giovedì 21 dicembre 2017

Le Muse: il rapporto reciproco fra le arti - La Grecia

Le Muse: il rapporto reciproco fra le arti - La Grecia 

Con questa nuova serie di post voglio affrontare un tema poco dibattuto, ma di singolare importanza. Voglio tentare una veduta a volo d'uccello, nei vari periodi, sui rapporti fra le arti: se ne esistano e quali oppure se non ne esistano affatto. Considererò le arti tradizionali: pittura, scultura, architettura, musica e scrittura.
Un paio di esempi, sufficientemente noti a tutti, per chiarire cosa vi propongo sulla base della mia esperienza: una cattedrale gotica ha una commistione piuttosto forte di arti diverse che portano il loro contributo viceversa la ricerca avanguardistica moderna procede in sostanza per parti separate.

Il primo periodo che considero è la Grecia e prenderò in esame la classicità greca, come paradigma su cui inserire poi l'evoluzione e i cambiamenti ellenistici, che lascio ad altra sede più specialistica di trattare. Il senso di questi post è avere un quadro di riferimento rispetto all'azione artistica: se tendenzialmente separata o unitaria per vedere appunto qual è il loro rapporto reciproco nelle epoche storiche convenzionali.
Va detto, rispetto all'arte greca, che se noi abbiamo una vasta conoscenza della scultura e dell'architettura o abbastanza buona della poesia non possiamo dire lo stesso per la pittura o per la musica. Dobbiamo basarci sui reperti archeologici ed è questo anche il motivo per il quale non parto da più lontano nel tempo. La storia ci ha negato una quantità enorme di arte greca, o precedente ancora, ciò nonostante essa è la base della nostra conoscenza artistica e non solo.
L'arte che conosciamo di più è la scultura perché possiamo essere ragionevolmente sicuri che le copie in marmo romane siano identiche a quelle in bronzo greche. Conosciamo sia la bravura degli scultori romani sia le loro tecniche di rilievo e riporto. I romani avevano molti degli originali greci in bronzo poi perduti perché banalmente furono fusi per farci altro. Allo stesso modo possiamo valutare la conoscenza dell'architettura, fra quanto è rimasto e quanto si è detto sui canoni un po' in tutte le epoche.
Purtroppo il Cristianesimo ha distrutto dei tesori, in quanto forme dell'arte pagana, in quantità e qualità tale che è meglio non pensarci. L'idea che il Partenone sia saltato in aria perché trasformato in polveriera, durante una delle tante guerre fra europei e turchi, dà un'idea di come la violenza iconoclasta delle religioni sia stata folle e perpetrata nel tempo. Ma ricordatevi, anatroccoli, che le religioni sono delle alleanze politico militari: di spirituale non hanno nulla. A proposito, il post sulla “Chanson de Roland” ha sempre più successo con mia estrema soddisfazione e orgoglio. Leggetela la “Chanson de Roland” è davvero un capolavoro.
La poesia è conosciuta, ma solo in parte e qui non siamo sicuri che i monaci cristiani abbiano tenuto le migliori tragedie. Qualche anno fa fu rinvenuta in Italia una villa romana con centinaia di papiri bruciati provenienti dalle biblioteche della domus. Come sapete nelle case romane c'erano due biblioteche: quella greca e quella latina, sul modello della colonna traiana). Esiste una tecnica che permette di svolgere i rotoli arsi e riportare alla vista le lettere, si spera in qualche grande scoperta inedita, ma sono processi molto complessi e lunghi, che portano via decenni.
Poi manca quasi tutto dei lirici: della mia amatissima Saffo son rimasti solo lacerti o poco più. Ci mancano le cosiddette 'piccole Iliadi' o 'piccole Odissee' e tutto il resto.
La pittura è quasi sconosciuta, se non per descrizioni. Abbiamo sì quella ceramica, ma niente delle altre se non pezzi di pigmento su qualche muro, ma roba per archeologi, nulla più. Ci può essere d'aiuto la pittura parietale della tombe etrusche che con ogni probabilità sono state eseguite da pittori greci, ma solo provenienti della Magna Grecia.
Tomba di Tarquinia
La musica poi è del tutto sconosciuta se non de relato da parte di qualche filosofo. Ma che musica suonassero i greci non lo sa e non lo saprà mai nessuno, almeno in questa vita. Di trovare un vecchio 78 giri di Euripide non se ne parla. Poi vi spiegherò perché dico proprio Euripide.
Stando così le cose direi che conviene esplorare i casi in cui le arti hanno collaborato.
Un primo caso, il più conosciuto, è il rapporto tra architettura e scultura. Ne ho già parlato ed è molto conosciuto.
Nel video sul concerto per clarino di Mozart, che vi ostinate a non guardare come l'altro, perché come anatroccoli avete o dimostrate un cervello da gallus gallus domesticus e una prosopopea da pavo cristatus, ho messo le tre stupende Dee del fregio del Partenone: Estia, Dione e Afrodite. E se quando sarò morto incontro quello che le ha decapitate dovo lo trovo lo lascio.
Frontone del Partenone
Ma il rapporto fra scultura e architettura non si risolve solo nell'uso di statue in alcuni punti dell'edificio: timpano e metope, ma anche nella genesi delle stesse forme di linguaggio architettonico. Anzi questo tema, che ho già ampiamente trattato e che tratterò di sicuro di nuovo parlando d'arte, permette di introdurre una classificazione fondamentale per descrivere il rapporto fra le arti. In alcuni casi abbiamo che l'architettura prevede dei siti di allocazione di altre opere d'arte, queste parti dell'edificio possono essere molto ben definite, un timpano appunto, o più genericamente definite, una parete a mosaico bizantina a esempio. Oppure si può avere una fusione fra le due forme di arte. È il caso dei canoni architettonici, dalle modanature alla definizione dei capitelli et cetera.
Dunque nell'arte greca vi è una fusione fra architettura e scultura. Ma si sa che sia gli edifici sia le statue erano dipinti a colori. Ogni parte del tempio aveva un colore, vedete per questo il post “Anatema”. Ma anche le statue erano dipinte e al naturale. La pelle era dorata o rosata, gli occhi dipinti, la bocca o i capelli, le Dee erano truccate... a volte ci potevano essere persino gioielli o vestiti.
Ricostruzione di una kore
Questo testimonia che per i greci le divinità avevano aspetto umano ed erano riprodotte per sembrare persone vive. Naturalmente per la nostra sensibilità, che è dovuta al fatto che le vediamo secoli dopo e ci siamo abituati così, appaiono molto più affascinanti i tenui cromatismi del bronzo o del marmo o lo sguardo senza pupille, così 'olimpico'...

C'è però un luogo dove le arti si sono congiunte, praticamente tutte: il teatro.
Due parole sull'origine del teatro o meglio delle rappresentazioni drammaturgiche.
All'inizio era il coro... e il coro era presso di Dio, e il coro era Dio... Sembra una battuta ma probabilmente è andata proprio così. La più antica forma di dramma greco che possediamo sono i Ditirambi di Bacchilide, autore greco subito precedente ai grandi storici del V secolo: Eschilo, Sofocle e Euripide. Anche i ditirambi non sono integri e ne abbiamo solo dei pezzi.
L'azione consisteva nel coro che intonava un canto che narrava un mito. Non è certo se il dramma fosse da ascrivere al culto di Dioniso o di Apollo, alcuni pensano che siano due forme diverse: il ditirambo per Dioniso e il peana per Apollo e non sappiamo se nei Ditirambi di Bacchilide siano presenti anche dei peana. Si immagina che il coro cantasse dapprima in cerchio, un po' come i cori sardi di oggi, e in seguito nel tempo si disponesse in linea o a triangolo per rivolgersi a un pubblico. Si suppone che già in Bacchilide fosse possibile che un corifeo uscisse a recitare o a cantare solisticamente. Dal dialogo che si instaurava fra corifeo e coro sarebbe nata l'azione teatrale, il dramma. I tre grandi del V secolo avrebbero introdotto via via il protagonista, l'antagonista, la parodo o entrata laterale del coro (quindi il primo movimento coreutico), poi ancora gli altri attori e le varie sezioni della tragedia. Non specifico troppo perché sono nozioni che potete trovare con facilità anche in rete, a differenza di quelle che vi do sulla composizione architettonica: e quando lo capirete, anatroccoli, sarà sempre troppo tardi.
Non sappiamo con certezza come fosse alla fine una tragedia o un altro tipo di dramma del teatro greco. Magari era del tutto simile a una nostra opera lirica ma non si può affermare con certezza. Di sicuro abbiamo l'unione strettissima almeno della poesia, della musica e del movimento coreutico. Anche a voler essere pessimisti non è da folli pensare che a un certo punto comparissero delle danze.
Fra l'altro, per dire della complessità di questa forma di arte, sappiamo che erano usati in pratica tutti i dialetti greci nelle varie parti della tragedia: dorico per i cori secondo la tradizione spartana (e qui si può pensare a quelle parti cantate come arie, diremmo noi, piuttosto che a quelle dialogiche con gli attori), eolico per le arie liriche e ionico o attico per i dialoghi e come lingua di base del recitato.
Una forma di pittura era senz'altro presente nelle maschere che avevano lo scopo di rendere riconoscibili i personaggi anche a distanza e immediatamente. Non escluderei forme di scenografia, statuaria e macchine per l'azione, anzi sarei stupito del contrario.
Euripide
Prima citavo Euripide. Di questo grande autore si sa che componeva sia il testo, sia le musiche delle sue opere, e si sa che era un pittore di un certo livello, aveva delle 'mostre' al suo attivo, dunque potremmo pensare a una pittura su tavola e non solo parietale. Perciò sembra strano che non utilizzasse anche la pittura nelle sue tragedie.
L'architettura probabilmente si aggiunse dopo. All'inizio il 'teatro' non era che un prato dove si riunivano i partecipanti, poi venne logico che fosse sulle pendici di una collina, le ripe per gli spettatori e il paesaggio, fosse campagna, mare o città, come fondale scenico. Poi si decise che almeno i posti più importanti si facessero in pietra e si mise qualche quinta e annesso per far sostare coro e attori quando non fossero in scena e da lì nacque il teatro architettonico con il proscenio e l'orchestra, ancora dopo il la quinta di fondo architettonica, in epoca ellenistico-romana.
Del resto che l'architettura arrivasse per ultima è logico se si pensa che il teatro è appartenente al culto di Dioniso e questo Dio non ha mai avuto templi: la sua liturgia si faceva nel bosco e dopo nel teatro, quando la sua venerazione fu ammessa dalle autorità e prese le forme di rito urbano e della polis. Prima della rappresentazione teatrale si faceva un sacrificio ed è probabile che la vittima fosse un capro, da qui il termine tragedia o 'canto del capro'.

Abbiamo quindi ottenuto un primo risultato di compresenza e collaborazione fra le arti, cioè fra le Muse, da questa sommaria analisi, ma saranno tutte sommarie perché ve l'ho detto che se non mi pagano non voglio far fatica. Ma chi vi parla di Bacchilide o del culto di Dioniso normalmente? su, siate sinceri...
A proposito, siamo a Natale. Oltre al significato cristiano, il motivo per cui si festeggia il solstizio invernale è la nascita del Sole: il Natalis Solis Invictus dei Romani. Ma tutte queste feste invernali erano già nella tradizione greca: quelle del solstizio si chiamavano Piccole Dionisie o Dionisie Rurali, quello che oggi si chiama Carnevale si festeggiava nelle Antesterie (le 'feste dei fiori') dove Dioniso, che non aveva templi fissi, arrivava in città sul suo carro a forma di nave, il carrus navalis romano, da cui Carnevale. Questo carro ricompariva un mese dopo, forse per indicare la partenza del Dio dalla città, anche alle Grandi Dionisie o Dionisie Urbane che cadono all'incirca alla Domenica delle Palme, o sia la domenica prima della luna piena passato l'equinozio di primavera (cioè la prima luna piena di primavera). Forse è per questo che la Chiesa Cattolica ha scelto la domenica dopo come Pasqua...
Dunque le feste natalizie sono le feste della nascita del Sole e dell'Anno (Cesare scelse il primo gennaio come capodanno nel senso che in quel giorno entravano in carica i consoli, infatti era un giorno lavorativo, dunque sarebbe una festa solo amministrativa, a me infatti l'ultimo dell'anno sta sulle palle).
E dunque vi spetta il video di auguri di Buon Natale d'Anno! Eeh, ve tocca...
È la versione di Benny Goodman di “On the sunny side of the street”.

giovedì 7 dicembre 2017

Messaggio a reti unificate: tre anni di blog

Carissimi anatroccole e anatroccoli, comprendendo nella nomea ogni specie di bipedi in visione, oggi è il 
terzo compleanno di questo blog.
Il 2017 è l'anno in cui ho pubblicato il mio primo libro di liriche “Nato di Marzo” e l'anno in cui questo volume è stato premiato come vincitore della sezione Poesia Impressionista del Premio Nazionale Leandro Polverini.
Terzo compleanno del blog
Io mi sto divertendo a scriverlo questo blog e voi pare vi divertiate a leggerlo. Ormai ho capito quali argomenti vi stanno più a cuore e quali no, ma dovete capire che alcune considerazioni di carattere politico sono una testimonianza, che devo dare in certi momenti, di un disagio culturale e sociale mio ma non solo, poiché certi di questi stanno avendo un boom di letture.
Piano piano leggete anche quelli sull'architettura più specifica e non solo quelli sulla storia dell'arte. Leggete anche quelli sulla composizione architettonica per capire meglio, sono un po' meno usuali ma basta un minimo d'attenzione in più e vi si aprirà un mondo.
Anatroccolo/a designa soprattutto l'appassionato/a di architettura, che grazie anche a quello che trova nei miei post potrà diventare un bellissimo cigno (ma deve volerlo).

Avete un solo difetto: siete dei fifoni. Non ce n'è uno di voi che per qualche via mi porti all'attenzione il suo apprezzamento o le sue critiche. E sì che mi pare evidente che io sia una persona educata e affabile (è una vita che me lo dicono tutti) anche se a volte faccio dell'ironia o dico parolacce. E che i miei post, che non sono pochi, contengano tanti spunti di riflessione e argomentazione.
Le statistiche del blog dicono che è consultato e ha dei lettori affezionati. È brutto però essere sempre osservati dal buco della serratura. D'altra parte se non so chi siete, come tipologia non m'interessano il nome e cognome, non so proprio come interagire con voi. E lo vorrei, penso si capisca. Cos'è: siete tutti giovanissimi e non volete parlare con quello che potrebbe essere vostro padre o il prof? Non credo, ci sarà bene qualcuno un po' più maturo. E poi comunque non sono padre e non più insegnante, se non qui. Dunque?
C'è qualche problema tecnico? Fatemelo sapere. Non avete tempo? Auguri per i vostri gravosi impegni. Vi spavento? Nooo... Siete abituati a spolliciare e basta: like e dislike e via? Mandatemi segnali sintetici, due parole. Siete abituati a trollare e avete capito che qui non è aria per voi? Smettete di leggermi.
Anche a me è capitato di mettere dei commenti da qualche parte ai quali non ho ricevuto risposta, ma non mi sembra sia il mio atteggiamento, ho già detto che risponderei a tutti.
Pensate che oggi si vada solo di social del cazzo e il blog come social è desueto, troppo riflessivo? E siete d'accordo che sia così? Se sì: smettete di leggermi.
I commenti, il rapporto umano diretto, sono l'unica cosa che manca ormai al blog.

Comunque ho la testa dura.
C'è un post che non l'ha letto nessuno: “Al Andalus” è l'unico. Non so perché. In quel post pubblicavo due video di Mozart, che non potete perdervi nel modo più assoluto, e quindi li ripubblico qui come festeggiamento: oggi è anche Sant'Ambrogio, o sia la festa di Milano, il 7 di dicembre si mettono di tradizione le decorazioni natalizie. Come saprete è anche il giorno dell'inaugurazione della stagione del Teatro alla Scala. Dunque festeggiare con la musica è appropriato.
Per la verità c'è un'altra tradizione ben più antica per Sant'Ambrogio: si mangia la gloriosa casöla con la polenta. Nella polenta che avanza si mette un pezzo di gorgonzola e si ricopre. Il formaggio si scioglie e si mangia condito di burro fuso (soffritto con aglio e salvia o sciolto a crudo, a piacere) e grana: una delizia. Io li accompagno col vino novello, ma è una mia tradizione. Come dolce, il Panettone, c'è bisogno di dirlo?
Ecco i video con il copia e incolla.
' Vi propongo due pezzi di Mozart che amo. Sono ambedue brani per fiati.
Wolfgang amava molto i fiati, tranne il flauto traverso, che odiava ma penso fosse perché era di moda fra i nobili del suo tempo e temeva che qualcuno gli chiedesse di suonare assieme. Avveniva spesso che i musicisti professionisti facessero da comprimari ai nobili dilettanti, così il primo violino teneva la viola accompagnando il principe appassionato di violino ecc... Amava soprattutto il corno e il clarinetto, che ha un'estensione maggiore dell'oboe classico. Stimava i fagottisti (i 'mangialegno') perché erano il basso del pezzo.

Il primo brano è un estratto del secondo movimento del Quintetto per pianoforte e fiati, del 1784, KV 452, composto a Vienna.
Nel video il larghetto è in si bemolle maggiore, clarinetto e corno sono in do maggiore.
Qualcuno ritroverà l'antenato del “...♪♫ I can't help falling in love with you ♫♪...” di Elvis Presley.

In una sua lettera al padre Leopold, del 10 di aprile 1784, Mozart scrive:

“ … Ho composto 2 grandi concerti e poi un quintetto che ha ottenuto un successo straordinario, io stesso lo considero come la migliore cosa che abbia mai scritto in vita mia. È scritto per 1 oboe, 1 clarinetto, 1 corno, 1 fagotto* e il piano forte*. Avrei voluto che voi aveste potuto sentirlo! E come è stato bene interpretato! D'altronde (per confessare la verità) alla fine mi sono stancato a forza di suonare e mi fa un onore non piccolo il fatto che i miei ascoltatori non si siano mai stancati. … ”.
[* in italiano nel testo]

I due concerti nominati nella lettera sono quelli per piano, in si bemolle maggiore KV450 e in re maggiore KV 451.

Se vi è piaciuto e lo volete tutto, è qui .

L'altro pezzo è un estratto del secondo movimento del famoso Concerto per clarinetto e orchestra, in la maggiore, KV 622, composto a Vienna nel 1791.
Quell'anno Mozart ha la testa piena di note, più piena del solito intendo, perché sta componendo “La clemenza di Tito”, “Il flauto Magico” e il Requiem oltre questo grande concerto. Era felice Wolfgang e non sapeva che quell'anno sarebbe morto.
Il tema dell'adagio è molto simile a “Pupille amate” da “Lucio Silla” messo in scena da Wolferl a Milano nel 1772. Questa opera fu una specie di consacrazione di Mozart come compositore adulto, dopo gli anni di bambino prodigio. Così ritroviamo lo stesso tema all'inizio e alla fine della sua parabola esistenziale.
Non mi stancherò mai di dire che “Lucio Silla” è un'opera bellissima e di straordinaria importanza per la lirica italiana del secolo successivo, anche se non mai superata ovviamente, con un gusto milanese e scaligero che farà epoca, anche se poi così malamente reinterpretato.
Suona una dolcissima clarinettista islandese: Arngunnur Arnadottir.

Se vi è piaciuto e lo volete tutto, è qui . '

Un bacio alle anatroccole e una virile stretta di mano agli anatroccoli.
Fine del messaggio a reti unificate. Sigla.