giovedì 21 dicembre 2017

Le Muse: il rapporto reciproco fra le arti - La Grecia

Le Muse: il rapporto reciproco fra le arti - La Grecia 

Con questa nuova serie di post voglio affrontare un tema poco dibattuto, ma di singolare importanza. Voglio tentare una veduta a volo d'uccello, nei vari periodi, sui rapporti fra le arti: se ne esistano e quali oppure se non ne esistano affatto. Considererò le arti tradizionali: pittura, scultura, architettura, musica e scrittura.
Un paio di esempi, sufficientemente noti a tutti, per chiarire cosa vi propongo sulla base della mia esperienza: una cattedrale gotica ha una commistione piuttosto forte di arti diverse che portano il loro contributo viceversa la ricerca avanguardistica moderna procede in sostanza per parti separate.

Il primo periodo che considero è la Grecia e prenderò in esame la classicità greca, come paradigma su cui inserire poi l'evoluzione e i cambiamenti ellenistici, che lascio ad altra sede più specialistica di trattare. Il senso di questi post è avere un quadro di riferimento rispetto all'azione artistica: se tendenzialmente separata o unitaria per vedere appunto qual è il loro rapporto reciproco nelle epoche storiche convenzionali.
Va detto, rispetto all'arte greca, che se noi abbiamo una vasta conoscenza della scultura e dell'architettura o abbastanza buona della poesia non possiamo dire lo stesso per la pittura o per la musica. Dobbiamo basarci sui reperti archeologici ed è questo anche il motivo per il quale non parto da più lontano nel tempo. La storia ci ha negato una quantità enorme di arte greca, o precedente ancora, ciò nonostante essa è la base della nostra conoscenza artistica e non solo.
L'arte che conosciamo di più è la scultura perché possiamo essere ragionevolmente sicuri che le copie in marmo romane siano identiche a quelle in bronzo greche. Conosciamo sia la bravura degli scultori romani sia le loro tecniche di rilievo e riporto. I romani avevano molti degli originali greci in bronzo poi perduti perché banalmente furono fusi per farci altro. Allo stesso modo possiamo valutare la conoscenza dell'architettura, fra quanto è rimasto e quanto si è detto sui canoni un po' in tutte le epoche.
Purtroppo il Cristianesimo ha distrutto dei tesori, in quanto forme dell'arte pagana, in quantità e qualità tale che è meglio non pensarci. L'idea che il Partenone sia saltato in aria perché trasformato in polveriera, durante una delle tante guerre fra europei e turchi, dà un'idea di come la violenza iconoclasta delle religioni sia stata folle e perpetrata nel tempo. Ma ricordatevi, anatroccoli, che le religioni sono delle alleanze politico militari: di spirituale non hanno nulla. A proposito, il post sulla “Chanson de Roland” ha sempre più successo con mia estrema soddisfazione e orgoglio. Leggetela la “Chanson de Roland” è davvero un capolavoro.
La poesia è conosciuta, ma solo in parte e qui non siamo sicuri che i monaci cristiani abbiano tenuto le migliori tragedie. Qualche anno fa fu rinvenuta in Italia una villa romana con centinaia di papiri bruciati provenienti dalle biblioteche della domus. Come sapete nelle case romane c'erano due biblioteche: quella greca e quella latina, sul modello della colonna traiana). Esiste una tecnica che permette di svolgere i rotoli arsi e riportare alla vista le lettere, si spera in qualche grande scoperta inedita, ma sono processi molto complessi e lunghi, che portano via decenni.
Poi manca quasi tutto dei lirici: della mia amatissima Saffo son rimasti solo lacerti o poco più. Ci mancano le cosiddette 'piccole Iliadi' o 'piccole Odissee' e tutto il resto.
La pittura è quasi sconosciuta, se non per descrizioni. Abbiamo sì quella ceramica, ma niente delle altre se non pezzi di pigmento su qualche muro, ma roba per archeologi, nulla più. Ci può essere d'aiuto la pittura parietale della tombe etrusche che con ogni probabilità sono state eseguite da pittori greci, ma solo provenienti della Magna Grecia.
Tomba di Tarquinia
La musica poi è del tutto sconosciuta se non de relato da parte di qualche filosofo. Ma che musica suonassero i greci non lo sa e non lo saprà mai nessuno, almeno in questa vita. Di trovare un vecchio 78 giri di Euripide non se ne parla. Poi vi spiegherò perché dico proprio Euripide.
Stando così le cose direi che conviene esplorare i casi in cui le arti hanno collaborato.
Un primo caso, il più conosciuto, è il rapporto tra architettura e scultura. Ne ho già parlato ed è molto conosciuto.
Nel video sul concerto per clarino di Mozart, che vi ostinate a non guardare come l'altro, perché come anatroccoli avete o dimostrate un cervello da gallus gallus domesticus e una prosopopea da pavo cristatus, ho messo le tre stupende Dee del fregio del Partenone: Estia, Dione e Afrodite. E se quando sarò morto incontro quello che le ha decapitate dovo lo trovo lo lascio.
Frontone del Partenone
Ma il rapporto fra scultura e architettura non si risolve solo nell'uso di statue in alcuni punti dell'edificio: timpano e metope, ma anche nella genesi delle stesse forme di linguaggio architettonico. Anzi questo tema, che ho già ampiamente trattato e che tratterò di sicuro di nuovo parlando d'arte, permette di introdurre una classificazione fondamentale per descrivere il rapporto fra le arti. In alcuni casi abbiamo che l'architettura prevede dei siti di allocazione di altre opere d'arte, queste parti dell'edificio possono essere molto ben definite, un timpano appunto, o più genericamente definite, una parete a mosaico bizantina a esempio. Oppure si può avere una fusione fra le due forme di arte. È il caso dei canoni architettonici, dalle modanature alla definizione dei capitelli et cetera.
Dunque nell'arte greca vi è una fusione fra architettura e scultura. Ma si sa che sia gli edifici sia le statue erano dipinti a colori. Ogni parte del tempio aveva un colore, vedete per questo il post “Anatema”. Ma anche le statue erano dipinte e al naturale. La pelle era dorata o rosata, gli occhi dipinti, la bocca o i capelli, le Dee erano truccate... a volte ci potevano essere persino gioielli o vestiti.
Ricostruzione di una kore
Questo testimonia che per i greci le divinità avevano aspetto umano ed erano riprodotte per sembrare persone vive. Naturalmente per la nostra sensibilità, che è dovuta al fatto che le vediamo secoli dopo e ci siamo abituati così, appaiono molto più affascinanti i tenui cromatismi del bronzo o del marmo o lo sguardo senza pupille, così 'olimpico'...

C'è però un luogo dove le arti si sono congiunte, praticamente tutte: il teatro.
Due parole sull'origine del teatro o meglio delle rappresentazioni drammaturgiche.
All'inizio era il coro... e il coro era presso di Dio, e il coro era Dio... Sembra una battuta ma probabilmente è andata proprio così. La più antica forma di dramma greco che possediamo sono i Ditirambi di Bacchilide, autore greco subito precedente ai grandi storici del V secolo: Eschilo, Sofocle e Euripide. Anche i ditirambi non sono integri e ne abbiamo solo dei pezzi.
L'azione consisteva nel coro che intonava un canto che narrava un mito. Non è certo se il dramma fosse da ascrivere al culto di Dioniso o di Apollo, alcuni pensano che siano due forme diverse: il ditirambo per Dioniso e il peana per Apollo e non sappiamo se nei Ditirambi di Bacchilide siano presenti anche dei peana. Si immagina che il coro cantasse dapprima in cerchio, un po' come i cori sardi di oggi, e in seguito nel tempo si disponesse in linea o a triangolo per rivolgersi a un pubblico. Si suppone che già in Bacchilide fosse possibile che un corifeo uscisse a recitare o a cantare solisticamente. Dal dialogo che si instaurava fra corifeo e coro sarebbe nata l'azione teatrale, il dramma. I tre grandi del V secolo avrebbero introdotto via via il protagonista, l'antagonista, la parodo o entrata laterale del coro (quindi il primo movimento coreutico), poi ancora gli altri attori e le varie sezioni della tragedia. Non specifico troppo perché sono nozioni che potete trovare con facilità anche in rete, a differenza di quelle che vi do sulla composizione architettonica: e quando lo capirete, anatroccoli, sarà sempre troppo tardi.
Non sappiamo con certezza come fosse alla fine una tragedia o un altro tipo di dramma del teatro greco. Magari era del tutto simile a una nostra opera lirica ma non si può affermare con certezza. Di sicuro abbiamo l'unione strettissima almeno della poesia, della musica e del movimento coreutico. Anche a voler essere pessimisti non è da folli pensare che a un certo punto comparissero delle danze.
Fra l'altro, per dire della complessità di questa forma di arte, sappiamo che erano usati in pratica tutti i dialetti greci nelle varie parti della tragedia: dorico per i cori secondo la tradizione spartana (e qui si può pensare a quelle parti cantate come arie, diremmo noi, piuttosto che a quelle dialogiche con gli attori), eolico per le arie liriche e ionico o attico per i dialoghi e come lingua di base del recitato.
Una forma di pittura era senz'altro presente nelle maschere che avevano lo scopo di rendere riconoscibili i personaggi anche a distanza e immediatamente. Non escluderei forme di scenografia, statuaria e macchine per l'azione, anzi sarei stupito del contrario.
Euripide
Prima citavo Euripide. Di questo grande autore si sa che componeva sia il testo, sia le musiche delle sue opere, e si sa che era un pittore di un certo livello, aveva delle 'mostre' al suo attivo, dunque potremmo pensare a una pittura su tavola e non solo parietale. Perciò sembra strano che non utilizzasse anche la pittura nelle sue tragedie.
L'architettura probabilmente si aggiunse dopo. All'inizio il 'teatro' non era che un prato dove si riunivano i partecipanti, poi venne logico che fosse sulle pendici di una collina, le ripe per gli spettatori e il paesaggio, fosse campagna, mare o città, come fondale scenico. Poi si decise che almeno i posti più importanti si facessero in pietra e si mise qualche quinta e annesso per far sostare coro e attori quando non fossero in scena e da lì nacque il teatro architettonico con il proscenio e l'orchestra, ancora dopo il la quinta di fondo architettonica, in epoca ellenistico-romana.
Del resto che l'architettura arrivasse per ultima è logico se si pensa che il teatro è appartenente al culto di Dioniso e questo Dio non ha mai avuto templi: la sua liturgia si faceva nel bosco e dopo nel teatro, quando la sua venerazione fu ammessa dalle autorità e prese le forme di rito urbano e della polis. Prima della rappresentazione teatrale si faceva un sacrificio ed è probabile che la vittima fosse un capro, da qui il termine tragedia o 'canto del capro'.

Abbiamo quindi ottenuto un primo risultato di compresenza e collaborazione fra le arti, cioè fra le Muse, da questa sommaria analisi, ma saranno tutte sommarie perché ve l'ho detto che se non mi pagano non voglio far fatica. Ma chi vi parla di Bacchilide o del culto di Dioniso normalmente? su, siate sinceri...
A proposito, siamo a Natale. Oltre al significato cristiano, il motivo per cui si festeggia il solstizio invernale è la nascita del Sole: il Natalis Solis Invictus dei Romani. Ma tutte queste feste invernali erano già nella tradizione greca: quelle del solstizio si chiamavano Piccole Dionisie o Dionisie Rurali, quello che oggi si chiama Carnevale si festeggiava nelle Antesterie (le 'feste dei fiori') dove Dioniso, che non aveva templi fissi, arrivava in città sul suo carro a forma di nave, il carrus navalis romano, da cui Carnevale. Questo carro ricompariva un mese dopo, forse per indicare la partenza del Dio dalla città, anche alle Grandi Dionisie o Dionisie Urbane che cadono all'incirca alla Domenica delle Palme, o sia la domenica prima della luna piena passato l'equinozio di primavera (cioè la prima luna piena di primavera). Forse è per questo che la Chiesa Cattolica ha scelto la domenica dopo come Pasqua...
Dunque le feste natalizie sono le feste della nascita del Sole e dell'Anno (Cesare scelse il primo gennaio come capodanno nel senso che in quel giorno entravano in carica i consoli, infatti era un giorno lavorativo, dunque sarebbe una festa solo amministrativa, a me infatti l'ultimo dell'anno sta sulle palle).
E dunque vi spetta il video di auguri di Buon Natale d'Anno! Eeh, ve tocca...
È la versione di Benny Goodman di “On the sunny side of the street”.

giovedì 7 dicembre 2017

Messaggio a reti unificate: tre anni di blog

Carissimi anatroccole e anatroccoli, comprendendo nella nomea ogni specie di bipedi in visione, oggi è il 
terzo compleanno di questo blog.
Il 2017 è l'anno in cui ho pubblicato il mio primo libro di liriche “Nato di Marzo” e l'anno in cui questo volume è stato premiato come vincitore della sezione Poesia Impressionista del Premio Nazionale Leandro Polverini.
Terzo compleanno del blog
Io mi sto divertendo a scriverlo questo blog e voi pare vi divertiate a leggerlo. Ormai ho capito quali argomenti vi stanno più a cuore e quali no, ma dovete capire che alcune considerazioni di carattere politico sono una testimonianza, che devo dare in certi momenti, di un disagio culturale e sociale mio ma non solo, poiché certi di questi stanno avendo un boom di letture.
Piano piano leggete anche quelli sull'architettura più specifica e non solo quelli sulla storia dell'arte. Leggete anche quelli sulla composizione architettonica per capire meglio, sono un po' meno usuali ma basta un minimo d'attenzione in più e vi si aprirà un mondo.
Anatroccolo/a designa soprattutto l'appassionato/a di architettura, che grazie anche a quello che trova nei miei post potrà diventare un bellissimo cigno (ma deve volerlo).

Avete un solo difetto: siete dei fifoni. Non ce n'è uno di voi che per qualche via mi porti all'attenzione il suo apprezzamento o le sue critiche. E sì che mi pare evidente che io sia una persona educata e affabile (è una vita che me lo dicono tutti) anche se a volte faccio dell'ironia o dico parolacce. E che i miei post, che non sono pochi, contengano tanti spunti di riflessione e argomentazione.
Le statistiche del blog dicono che è consultato e ha dei lettori affezionati. È brutto però essere sempre osservati dal buco della serratura. D'altra parte se non so chi siete, come tipologia non m'interessano il nome e cognome, non so proprio come interagire con voi. E lo vorrei, penso si capisca. Cos'è: siete tutti giovanissimi e non volete parlare con quello che potrebbe essere vostro padre o il prof? Non credo, ci sarà bene qualcuno un po' più maturo. E poi comunque non sono padre e non più insegnante, se non qui. Dunque?
C'è qualche problema tecnico? Fatemelo sapere. Non avete tempo? Auguri per i vostri gravosi impegni. Vi spavento? Nooo... Siete abituati a spolliciare e basta: like e dislike e via? Mandatemi segnali sintetici, due parole. Siete abituati a trollare e avete capito che qui non è aria per voi? Smettete di leggermi.
Anche a me è capitato di mettere dei commenti da qualche parte ai quali non ho ricevuto risposta, ma non mi sembra sia il mio atteggiamento, ho già detto che risponderei a tutti.
Pensate che oggi si vada solo di social del cazzo e il blog come social è desueto, troppo riflessivo? E siete d'accordo che sia così? Se sì: smettete di leggermi.
I commenti, il rapporto umano diretto, sono l'unica cosa che manca ormai al blog.

Comunque ho la testa dura.
C'è un post che non l'ha letto nessuno: “Al Andalus” è l'unico. Non so perché. In quel post pubblicavo due video di Mozart, che non potete perdervi nel modo più assoluto, e quindi li ripubblico qui come festeggiamento: oggi è anche Sant'Ambrogio, o sia la festa di Milano, il 7 di dicembre si mettono di tradizione le decorazioni natalizie. Come saprete è anche il giorno dell'inaugurazione della stagione del Teatro alla Scala. Dunque festeggiare con la musica è appropriato.
Per la verità c'è un'altra tradizione ben più antica per Sant'Ambrogio: si mangia la gloriosa casöla con la polenta. Nella polenta che avanza si mette un pezzo di gorgonzola e si ricopre. Il formaggio si scioglie e si mangia condito di burro fuso (soffritto con aglio e salvia o sciolto a crudo, a piacere) e grana: una delizia. Io li accompagno col vino novello, ma è una mia tradizione. Come dolce, il Panettone, c'è bisogno di dirlo?
Ecco i video con il copia e incolla.
' Vi propongo due pezzi di Mozart che amo. Sono ambedue brani per fiati.
Wolfgang amava molto i fiati, tranne il flauto traverso, che odiava ma penso fosse perché era di moda fra i nobili del suo tempo e temeva che qualcuno gli chiedesse di suonare assieme. Avveniva spesso che i musicisti professionisti facessero da comprimari ai nobili dilettanti, così il primo violino teneva la viola accompagnando il principe appassionato di violino ecc... Amava soprattutto il corno e il clarinetto, che ha un'estensione maggiore dell'oboe classico. Stimava i fagottisti (i 'mangialegno') perché erano il basso del pezzo.

Il primo brano è un estratto del secondo movimento del Quintetto per pianoforte e fiati, del 1784, KV 452, composto a Vienna.
Nel video il larghetto è in si bemolle maggiore, clarinetto e corno sono in do maggiore.
Qualcuno ritroverà l'antenato del “...♪♫ I can't help falling in love with you ♫♪...” di Elvis Presley.

In una sua lettera al padre Leopold, del 10 di aprile 1784, Mozart scrive:

“ … Ho composto 2 grandi concerti e poi un quintetto che ha ottenuto un successo straordinario, io stesso lo considero come la migliore cosa che abbia mai scritto in vita mia. È scritto per 1 oboe, 1 clarinetto, 1 corno, 1 fagotto* e il piano forte*. Avrei voluto che voi aveste potuto sentirlo! E come è stato bene interpretato! D'altronde (per confessare la verità) alla fine mi sono stancato a forza di suonare e mi fa un onore non piccolo il fatto che i miei ascoltatori non si siano mai stancati. … ”.
[* in italiano nel testo]

I due concerti nominati nella lettera sono quelli per piano, in si bemolle maggiore KV450 e in re maggiore KV 451.

Se vi è piaciuto e lo volete tutto, è qui .

L'altro pezzo è un estratto del secondo movimento del famoso Concerto per clarinetto e orchestra, in la maggiore, KV 622, composto a Vienna nel 1791.
Quell'anno Mozart ha la testa piena di note, più piena del solito intendo, perché sta componendo “La clemenza di Tito”, “Il flauto Magico” e il Requiem oltre questo grande concerto. Era felice Wolfgang e non sapeva che quell'anno sarebbe morto.
Il tema dell'adagio è molto simile a “Pupille amate” da “Lucio Silla” messo in scena da Wolferl a Milano nel 1772. Questa opera fu una specie di consacrazione di Mozart come compositore adulto, dopo gli anni di bambino prodigio. Così ritroviamo lo stesso tema all'inizio e alla fine della sua parabola esistenziale.
Non mi stancherò mai di dire che “Lucio Silla” è un'opera bellissima e di straordinaria importanza per la lirica italiana del secolo successivo, anche se non mai superata ovviamente, con un gusto milanese e scaligero che farà epoca, anche se poi così malamente reinterpretato.
Suona una dolcissima clarinettista islandese: Arngunnur Arnadottir.

Se vi è piaciuto e lo volete tutto, è qui . '

Un bacio alle anatroccole e una virile stretta di mano agli anatroccoli.
Fine del messaggio a reti unificate. Sigla.

giovedì 16 novembre 2017

Composizione architettonica e poeti 2 - Ara pacis

Cari brutti anatroccoli del mio cuore, questa la potremmo considerare una lezione sulle proporzioni. L'Ara pacis del titolo è in realtà l'edificio che la contiene, progettato nel 2006 da Richard Meier. Ne ho già parlato definendolo un edificio non così catastrofico come in genere è descritto, ma ciò non toglie che abbia molte riserve su di esso. Mi focalizzerò su un esempio solo, che però permette di fare delle interessanti considerazioni.
Osservate queste due immagini, che ho già pubblicato: uno è l'edificio di Meier l'altro è il padiglione tedesco per l'esposizione internazionale di Barcellona del 1929 di Ludwig Mies van der Rohe. Uso volutamente due edifici che chi segue questo blog conosce di già. Vi prego di osservare lo spessore delle solette, come ho evidenziato.
Mi direte: be' ma quello di Mies è un padiglione, le strutture e i corpi di fabbrica portano solo sé stessi. Be' perché, quello di Meier cos'è? Il fatto che dentro uno ci sia l'Ara pacis di Augusto, mentre nell'altro quattro avvenenti hostess tedesche, non sono solo due buoni motivi per andare a visitarli?
Richard Meier - Edificio per l'Ara pacis

Roma - Ara pacis

Ludwig Mies van der Rohe - Padiglione tedesco all'Expo di Barcellona
Marlene Dietrich - Der blaue engel - 1930
Veniamo al dunque. Concentriamoci sulla parte anteriore del padiglione di Meier, l'ingresso. Anche se adesso vanno di moda tutte queste strutture cristonate in sostanza si tratta né più né meno di un architravatura, che ne contiene un'altra in cui tutt'al più il pilastro circolare svolge una funzione di rompitratta. Ma il loro significato è di fatto tutto compositivo.
Vi agevolo uno schema, fatto dalla mie manine d'oro con Paint.


Qui a è la trabeazione, b e c sono setti portanti, uno intonacato come la soletta e l'altro rivestito di pietra e di maggiore spessore, d è il pilastro circolare (che voi avete di sicuro chiamato colonna, carissimi sgraziati anseriformi: perché non è una colonna?) e e è una soletta di balconata.
Notate il trittico “e e è” che è già una poesia marinettiana in sé, ma voi siete poeti d'oggi, che ne sapete?
Diamo per buono che il pilastro circolare, come possibile rompitratta, renda lecitamente minore lo spessore del setto c rispetto a b, parlo di considerazioni di composizione della facciata non di questioni di scienza delle costruzioni, lo dico per i nostri amici ingegneri eventualmente all'ascolto. Dunque sorvoliamo su questo particolare.
Cosa si può notare subito?
Mumble mumble... (tempo di riflessione e rumore di rotelle nel cranietto dei miei anatroccoli).
Bravi! Che lo spessore dell'architrave è una cifra.
E perché è così spesso? Visto che poi è contraddetto dalla soletta della cosiddetta teca che contiene l'Ara pacis?
Mumble mumble...
Ma stavolta la risposta non viene... Però se andate a vedere troverete molte architetture di questi ultimi decenni che hanno elementi strutturali o corpi di fabbrica sovradimensionati rispetto alla loro funzione. Sopra la soletta dell'ingresso, se non ci sale Giuliano Ferrara, non c'è pericolo di crolli imminenti. Sopra non c'è nulla, il che che significa 'nulla'. Proprio come sopra la soletta di Mies non c'è nulla, nemmeno i reggiseni a stendere delle hostess. E infatti nel padiglione tedesco di Barcellona abbiamo subito un senso di proporzione, di armonia, di leggerezza, un rapporto intimo fra le strutture, i tamponamenti, che sono in pietra, in intonaco e in vetro (esattamente come a Roma) e le solette.
Quello di Meier è un inutile ingresso monumentale prodromico a un altro monumento. Che però ha il piccolo particolare di essere un'architettura fra le più importanti in assoluto della storia dell'arte per le conseguenze che avrà in seguito su edifici, arredi e scultura e pittura.
Dietro i Propilei dell'Acropoli di Atene, per fare un esempio a tutti noto, c'era la statua di Athena Parthenos di Fidia e il Partenone di Ictino (due 'de passaggio') oltre al resto: capite che lì forse si poteva essere un po' ambiziosi per segnalare l'ingresso, ma occorreva farlo avendoci le palle, e Mnesicle (n'artro de passaggio) ce le aveva.
La risposta è che Meier, che come già dissi non è certo il Meier degli anni ottanta, principe di linearità e leggerezza, ha fatto così perché oggi si usa fare così, perché a certe cose non ci fa caso più nessuno, perché l'architettura con, le sue regole di comportamento, è in sostanza morta. Perché il committente è contento di avere un bell'ingresso trionfale, anche se non c'entra una minchia. Poi, dice, “stamo a Roma e un po' de pietra nun ce sta mmale”. E fa il muro del pianto.
Ripeto e confermo però che a petto di altre architetture questa non è delle peggiori. È che oggi va così. 'Stamoce'... e no che nun ce stamo!
Fatta l'analisi, vi propongo una variante, semplicissima, ma che tenga in conto delle reali esigenze di sforzo strutturale e di un minino senso delle proporzioni, considerando che già la scelta di un'architravatura è di per sé impegnativa e ampollosa, fra le altre possibili, e dunque non vi è alcun motivo di appesantirla e enfatizzarla.

Dovete fare lo sforzo mentale di omettere la parte eccedente quella delimitata dalle linee rosse.
Diciamo che lo spessore della soletta è lo stesso di quella della balconata, dal momento che non deve reggere altro che il carico accidentale di persone che salgano per la manutenzione o di un'eccezionale nevicata, che a Roma però... Tanto la balconata, essendo inscritta nel telaio maggiore ha già una regola di subordinazione, senza agire sullo spessore. Al massimo concedo che la soletta sia alta quanto è spesso il setto intonacato, se questo è al minimo dimensionale però. Così anche il murazzone sarà percepito come elemento plastico, come enfasi o entasi di carattere retorico accettabile.
Poi quelli che dicono che studiare architettura è facile...

L'insegnamento poetico è duplice.
Per primo è che occorre avere sempre attenzione alla metrica come proporzione del verso, come le regole della composizione architettonica sono sempre valide. Chi ha un minimo di esperienza avrà notato che il discorso sulle proporzioni che ho fatto si può applicare sia su architetture storiche di connotazione classicista sia anticlassicista, il barocco per esempio.
Secondo: la proporzione corrisponde al peso delle parole. Attenzione quindi alle forme retoriche all'interno della poesia moderna: l'enfasi o la magniloquenza possono essere disarmoniche, la citazione o la metaparola possono essere armoniche, la desuetudine lessicale forse, dipende dai casi.
Gli esempi poetici non li farò perché voi ne conoscerete senz'altro più di me. E poi non ci ho voglia di cercarli: e che? devo fare sempre tutto io?
Nuotate fino a riva paperottoli...

domenica 5 novembre 2017

La madre di tutte le battaglie

Altare di Pergamo - Atena

Questo è probabilmente il post più importante che ho scritto finora.
Chi vive in Europa sente, credo, con maggior pesantezza la condizione attuale poiché siamo all'interno della dittatura di sistema della Unione Europea, ma le cose non penso siano diverse nel resto del mondo. Mi riferisco a quella che si può definire la strategia dell'istupidimento delle masse.
Per definizione la massa deve essere istupidita per poter essere controllata. Ciò può essere fatto con l'assenza di cultura o con una cultura falsa che porti la gente a non avere più una mente viva e critica.
Quello che la cultura può dare, in sostanza, sono dei mezzi di interpretazione maggiori. Non è tanto quello che si sa di più ma a cosa serve quello che si sa in più. Nel primo caso avremo un fecondo processo di evoluzione nell'altro scambieremo per cultura la semplice partecipazione a un evento.

Fino all'epoca contemporanea, allarghiamola alla fine del XVII secolo, il ruolo cardine del controllo delle masse furono le religioni. Nelle religioni alcuni elementi sono indiscutibili, sono atti di fede. Basta convincere che l'ordine costituito sia diretta emanazione di quei principi e le masse non oseranno nemmeno discutere.
Dalla fine del '600 comincia a comparire un modo differente di argomentare che sarà formalizzato nel secolo successivo. Questo metodo, che potremmo definire razionale, poiché basato sulla ragione, sulla logica scientifica, sul naturalismo, cerca di comprendere i fenomeni e di conseguenza cerca di ipotizzare un nuovo modo di affrontare vecchie e nuove tematiche.
Il risultato è esplosivo. In un colpo tutto il sistema di logiche, valori, prassi, indagine dell'esistente è travolto dal nuovo modo di pensare. Questo dapprima si affianca alle religioni, ma dopo, forte di un atteggiamento realistico e materialistico, si impone sulla mera logica di fede. O meglio, la relega al suo giusto posto: quello di convinzioni personali, legittime e libere, ma da svolgere nella propria interiorità. Le religioni non riescono a stare al passo e perdono il loro significato.
Questo fenomeno si innesta su due altri di storica importanza.
Il primo è il forte aumento della popolazione dopo la peste del XVII secolo, che fu terribile: uccise più o meno la metà della popolazione europea, laddove ci fu ovviamente. Questo aumento non si è ancora fermato ed è causa di gravissimi problemi per il pianeta. Io lo considero 'il problema', anche se, badate, non sono di quelli che vorrebbero lo sterminio di due terzi degli abitanti della terra: non diciamo cretinate. L'eccesso di popolamento del pianeta si risolverà con pratiche anticoncezionali volontarie e soprattutto con lo sviluppo economico e culturale dei paesi interessati da questo fenomeno.
Il secondo è un certo avvicinamento delle classi sociali che porterà a un aumento delle persone istruite se non colte. Persone in grado quindi di esercitare un ruolo di critica e di elaborazione del pensiero. Questo invece, non solo non è un problema, ma forse la nostra ultima salvezza.
Di sicuro questi due fenomeni demografici portano al concetto di società di massa e al problema del suo controllo come le religioni controllavano i fedeli e i re i loro sudditi.
Questo sistema di riflessione si afferma come 'pensiero laico'. Lascio come al solito ai filosofi la disquisizione dei termini, credo di essere ragionevolmente certo di usarne di comprensibili e non ambigui.
Naturalmente non è che il pensiero laico sia infallibile e unico, si presta a molte varianti e soprattutto si presta a essere utilizzato anch'esso come funzione di controllo della massa. Non intendo dire che le ideologie siano riassumibili solo nel ruolo di controllo, ma certo questo uso fu uno dei più frequenti e anche vincente per esse stesse. Un pensiero ideologico deresponsabilizza e conforma le menti nel senso voluto.
Molti sono anche tuttavia gli aspetti positivi di un'ideologia: razionalizza il pensiero, lo focalizza, mette a disposizione una base organizzata per discutere. Se il neo convertito all'ideologia vuole discuterne...
Da un certo punto anche le ideologie sono ritenute però inadatte al controllo sociale, penso proprio per la possibilità virtuale di discussione critica. Ovviamente non mi riferisco alla deriva tirannica delle ideologie, ma a quella più sottile delle post ideologie.
Allora, riassumendo, le religioni dicono che il mondo è così e così perché c'è qualcosa di superiore che le ha siffatte e che tali le vuole; le ideologie affermano che il mondo è il risultato di dinamiche sociali, politiche e economiche e suggeriscono il modo di cambiarlo in meglio, secondo il loro meglio.
Insomma, dicendolo alla milanese, ciapall de cu o ciapall de pee, ossia prenderlo per la testa o prenderlo per i piedi, abbiamo un po' esaurito le alternative possibili. Resta solo quella di inventare una nuova religione o una nuova ideologia. Siccome le ideologie sono le ultime nate, le hanno già inventate tutte o quasi, infatti si vede come delle nuove religioni, da un certo punto in poi, parlo dal secondo dopo guerra, hanno cominciato a nascere. Poi la religione ha uno strumento in più rispetto alle ideologie (privilegio dell'età più avanzata): il sincretismo.
Ma non continuo su questo punto perché porterebbe fuori strada.
Dunque, se eliminiamo le religioni e le ideologie cosa resta per il controllo delle masse?
Il nulla o il nichilismo della cultura per cui tutto è importante e nulla lo è in definitiva. Dunque una cultura falsa, fatta di conformismi, di buone intenzioni, di sensi di colpa (il più grande strumento di potere), di parole vuote, di sviamenti etici ed estetici, senza riferimenti oggettivi, senza la capacità critica, senza la possibilità di argomentare né un dissenso né una reale comprensione dei fatti e delle evenienze del mondo.
Penso di essermi spiegato senza dover annoiarvi con mille esempi. Del resto guardate la vostra vita e quella di chi vi sta intorno. Poi ogni esempio porterebbe fatalmente a demonizzare un singolo aspetto a scapito della visione complessiva cosa che è esattamente quella che chi ci vuole controllare vuole che avvenga.
Però un esempio di metodo si può fare. Fateci caso, nel modo di ragionare di oggi ogni fatto è, per definizione, intrecciato con tutti gli altri. È evidente che alcuni fenomeni siano connessi fra loro, ma per la logica illogica di oggi ogni singolo fatto può essere letto solo calandolo nel tutto, come metodo appunto, senza chiedersi se ciò corrisponda al vero, se sia un buon metodo di analisi. Ma quanto fa sentire individui che hanno contezza di quello che succede al mondo! Poi, basta un maitre a penser (giornalista, filosofo, politico ecc...) che dia le risposte che fanno stare bene e il colpo è fatto. L'individuo si sente subito intelligente, libero da colpe, con tutto il sapere e le risposte giuste. È la sublimazione dell'analisi ideologica nella forma di religione laica.
Ma il metodo dell'analisi (lo dice il nome stesso) è lo studio e la comprensione di un fenomeno alla volta. In seguito possiamo affrontare un insieme di argomenti dei quali siamo sicuri che siano relati fra d'essi e di cui possediamo gli strumenti per la valutazione e comprensione, e così via. Ma procedere allo studio di un fatto, per giungere a una conclusione e poi passare rapidamente alla 'teoria del tutto' è solo un affastellare argomenti e ragioni per arrivare dove spesso sia la religione sia l'ideologia vogliono arrivare: a confermare sé stesse.
Qui la novità consiste che la conferma riguarda il nulla, il non pensiero, o una cultura d'accatto, inesistente perché priva di ciò che rende la cultura tale: la possibilità di formarsi un giudizio autonomo attraverso una mente critica e non conformista.
L'obiettivo diventa, per quanto detto fin qui, colpire la cultura come origine del pensiero razionale.
Noi oggi sentiamo forte il problema della cultura, chi è ancora vivo dentro, chi non è ancora spento, perché siamo in una fase di regresso.
C'è un detto: follow the money, per capire i problemi. Be' bisognerebbe dire anche follow the power. Bisogna capire sempre chi incarna il potere perché uno dei compiti che si dà il potere è di controllare le masse. Nel dopoguerra in Europa e Stati Uniti il potere è nelle mani delle democrazie, che fatalmente si pongono il problema del controllo sociale.
Io definisco le democrazie dei regimi inclusivi, ossia sistemi di potere che tendono a includere il più alto numero di persone, mentre i sistemi totalitari sono esclusivi, cioè tendono a consolidare un nucleo di consenso minimo utilizzando metodi spicciativi come l'eliminazione dei dissidenti o attribuendo un grande potere ai fedelissimi. È chiaro che le democrazie devono muoversi in modo molto più cauto e sofisticato per convincere al consenso strati crescenti di popolazione che avranno però idee e valori di riferimento diversi.
Il metodo che ha dato più risultati è il pluralismo delle idee. Una democrazia funziona tanto più quanto consente e garantisce a ciascuno di esprimere la propria idea e di sviluppare la propria vita secondo i suoi ideali. Ma questo ha un difetto per il potere democratico: lo rende più debole e più discutibile. Sarebbe necessario per una democrazia avere dei momenti di ripartenza dei valori e di slancio periodici. Ma questo aggraverebbe di più il problema del controllo che sfugge, perché e molto difficile (sarebbe in realtà inutile ma questo i governanti non lo capiscono perché sono dei borghesi ignoranti) controllare delle menti sempre più libere.
Allora lo strumento che viene messo in atto è il più astratto di tutti, ciò che non tocca gli obiettivi materiali di ciascun partecipante alla società. Ricordate che una democrazia deve muoversi sotto traccia. Ecco dunque, pienamente logico, l'attacco alla cultura. Perché diciamocelo: senza cultura si vive lo stesso, senza agricoltura no. Un attacco subdolo, ben calibrato, di lungo periodo, piuttosto di costanza che di azione. Costantemente, un po' alla volta, si istupidisce la gente e la si convince a seguire il gregge. Come si dice: è il pastore che porta le pecore al macello.
Ma una democrazia non può abiurare alla cultura, che è in sostanza il veicolo che la ha portata alla vittoria, che ne ha decretato il successo, che ne suggerisce la retorica. Pertanto il problema non è quello, aperto e dichiarato, di abolire la cultura, di proibirla, di rendere difficoltosa la sua frequentazione, piuttosto quello di confondere le menti rispetto a ciò che è cultura. Secondo i metodi che ho cercato di esporre all'inizio del post.
Un esempio, di quelli detti di 'vita vissuta', può chiarire senza farla troppo lunga. Quando insegnavo kenjutsu, avevo due allievi che poi partirono per il Messico. Erano in realtà fra i primi a partire dalla crisi, ma non importa ora. Un giorno un'allieva mi dice che li ha visti una sera poiché erano tornati a Milano per fare certi documenti per stabilirsi definitivamente in Messico. “ Perché, sai, hanno aperto un centro culturale ” mi spiega la Francesca. Conoscendo i tipi chiedo cautamente conferma “ Un centro culturale?”. Risposta “ Sì... in realtà è un internet-cafè”. “ Ahaaa...”.
Senza dubbio in un internet-cafè si possono fare delle cose stupende, 'ma anche no', come su internet si possono fare delle cose meravigliose 'ma anche no'. Però quello che è importante è la percezione di far parte di un evento, magari di vuoto pneumatico, ma un evento che a priori si definisce 'culturale'.
Non basta perciò dire cultura, non basta organizzare eventi culturali, dobbiamo riprenderci la vera cultura, che certo costa fatica e attenzione, ma è l'unica oggi che forse può darci l'ultima speranza. La cultura è la battaglia della vita. Ecco perché ho chiamato il post “La madre di tutte le battaglie”. Senza la battaglia culturale non potremo comprendere il senso di tutte le altre.
Altare di Pergamo - Ecate

A volte ci chiediamo, almeno io mi chiedo, cosa possiamo fare noi, da soli, contro lo strapotere mendace dei media di regime (tutti in pratica). Cosa contro lo svuotamento di significato e di potere autentico delle istituzioni. Cosa contro la forza militare e di polizia, il controllo delle nostre comunicazioni. E così via.
Ci ho pensato e credo che l'unica cosa, la prima, la più importante che possiamo fare è la battaglia della cultura. Riappropriarci noi stessi per primi di una vera cultura, farci guidare da quella nei nostri giudizi, metterla al centro delle nostre azioni private e pubbliche. Tutte le nostre azioni, dalle più banali a quelle più gravi.
Non pensiamo che la cultura vada fatta da chi la sa fare, tutti noi possiamo fare cultura, ognuno al suo livello. Nelle cose possiamo farlo e nelle scelte. Basta di leggere i libri che sono belli solo perché lo dice il giornale di regime, basta di vedere film che segnano solo la lapide di quest'arte. Basta farci convincere, senza essere intimamente convinti e sicuri delle nostre preferenze, da chi ci propina un'arte imputridita. Basta credere a tutte le motivazioni tanto belle su quello che ci succede intorno, anche se sentiamo che qualcosa non va, intorno a noi e in quelle spiegazioni fasulle e infingarde. Tutto è dettato dall'interesse, lo capite? Dal potere, dai soldi, dalle amicizie utili e interessate, dalla carriera, dalla paura, dal 'tengo famiglia'. Tutto è fatto ad arte per renderci stupidi o rassegnati.
La battaglia della cultura è l'ultima spiaggia che ci rimane, per loro è la più dura da vincere poiché la cultura ha una forza che le deriva dai secoli, e ne ha superate tante, ma tante. Per noi è l'unica arma efficace, quella che possiamo controllare e che loro non ci possono proibire perché sta dentro di noi. È come boicottare un prodotto: la ditta che lo fa fallisce. Rifiutiamo la cultura falsa e una falsa cultura e loro falliranno.
Dice: non è facile. Certo che no. Quando insegnavo a progettare, all'obiezione, dopo un suggerimento, “ ma così è difficile...” rispondevo “ ma che gusto c'è a far solo le cose facili? quelle che fanno tutti?”.
Ricordatevi in ogni momento che se non volete morire dovete essere combattenti della cultura, ogni cosa che fate deve esprimere il meglio della vostra cultura. E se incontrate qualcuno che vi dirà che lui/lei non ne è capace ditegli/le che si sbaglia, che gli/le hanno messo in testa la sua incapacità. Siate seri nel vostro fare e fate il meglio di voi e faremo sempre meglio. La cultura è evolutiva e voi sapete che per me l'evoluzione è anche l'unica verità divina.
Combattete la madre di tutte le battaglie: la guerra della cultura libera, laica, logica, della ragione, del bello, del dubbio ecc... Aprite il confronto soprattutto dentro di voi e poi con gli altri, non arrendetevi, sarebbe diserzione. E scusatemi il tono da predicatore, ma non ce la faccio più.
Grazie alla decina di visitatori che ha letto questo post.
Altare di Pergamo - Zeus





mercoledì 1 novembre 2017

TG BLOG

Vorrei scrivere un post importante, di quelli che non leggete, ma ci ho l'influenza, che mi è venuta senza febbre e dunque dura un sacco, sto scrivendo la settima raccolta delle “Lettere d'Isabella”, c'è stata l'assemblea del condominio, c'è quella ineffabile voglia di non fare un cazzo tipica del languido autunno, dove penso a bere e a magnare. Insomma non potete pretendere da me che mi faccia il culo 'aggratise'.
Dunque farò il punto della situazione del blog.
La classifica si muove. Il primo paese per numero di visualizzazioni è, ovviamente, l'Italia. Seguono gli States per i motivi legati alla pubblicazione nei sistemi diversi da windows, e per l'assidua azione dei servizi segreti (hi guys...). Ma la Russia incalza a poca distanza, con possibilità di superare, e senza la costante presenza dei servizi segreti (a meno che non siano tonti e rileggano sempre gli stessi post...). Segue la Francia, che si è avvantaggiata di numerosi spam ma ora sembra regolarizzata. Poi la Germania, ma attenzione! l'Ucraina è lì a un passo, davvero a un passo... Poi, distanziate, l'Irlanda, il Giappone, la Svizzera e la Corea del Sud.
Insomma, a quanto pare piaccio a Est e ne sono felice. Sono contento che Giappone e Corea siano i primi paesi non europei (sono felice per via della spada, naturalmente), a parte gli americani che però svolgono un ruolo particolare per via che il blog è una piattaforma di Google.
Certo, il mio cuore va verso il Regno Unito (soprattutto dopo che ho constatato che mia sorella Antonietta è la reincarnazione di Alice Liddell di “Alice nel paese delle meraviglie”, e io che la chiamo da sempre la 'romantica donna inglese'... e a me da piccolo mi chiamavano l'Inglesino) e la Spagna, ma non si può avere tutto dalla vita, figuriamoci da un blog.
Alice Liddell

Gli Svizzeri, per uno di Milano, sono i vicini di casa: Borromini nacque nel Canton Ticino che era allora parte del ducato di Milano. Bei tempi...
Io poi non so da quale parte dei paesi vengano le visualizzazioni: continuate a guardare dal buco della serratura. Magari le visualizzazioni dalla Germania vengono da est anche lì, e li capirei.
Una cosa va detta riguardo ai post. Si attestano i soliti, quelli legati all'architettura ma, nell'ultimo periodo, due si sono affermati con mia grande soddisfazione.
Il primo è “Mi sto rompendo il cazzo” a volte confermato da “Precisazioni per cui mi sono rotto il cazzo” che consiglio di leggere. Soprattutto dall'Ucraina, e li capisco..., e dalla Russia.
Il secondo è “Un capolavoro assoluto: la 'Chanson de Roland'”. Devo dire che questo successo mi riempie di soddisfazione. È un post che ho scritto con molta partecipazione emotiva. Credo ci siano delle considerazioni non banali sia dal punto di vista storiografico sia da quello letterario. Considerazioni non accademiche e il fatto che interessino mi riempie di orgoglio. Insomma: 'sossoddisfazioni'.
Un post che mi sento di suggerirvi è Al Andalus in cui, se non v'interessano le mie considerazioni politico-economiche, ci sono due video su musiche di Mozart che meritano di perderci quei sette minuti complessivi.
A proposito di Mozart e sull'importanza della cultura, guardatevi questo filmato del maestro Muti, soprattutto dal minuto 3'20” al minuto 3'45”, perché c'entra con quanto scriverò nel post del quale sono in gestazione.
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Il post che scriverò sarà sugli obiettivi della lotta contro la dittatura dell'omologazione, in atto in tutto il mondo, e, come esperimento palmare, nell'Unione Europea.
Siccome so che non ve ne frega un cazzo (o sì: fatemi sapere) vi metto due righe del Gatestone Institute, prese dal blog “Voci dall'estero” che vi consiglio di seguire. Il link relativo è qui:

Vi invito a leggere fra le righe della parte citata.
A tutta prima verrebbe da dire: che bello, che giusto condannare chi parla per seminare odio. Notate che si parla di “media che ispirano politiche” e di “strumenti legali” (se non ci sono basta inventarseli e votarli come leggi di censura). Tradotto: usate una parola sbagliata, fra quelle messe al bando come hate speeches e il vostro pezzo sarà censurato. Di più saranno ammessi solo quei discorsi che formano nel lettore un 'corretto' orientamento politico.
I media dovrebbero citare i fatti, non ometterli o stravolgerli per formare un'opinione pubblica 'giusta'.
Per esempio, da sempre io chiamo la questione degli immigrati il ricatto della pietà. Le parole belle, d'amore, dalle religioni si sono trasferite ormai nel linguaggio della comunicazione politica, con lo stesso compito di ingannare, sono ormai un modo di disinnescare la capacità critica di presentare i fatti e analizzarli criticamente. Questo è uno dei temi fondamentali del decadimento e della perdita di tutto ciò che i nostri padri e nonni hanno conquistato con le loro vite e le loro morti.
Se non reagiamo sarà solo questione di tempo.