venerdì 12 dicembre 2014

Ruolo dell'arte nella società postmoderna



E' indubbio che siamo definitivamente usciti anche dalle ultime dinamiche della tradizionale selezione dell’opera d’arte, quella cioè che procedeva dal confronto delle opere fra un gruppo di amatori dell’arte che si formava nel concorso di personalità nella comunità pubblica riconosciuta: la città, la corte, l’accademia, il circolo ecc… Il numero degli attori oggi rende pressoché impossibile che un tale confronto possa svolgersi in modo imparziale e, per così dire, naturale. In più le logiche mercantili determinano in modo definitivo l’offerta dell’arte. Le clientele, le parentele, il successo personale ottenuto attraverso i media ancor di più.
Dunque dobbiamo fare arte solo per noi stessi?
È un’ipotesi: è lo spirito fondamentale. Si fa arte perché se ne sente il bisogno, per testimoniare a noi stessi che ne siamo capaci.
Però occorre trovare una risposta anche al senso legittimo di considerazione, di valutazione, di condivisione che ci aspettiamo dagli altri. È il senso sociale dell’arte oggi.
La misura sarà perciò il successo? Non lo era prima figuriamoci oggi.
Penso piuttosto a un ribaltamento totale della prospettiva di senso.
Non più un rapportarsi al centro riconosciuto dell’interesse artistico (centro inteso anche come sistema integrato ma coeso: case editrici, mostre, concorsi, galleristi, botteghino ecc…) ma il formarsi di un proprio centro, a partire da quello individuale, che abbia delle intenzioni, ambizioni, ricerche e via dicendo, attorno a cui si costituisce un sistema di policentrismi variamente coordinati tra loro, se lo sono.
L’artista è un centro che si rapporta ad altri centri individuali: altri artisti, fruitori, appassionati, amici, gruppi ecc… Questo secondo centro entra in contatto con un luogo di riconoscimento specifico che oggi, va detto, non deve di necessità essere inteso come luogo geografico: il quartiere, la città, ecc… ma è piuttosto un luogo sociale di interesse condiviso, per presenza fisica, per corrispondenza, per tecnologia digitale, per stampa e per qualsiasi altro modo.
Non è una considerazione inedita nella storia: centri di questo tipo sono stati i monasteri nell’alto medioevo, lo sono stati  i Comuni, nella fase forse più esaltante di sinergia fra società e cultura nella storia d’Italia e d’Europa. Allora si ragionava in termini di propria piazza della contrada o del paese, della propria chiesa, della propria fontana, della propria biblioteca e l’opera d’arte era importante perché collocata in quel luogo di intenzioni condivise. Il rapporto con l’opera d’arte diveniva di confidenza intima e anche di libera scelta e condivisione.
Sul piano generale si pone il problema del successivo livello di centralità, sui rapporti fra comunità di interesse artistico, ma non ne dobbiamo definire a priori né la natura né la sorte. In fondo è poco importante quando ci si sente partecipi di una comunità di libera condivisione di idee e sensazioni. L’animo dell’artista e dell’appassionato è già soddisfatto a quel punto, poi ognuno nutrirà le sue ambizioni di gloria pubblica se vorrà, e se verranno ciascuno deciderà come comportarsi.
Di certo non si lascia il destino dell’arte nella società e le intenzioni di tanti che provano il bisogno crescente di esprimersi, frutto del successo dei modelli di progresso nella società di massa non totalitaria, in mano a soggetti dominanti per definizione e autoreferenziali per interesse reciproco.