Una
delle accuse che sono mosse al Razionalismo è di essere stato
indifferente al rapporto fra le nuove architetture e l'esistente. Vi
ricorderete, cari brutti anatroccoli del mio cuore, che ho già avuto
modo di sottolineare l'importanza nella composizione architettonica,
del rapporto con la storia e con il costruito. L'ho fatto, cari miei
anseriformi, nei post sull'architettura della poesia.
Accusa
non senza fondamento negli eventi, se non che la poetica del
Razionalismo e del Movimento Moderno in generale, in relazione a
questo aspetto, era quella della rottura con la storia. Come spesso
fecero tutte le avanguardie artistiche del '900.
La
discontinuità storica, approccio moderno allo studio della storia
che sostituisce quello più classico del determinismo storico, per
cui ciò che è successo ha sempre un senso rispetto a quello che
succederà, anche in architettura non genera per forza una frattura
storica. A volte successe, fra Gotico e Rinascimento per esempio, ma
le modificazioni anticlassiche del Barocco hanno senza dubbio segnato
una discontinuità con il passato, ma non una separazione da esso che
è stato invece ricodificato e inglobato.
Il
Movimento Moderno invece ha esplicitato questa soluzione di
continuità con la storia nella sua poetica, oltre che nella prassi.
Ciò è anche chiaro nella sua morfogenesi: il concetto di funzione e
il rifiuto della decorazione, quindi anche degli stilemi di
derivazione storica.
Il
Razionalismo ha esacerbato questa posizione con le sue istanze di
purismo. Il problema si pone su due diverse scale. La prima la
possiamo riassumere con questo concetto: le nuove tecniche
costruttive mutuate dall'ingegneria non hanno sostituito, nella
memoria collettiva e anche, se mi passate il termine, nella coscienza
sentimentale dell'architettura, la colonna. La seconda riguarda
invece la coesistenza fra le architetture moderne e le preesistenze,
sia nel senso del tessuto urbano, sia in quello del singolo edificio
o complesso di edifici storici.
Ma
appunto la risposta del modernismo è sempre stata quella
dell'indifferenza con la continuità storica. Insomma una specie di
cane che si morde la coda.
A
suffragio di questa scelta drastica il Movimento Moderno, ha
analizzato i cambiamenti sociali e ne ha ipotizzati di ulteriori
politici, i quali avrebbero comportato un distacco progressivo e
ineluttabile con il passato, nella vita stessa degli individui.
Naturalmente l'architettura non poteva non tenere conto di queste
evenienze. Cambiamenti sia nella cultura ideale: pensiero razionale,
approccio scientifico, atteggiamento positivista, rivolgimenti
politici (non necessariamente, come vedremo anche in questo post,
ideologie di sinistra, pure se in massima parte la propensione era
quella), sia nella cultura materiale: industrializzazione,
risoluzione di problemi urbani endemici come la carenza di
abitazioni, riorganizzazione del tempo in base ai moderni criteri di
produzione dei beni, nuovi servizi sociali.
Una
lettura del MM al di fuori di queste premesse, sempre onestamente
dichiarate, è priva di ogni fattualità logica. Questo va tenuto
sempre presente.
Altro
conto sono i risultati, funzionali ed estetici, e l'avverarsi delle
premesse politiche, economiche e sociali che stavano alla base della
poetica modernista e soprattutto razionalista.
Per
farla breve, perché mi sto accorgendo che sta diventando un post per
addetti ai lavori, e per certi versi è inevitabile, le cose non sono
andate esattamente come gli architetti moderni avevano previsto,
pensato e sperato e la velocità degli eventi ha superato la loro
capacità, che è soprattutto la capacità della società nella quale
hanno agito, di stargli dietro. L'esempio delle periferie è il più
evidente. Lo scollamento fra approccio modernista e crescita
quantitativa e qualitativa delle città s'è a un certo punto fatto
insanabile e per molti versi drammatico.
Fatto
'sto pistolotto introduttivo, che però ci voleva, e del quale,
anatidi amatissimi, non avrete capito una beata mazza a meno che
siate degli architetti coi capelli almeno brizzolati, o degli storici
dell'arte, ma solo se intelligenti. Detto questo, dicevo, scendiamo
sul nostro esempio di lettura di un'opera d'arte: il Novocomum di
Giuseppe Terragni a Como, del 1929 perché questo è uno dei casi in
cui il razionalismo si pone un rapporto con la storia.
Giuseppe
Terragni nacque a Meda, in Provincia di Milano, il 18 di aprile 1904
e morì, a seguito di ferite ricevute in guerra, a Como il 19 luglio
del 1943. Era il fratello del podestà di Como il che gli procurò il
modo di fare parecchi lavori. Terragni è uno dei maggiori esponenti
del Razionalismo, il più grande in Italia con Adalberto Libera a mio
parere. Dico questo di Terragni sia per la qualità eccelsa dei suoi
progetti sia per la coerenza del suo linguaggio con i presupposti del
Razionalismo.
A
l'era anca un bel fiulett.
Giuseppe Terragni |
Uno
dei suoi primi lavori fu proprio l'edificio per abitazioni detto
Novocomum.
Il Novocomum |
Osservate
la foto. Vedete che il nuovo edificio di Terragni confina con uno dei
lati corti a un preesistente edificio, un discreto palazzo eclettico,
interessante soprattutto per i bow windows e l'arioso loggiato a
coronamento. Dovete omettere mentalmente gli ultimi due piani che
sono una superfetazione successiva. Notate come la differenza dei
linguaggi non potrebbe essere più marcata, come gli stili non
potrebbero essere più distanti. Eppure si percepisce un senso di
integrazione fra i due, una maggiore armonizzazione di quando si
scontrano linguaggio storico e moderno.
Questa
è la planimetria in cui ho evidenziato nel rettangolo rosso la parte
di facciata in primo piano nella foto e col rettangolo grigio la
posizione dell'edificio esistente
Novocomum - Planimetria |
Adesso
ripropongo la stessa foto in cui ho messo in relazione alcune scelte
compositive di Terragni con gli elementi di linguaggio preesistenti.
A colore corrisponde colore.
Cominciamo
l'analisi.
In
rosso sono evidenziati i rispettivi marcapiani dei solai, al primo e
all'ultimo sono coincidenti negli altri corrisponde la quota, uno
capita, per puro culo, sulla fuga del bugnato, ma è un caso. Da
notare che i marcapiani di Terragni sono le solette dei balconi
poiché non ne esistono di altri tipi in facciata. Di solito è
sconsigliabile, in linea di larghissima massima, mettere dei vuoti o
arretramenti di filo all'inizio dell'edificio per non creare quello
che si definisce 'un angolo debole', ma in questo caso la soluzione
appare molto efficace e corretta.
In
giallo si vede che la proporzione verticale delle finestre
dell'edificio eclettico diviene un modulo di una delle finestre
orizzontali che sono uno degli elementi connotativi e preferiti
dell'architettura moderna. La fenêtre en longueur teorizzata da Le
Corbusier, per capirci. Sono preferite per una miglior illuminazione
degli ambienti e perché trasmettono un senso di stabilità e
armonia, facendo al contempo prevalere i vuoti sui pieni, e possono
eventualmente essere sfruttate per evidenziare le strutture.
Nell'insieme
(in viola) le finestre orizzontali riprendono il vuoto del loggiato
di coronamento nel palazzo eclettico. Da notare che nell'angolo in
aggetto una finestra continua, una fenêtre en longueur vera e
propria, evidenzia il pilastro e proprio l'aggetto compensa l'angolo
debole. Devo dire che in ogni caso questo stilema non è dei miei
preferiti, anche se lo fa un Terragni.
Nei
riquadri azzurri la forma tonda dei bow windows e dei balconi è
ripresa negli ambienti circolari e nella stondatura dell'angolo
dell'edificio razionalista. Per esempio si vede che la finestra in
lunghezza dà molto migliori risultati sul curvo che sull'angolo.
Vedete
quante attenzioni per un edificio preesistente che non è certo un
capolavoro. E dunque se non è la qualità dell'esistente a imporsi,
è l'attenzione che Terragni pone nel risolvere il rapporto di
contatto con l'esistente a mettersi in mostra. Qualche testa di cazzo
definirebbe questa attenzione facciatismo ma ne abbiamo già parlato
sempre nei post sull'architettura della poesia.
La
cosa bella è che queste soluzioni permettono a Terragni di costruire
poi l'intera facciata del suo edificio senza abiurare di una virgola
alla poetica razionalista, per esempio quella di variare il tipo di
apertura a seconda della funzione del locale retrostante. E qui
l'attenzione, e la preoccupazione di un giovanissimo Terragni, è
soprattutto quella di essere convincente in facciata, la planimetria
non offre grandi spunti di genio modernista. A questo proposito ho
evidenziato in pianta, nel rettangolo rosso scuro, la ripresa sul
lato corto opposto di elementi stondati in funzione strutturale.
Spero
di essere riuscito a far comprendere quante attenzioni deve avere la
composizione architettonica moderna anche se non fa uso di stilemi
storici.
E
spero che abbiate capito, miei anatinuli, che lezioni di composizione
architettonica come questa non ve le farebbe chiunque.
A
proposito: guardate che belli i balconi del Novocomum. La facciata
lunga è composta da quattro fasce in sequenza. Il filo del piano
terra, arretrato rispetto al punto fisso, sopra c'è un volume
aggettante, poi due piani di vuoto coi balconi e l'ultimo a filo che
culmina con gli aggetti d'angolo. Tutto dà una ardita plasticità
al volume complessivo dell'edificio che considera, ancora una volta
ma la supera abbondantemente, la facciata ampiamente scultorea
dell'edificio eclettico. Direi che non è improprio vedere il respiro
ampio e un richiamo a Palazzo Farnese, di cui ho appena parlato (il
primo post sulla composizione architettonica).
Ho
detto sopra che Terragni è il più grande architetto razionalista
italiano con Adalberto Libera: guardate questi straordinari
balconcini nei tre villini di Ostia.
Tenete
presente che né per Terragni a Como né per Libera a Ostia si tratta
di architettura monumentale ma di normali progetti per residenza.
Carissimi
anatroccoli, capite cosa vuol dire essere un grande architetto?