato è una spettacolare soluzione d’angolo nel punto in cui la navata laterale si incontra col transetto. Quando ho parlato della Farnesina, qui, ti ho detto che la lesena tuscanica non pone problemi d’angolo. L’ordine composito, come lo ionico e il corinzio, ne pongono invece. Dovrei avere una foto o una diapositiva mia ma chissà dov’è...

Santo Spirito - planimetria
Vale la pena di spendere una parola sulla decorazione dei pennacchi, fra un arco e l’altro. La soluzione tipica di Brunelleschi, anche per la tromba delle volte, è un tondo, il cui uso diverrà poi comunissimo. Nello Spedale il tondo in pietra serena è riempito con delle terrecotte invetriate di Luca della Robbia (Firenze, ~1400-1482) di fondo azzurro con bambini in fasce bianchi. Luca della Robbia fu uno dei massimi scultori nel settore delle terrecotte e delle maioliche, sia a rilievo sia a tutto tondo.

Spedale degli innocenti - tondi di Luca della Robbia
Forse la prima città, fuori dalla Toscana, ad accogliere l’innovazione rinascimentale fu Milano. La cosa non stupisce se si considera che in entrambe le città si stavano affermando i nuovi ceti sociali dominanti legati al commercio e all’attività bancaria. Ricorda che l’arte è sempre la celebrazione di un potere, in particolar modo l’architettura che costa un botto di soldi. Queste nuove classi dominanti erano alla ricerca di uno stile artistico che li rappresentasse nel mondo, che li facesse individuare come la novità politica che avrebbe portato l’Italia ai fasti della sua gloriosa antichità. Né più né meno.
A Firenze i Medici s’erano affermati sui Peruzzi e abbiamo già visto che a Milano i Visconti avevano prevalso sui Della Torre o Torriani.
Una nota di storia milanese. L’attuale emblema della città di Milano è una croce latina di rosso in campo d’argento (sostituito ormai col bianco) ma fu il recupero ottocentesco dell’emblema del Comune medievale,  la cosiddetta Croce di San Giorgio è uno stemma molto diffuso, per esempio la città di Genova l’ha uguale, oltre ovviamente l’Inghilterra. L’emblema che nei secoli ha contraddistinto Milano è il famoso biscione: un serpente in palo d’azzurro coronato d’oro   divorante un bambino di rosso su campo d’argento. Questa è l’arme dei Visconti pisani chiamati in epoca comunale a svolgere il ruolo di capitani del popolo. L’origine dell’emblema è probabilmente ancora più antica ed è possibile che i Visconti che si trasferirono da Pisa a Milano lo adottassero come arma propria, incominciando di fatto una storia indipendente dalla famiglia d’origine. Più propriamente il serpente è una vipera che era l’animale totemico dei guerrieri longobardi, i cosiddetti arii (uomini liberi). C’è chi opina che rappresentasse il drago Tarantasio mangia bambini che imperava nel lago Gerundo che era la palude che divideva Pavia da Milano nella zona di Lodi. La versione ufficiale araldica parla del simbolo preso da un Visconti durante  una Crociata a un guerriero saraceno chiamato Voluce, ma mi sembra un’invenzione per sostenere l’insostenibile, ossia che l’uso di mettere figure sugli scudi cominciò nelle Crociate appunto.
La dinastia Visconti, nel frattempo Milano si era trasformata da comune in signoria, si fuse con gli Sforza quando l’unica figlia di Filippo Maria Visconti, Bianca Maria, sposò il figlio di un capitano di ventura romagnolo, che assicurava con la sua armata la forza militare alla città. Questo condottiero era Muzio Attendolo detto lo Sforza (nato a Cotignola vicino a Ravenna nel 1369 e morto nella città romagnola nel 1424) e il figlio era Francesco Sforza. In seguito il casato tutto prese il cognome di Sforza.
Una delle opere che la dinastia degli Sforza realizzò per, a un tempo, celebrare il suo potere, dall’altro per affermare la supremazia laica nella città, fu la costruzione del primo ospedale pubblico di Milano. Prima la salute pubblica era in mano alle infermerie dei conventi.
Il progetto fu affidato a un grande architetto: Antonio Averulino detto il Filarete (Firenze ~1400 – Roma 1469). Il Filarete inserì il progetto dell’ospedale nel progetto urbanistico della nuova città di Milano che chiamò Sforzinda.
Qui sotto ho messo la planimetria nel disegno originale e una veduta prospettica del fronte dell’ospedale, diciamo così, entusiastica... In effetti il buon Filarete s’è lasciato un po’ andare in questa occasione.
Concentriamoci sulla planimetria che presenta una clamorosa innovazione: la crociera. È uno dei primi ospedali ad adottare questa soluzione. La prima crociera in assoluto è nell’ospedale di Santa Maria della Scala a Siena, poi in quello di San Matteo a Pavia.
La crociera è una tipologia che sfrutta il principio panottico, cioè dal centro degli assi è possibile controllare tutti i degenti che sono ospitati nei bracci. Al centro v’era un altare in modo che i malati potessero assistere alla funzione stando a letto o presso il loro giaciglio.
In seguito il principio panottico fu sfruttato per osservare i malati senza essere in loro presenza e poter rilevare i sintomi e il comportamento spontaneo.
La crociera ideata dal Filarete era tale per cui la parte centrale svolgesse la funzione di  ‘camino’ convogliando dai bracci l’aria viziata e facendola defluire verso l’alto e attivando un risucchio di aria nuova all’interno, lo vedresti bene se tu trovassi una sezione. Non solo, ma lungo ogni parete, formata da due muri, scorreva un canale di servizio ispezionabile che finiva nel Naviglio in modo da smaltire in fretta e separatamente le acque luride. Era l’inizio di quello che negli ospedali moderni si chiama divisione dei percorsi del ‘lavoro sporco’ da quelli del ‘lavoro pulito’. E tante altre soluzioni davvero stupefacenti da un punto di vista tecnico sanitario.
E tutto con il consiglio d’amministrazione in maggioranza laico e una sola quota di rappresentanza della Chiesa.
Un altro particolare di questo edificio molto complesso, davvero di una Milano d’avanguardia, era la previsione di una sezione per le acuzie mentre fino allora le infermerie conventuali o gli ospedali erano in sostanza dei cronicari.
La Ca’ Granda fu un ospedale fino agli anni trenta del novecento quando fu costruito l’ospedale di Niguarda. Oggi è sede dell’Università degli Studi detta famigliarmente la Statale.
La Ca’ Granda si trova in via Festa del Perdono, abbastanza vicino al Duomo, non ti posso dare dei riferimenti perché in quella zona è lei il riferimento: non è possibile che ci passi davanti e non la vedi... Lì attorno c’è da vedere la chiesa di Santo Stefano, quella di San Bernardino alle Ossa (con tanto di ossa di morti appese alla napoletana), la via del Laghetto dove arrivavano via fiume e poi naviglio i marmi per la fabbrica del Duomo e soprattutto la basilica di San Nazario in Brolo in corso di Porta Romana, detta basilica apostolorum per delle reliquie. Dietro , oltre la via Francesco Sforza che è sul percorso del Naviglio medievale (i navigli li hanno coperti quasi tutti negli anni venti, ‘sti maledetti!), c’è il bellissimo, e a me molto caro, Giardino della Guastalla, ex collegio umanitario femminile.
La Festa del Perdono era una processione che si faceva partendo dalla cappella dell’ospedale, passando il naviglio e proseguendo lungo la via San Barnaba fino ad arrivare alla Rotonda della Besana, detta il Foppone (letteralmente: la grande pozzanghera, credo fosse intesa come ‘grande fossa’), che era il cimitero dell’ospedale. Lungo questo percorso si incontra un sacco di roba interessante, ma non è il caso di digredire (al volo: San Paolo e Barnaba, la Sinagoga, Santa Maria della Pace con annessi i chiostri bramanteschi della società Umanitaria, il Palazzo di Giustizia e, nel Foppone, San Michele ai Nuovi Sepolcri).

Il progetto filaretiano prevedeva due crociere, maschile e femminile, collegate da un cortile centrale.

Ca' Granda - planimetria e veduta prospettica
Nella realizzazione finale il cortile centrale fu progettato da Francesco Maria Richini (nato a Milano il 9 febbraio 1584 e morto a Milano il 24 aprile 1658), gloria dell’architettura milanese, durante il periodo barocco, nella dimensione delle crociere.

Ca' Granda - Cortilone di Richini

Ti voglio mostrare in che stato fu ridotta la Ca’ Granda, è proprio una foto del cortile, dai bombardamenti degli alleati liberatori, che scientemente colpirono il patrimonio artistico per vessare l’animo degli italiani che era già vessato di suo (ma Togliatti era d’accordo...).

Ca' Granda - Distruzioni belliche
Stessa sorte toccò alla Scala e a molti altri monumenti, i più belli e cari ai milanesi. Il Duomo si salvò, eccetto qualche vetrata, perché fu sommerso letteralmente dai sacchi di sabbia e qualcuno ebbe la felice intuizione di mettergli sopra una colossale bandiera con la croce rossa (in effetti c’erano ricoverati alcuni feriti).

Non parlerò stavolta del cortilone di Richini poiché dovrei dire sul particolare tipo di barocco che ebbimo a Milano, del tutto diverso dagli altri. Ti do un’indicazione per riconoscere che il cortilone è del periodo barocco e non rinascimentale come a prima vista potrebbe sembrare (ed è naturalmente voluto da Richini il rapporto con il linguaggio rinascimentale). Guarda le finestre: hanno una copertura alternata di timpano e centina, stilema manierista, ma spezzati entrambi, stilema barocco, e la loro grande dimensione. Un altro indizio è la sequenza portico e loggiato nell’altro lato visibile. E ciò basti.

Quello che interessa a noi due è la prima crociera, che ho qui sotto indicato perché è la realizzazione rinascimentale. A fianco c’è la parte barocca e in fondo la seconda crociera di Pietro Castelli, del 1805, nello stile neoclassico.
Il Filarete cominciò il suo lavoro nel 1456 e costruì i primi due livelli, il mezzo piano e il colonnato: poi ti spiego. Lasciò Milano per Roma nel 1465 e l’ultimo piano fu affidato nello stesso anno, in controtendenza, a Guiniforte Solari (Carona, frazione di Lugano, ~1429 – Milano ~1481), facente parte di una famiglia di costruttori di schietta tradizione gotica. Dico costruttore perché non si può parlare precisamente di progettista nel periodo gotico: c’era un coordinatore dei lavori che procedevano sicuri in base alla prassi consolidata e proposta ‘all inclusive package’ dalle  corporazioni di lavoro (i muri, i pilastri, le finestre, le decorazioni, le vetrate ecc...).
Questo dimostra delle resistenze che il pubblico e sopratutto le corporazioni esprimevano contro ogni innovazione, esse furono molto forti per tutto il’400.
Anche Brunelleschi ebbe problemi simili, soprattutto nel cantiere di Santa Maria del Fiore, il Duomo di Firenze, ma lo risolse introducendo una specie di jobs act ante litteram. Licenziò tutti i lavoratori che erano scesi in sciopero e prese contatti con muratori bergamaschi (eh sì, esistevano già allora... bergumasch de l’os’cia! Posso permettermelo: il nonno Luigi Pagnoncelli era di Bottanuco nella bassa bergamasca). Alla notizia, ai muratori fiorentini non restò che farsi riassumere con la stessa paga dei magütt bergamaschi, che era più bassa!
I primi due livelli del Filarete sono quegli archi che ora fanno parte del seminterrato ma che allora erano il piano terreno, adibito ai trasporti e al raccordo col Naviglio, e il loggiato con archi a tutto sesto e colonne, adibito a passeggiata pedonale, il primo caso forse di separazione del traffico veicolare da quello pedonale. Questa immagine ti dà l’idea di quanto si alzi il piano di campagna (la convenzionale quota 0,00) nel corso dei secoli: è partito quasi un piano!
Ho evidenziato anche qui il pulvino. Le differenze fra lo stile di pura teoria di Brunelleschi e questo lo vedi da te e testimonia la dura lotta fra il Filarete e le corporazioni di lavoro milanesi. Suggerirei di non fare mai, però, l’equazione: non è come lo stile fiorentino dunque non è bello. Lo stesso si dovrebbe dire del gotico italiano rispetto a quello francese. Queste cose lasciamole ai critici d’arte (e a volte anche storici, ahimè) che non capiscono una beneamata di architettura. La realtà stilistica sta nel singolo edificio, eventualmente ripetuta in altri edifici coevi e della stessa zona. Altrimenti, se la mettiamo sul purismo, siamo costretti ad affermare che, rispetto a Santo Spirito, Santa Maria del Fiore, con il suo bicromatismo bianco verde, connotativo discriminante del gotico toscano, o con la sua la cupola ogivale, è una cagata. Tu te la senti? Io no di certo.
Ma poi perché questa ossessiva volontà autoritaria di classificare e normalizzare? Di dare patenti di purezza? Non si capisce che un’architettura ci racconta tutto il mondo nel quale è stata concepita e realizzata? Ho detto che il barocco milanese è diverso da quello più noto, come Roma o Lecce o la Sicilia. È detto barocco matematico, un esempio stupendo è il cortile della Biblioteca di Brera, a cui ti rimando senz’altro aggiungere.
Quando il Filarete deve costruire la Ca’ Granda dispone di operai che hanno  una grande capacità di rendere la decorazione col cotto o con l’uso dei semplici mattoni. Guarda il coronamento del tetto o il marcapiano delle finestre. C’è una specificità dei lapicidi di scolpire le colonne. E non è facile per lui smuovere l’inerzia di una prassi che lavora così bene e con grandissima qualità. Dunque l’accetta e declina il linguaggio rinascimentale alla lombarda. Donato Bramante riuscirà a fare un passo in più (si fa per dire: è un capolavoro assoluto) con Santa Maria delle Grazie, sempre sostituendo alla pietra il laterizio.
Guiniforte Solari ritorna alla tradizione gotica e vedi le tipiche bifore a sesto acuto, sempre in laterizio e pietra.

Ca' Granda - facciata
Ti mostro un’altra visione della crociera rinascimentale. In pratica abbiamo svoltato l’angolo e siamo sul lato corto dell’ospedale. Qui puoi notare le cose già dette e meglio il sotto portico. La volta che vedi è una volta a crociera, di origine gotica, qui applicata al tutto sesto rinascimentale, siccome però la luce dell’arco del percorso pedonale è maggiore di quella dell’arco di facciata ne risulta una volta eterogenea un po’ complicata che si potrebbe definire, in perfetta terminologia architettonica milanese, ‘cristonata’.
All’ultimo piano si vede che la decorazione in cotto ha coperto anche quella zona rettangolare che racchiude di solito le finestre gotiche (a Milano intendo: vedi le finestre delle navate di Santa Maria delle Grazie per esempio, sempre Solari fra l’altro) fatta a intonaco di calce e polvere di marmo bianco, che serviva per coprire i punti di disgiunzione fra le cornici delle aperture e le file di mattoni del muro. Era un intonaco eccezionale che si doveva riparare solo ogni due secoli. È vero, non è una sparata. Qui ne rimane solo una piccola linea: giusto perché le finestre andavano fatte così...
Ma non ho potuto resistere a mostrare questo lato dell’ospedale che guarda in faccia alla parte absidale di San Nazario in Brolo, che è la più antica basilica paleocristiana di Milano, perché è il mio luogo di meditazione essoterica preferito. È un passaggio alberato fra largo Richini e via Francesco Sforza. Nella prima parte è chiuso appunto fra la crociera rinascimentale della Ca’ Granda e la parte absidale della basilica, poi continua lungo l’ospedale e arriva all’obitorio del Policlinico, il quale sta al di là di via Francesco Sforza. Io mi fermo, ovviamente, nella prima parte e sto lì su di una panchina, soprattutto nelle ore che muovono al vespro. Finché il guardiano mi chiede di uscire perché deve chiudere il cancello del piccolissimo giardino. Sono quei piccoli luoghi dove si respira ancora un’aria milanese autentica, ci sono, bisogna solo cercarli un po’. Un consiglio per la ricerca: andate lontano dall’edificazione post-unitaria.
La cosa che mi diverte di più è vedere tutti questi domiciliati milanesi, che sono lì sostanzialmente per ‘pisciare il cane’, che passano fra due grandi esempi di architettura di livello e importanza internazionale e non vi badano. Salvo poi dire all’amico romano “ Ma sai, Milano non ha molti monumenti... ”. E mi spuntano i canini... E la sera avanza...

Ca' Granda - facciata laterale

Concludo con dei particolari che mostrano come la decorazione in cotto fosse di squisita fattura e come furono declinati i tondi nel pennacchio del loggiato.

Ca' Granda - particolari della decorazione
 Se sei arrivato/a fin qui: ti voglio bene e ti sei fatto/a del bene.
Buon autunno.