giovedì 23 febbraio 2017

Un po' di compleanni, " la vita è tutta un mar "


Oggi è il compleanno di Haendel, nato a Halle il 23 di febbraio 1685 e morto a Londra il 14 aprile 1759.

Georg Friedrich Haendel - ritratto giovanile
In questi mesi invernali sono molti i compleanni da festeggiare.

Occorre tenere presente che per i tedeschi nati prima del 1700 valeva ancora il calendario giuliano dunque le date sono due: quella di nascita giuliana e quella equivalente del calendario gregoriano, cioè il nostro; in questo caso Haendel sarebbe nato il 5 marzo 1685.

In questo post voglio ricordare anche questi compleanni.

Antonio Lucio Vivaldi, nato a Venezia il 4 di marzo del 1678 e morto a Vienna 28 di luglio del 1741. Quando nacque sembrò subito scarso di salute tanto che lo si battezzò in forma di emergenza dalla levatrice stessa e affidato al santo del giorno.

Così si capisce anche perché Lucio Dalla e Lucio Battisti si chiamavano così (nati il 4 e il 5 marzo rispettivamente).

Giovan Battista Draghi detto il Pergolese o dei Pergolesi, nato a Jesi (da famiglia originaria di Pergole, Lucca) il 4 gennaio 1710 e morto a Pozzuoli (Napoli) il 16 marzo 1736.

Johannes Chrisostomus Wolfgang Theophilus Mozart (il vero nome completo!) nato a Salzburg il 27 di gennaio del 1756 e morto a Vienna il 5 di dicembre del 1791.

Johann Sebastian Bach nato a Eisenach (Germania) il 21 di marzo del 1685 (31 marzo gregoriano) e morto a Lipsia il 28 di luglio del 1750.

Per ognuno di essi ho preparato un filmato come omaggio a loro e a noi.

L’assunto di questo post è l’affermazione di uno sconsiderato che, senza alcuna abilitazione accademica, decreta quanto segue.

Chi conosca e abbia in mano le composizioni liriche di Vivaldi, Haendel, Pergolesi e Mozart ha tutti gli strumenti per capire l’opera lirica passata presente e futura. Potete ridere di questa affermazione e rivolgervi ai musicologi e ai musicisti, ma io so che ho ragione. Un buon motivo a mio favore è che non ho nulla da guadagnare nell’affermare questo o altro, circostanza che non so se musicologi, direttori d’opera e musicisti soddisfino nelle loro affermazioni in merito.

Il primo non ha scritto nessuna opera, ma ha sistematizzato la musica dell’epoca e quella successiva. Di Bach vi propongo il famosissimo preludio in do maggiore dal ‘ Clavicembalo ben temperato ’. Troppo conosciuto? Eh be’ sì, ma se lo ascoltate ci trovate tutta la musica successiva fino a quella di oggi. Una curiosità. Il ritratto di Bach che trovate alla fine del filmato è la ricostruzione, secondo le tecniche scientifiche, del vero volto del grande maestro, fatto intelligentemente come una statua dell’epoca. Era un bell’uomo, forse non come nel celeberrimo ritratto idealizzato, ma almeno ho evitato di mettere il solito in cui sembra Platinette.


Vivaldi ha scritto numerose opere ed è un po’ il maestro di tutti i compositori per teatro successivi. Ho appena rivisto Farnace  del 1727 ma era un po’ un casino tagliare dal video l’aria “Gelido in ogni vena” per fare un esempio e troppo lunga per un video di celebrazione in un post.

Vi propongo una gemma, meravigliosa ancorché straconosciuta: il secondo movimento dell’Inverno delle “Quattro stagioni”.



Segue un’aria di Pergolesi tratta dalla Serva padrona”: “Stizzoso mio stizzoso” su libretto del geniale Gennaro Antonio Federico.

E qui entriamo un po’ più nel merito. La serva padrona era un intermezzo del Prigionier superbo  (opera, forse non a caso, non bella, molto scontata, fra tutte quelle di Pergolesi) cioè era una breve rappresentazione in due atti che era messa in scena durante gli intervalli dell’opera maggiore. La questione nacque quando ci si accorse che gli spettatori tornavano a vedere il Prigionier superbo più per vedere l’intermezzo che l’opera. Il motivo era che molti volevano vedere nel teatro italiano (come allora era chiamata l’opera lirica) dei temi di attualità piuttosto che le solite trame a carattere storico o mitologico. Dal 1750 in Francia, divisa fra l’opera all’italiana di Piccinni e quella ‘nuova’ alla tedesca di Glück, divampò la ‘querelle des bouffons’ in cui si criticava la tradizione italiana delle maschere, gli arlecchini ecc..., sostenendo dei personaggi di senso attuale, citando appunto la Serva padrona di Pergolesi come esempio.

La querelle des bouffons era un po’ una minchiata in realtà, una disputa sul sesso degli angeli o una questione di lana caprina se preferite, ma ebbe il merito di ricordare Pergolesi che, poverino, era morto di tisi a ventisei anni, nel 1736. Credo che Pergolesi sia l’autore più misconosciuto di tutta l’opera lirica, da cui tutti hanno attinto a piene mani senza rendergli il doveroso merito, Paisiello e Mozart su tutti.

Vi propongo l’aria in questione.


Poi arriva, in realtà è contemporaneo un po’ più giovane di Vivaldi e un po’ più vecchio di Pergolesi, il grande Georg Friederich.

L’aria che vi mostro è di un opera tarda del maestro di Halle, tedesco di nascita a naturalizzato inglese (visse quasi tutta la sua vita in Inghilterra e gli Inglesi lo considerano a ragione il loro compositore principale). Si tratta di Serse del 1738.

Di Haendel si dice che in gioventù fu un bell’uomo, alto, biondo e con gli occhi azzurri, brillante e di mondo. Con l’età divenne più cupo e cicciotto, ma non perse il genio. Gli ultimi anni della sua vita furono tristi per questioni di salute, fu cieco in pratica per tutto l’ultimo anno dopo una serie di operazioni sfortunate che aggravarono la situazione.

Serse non ebbe un immediato successo per due motivi opposti. Il primo fu l’accusa di mantenere dei ruoli comici all’interno delle cosiddette opere serie (ah, cos’ha mai fatto il Metastasio!Il teorico del dualismo fra opera seria e opera buffa), il secondo fu l’innovazione dell’introduzione di arie brevi, tipo questa del platano, che non rispettano la sequenza: aria-inciso-ripresa della tradizione.

Per il mio compleanno mi farò il regalo dell’aria “Venere bella” dal Giulio Cesare del 1724.

Ecco “Ombra mai fu” da Serse.


Infine un gran balzo fino al 1786 con Le nozze di Figaro di Wolfgang Amadè  Mozart, con l’aria “Porgi amor qualche ristoro” che è l’inizio del secondo atto. Il librettista è il grande Lorenzo da Ponte, di cui per altro ricorre anche il compleanno: Ceneda (oggi Vittorio Veneto) 10 di marzo 1749 – New York 17 agosto 1838.

Per me quest’aria è la sintesi dell’opera perfetta. Nel giro del primo minuto c’è un’apertura orchestrale in cui si passa attraverso tutti gli stati d’animo della Contessa Rosina d’Almaviva: privilegio sociale, tristezza, speranza, rassegnazione. Indi c’è la cavatina in cui la contessa confessa sé stessa la sua speranza e il suo fallimento. Consiglio di un folle sconsiderato: quando ascoltate Wolferl tenete sempre presente che la sua musica è la vera regia dell’opera e che gli archi rendono la tensione nervosa della situazione e i fiati i sentimenti, e questo anche nella musica non operistica.


Ricapitolando abbiamo festeggiato il compleanno di Pergolesi (capricorno), Mozart (acquario), Haendel (pesci), Vivaldi (pesci), Bach (ariete). Tutti dall’inverno fino al primo giorno di primavera.



Per finire un po’ di gossip. Mozart si firmò sempre, dal suo soggiorno in Italia, Wolfgang Amadè Mozart. C’è chi dice che Amadè (forma dialettale di Amadeo corrispondente del greco Theophilus) lo assunse a Milano (più probabilmente), chi dice a Bologna.

La cosa procede siffattamente. Mozart si lamentava di avere le desinenze in –us alla latina: Chrisostomus Theophilus. Theophilus era spesso sostituito in area germanica con l’equivalente Gottlieb, che era il nome del suo padrino, ma all’epoca per un compositore con velleità teatrali il nome italiano faceva più figo. Quindi meglio Amadeo che Theophilus o Gottlieb. Ma Amadeo era in tedesco Amadeus... Allora decise di assumere il nome dialettale di Amadè. Nelle sue lettere prima del fatto firmava sempre Wolfgang Mozart. Una sola volta usa Amadeus: in una lettera alla sorella in cui, lamentandosi della desinenza in –us, scrive Wofgangus Amadeus Mozartus. Un uso chiaramente sarcastico. Come quando si firma cavalier von Mozart, dopo aver ricevuto il diploma della Società dei Filarmonici di Verona e Bologna. Poi sempre, dicesi sempre, Amadè.

La seconda e ultima volta in cui compare il nome Amadeus è nella supplica per una pensione che la moglie Constanze invia all’imperatore Francesco II in cui si firma “la vedova di Wolfgang Amadeus Mozart”. Per di più la lettera con ogni probabilità fu scritta da qualche amico avvocato e solo ricopiata e firmata da Constanze.

Sono gli unici due casi. Ce n’è abbastanza per non usare più il nome Amadeus ma quello che scelse di Amadè?

Secondo pettegolezzo. Quando Mozart compone la serenata Ascanio in Alba (su libretto di Giuseppe Parini) per le nozze fra l’arciduca Ferdinando e la duchessa Maria Ricciarda Beatrice d’Este, l’arciduca pensa di ingaggiarlo a Milano come compositore di corte. Chiede il beneplacito della madre, l’imperatrice Maria Teresa, la quale, sebbene abbia tenuto sulle ginocchia il piccolo Wolferl, risponde al figlio di non fare una cosa del genere definendo i Mozart una famiglia di girovaghi: dai sette ai dieci anni di Wolfgang i Mozart avevano fatto la loro tournee in giro per l’Europa.

Salta l’impiego milanese e Mozart comincia la sua vita da adulto nella musica. Sembra incredibile dirlo, ma lo sembra a noi adesso, però va detto che Mozart fu molto sfortunato nella sua vita professionale.

Tornando al gossip. È certo che da qualcuno Mozart deve aver saputo del parere sfavorevole dell’imperatrice Maria Teresa, in via confidenziale ovviamente. È un puro caso che decide di trasferirsi a Vienna nel 1781 quando è ancora in vigore il lutto per la morte di Maria Teresa?

Sia pure che andava a Vienna la donna di cui era innamorato: Aloisya Weber, la quale aveva appena perso il padre Franz Fridolin Weber, musicista e cantante che arrotondava facendo il tiramantice per gli organisti. Aloisya l’aveva fatta annusare a Wolfgang prima della partenza di Mozart per Parigi (trasferta drammatica in cui perse la madre Marianna). Al ritorno del nostro gli aveva dato il due di picche gettandolo nello sconforto. Lui aveva già progettato di partire per una tournee in Italia e scrivere opere per lei che era un talento della lirica...

Quando le Weber, la madre Caecilia e le figlie Josepha, Aloisya, Constanze e Sophie, si trasferirono da Monaco a Vienna, non appena possibile, alla morte di Maria Teresa, le raggiunse e andò avivere nella pensione che frau Weber aveva aperto per sbarcare il lunario.

Aloisyia da buona artista di talento decise di sposare un impresario teatrale e attore, gelosissimo e da cui divorzierà dopo qualche anno.

Wolfgang ripiega sulla sorella Constanze, un po’ perché voleva sistemarsi e soprattutto per rimanere a contatto “professionale’’ con Aloisya, per la quale scriverà molte arie per concerto. È molto probabile che quello che la ricchezza (nulla), il prestigio sociale (scarso) e la bellezza (eh insomma...) non avessero fatto in favore di Wolfgang facessero il talento e il grande successo che Mozart ebbe nei primi cinque anni di soggiorno a Vienna.

Se dobbiamo dar fede ai ritratti (anche se Casanova ci allerta che al suo tempo i pittori non sapevano fare i ritratti) dobbiamo dire che Aloisya era una bellissima ragazza. Di quelle che sposano i produttori appunto.
Mentre di Constanze lo stesso Wolferl ammette che non è granché avvenente, ma che è tanto una brava ragazza.
Delle altre due, la maggiore, Josepha si sposò con un violinista, Franz de Paula Hofer, che divenne uno dei migliori amici di Mozart. Josepha fu la prima Regina della Notte della storia.
Sophie era ancora troppo giovane e poi Wolfgang morì.

La prossima volta ti racconto chi davvero uccise Mozart. Non sono stati né Salieri (balla colossale) né i massoni (molto strano) né il maggiordomo (di sicuro).




giovedì 9 febbraio 2017

In margine al post " Un capolavoro assoluto: la ' Chanson de Roland ' "



Ti ricordi il post “Un capolavoro assoluto: la Chanson de Roland”? É,secondo me, uno dei post più belli che però solo pochi intelligenti frequentatori di questo blog hanno letto, preferendo leggere, credo, le solite banalità da eruditi. O forse non serviva per passare l’esame dei miei brutti anatroccoli...
Dicevo in quel post:

Qui vale la pena di aprire una digressione. Possiamo domandarci: è sensato che Marsilio, facendo sua la proposta di Biancandrino, mandi degli ambasciatori ufficiali promettendo a Carlo di farsi cristiano?
Se la valutazione è strettamente religiosa la risposta è no. E però Carlo la considererà molto seriamente e l’accetterà. Ora noi oggi abbiamo molta difficoltà a pensare a un’apostasia di Marsilio. E non voglio dire solo che i musulmani di oggi siano diversi da quelli di allora.
Si dimentica che, sebbene la religione islamica prenda le componenti teologiche, pochissime in assoluto per la verità, dal Cristianesimo, soprattutto dai vangeli apocrifi, riceve la natura di patto religioso solo dalla Bibbia. Da lì viene l’ineluttabilità e irreversibilità della conversione e la condanna mortale per gli apostati.
Se volessimo sintetizzare che cosa sia la Bibbia, nel suo senso vero e originale, dovremmo dire che è il racconto di un patto di alleanza fra gli Israeliti e il Dio chiamato Yahweh. E il rispetto del patto, esplicato nelle numerose disposizioni di legge che Yahweh ha emanato, è il solo modo di essere fedeli all’alleanza.
Nel racconto biblico a Yahweh non interessa molto, in realtà, di ciò che fanno o non fanno gli Israeliti, ma molto che rispettino il patto. Quella è la legge e quella è la ‘fede’. Ciò si ricava anche da come è descritta la conoscenza nei libri sapienziali: la sapienza o scienza è solo il rispetto dell’accordo d’alleanza. Per esempio Yahweh lascia fare cose tremende al suo prediletto Davide, come far uccidere un suo ufficiale solo per poterne sposare la bella moglie. La conseguenza per Davide è solo che non sarà lui ad avere l’onore di edificare il tempio. Ma quando lo stesso re Davide decide di far svolgere un semplice censimento della consistenza militare di Israele, Yahweh si ferma a stento dall’ucciderlo. La ragione è che una delle cose che spettavano in esclusiva a Yahweh, secondo il patto stipulato con Mosè, c’era la convocazione di un censimento militare tre volte all’anno. Non si poteva sgarrare di una virgola sulle regole del patto, una qualsivoglia.
Mi dirai: ma che c’entra tutto questo? A parte che dovrebbe essere chiaro, senza che mi dilunghi, la reale natura della religione islamica, che però non è argomento di questo scritto, considera che i musulmani hanno un patto d’alleanza con Allah mentre i cristiani ne hanno uno con un Dio che non si sa chi sia, perché Gesù agli Ebrei diceva che era Yahweh e ai discepoli che il Padre non lo conosceva nessuno tranne lui, mentre Yahweh lo avevano visto in tanti. Aveva un atteggiamento tattico, diciamo, funzionale a ciò che si prefissava. E che peraltro non è nemmeno chiaro: il fantomatico regno dei cieli, di cui oltretutto non ha mai mantenuto la promessa soprattutto nei termini che egli stesso indicò.
Ora il tema in questione è che entrambe le religioni del poema si basavano e si basano su un patto con un Dio in nome del quale si vince e si governa. Ma essendo le due religioni di conversi, a differenza dell’Ebraismo, il problema dell’apostasia si pone solo quando si esce dall’alleanza ma restando nella comunità di origine. Se si esce e si passa a un’altra alleanza questo pericolo non occorre più. Terrorista permettendo...
Dunque Marsilio sta proponendo a Carlo di essere disposto a uscire dall’alleanza con Allah, o Maometto, se si vuole e forse meglio, e a entrare in quella che ha eletto a proprio Dio Gesù. Su queste alleanze, in senso biblico, si fondano l’autorità di Carlomagno e il suo governo e le conquiste dei Saraceni e il loro governo. La proposta di Marsilio di divenire cristiano e vassallo di Carlo è perfettamente plausibile come scambio che permette a Carlo di vincere la guerra e a Marsilio di mantenere i suoi territori, facendoli passare a un’altra alleanza da quella originale. Ulteriore conferma è nella lassa successiva in cui si accenna al fatto che dopo le conquiste gli abitanti o divenivano cristiani, cioè ‘alleati’ o erano uccisi. I musulmani facevano lo stesso oppure vendevano i prigionieri come schiavi per finanziarsi le guerre d’espansione”.

Ora una riprova della correttezza della mia lettura politica e militare delle alleanze religiose mi viene da una notizia apparsa sull’edizione web del Corriere della Sera, del 7 febbraio 2017, a firma Claudio del Frate. La conferma arriva da una fonte autorevolissima: il Consiglio degli Ulema del Marocco.
Eccola riprodotta:

Bisogna dire che il Marocco si dimostra ancora una volta, almeno nelle sue elite, re Mohammed VI fra tutti, il paese più progredito di quelli arabo-islamici.

Non vedere in questo post un significato religioso, la notizia lo ha per certo, ma non è quello che voglio dire. Anche se spero che altri paesi musulmani seguano l’esempio del Marocco, per un nuovo ‘Rinascimento arabo’. Non sai cos’è? ‘zzi tuoi: stava succedendo cent’anni fa.
In uno slogan potrei dire che io disdegno tutte le religioni, ma rispetto ogni singolo uomo o donna che crede in quello che vuole, religione o no, con onestà morale e intellettuale.
Le religiosità non è uno degli argomenti di questo blog che è laico e anticlericale, in senso lato.

Ti invito piuttosto a vederci un modo nuovo di comprensione dei fenomeni religiosi nella storia, e dunque anche nell’arte e nella letteratura, meno conformisti di quelli proposti dalla scuola e dall’accademia.
Il vero significato delle religioni nella storia, ma forse anche oggi, è questo di alleanza politico militare.
Per esempio se ti dico che Ludovico Ariosto era un reazionario? Che effetto ti fa? L’Orlando furioso resta stupendo, ma lui...
Ma perché dovrei scrivere un post che poi nessuno legge?