domenica 6 settembre 2020

Necroscopia del cinema

In questo articolo vorrei spiegare perché i film da qualche decennio a questa parte fanno schifo. Ne darò un taglio di quadro, di ripresa, di scelta compositiva dell'immagine e dunque della scena. Non considererò le carenze di soggetto, scrittura, sceneggiatura, recitazione e scelte fotografiche. Non è questo il mio campo, non sono un fotografo e rispetto al piano letterario si dovrebbe analizzare ogni opera. E poi bene o male queste sono operazioni che può fare chiunque.

Allo stesso tempo non mi soffermerò sugli attori e sulla recitazione, non tanto intendendone la bravura quanto indicando come l'espressività sia cambiata anche in ragione delle scelte di ripresa e, come già detto, di inquadratura.

Pure non ritengo responsabile la televisione nella regressione del cinema: alcune serie televisive sono anzi fra i pochi superstiti del cinema, sono poche e una serie non può avere la coerenza di un film, anche perché spesso i registi si alternano, ma in qualcuna (pochissime) di esse si è fatto vero cinema. Similmente nemmeno la pubblicità è la causa dello scadimento del linguaggio cinematografico per il semplice motivo che lo scopo della pubblicità è mostrare bene il prodotto e questo ha le sue regole, che però non starò a esaminare (anche se è cambiato il modo di considerare il consumatore così come è avvenuto nel cinema).

Sull'influsso malefico della grafica computerizzata (i videogiochi) non ne sono per nulla a conoscenza e dunque non posso affermare niente. Qualcuno in passato me la indicò come causa, ma davvero non ne so abbastanza.

Va premesso che ciò che dirò brevemente non è qualcosa che prima non esisteva, ma oggi (con oggi va inteso un paio o anche tre decenni almeno) si utilizza acriticamente e con una regolarità disarmante.

Dunque mi soffermerò sul quadro della ripresa.

La prima cosa che si nota è che la macchina da presa non è mai ferma ma continua a essere spostata nelle varie direzioni, anche in modo infinitesimo. Mi riferisco alle inquadrature fisse che appunto non sono più tali: la macchina trema. Questo è fastidioso da un punto di vista percettivo e, mentre dovrebbe produrre una specie di stato di tensione continua, dà dei sintomi tipo mal di mare. Lo scopo sarebbe quello di dare l'impressione di essere in mezzo alla scena o agli attori, ma se io sono in mezzo ad altre persone non li guardo muovendo continuamente la testa, a meno che non sia affetto da malattie degenerative del sistema nervoso centrale. È un caso in cui per simulare una 'spontaneità' un 'realismo' si induce l'accettazione di una convenzione patologica.

Cosa ancora più grave è la combinazione di questo effetto con un altro ancora più pernicioso. La macchina si muove mentre si muovono gli attori, preferibilmente più velocemente o in senso opposto. Vedremo nel primo caso la ripresa che sorpassa gli attori per poi riprenderli aspettandoli oppure girerà intorno fino a fermarsi in un altro punto di ripresa di solito scelto ad mentula canis. Faccio un esempio.

Un gruppo scende da un'automobile, quindi già da punti e direzioni diverse, e la macchina da presa, come fosse uno di loro, li riprende prima da una parte e poi schizza facendo un giro opposto a riprenderli da un'altra posizione. Sarebbe come se lo spettatore fosse parte del gruppo, dunque lo scopo è quello di aumentare il senso di appartenenza all'azione (ma poi è corretto che lo spettatore sia in mezzo ai personaggi?) ma di fatto lo fa muovendosi in modo da intralciare lo scorrere dell'azione o dando l'impressione di doversi levare per dar luogo alla scena. Il massimo dell'irrealismo convenzionale del cinema.

Questa fissa per la simulazione dell'appartenenza alla realtà ripresa, che è convenzionale nel cinema ma supposta vera in un documentario (è un'altra forma di convenzione in effetti), potrebbe derivare dai giochi al computer. L'effetto però è che, non avendo un ruolo attivo, lo spettatore è considerato come un deficiente a cui, se non fai credere che quello che succede lo riguarda, accadrebbe infallibilmente di distrarsi.

Spesso poi, in quasi tutte le scene c'è troppo movimento, o di azione proprio o qualcosa che si agita eccessivamente o richiama il senso di qualcosa che si muove. Anche qui, par di capire, altrimenti lo spettatore si distrarrebbe. Come quando si agita qualcosa di fronte ai bambini per attirare la loro attenzione.

Passando all'analisi del quadro di ripresa si nota che la quinta di fondo contiene sempre delle righe rettilinee, orizzontali o verticali, per enfatizzare l'instabilità della bolla della macchina da ripresa o il movimento di cui si è detto sopra.

Altro elemento che non manca mai, sempre sulla quinta di fondo, è una fuga indefinita che va nel nulla o comunque risulta indeterminata. Espediente molto usato per i film gialli o horror per dare l'idea che da lì esca qualcosa o trasmettere il senso dell'ignoto dietro 'quella porta', ma che evidentemente non può essere usato sempre per ogni tipo di film o scena.

Molto di frequente qualcosa si sovrappone ai visi degli attori, una cancellata, un velo o anche della luce a linee o degli oggetti in modo di formare un gioco di 'ti vedo-non ti vedo' che annoia presto e implica la presenza di ombre portate sul viso e sul corpo degli attori. Questo comporta lo spezzarsi dell'unità del corpo del personaggio.

Poi c'è sempre una fonte di luce all'interno del quadro che interagisce con gli attori: davanti, dietro, di lato, non importa basta che ci sia: candele, luce radente da finestre o lampade ecc... ma deve essere in evidente contrasto con l'illuminazione di scena e senza una distinzione di piani di lettura, ma tutto sovrapposto a casaccio.

Molto di frequente, sempre per dare il senso di essere dentro il film, la ripresa è troppo chiusa, tagliando pezzi di testa o provocando addirittura la scomparsa di un soggetto se la scena è d'azione.

Nei dialoghi poi ci deve essere sempre, sempre, almeno la sagoma dell'interlocutore del personaggio ripreso (leggi: perché se no lo spettatore crede che l'attore stia parlando col muro, cioè non capisce che l'altro è sempre lì, cioè in pratica lo spettatore è un minorato). Questo si faceva anche prima ma non 'sempre' ma a maggior errore oggi si preferisce che un attore o la sagoma dello stesso impalli il personaggio ripreso direttamente. La mania delle sovrapposizioni.

Così, per contraddizione, avviene che in un gruppo anche di soli tre personaggi dopo una battuta l'inquadratura si stacca su uno o anche tutti separatamente per mostrare la reazione. Lo spettatore è preso per un ritardato che non riesce a notare la reazione importante se deve vedere ben tre personaggi contemporaneamente.

Per concludere indico due vere patologie iconografiche. La prima è l'uso fuori luogo di qualche effetto speciale, anche minimo, ma che serve per imbottire meglio la lasagna e creare movimento, tensione, confusione, richiamo per il bambino distratto.

La seconda è l'esposizione volutamente sbagliata per cui da una parte è troppo scuro e dall'altra troppo chiaro e in genere non sono soggetti i protagonisti ma parti del paesaggio e oggetti di scenografia di nessuna importanza con la narrazione. A volte si arriva allo sfuocamento voluto e enfatizzato del soggetto e alla messa a fuoco di una parte del quadro a caso.

Naturalmente a tutto questo vanno aggiunti la scelta del luogo, la 'location', fatta per motivazioni puerili o davvero a caso, gli scorci che più sono strani più 'è interessante', le riprese rigorosamente da sotto o da sopra o di lato o sghembe.

Il bello è che tutte queste cose che ho detto sono già state usate, per ragioni dettate dalla trama o dal momento del film o anche come sperimentalismo da sempre e si sono espresse, ma sempre con una logica, soprattutto negli anni sessanta. E oggi sono spacciati per novità. Per dare una mano di vernice nuova al cinema che ormai annoierebbe tutti altrimenti.

La ragione sembrerebbe la patologica incapacità dello spettatore di mantenere la concentrazione per più di pochi minuti o la convinzione che una cosa quanto più sia complicata tanto più sia colta e interessante.

Va notato a questo proposito il volume della colonna sonora che è quasi sempre più alto della voce dei dialoghi. Segno controproducente sulla qualità letteraria del dialogo o di stima che allo spettatore le parole non interessino ma solo il coinvolgimento emotivo di musica, effetti, rumori e colori esagerati (e qui i videogiochi c'entrano qualcosa sicuramente).

La ragione strutturale è che il cinema passa da espressione artistica a divertimento e infine a intrattenimento. Ma questo è un altro discorso che può fare chiunque.

Insomma un'enormità di addizioni e vezzi inutili in una sorta di horror vacui che rende parossistica la visione del film annullando ogni altro codice narrativo. Soprattutto quella sedimentazione di regole e convenzioni che hanno costruito il cinema dalla sua invenzione ai massimi capolavori.


R.P.



Posteris memoria mea.


Renatus in aeternum.