domenica 11 giugno 2017

Composizione architettonica e poeti: timpani, centine, architravi

Brutti anatroccoli del mio cuore, benvenuti alla Lezione di Composizione Architettonica per Poeti n° 1.
Essa ha per titolo: timpani, centine e architravi e si riferisce a una soluzione molto diffusa durante il Manierismo.
Questa volta con le immagini me la cavo alla grande: basta mettere Palazzo Farnese di Michelangelo Buonarroti, Giuliano da Sangallo, Vignola e altri, a Roma, dal 1541.
Qui è ambientato il secondo atto di Tosca di Puccini per cui vi rimando al post sul compleanno di Monteverdi.

Palazzo Farnese - Roma

Vedete che la cimasa della cornice delle finestre del primo piano presenta la comune soluzione dell'alternanza di timpano e centina. Al piano terra invece c'è un elemento orizzontale che possiamo chiamare ad architrave poiché di fatto lo è.
Vi metto qui sotto un ingrandimento dei tre casi.

Palazzo Farnese - Roma - particolare

Nel resto della facciata vi sono altri elementi d'interesse, sia come connotazione tipica dell'architettura manierista sia come prefigurazione di quella barocca.
Nel primo caso vi sono il bugnato ridotto solo all'angolo e nel complesso del portale, l'appoggio dei marcapiani delle finestre su mensoloni, il coronamento decorato a rilievo e nello spirito totalmente manierista l'enorme aggetto del cornicione. Grande finezza rinascimentale invece nel trattamento degli intonaci via via sempre più leggeri man mano che si sale.
Basterebbe ciò che ho menzionato per collocare il palazzo fra i capolavori dell'architettura e del grande maestro.
Nelle prefigurazioni barocche si notano degli strepitosi timpani spezzati all'ultimo livello, l'unica soluzione che unisce portale e balcone del primo piano e l'uso di grandi targhe, ce n'è anche una d'angolo che però qui non si vede.
Sapete che per me Michelangelo è stato immenso scultore e architetto ma, bestemmia delle bestemmie, non mi piace come pittore. E che ce devo fa'...
Da notare che mancano, ed è anche questa un anticipo del barocco, gli elementi di linguaggio classicista espliciti: colonne, lesene ecc... La tripartizione verticale è ottenuta con dei marcapiani di livello molto rilevati che preparano il grande gesto del cornicione che aggetta di più di due metri: siamo al limite della resistenza meccanica della pietra.
Questa considerazione sull'aspetto progressivo dei marcapiano è di quelle da notare come i particolari che fanno 'la delizia dell'intenditore'.
Elementi direttamente tolti dagli stilemi classicisti si trovano solo nelle cornici delle finestre. Anche l'arco è risolto nel tema plastico del bugnato rustico.
Potete riprendere i post in cui descrivo dettagliatamente un edificio per continuare da soli la lettura di Palazzo Farnese. Mi riferisco a post sullo Spedale degli Innocenti (rinascimento), sulla Farnesina (manierismo) e su Schönbrunn e gli altri barocchi. Tanto so che non lo farete.
Quindi l'esempio che vi pongo è perfetto per analizzare l'uso di timpani, centine e architravi.
Quello che voglio dirvi, in sostanza, è la ragione per cui esiste questa soluzione relativa alle aperture, cioè al momento in cui si passa da un pieno a un vuoto per capirci, punto quindi molto sensibile sia per funzione sia per il disegno della facciata secondo le proporzioni e moduli e quant'altro trovate su ogni testo di storia dell'arte. Ma non trovate il perché di questa soluzione che sembrerebbe solo formale. Cioè sembrerebbe una scelta decorativa come altre possibili. Qui trovate considerazioni di composizione architettonica, non descrizioni a uso del turista.
Prima di svelarvi l'arcano occorre una premessa.
Agli inizi della ripresa classicista, il cosiddetto Rinascimento, l'uso di elementi di linguaggio direttamente derivati dalle architetture romane non è andato subito in facciata e sull'intero edificio. C'erano stati secoli di gotico, come vi ho già illustrato a proposito di Brunelleschi.
La prima applicazione è stata nel trattamento interno dei vuoti: finestre e, prima ancora, porte. Sulla cornice delle aperture interne o nella vista interna delle finestre si poteva proporre il nuovo stile senza impegnarsi, e impegnare il padrone di casa in scelte ancora poco comprensibili.
Se ci pensate, non discende in modo così naturale che si ripiglino colonne, lesene, archi ecc... da un'architettura che non esiste più da secoli: occorre una precisa presa di posizione ideologica. Anche perché di capolavori assoluti nel periodo gotico non ne erano certo mancati.
In seguito sempre le aperture esterne, i portali soprattutto, sono stati oggetto delle prime sperimentazioni classiciste.
Dunque esiste un rapporto compositivo diretto e di divenire storico fra elementi di linguaggio classicista e vuoti di facciata.
Ma perché proprio quei tre: timpani, centine e architravi? Poi nel barocco li troviamo anche rielaborati: spezzati, a forma e controforma, torti ecc...
Ebbene essi altro non sono che simboli, cioè parti che richiamano al tutto, dei principali sistemi costruttivi dell'architettura classica.
Nell'architettura greca il sistema era architravato, le coperture a capanna sottintendevano dei timpani e nell'architettura romana il sistema era archivoltato per la cui costruzione era necessaria una centina che sostenesse archi e volte in mattoni o calcestruzzo (opus caementicium).
Dunque l'uso contemporaneo dei tre sistemi permetteva una citazione ricapitolativa di tutto il linguaggio.
Naturalmente questo si poteva non fare, è una precisa scelta compositiva oltre che poetica. Quando la si faceva si potevano omettere tutti gli altri elementi in scala più grande come le colonne e le lesene.

Concludo con un esempio di citazione classicista in epoca moderna: il Palazzo dei Congressi di Adalberto Libera, a Roma (all'Eur), iniziato nel 1938. Libera è stato uno dei più grandi architetti del razionalismo italiano, con Terragni direi il maggiore.

Palazzo dei Congressi - Roma EUR

Come potremmo calare questa scelta compositiva architettonica nella poesia? A me viene in mente subito, avendo la lingua greca molte parole di accento sdrucciolo (la cosiddetta legge del trocheo...) mentre quella latina in maggior numero di accento piano, una composizione che alterni versi sdruccioli e piani.
Oppure al diverso aspetto tonale degli accenti all'interno dei versi, sempre nella poesia classica (ho già detto che mi pare molto difficile trasporli in una lingua tonica come l'italiano).
Trocheo: _ UU con la prima lunga accentata. Dunque accento sdrucciolo sulla terz'ultima sillaba.
Dattilo: _ _ con la prima lunga accentata. Dunque accento piano con l'accento sulla penultima sillaba.
Ovviamente nelle facciate classiciste le aperture prescindono dalla funzione del locale cui appartengono. Ma un altro caso a cui penso è l'uso, nella singola parola del componimento poetico, a un codice linguistico che non contraddica il resto della composizione, sarebbe come dire che non esiste l'eccezione che conferma la regola.
La stessa dimensione delle aperture fa pensare a una lunghezza di verso identico.
La scelta della lunghezza dei versi o degli accenti può naturalmente variare nella poesia moderna così come le aperture dell'architettura moderna possono variare in seguito alla funzione che si svolge dietro di esse. Ma attenzione questo non può avvenire, nemmeno nell'architettura moderna, a capocchia. Altrimenti...
Vi metto un esempio circense di traduzione architettonica, una facciata, di certe poesie moderne senza metrica né rima (presa come filo architettonico).

Facciata scognomata

E non mi dite che è un bel quadro astratto ché vi tolgo il saluto.