mercoledì 10 dicembre 2014

Aspetti compositivi della mia poesia


Ti consiglio di leggere il primo post " Incipit " del 7 dicembre 2014

Per la mia formazione culturale: non sono un letterato, sono un architetto e per anni per me composizione voleva dire ‘ composizione architettonica ’, mi interessa ricercare all’interno di forme definite.
Prediligo, nelle composizioni chiuse e definite, l’uso della rima o, per meglio dire, in generale della consonanza, intendendo la rima pura un sottoinsieme delle consonanze.

Rima pura si ha quando per due versi sono identiche l’ultima vocale tonica, cioè accentata, l’ultima consonante e l’ultima vocale cioè la sillaba finale (o le ultime se il verso è sdrucciolo). La consonanza, o assonanza atonica, si ha quando sono identiche le ultime sillabe di due versi e differente la vocale tonica, o si sposta l’accento del verso da piano a sdrucciolo o a tronco.
L’assonanza tonica si ha quando sono uguali le vocali toniche, ma mutano le consonanti e l’ultima vocale.

Non mi piacciono i versi sciolti perché portano troppa importanza al significato letterale del verso e poco a quello musicale, facendo apparire la poesia una specie di prosa elegante e aulica divisa in parti di uguali sillabe. Non mi piacciono le assonanze toniche perché troppo sfruttate dalle canzoni pop e un po’ troppo cerebrali: il ritmo è troppo labile per essere colto senza una traccia musicale. E poi dovrebbero riguardare tutte le toniche del verso e non solo l’ultima, il che è un casino fuori dalle sillabe tonali che, come detto, in italiano non ci sono.
Mi sembra che la consonanza alternata con la rima pura sia la strada che meglio contempera le esigenze di una forma riconoscibile con quella di un certo grado di libertà nell’uso delle parole che compongono un verso e possa conferire un ritmo di sincope musicale al testo.
Per quello che riguarda le forme chiuse, cerco di lavorare su alcuni schemi tradizionali, come canzone, sonetto, ode saffica… in modo da far collidere fra loro le varie regole metriche. Per esempio l’ode saffica con le terzine ageminate.
Insomma provo a stabilire una struttura architettonica della poesia che non sia totalizzante ma in cui si possano riconoscere le scelte compositive in modo chiaro, scegliendo di volta in volta la regola con un certo grado di libertà (ossia se darmi o no un certo grado di libertà). Questa regola viene dai versi stessi o dall’argomento della poesia o dal tono o dal colore. 
Forma riconoscibile e libertà espressiva. È inutile far sempre la scelta più facile e non è nemmeno divertente.
Come nel progetto architettonico, l’espressione della propria poetica avviene nell’ambito di regole che si scelgono, per le connotazioni della natura del sito in cui si progetta e dal tipo di edificio che si compone o per considerazioni storiche (e altre che adesso sarebbe troppo lungo elencare), anche nella poesia la forma deriva dalle condizioni che ci si pone all’inizio, in piena libertà ma cercando di conformare un insieme coerente. Se ci si riesce o no è il bello di provarci, se piacerà o no è libertà di chi ci dà il privilegio di leggerci.