Continuando
sempre nella lettura delle immagini che ho iniziato nel post precedente,
analisi che mi serve sia per fornire una mia chiave di lettura della poetica
sottesa alle fotografie che sto presentando, almeno a quella che esprimo io, e
quindi a fornire un esempio di possibile cascata analogica di forme e
sensazioni a partire da un’interpretazione soggettiva autoriale, sia per
continuare e concludere con questo e con il prossimo post, che verterà sempre
sulle fotografie di Laura Caligiuri (www.lauracaligiuriphotos.com ;FB: Laura Caligiuri
Photos ), la definizione di una traccia, non vorrei dire interpretativa, quanto
piuttosto esplicativa, diciamo delle istruzioni per l’uso, rispetto alla natura
della mia poesia.
La
fotografia che ho scelto, che bene invera i due scopi, è questa.
Scatto più fortemente connotativo di quello del post precedente. Mentre là vi era una sorta di indeterminatezza, di vaporosità, qua persino la nebbia acquista un corpo e uno spessore di grande matericità.
Penso
che l’immagine che viene in mente a tutti è quella delle grandi cattedrali
gotiche, proprio per la forte fisicità degli oggetti raffigurati. La pietra
scavata dagli agenti atmosferici, l’aspetto impervio dei due bastioni rocciosi,
lo slancio delle conifere a guglia verso l’alto. Come l’architettura gotica
essi trasmettono sia un grande peso, una solidità di impianto, sia uno slancio
prometeico verso l’alto.
Detto
di passaggio, ché altrimenti sconfineremmo, andrei sempre cauto nell’attribuire
il carattere di leggerezza all’architettura gotica solo perché prevalgono i
vuoti sui pieni o per le strutture composite.
Altrettanto
evidente il carattere di fierezza, di ‘porsi di fronte’, che i due strapiombi
esprimono. Ugualmente evidente l’individualità di ognuno di essi, con la
nebbia, appunto, a fare da mezzo di esistenza dello spazio compreso fra le due
masse, un po’ come il vapore dell’incenso riempiva il vuoto dell’invaso della
cattedrale. Fumo denso, odoroso, che indicava una presenza e una direzione: il
divino e la salita verso l’alto.
Certo,
la mancanza delle vetrate colorate, se seguite il mio esempio, porta a vedere
le due cattedrali come rovine, ruderi di antiche cattedrali sparse per la
campagna francese prima dei restauri e della canonizzazione del neogotico
operata da Eugene Viollet Le Duc. A me non dà questa sensazione ma concedo che
sia possibile e abbia senso. A parte che è perfettamente legittimo provare la
sensazione che si vuole, ma io qui cerco di mantenere una certa oggettività.
Vediamo
un po’ questi aspetti nel dettaglio.
Notate
la pietra scoscesa e scalpellata dalla pioggia e dal vento nella quale è
possibile divertirsi a vedere volti antropomorfi o teriomorfi o figure intere
come statue di santi o demòni infernali. Nasi, bocche, occhi espressioni fra Arcimboldo
e Notre Dame.
Giuseppe
Arcimboldo “ Rodolfo II d’Absburgo ”, XVI sec.
Notre dame de Paris, ‘ Gargoyles ’
Questo
mi fa pensare anche a un elemento dello Shinto, laddove si dice che lo spirito
vitale dei morti ritorna nella natura. Qui sembra che questi esseri non ce la
facciano a restare celati e si manifestino ognuno con la sua personalità.
Ce
ne sono davvero molti. Nella roccia a sinistra, non so perché, mi appaiono
personaggi donchisciotteschi. In quella di destra ce ne sono di più ancestrali
e una grossa fenditura che appare un’enorme edicola per una statua colossale
tipo quelle dei Buddha che vengono collocati in alloggiamenti scavati nella
roccia, se non c’è l’islamico di passaggio che si diverte a farli saltare con
la dinamite.
Capite
già dove si può andare a finire nella contemplazione in quella che io chiamo
la cascata di immagini.
Gli
abeti, o quello che sono, rappresentano le guglie, o sia il maggior segno di
tendenza verso l’alto. Anch’essi però stanno in un posto che sembra loro
assegnato, e sarà anche così, per una
ragione o un insieme di ragioni che ci sfuggono. Certo è che sia le guglie sia
le statue delle cattedrali sono poste in equilibrio in punti precisi. Ciò
nonostante un santo deve continuare a fare il santo anche a cinquanta metri da
terra e in una nicchia appena sufficiente per posare i piedi. Allo stesso modo
questi pini devono farsi bastare il pugno di terra che la roccia e il vento
concedono loro. Ma lo fanno con la più grande naturalezza.
I
contrafforti rocciosi potrebbero essere anche i due campanili laterali delle
cattedrali gotiche, le più antiche sono in Francia, e lo spazio fra d’essi è la
navata maggiore.
Cattedrale
di Reims, XIII sec.
Qui
la nebbia svolge un ruolo di indicazione di un’altra direzionalità, non solo
gotica, di un edificio religioso: il percorso fra l’entrata, cioè il confine o,
come si dice in termini della composizione architettonica, la regola d’ingresso,
fra esterno e interno, e il percorso della processione sacra che porta al
presbiterio. Fra le due rocce, seguendo la nebbia in uno spazio che non è
compreso nella fotografia, si procede verso un luogo di contatto fra il mondo
umano e divino. Per farlo è necessario entrare nell’immagine e questo dà
l’elemento di profondità che riequilibra, a livello compositivo e poetico lo ‘
stare di fronte ’ di cui parlavo prima.
Voglio
aggiungere che un pregio delle fotografie che Laura mi ha inviato è che
rifiutano l’approccio: ‘ potevamo stupirvi con effetti speciali ’ e non tendono
a far più bello ciò che è già bello così com’è.
Fra
le mie poesie due mi sono sovvenute vedendo questa fotografia, le trovate
entrambe nel blog ma, al solito le riprendo.
Una
è questa che fa parte degli esametri di “ Epea pteroenta ”.
Ora cavalca per sempre nei prati
del
cielo, insieme ai venti,
e
vuota è la tomba.
Corre
come l’aria tra i fili d’erba
color
mela acerba
e
ha una nube da amante.
Come
l’acqua che sale nelle piante,
linfa
e umore vivente,
si
scioglie nella vigna.
O
è un pezzo di ghiaccio su una montagna
e
la neve lo bagna,
così
intatto e lindo,
dimentico
del male del mondo
vive
beato, giocando
con
l’eternità stessa
e
non gli importa del tempo che passa,
e
vive anche qui, ancora.
(schema: Aab Bbc Ccd Dde Eef Fg)
Questa
poesia mi venne quando stavo scrivendo un romanzone su dei cavalieri dell’anno
Mille.
Mi
chiedo dove finisca lo spirito vitale che ci anima dopo la morte, quando in un
attimo sono annullate tutte le cose che ci apparivano importanti e che da quel
momento non lo saranno più. O finisce tutto nel nulla oppure su ciò che succede
poi dobbiamo farci delle ipotesi. La poesia ne fa alcune senza particolare
ordine di importanza se non quello generale di dissolversi in un vita più
ampia. Come appunto fa un pezzo di ghiaccio sulla montagna. I ghiaccioli della
foto hanno un’evidente forma di madri primordiali ed è a un tipo di ghiaccio
simile a cui mi riferisco nella poesia, non certo a una neve che si può
sciogliere o mischiarsi ad altra.
Ma
ho già detto in un precedente post che le poesie non vanno spiegate perché si
sciupano. Piuttosto bisogna abbandonarsi e vedere quel che accade.
E
un altra composizione è proprio un tanka che si chiama “Sedie di cucina n° 3”
ed è tratto da “ Versi liberi ”.
Sedie di cucina n° 3
Giù dal dirupo
tutti hanno paura
fino a guardare,
ma il pino isolato
ci vive, addirittura.
Immagine
che mi venne osservando le venature del legno delle mie sedie in cucina, ma non
preoccupatevi: non avevo preso niente di strano.
I
tanka ovviamente non si spiegano, si vivono.
L’osservazione
del reale è più che sufficiente per innescare la catena di immagini che possono
portare a una poesia o a una sua diversa lettura.
Preciso
di nuovo che le fotografie non sono di pubblico dominio e il loro utilizzo
necessita dell’autorizzazione dell’autrice.