giovedì 8 settembre 2022

Le Veneri preistoriche

Leggo sempre, a proposito delle cosiddette Veneri preistoriche, che rappresentano delle Dee della fecondità e della fertilità. Vorrei dimostrare che questa ipotesi è assurda ed è un infantile sistema degli archeologi per non dire che non conoscono il significato di queste raffigurazioni femminili.

Per spiegare questa mia opinione dobbiamo rappresentarci il mondo qual era in quei tempi. La popolazione del paleolitico era molto poca, da qualche decina a qualche centinaia di migliaia di individui in tutta la terra, dunque di posto ce n'era. In più l'uomo, o l'ominide, viveva da milioni di anni nella natura selvaggia. Si sostentava dapprima di caccia e raccolta dei prodotti spontanei del suolo poi, nell'epoca delle Veneri paleolitiche appunto, di pastorizia e di una primordiale forma di agricoltura, una specie di orticoltura in verità: si sfruttava la circostanza naturale che buttando i semi in terra nascessero delle piante dello stesso tipo, cosa a cui un animale non pensa.

Dobbiamo allora immaginarci un'umanità che vive da milioni di anni a contatto con i fenomeni naturali, ne è dunque abituata e non ne prova più paura di un qualsiasi altro animale. Questo già fa cadere la teoria che le prime divinità rappresentassero i fenomeni naturali, che l'uomo non comprendeva, e di cui temeva la forza. Un animale non ha paura dei fenomeni naturali tranne nel momento in cui non ne sia coinvolto in modo pericoloso, ma una volta finito il pericolo è finita l'apprensione. È assurdo dunque pensare che l'uomo primitivo vedesse il fulmine, ne avesse paura e dunque si immaginasse che dietro al fulmine dovesse esserci un dio da temere.

Così come è assurdo pensare che una umanità che vivesse nella natura, e dunque fosse testimone da milioni di anni della sua rigogliosità, pensasse che questa dovesse in qualche modo essere sollecitata a esprimersi. È assai più probabile che l'uomo si dovesse, per così dire, difendere da questa esuberanza: per trovarsi un luogo riparato e al sicuro dagli animali, e per conservare questi luoghi alieni dalla natura. Abbandonare una capanna o un grotta per qualche mese voleva dire trovare al ritorno il luogo di nuovo fagocitato dalla natura.

Ho studiato in passato i villaggi primordiali, in particolare quelli dell'Amazzonia. Per farsi un villaggio è necessario trovare uno spiazzo nella foresta, cosa già di per sé non facile, togliere ogni arbusto e erba, costruire le abitazioni in un cerchio che funge da recinto e dimora, e che di solito ha al centro la casa comune, e all'esterno suddividere il terreno in fasce: da quelle a difesa dalla foresta a quelle coltivate a quelle subito prima del villaggio. Non ostante tutto questo lavoro, ogni anno almeno i tetti del villaggio devono essere bruciati perché nel frattempo è cresciuto di tutto e si sono infestate di insetti e ragni velenosi. E qui forse sta il busillis.

Pensare che l'uomo primitivo avesse la necessità di sollecitare la natura a fare il suo mestiere sembra un'idea davvero un po' comica. Quindi quali Dee della fecondità intesa come Madre Natura? Al massimo sarebbero state dei portafortuna.

Da notare che l'uomo non ha nessun controllo sui fenomeni naturali (a parte oggi i cambiamenti climatici dovuti agli interventi dei militari) ma impetrarlo dalla Dea che con queste forze incontrollabili, ma peraltro normalissime, si esprime è un'idea ingenua se non balzana. E il cervello di quegli uomini era uguale al nostro almeno da 70.000 anni fa in poi.

Obiezione: ma se l'uomo vive in una zona povera, dove c'è carestia, siccità ecc... ? Ma l'obiezione non tiene. L'uomo primitivo non vive su delle terre che considera proprie se non per il tempo in cui le abita, non ha concetto di patria o terra propria o men che meno di stato. È un nomade o seminomade da milioni di anni, va alla ricerca di terre ricche di vegetazione, di animali, d'acque, se non le trova se ne va. Nessuno si ferma in terre senz'acqua e senza piante e animali da cacciare e, tempo dopo, senza pascoli da sfruttare. Quindi là dove si ferma è già una terra benedetta dalla divinità dunque le Veneri potrebbero essere delle immagini che vedono la faccia benevola della natura verso l'uomo, ma anche in questo caso nulla hanno a che fare con la richiesta di fecondità, semmai ci potrebbe stare un senso di gratitudine, di comunione. Forse un ringraziamento per la Dea che li ha guidati fin lì.

Obiezione in calcio d'angolo: ma la fecondità è quella degli esseri umani, il ' crescete e moltiplicatevi '. Allora si spiegherebbero le forme ubertose di queste Veneri.

Anche qui l'obiezione non tiene, a meno di prendere la glossa biblica alla lettera o sia di pensare che le divinità abbiano dato all'uomo il compito di riprodursi il più possibile.

Però sappiamo che non è vero. Almeno sappiamo che gli uomini vivevano in piccoli gruppi e il numero dei figli era contenuto nel limite di quelli che potevano essere nutriti dalle risorse del luogo.

E qui rimando al film “ La ballata di Narayama ” di Shoei Imamura, del 1983, per chi ha avuto la fortuna di vederlo, quando la nonna, essendo nato un nuovo nipotino, si spezza i denti per morire di fame perché la zona non dà sufficienti risorse per tutti e il numero degli abitanti del villaggio deve essere contato. A quel punto il figlio, padre del neonato, si convince della giustezza dell'atto della madre e l'accompagna sul monte dove l'abbandona agli animali da preda o al freddo. E qui siamo in una fase non preistorica ma anzi pienamente storica in cui si descrive la vita dei montanari in Giappone nel 1860.

Stessa storia nel film “ Ombre bianche ” (The savage innocents) di Nicholas Ray, del 1960, con Anthony Queen che impersona l'eschimese Inuk che abbandona la madre della moglie (dire la suocera pare brutto) che sarà sbranata da un orso bianco, e qui siamo ancora in una fase preistorica benché il film sia ambientato nel XX secolo.

Poi la norma è che uomo e donna si accoppiano senza particolari fomentazioni esterne e di sempre di norma le donne restano incinte e fanno figli. Quindi anche qui le Veneri sarebbero dei porta fortuna e nulla più.

Dicevo del busillis. Un'ipotesi che potrebbe restare in piedi della teoria della 'fecondità' o 'dell'abbondanza' è quella di far convergere il significato della Dea tutto nel mondo umano in contrapposizione alla natura.

L'uomo si organizza coi suoi scarsi mezzi fisici per vivere e prosperare nella natura, ciò gli costa fatica ma poi è premiato con una vita migliore, allora cerca una divinità che o lo ha spinto a fare tutto questo o che lo sostenga nella sua impresa. Come succede alla donna che resta pregna, porta a buon fine la gravidanza, soffre il parto ma poi è premiata dalla nascita del figlio che assicura la continuazione della famiglia e della comunità.

Dunque, se è vero, la Dea rappresenta la natura solo in quanto mette a disposizione la materia e gli strumenti corroborati dall'esperienza e dalla conoscenza perché l'avventura umana vada a buon fine.

Da qui tutte le speculazioni esoteriche successive, che sono giuste ma, appunto, sono successive. Quindi la divinità delle Veneri sarebbe quella che mostra e insegna. Anzi se vogliamo non sarebbe una Madre Terra da cui ci si aspetta la fecondità, ma dalla quale si attende una forma di esistenza compatibile con i limiti, le esigenze e le aspettative umane.

La speculazione successiva di base è quella che vi dico ora.

In sanscrito la parola bhū significa: il verbo essere, ma anche terra, materia, esistenza. Quindi la Terra è la materia che esiste e che evolve. Bhumi è la Terra nel mondo naturale, Aditi è la Materia primordiale che evolve in ogni cosa, è l'Adya Devi. E adesso basta con le rivelazioni del mio credo. Il resto del lavoro tocca voi come tocca a me.

Detto questo rimane il fatto che non sapremo mai cosa rappresentano queste Veneri, perché oggi non ce n'è più uno dell'epoca che ce lo dica.

Allora facciamo una cosa sensata, molto più 'scientifica' che lavarsene le mani parlando di fecondità, fertilità e abbondanza, messi che ancora non esistevano o timore verso l'ambiente naturale: osserviamole e descriviamole.

Venere di Willendorf

Sono raffigurazioni artistiche, perché hanno tratti simbolici o comunque astratti.

Sono donne che hanno un corpo con connotazioni femminili molto pronunciate nelle parti giuste: seni, fianchi, glutei. Sono donne grasse senz'alcun dubbio, ma con delle proporzioni reali e non grottesche o mostruose. Le possiamo senz'altro definire belle donne. Tranne che per i nostalgici della donna grissino o per chi ama quelle di oggi col sedere da maschietto.

A questa precisa connotazione e riproduzione del corpo non segue una stessa attenzione per il viso, solo il viso poiché la testa è molto ben definita. Dunque non c'è una contrapposizione d'importanza fra corpo e testa.

In qualche caso la testa ha raffigurati dei riccioli e delle coroncine o qualcosa del genere. In certi casi compare un naso o un segno per la bocca, a volte queste coroncine o bende sono anche sui seni e sul corpo.

Potrebbe essere che l'assenza dei tratti del volto sia dovuto solo agli strumenti in possesso: sono sculture in cui una pietra più dura modella una pietra più morbida. Però non mi sembra sufficiente a meno che l'artista abbia reputato inaccettabile il risultato che si poteva ottenere facendo delle incisioni per gli occhi e la bocca e ogni altro particolare. Questi segni, se esistono, sono appena accennati.

Venere di Dolni Vestonice

Apro una parentesi. C'è una raffigurazione indiana di una Devi primordiale in cui sono evidenti il sesso, i seni, la posizione del coito, e dei loti che ella tiene in mano e che ci sono al posto della testa. Ciò è bastato per definirla subito 'la Dea senza testa'. In realtà si vede bene che la testa originaria è andata perduta in seguito a una rottura, accidentale o voluta, ed è stata sostituita, nello spazio esiguo rimanente, con il fiore che la connota più intensamente. Un po' come fece Michelangelo col Mosè.

Insomma, la cosa più importante sembra essere la dimensione del corpo, le sue proporzioni. Non sono certo ritratti di una persona specifica ma di un tipo di bellezza.

Venere di Laussel

Che sia proprio questo il senso? Che siano queste sculture un inno alla bellezza della donna. In fondo la bellezza femminile è uno degli argomenti più importanti dell'arte in ogni luogo. E partendo dalla contemplazione della bellezza si possono fare le più svariate considerazioni sul cosiddetto eterno femminino.

A volte si trovano statuette maschili che hanno il pene eretto, ma forse è l'unico modo per far capire, nella forma sommaria della scultura, che sono uomini e non fanciulle magre.

Ci si può spingere a pensare alla bellezza femminile come a qualcosa da contemplare mentre quella maschile risiederebbe nell'azione.

Dunque per quanto ne sappiamo le Veneri potrebbero essere delle pin up da ammirare e desiderare un po' come quelle che i camionisti si mettono appese nel loro veicolo.

O degli studi di nudo femminile. O ancora un preciso gusto nella bellezza di una donna.

Quello che gli archeologi e paleontologi non fanno è di spiegare come mai queste raffigurazioni si trovano un po' dappertutto. Vanno da qualche centinaia fino a qualche decina di migliaia di anni fa e sono distribuite in tutta Europa e nel Mediterraneo. A tutti è venuta la stessa idea, nello stesso momento, per lo stesso periodo di tempo?

 R.P.

posteris memoria mea

renatus in aeternum