domenica 17 settembre 2017

Leggere un'opera d'arte 4: il Novocomum

Una delle accuse che sono mosse al Razionalismo è di essere stato indifferente al rapporto fra le nuove architetture e l'esistente. Vi ricorderete, cari brutti anatroccoli del mio cuore, che ho già avuto modo di sottolineare l'importanza nella composizione architettonica, del rapporto con la storia e con il costruito. L'ho fatto, cari miei anseriformi, nei post sull'architettura della poesia.
Accusa non senza fondamento negli eventi, se non che la poetica del Razionalismo e del Movimento Moderno in generale, in relazione a questo aspetto, era quella della rottura con la storia. Come spesso fecero tutte le avanguardie artistiche del '900.
La discontinuità storica, approccio moderno allo studio della storia che sostituisce quello più classico del determinismo storico, per cui ciò che è successo ha sempre un senso rispetto a quello che succederà, anche in architettura non genera per forza una frattura storica. A volte successe, fra Gotico e Rinascimento per esempio, ma le modificazioni anticlassiche del Barocco hanno senza dubbio segnato una discontinuità con il passato, ma non una separazione da esso che è stato invece ricodificato e inglobato.
Il Movimento Moderno invece ha esplicitato questa soluzione di continuità con la storia nella sua poetica, oltre che nella prassi. Ciò è anche chiaro nella sua morfogenesi: il concetto di funzione e il rifiuto della decorazione, quindi anche degli stilemi di derivazione storica.
Il Razionalismo ha esacerbato questa posizione con le sue istanze di purismo. Il problema si pone su due diverse scale. La prima la possiamo riassumere con questo concetto: le nuove tecniche costruttive mutuate dall'ingegneria non hanno sostituito, nella memoria collettiva e anche, se mi passate il termine, nella coscienza sentimentale dell'architettura, la colonna. La seconda riguarda invece la coesistenza fra le architetture moderne e le preesistenze, sia nel senso del tessuto urbano, sia in quello del singolo edificio o complesso di edifici storici.
Ma appunto la risposta del modernismo è sempre stata quella dell'indifferenza con la continuità storica. Insomma una specie di cane che si morde la coda.
A suffragio di questa scelta drastica il Movimento Moderno, ha analizzato i cambiamenti sociali e ne ha ipotizzati di ulteriori politici, i quali avrebbero comportato un distacco progressivo e ineluttabile con il passato, nella vita stessa degli individui. Naturalmente l'architettura non poteva non tenere conto di queste evenienze. Cambiamenti sia nella cultura ideale: pensiero razionale, approccio scientifico, atteggiamento positivista, rivolgimenti politici (non necessariamente, come vedremo anche in questo post, ideologie di sinistra, pure se in massima parte la propensione era quella), sia nella cultura materiale: industrializzazione, risoluzione di problemi urbani endemici come la carenza di abitazioni, riorganizzazione del tempo in base ai moderni criteri di produzione dei beni, nuovi servizi sociali.
Una lettura del MM al di fuori di queste premesse, sempre onestamente dichiarate, è priva di ogni fattualità logica. Questo va tenuto sempre presente.
Altro conto sono i risultati, funzionali ed estetici, e l'avverarsi delle premesse politiche, economiche e sociali che stavano alla base della poetica modernista e soprattutto razionalista.
Per farla breve, perché mi sto accorgendo che sta diventando un post per addetti ai lavori, e per certi versi è inevitabile, le cose non sono andate esattamente come gli architetti moderni avevano previsto, pensato e sperato e la velocità degli eventi ha superato la loro capacità, che è soprattutto la capacità della società nella quale hanno agito, di stargli dietro. L'esempio delle periferie è il più evidente. Lo scollamento fra approccio modernista e crescita quantitativa e qualitativa delle città s'è a un certo punto fatto insanabile e per molti versi drammatico.
Fatto 'sto pistolotto introduttivo, che però ci voleva, e del quale, anatidi amatissimi, non avrete capito una beata mazza a meno che siate degli architetti coi capelli almeno brizzolati, o degli storici dell'arte, ma solo se intelligenti. Detto questo, dicevo, scendiamo sul nostro esempio di lettura di un'opera d'arte: il Novocomum di Giuseppe Terragni a Como, del 1929 perché questo è uno dei casi in cui il razionalismo si pone un rapporto con la storia.

Giuseppe Terragni nacque a Meda, in Provincia di Milano, il 18 di aprile 1904 e morì, a seguito di ferite ricevute in guerra, a Como il 19 luglio del 1943. Era il fratello del podestà di Como il che gli procurò il modo di fare parecchi lavori. Terragni è uno dei maggiori esponenti del Razionalismo, il più grande in Italia con Adalberto Libera a mio parere. Dico questo di Terragni sia per la qualità eccelsa dei suoi progetti sia per la coerenza del suo linguaggio con i presupposti del Razionalismo.
A l'era anca un bel fiulett.
Giuseppe Terragni

Uno dei suoi primi lavori fu proprio l'edificio per abitazioni detto Novocomum.
Il Novocomum

Osservate la foto. Vedete che il nuovo edificio di Terragni confina con uno dei lati corti a un preesistente edificio, un discreto palazzo eclettico, interessante soprattutto per i bow windows e l'arioso loggiato a coronamento. Dovete omettere mentalmente gli ultimi due piani che sono una superfetazione successiva. Notate come la differenza dei linguaggi non potrebbe essere più marcata, come gli stili non potrebbero essere più distanti. Eppure si percepisce un senso di integrazione fra i due, una maggiore armonizzazione di quando si scontrano linguaggio storico e moderno.
Questa è la planimetria in cui ho evidenziato nel rettangolo rosso la parte di facciata in primo piano nella foto e col rettangolo grigio la posizione dell'edificio esistente
Novocomum - Planimetria

Adesso ripropongo la stessa foto in cui ho messo in relazione alcune scelte compositive di Terragni con gli elementi di linguaggio preesistenti. A colore corrisponde colore.

Cominciamo l'analisi.
In rosso sono evidenziati i rispettivi marcapiani dei solai, al primo e all'ultimo sono coincidenti negli altri corrisponde la quota, uno capita, per puro culo, sulla fuga del bugnato, ma è un caso. Da notare che i marcapiani di Terragni sono le solette dei balconi poiché non ne esistono di altri tipi in facciata. Di solito è sconsigliabile, in linea di larghissima massima, mettere dei vuoti o arretramenti di filo all'inizio dell'edificio per non creare quello che si definisce 'un angolo debole', ma in questo caso la soluzione appare molto efficace e corretta.
In giallo si vede che la proporzione verticale delle finestre dell'edificio eclettico diviene un modulo di una delle finestre orizzontali che sono uno degli elementi connotativi e preferiti dell'architettura moderna. La fenêtre en longueur teorizzata da Le Corbusier, per capirci. Sono preferite per una miglior illuminazione degli ambienti e perché trasmettono un senso di stabilità e armonia, facendo al contempo prevalere i vuoti sui pieni, e possono eventualmente essere sfruttate per evidenziare le strutture.
Nell'insieme (in viola) le finestre orizzontali riprendono il vuoto del loggiato di coronamento nel palazzo eclettico. Da notare che nell'angolo in aggetto una finestra continua, una fenêtre en longueur vera e propria, evidenzia il pilastro e proprio l'aggetto compensa l'angolo debole. Devo dire che in ogni caso questo stilema non è dei miei preferiti, anche se lo fa un Terragni.
Nei riquadri azzurri la forma tonda dei bow windows e dei balconi è ripresa negli ambienti circolari e nella stondatura dell'angolo dell'edificio razionalista. Per esempio si vede che la finestra in lunghezza dà molto migliori risultati sul curvo che sull'angolo.
Vedete quante attenzioni per un edificio preesistente che non è certo un capolavoro. E dunque se non è la qualità dell'esistente a imporsi, è l'attenzione che Terragni pone nel risolvere il rapporto di contatto con l'esistente a mettersi in mostra. Qualche testa di cazzo definirebbe questa attenzione facciatismo ma ne abbiamo già parlato sempre nei post sull'architettura della poesia.
La cosa bella è che queste soluzioni permettono a Terragni di costruire poi l'intera facciata del suo edificio senza abiurare di una virgola alla poetica razionalista, per esempio quella di variare il tipo di apertura a seconda della funzione del locale retrostante. E qui l'attenzione, e la preoccupazione di un giovanissimo Terragni, è soprattutto quella di essere convincente in facciata, la planimetria non offre grandi spunti di genio modernista. A questo proposito ho evidenziato in pianta, nel rettangolo rosso scuro, la ripresa sul lato corto opposto di elementi stondati in funzione strutturale.
Spero di essere riuscito a far comprendere quante attenzioni deve avere la composizione architettonica moderna anche se non fa uso di stilemi storici.
E spero che abbiate capito, miei anatinuli, che lezioni di composizione architettonica come questa non ve le farebbe chiunque.
A proposito: guardate che belli i balconi del Novocomum. La facciata lunga è composta da quattro fasce in sequenza. Il filo del piano terra, arretrato rispetto al punto fisso, sopra c'è un volume aggettante, poi due piani di vuoto coi balconi e l'ultimo a filo che culmina con gli aggetti d'angolo. Tutto dà una ardita plasticità al volume complessivo dell'edificio che considera, ancora una volta ma la supera abbondantemente, la facciata ampiamente scultorea dell'edificio eclettico. Direi che non è improprio vedere il respiro ampio e un richiamo a Palazzo Farnese, di cui ho appena parlato (il primo post sulla composizione architettonica).
Ho detto sopra che Terragni è il più grande architetto razionalista italiano con Adalberto Libera: guardate questi straordinari balconcini nei tre villini di Ostia.

Tenete presente che né per Terragni a Como né per Libera a Ostia si tratta di architettura monumentale ma di normali progetti per residenza.
Carissimi anatroccoli, capite cosa vuol dire essere un grande architetto?