domenica 27 gennaio 2019

Esametri e sonetti

Nella mia prima raccolta di versi, “ Un po'esie ” ho usato tre forme: quella che ho chiamato esametri, il sonetto e il tanka.



La struttura tanka è già una ripresa della forma classica giapponese applicata a una lingua e soprattutto a un alfabeto che sono del tutto dissimili, dunque considerazioni di carattere generale non mi sentirei di farne. Al più si può dire che occorre molta sintesi, soprattutto in una lingua polisillabica come l'italiano, perché è molto difficile esprimere dei concetti in uno spazio così breve, e ne deriva una poesia di evocazione, di allusione quasi. Tecnicamente la struttura è l'alternanza di quinari e settenari, che può continuare in composizioni più estese, con la conclusione di un distico di settenari. E a volte quelle quattro sillabe di più servono davvero per finire la poesia. Si fa anche un grande uso di elisioni, sinizesi e sineresi ovviamente.

Come ho già detto. L'esametro è l'estensione in senso verticale del verso esametro della poesia classica.
La struttura dell'esametro è _ _ _ _ _ _ _ _ _ uu _ _ oppure _uu al posto di _ _ ecc... _ uu d'obbligo al quinto piede e conclusione _u. l'accento va sempre sulla prima sillaba.
Ho ipotizzato che per ogni sillaba lunga corrisponda un verso lungo, un endecasillabo per esempio, e a ogni corta un verso più breve, un settenario per esempio. Con tutte le permutazioni possibili per non rendere lo schema troppo rigido.
Quindi:

endecasillabo
endecasillabo

endecasillabo
endecasillabo

endecasillabo
endecasillabo

endecasillabo
endecasillabo

endecasillabo
settenario
settenario

endecasillabo
endecasillabo

oppure

endecasillabo
settenario
settenario

ecc..

endecasillabo
settenario

e tutte le permutazioni possibili.

Questi versi possono rimare o essere consonanti, accoppiati o alterni.
Lo schema nascerà dai versi che vengono e si ordineranno nel modo diremmo più naturale.
Certo la rima baciata diventa presto monotona a meno di non cambiarla per ogni piede o per piedi alternati o a caso (cioè secondo il caso, ossia suggerita dai versi, non ad mentulam). L'alternanza di sillaba finale nella coppia di endecasillabi è più scorrevole.
Viene naturale che la sillaba finale sia diversa fra endecasillabi e settenari e che i settenari diventino un distico consonante, ma non è una regola.
Quando lo schema prevede endecasillabi alternati a coppia ma con lo stesso tipo di consonanza i primi otto versi diventano un passo regolare e il quinto e il sesto piede siano la chiosa del componimento. Un po' come avviene nell'ottava rima: AB AB AB CC.
Quello che gli esametri danno, motivo per cui ho deciso di continuare a utilizzarli, è che usando la libertà delle permutazioni, ogni poesia prende un suo ritmo musicale, che è esattamente lo scopo per il quale era usata dai poeti classici.
L'alternanza fra distici endecasillabi o terzine può spezzare la poesia in due parti o immettere una discontinuità nel ritmo, una sincope si direbbe in musica, che obbliga ad aumentare o diminuire il ritmo del verso.
Ecco alcuni esempi della struttura di base. Tutti gli esempi sono tratti da “Un po'esie”

Questa poesia nacque dagli occhi azzurri di una ragazza del passato, in cui il battito delle ciglia mi sembrò come i remi che affondano nell'acqua per iniziare un bel viaggio.
Qui lo schema indica che le prime quattro coppie dei versi sono la parte che introduce la conclusione. In particolare il quarto distico, esordendo con un 'ma' comincia a rompere il ritmo di narrazione. Il quinto piede e il distico finale sono resi coesi dall'uso della stessa sillaba finale dei settenari.

I tuoi occhi sono un mare pescoso
di ogni delizia, e le flessili ciglia

remi alla nave di Odisseo glorioso.
Odor di mare, suono di conchiglia,

d’un viaggio e d’un approdo ascoso,
gioia mortale, ottava meraviglia.

Ma tu, altera, mi lasci doloroso
e uno strano sgomento mi si appiglia.

Così resto da un canto timoroso,
spemente e trepido
d’un azzurro tuo sguardo

che, come acqua, mi faccia meno roso
del fuoco di cui ardo.

(schema: AB AB AB AB Acc Ac)



Quest'altra è nata da un'ape che suggeva in uno degli ultimi fiori autunnali, il che mi apparse come un disperato anelito di vita. Lo schema vede la stessa rima finale per gli endecasillabi e cambio di sillaba per ogni coppia di settenari. L'endecasillabo finale cambiando di sillaba è come un colpo di arresto per tutta la narrazione che ha il ritmo dei 2/4 musicali, nella proporzione, ad esempio, di un ottava e due sedicesimi.
Fra l'altro, quando nell'esametro si passa al modello trocheo si hanno degli interessanti terzetti di parole finali: morte, fuori, colori – sorte, pasto, vasto – smorte, piccini, ottobrini – corte, sferza, forza – forte, ultimo, estremo.

Nell’autunno dalle foglie morte,
vive solo di fuori
nei vividi colori,

l’ape dorata tenta la sua sorte:
cerca l’esito pasto,
ma il mondo è meno vasto.

Nelle corolle sempre più smorte,
fra i fiori piccini,
fra i rami ottobrini,

tenta sfuggir le giornate corte,
col sole che ancora sferza
ma non ne ha più la forza.

Anche il bottone è ormai meno forte:
testimone ultimo
dello sforzo estremo,

sboccia e beve la vita con la morte,
mai sazio, fino all’ultima goccia.

(schema: Abb Acc Add Aee Aff AG)


L'ultima che propongo è un inno vitalistico che mi è stato suggerito dai versi da “Testa di fauno” di Arthur Rimbaud: “...Un fauno attonito mostra i suoi due occhi / E morde i fiori rossi coi suoi denti bianchi / Brunito e sanguinante come un vecchio vino...” e in generale da tutta la poesia. Con l'invocazione finale verso una dissoluzione liberatoria. Qui abbiamo che l'alternanza fra undici e sette sillabe nei versi ripete sempre le medesime sillabe reiterando la stessa terzina. Nonostante l'inarcatura fra il terzo e il quarto verso ne esce un ritmo continuo a cerchi concentrici che terminano bruscamente col distico finale che è come una terzina zoppa. Anche qui si può fare lo stesso gioco delle parole finali e ne esce una sorta di poesia futuristica.

Basta guardare alla vita e gemere
aspettando il riscatto.
Sorto come un fauno,

con denti di zucchero voglio azzannare,
dolcemente matto,
l’anima di ognuno.

Alzarmi all’alba per vedere splendere
di bagliore intatto
il sole del mattino.

Contemplare la luna brillare,
sul tetto con il gatto,
nell’etere notturno.

Insidiare nudo le ninfe altere
con il viso scarlatto,
ma non è sangue: è vino.

Dormire, sazio ed ebbro, finalmente,
senza cura di niente.

(schema: Abc Abc Abc Abc Abc Dd)



Il sonetto è composto di quattordici versi della stessa lunghezza, il più usato è l'endecasillabo.
Ne esistono di due schemi quello a rime alternate ABAB ABAB CDE CDE o quello detto alla provenzale ABBA ABBA CDE CDE c'è anche quello shakesperiano ABAB CDCD EFG EFG che però non ho usato in questa silloge.
Nel primo e nell'ultimo caso le strofe sono il tessuto narratore e le sirme, o vero le terzine, il cambio di ritmo e la conclusione. Le terzine sono spesso usate con grande libertà ma in genere in modo uguale fra loro. Anche qui la regola c'è ma si può benissimo adattarla alle esigenze della poesia, se non ci si pone di rispettare rigidamente la forma. Le permutazioni sono tutte quelle possibili.
Nel caso in cui si adottino rime rispecchiate, come nel caso provenzale, la prima parte della poesia sarà molto più chiusa come sotto composizione e le terzine finali giocheranno un ruolo di fuga molto più accentuato.
Ora va detto che questo può essere voluto o meno dal poeta. Si può partire con l'idea di costruire una poesia con un determinato schema. Allora è bene fissare dei versi di imposta e riempire i vuoti con dei versi accessori. A volte succede che il livello lirico si ottenga di più nei versi accessori. Se invece lo schema viene da sé, solo adattando i versi precedenti, ho già detto che con l'abitudine l'endecasillabo è automatico nelle orecchie, allora la poesia avrà un ritmo magari non aspettato e che dà un tono particolare alla composizione.
La poesia non è una scienza e molto è lasciato alla verve del poeta, a volte il cervello ragiona da solo per noi. Regole compositive ce ne sono a iosa ma la tendenza è a non farsi ingabbiare troppo da queste norme che a volte sono cervellotiche come solo un letterato sa fare. Il problema è la coerenza di quello che si fa, più che l'abilità enigmistica di trovare la soluzione alla forma scelta.

I due sonetti successivi hanno come tema quello della 'passante'. La prima era una ragazza tipologicamente 'popolana' la quale, consapevole della sua bellezza e esitando fra l'ostentazione e il pudore risultava irresistibilmente tenera. Le prime due strofe sono descrittive, le sirme portano il sentimento rispecchiando un'immagine evocata con la fuga lirica. Strofe e sirme sono specchiate.

D’un tratto mi hai riempito di colori.
Mi fermai perché prima di me passassi,
col viso serio più che tu non fossi,
gli occhi bruni ed i capelli neri.

Nella blusetta di velo a fiori
e il seno che ti sobbalzava ai passi,
nella gonna stretta ai fianchi mossi
eri azzurra nube di verdi umori.

Profumavi dolce di caramella,
uno di quei trastulli di zucchero,
bianchi e rossi, che s’attaccano alle dita.

Alito rosa e porpora infinita,
come se un sogno si voltasse in vero,
e non sapevi tu quanto eri bella!

(schema: ABBA ABBA CDE EDC)


In quest'altra invece la passante non si vede, si percepiscono dei rumori e dei profumi per cui rimanda a un'altra passante la cui crudeltà amorosa sale in crescendo. L'alternanza delle sillabe e le sirme in terzine dantesche propongono una narrazione continua dall'inizio alla fine della poesia.

L’aria si scolora di nebbia alata
e profuma di biscotto e di cannella.
Tacchi acuti sulla via selciata
annunciano una donna fatua e bella.

Una sera d’ottobre desolata
e struggente di fragranza novella
si anima di speranza mai sopita:
che la donna sia la tua, che sia quella.

Ma non c’è nulla che segua il suono.
L’eco è solo il mostrarsi di un’assenza,
tono falso, crudele e disumano.

Quanto tempo che ti aspetto invano!
Che mi presto alla tua scema violenza,
che chiudo mesto le imposte piano.

(schema: ABAB ABAB CDC CDC)


Il convivio, semplicemente lo stare insieme a tavola è il tema dell'ultimo sonetto proposto. Si sente una suggestione dai lirici greci. Lo schema provenzale rispetta gli argomenti che sono esposti con ordine, lo stesso avviene con le sirme che ribadiscono la loro chiusura col distico finale della stessa sillaba.

Quando il tempo dell’apogeo del sole
volge al termine la stagione bella
e lascia luogo all’epoca novella,
festa dell’anno, l’autunno sale.

Ricchi di vino e cibi nelle sale,
è caro accanto al fuoco che favilla
passar la notte dietro una scintilla
blandendo il cuore con vaghe parole.

Chiedere come vanno le cose,
i soldi, l’amore e la vita ancora
e parlare di come il mondo gira,

sapendo che son più spine che rose.
E intanto il tempo passa ora ad ora
e la notte lascia luogo all’Aurora.

(schema: ABBA ABBA CDD CDD)


R.P.
 
Posteris memoria mea