martedì 7 aprile 2015

Semplice quindi popolare (un qualcosina in più di pop)


Ho avuto occasione di accennare a Giorgio Caproni in un mio post e mi è venuta la voglia di rileggermi le sue poesie. Alla fine del libro c’erano delle critiche d’autore all’opera di Caproni e mi sono venute alcune considerazioni in ordine sparso, con valenza spero generale sulla poesia.
A me hanno insegnato che la realtà di uno stile è rappresentata dalla singola opera su cui si può applicare un’appartenenza cosiddetta di ordine o, nei casi maggiori, di canone. Invece trovo che la maggior parte dei critici letterari di professione si sforzano di inserire l’autore in precise caselle che rappresentano per loro delle evidenti necessità di sistematizzazione.
Per esempio in Calvino è la tematica ricorrente, ma anche il carattere ‘ popolare ’ dunque, prima o poi, di successo fra il pubblico delle sue composizioni.
Pasolini mette in evidenza il carattere espressionista di Caproni che giustifica il ricorso che egli ne fa di forme tradizionali di metrica.
Ce ne sono altre allegate nel libro ma considero solo le due citate. Calvino che ho apprezzato per una bella introduzione allo “ Orlando furioso ” di Ludovico Ariosto, in un’ottica da scrittore e non da critico, per Einaudi. Pasolini che considero grande regista e architetto e urbanista, dall’occhio acuto, ma in tutta onestà non grande poeta né critico letterario.
Cito da Pasolini “ ... e crediamo del resto che non ci sia riconoscimento migliore per lui che il saperlo leggere dentro questo quadro che abbiamo schematizzato: dove si senta tutto il buon sapore del suo lavoro compiuto ai margini, quasi, con commovente umiltà, ai piedi della nostra Letteratura... verso tecniche un po’ abnormi... e se pure la vita spirituale di Caproni è un poco ingombrata dalla sua forza illogica...”. 
Che squallida supponenza professorale! E meno male che erano amici...
Cito Calvino “ ... tanto questo poeta sembra avere tutti i rari requisiti della popolarità... bravura di versificatore, affabilità comunicativa e un particolare suspence tra lirica e racconto, mi sembrano siano appetibili da un gran numero di lettori. ”.
Conclude dicendo che Caproni ha successo perché è modesto e schivo ed è strano che essendo così popolare abbia avuto successo tardi.
Entrambi si sforzano di spiegare la scelta di Caproni di confrontarsi con la metrica tradizionale come trasformazione della stessa in acrobatici passaggi fra narrazione campestre e paesana e realtà cittadina ovvero uso, a loro dire, strumentale della tradizione considerata popolare, ma in un’ottica di superamento modernista. E altre pippe del genere.
Io capisco e comprendo la gergalità d’appartenenza, per averla io stesso sperimentata nei miei anni accademici.
Mi ricordo, alla presentazione fatta dall’allora preside della Facoltà di Architettura di Milano, professor Lamberto Secchi, che egli ci avvertì del fatto che avremmo sentito uno strano linguaggio tribale nelle nostre prime esperienze in università e di non preoccuparci perché di lì a poco avremmo cominciato anche noi a parlare la koinè architettonica e ci saremmo sentiti a nostro agio. Con la soddisfazione di escludere i profani che bussavano al tempio della luce.
Le cose non andarono proprio così, mi ricordo, poiché attraverso l’attico e il bizantinismo approdammo, io e i miei compagni di studio, a una sorta di francescanesimo linguistico per il quale ogni progetto o proposta compositiva si riduceva, dopo anni di bollitura alchemica, ai due aggettivi “ bello ” e “ brutto ” che contenevano in un linguaggio via che tribale, francamente di branco, tutte le categorie estetiche sottese.
Non state capendo niente? Ovvio: non siete del branco.
Dunque capisco i letterati di formazione e professione, ma io non appartengo al loro branco.
Per esempio se trovo congrua l’analisi delle tematiche ricorrenti in un poeta come argomento di analisi non comprendo, anzi, se devo dirla tutta, mi sembra fallace la lettura di un poeta considerando al sua produzione come un continuum volontario. In specie in un poeta come Caproni che ha avuto la fortuna di scrivere per quasi una sessantina d’anni.
Uno mi potrebbe dire: ma qualcosa dovranno pur scriverlo. Infatti non contesto, sapete come la penso: con tutto quello che succede, litigare sulla poesia è la cosa più stupida che si possa fare.
Però con Caproni o un altro, ancora vivi o caldi, collocarli subito in una casella del divenire storico della letteratura è o deformazione per addetti ai lavori oppure vezzo gergale.
Non  mi appartiene né l’una né l’altra cosa. Ma nessuno si adonti: io sono, dal rispetto letterario, un ignorante: ho un’altra testa. Sono ignorante, che sa di esserlo e sa anche di non essere stupido, e non solo in letteratura per la verità ma con l’autodenigrazione può bastare così, per il momento.
Io ho un’intelligenza di tipo rapido e intuitivo, posso fare sforzi sistemici, perché non sono, fino al momento, rincoglionito, ma rendo meno di quando mi abbandono alla sottile arte dell’ispirazione. Poi, dato che non prendo una lira, non mi sembra il caso di fare sforzi inutili rispetto a quelli che già la mia intuizione mi fa fare: intuizione non è incoscienza.
Allora i temi della poesia sono importanti anche se non sono ricorrenti o invarianti, ma appartengono a un momento della vita dell’autore. Per esempio, rimanendo a Caproni, i suoi versi “ anticaproniani ” (così da lui definiti) sono una normale rilettura delle sue tematiche, con un po’ di sana ironia sul fatto che non si può essere innovativi dai trenta agli ottant’anni e che capita, a noi umani, di riflettere su ciò che abbiamo fatto.
A me, per esempio piace, senza voler fare nessun paragone, sia il momento in cui scrivo sia quando mi rileggo, correggo, aggiungo, tolgo, vedo l’effetto che fa. Mi interressa l’esperienza del fare, mi nutro e mi diverto.
A volte dico “ bello! Ma questo l’ho scritto io? ” a volte “ be’, questo non è granché ” ma lo lascio perché odio la perfezione, ma per un solo motivo: l’imperfezione ridà il senso dell’esperienza e questo è quello che posso chiedere alla mia scrittura.
Tornando ai nostri critici, dunque per loro c’è una Poesia da intenditori, alla quale occorre accostarsi dopo aver avuto il pane spezzato della corretta interpretazione e una poesia che è fatta di buone intenzioni, buon carattere, pochi grilli per la testa ed è accessibile a una larga fetta di lettori che, poverini, arrivano dove possono.
Io faccio parte di questi lettori che fanno ciò che possono e non ritengono utile studiare un poeta (?) come Sanguineti che alla domanda: “ La gente non capisce la sua poesia ” rispose “ Che studino prima! ”. Be’ io non ho un cazzo di urgente da fare, ma mi rifiuto di perdere tempo a studiare uno che mette insieme frasi senza senso.
Pasolini ammoniva d’essere originali. E bè’ certo, se dico che quelle cose le so fare solo io ed è colpa vostra se non capite, sarò per forza originale. E se uso le parole per formare proposizioni di senso compiuto avrò uno spettro di combinazioni molto più basso che se uso le parole esistenti per comporre frasi senza senso: è una questione matematica. Poi dirò che il senso c’è ma lo so solo io.
Peccato però che tutti i grandi poeti, dagli albori dei tempi, abbiano fatto grande poesia dicendo cose di senso compiuto, con un tono che i due critici di cui sopra definivano ‘prosastico ’ o sia raccontavano delle cose o descrivevano luoghi e immagini.
Io leggendo questa poesia del ‘ qualcosina in più che pop ’ Giorgio Caproni, con la sua poesia da ‘ umile servo nella vigna della Letteratura ’ (con la L maiuscola!), ho fatto delle, per me, importanti considerazioni su alcune ipotesi che formulai nello scrivere la “Teogonia Vedica ”. Certo Caproni non le ha scritte per me e giustamente non gliene sarebbe fregato nulla delle mie elucubrazioni, ma a me invece la sua poesia è servita, è diventata attiva nella mia mente. Credo invece che di questo sarebbe stato felice.

Pierineria

Il Nulla, dicono,
è il “ non essere ”.
                               E allora,
come può, allora,
“ essere ” il “ non essere ”? 

È tratta da “ Res amissa ” del 1991 (postumo), nella sezione ‘ per sezis ’. Il testo da cui è tolta è: Giorgio Caproni “ Tutte le poesie ”, collana Gli Elefanti, Garzanti editore, 2013 (1a edizione 1999).

Un’ ultima cosa: e lasciatemi un commento! Rispondo a tutti, a meno che non siano insulti. Vi assicuro che non sono infettivo e non mordo e mi incazzo solo con quelli famosi che se la tirano.

                                         Giorgio Caproni


(Non ho potuto appurare se questa foto è protetta da copyright, se sì fatemelo sapere e o la tolgo o mi date il permesso di lasciarla e aggiungo il nome dell'autore e dei depositari dei diritti).