mercoledì 4 marzo 2015

La poetica delle immagini 1



Ricevo con molto piacere da Laura Caligiuri alcune sue fotografie con una sinossi molto scarna, ovvero sia che le ritiene fra le più adatte ad appartenere a un filone poetico.
Le pubblico volentieri perché sono belle e mi danno la possibilità di aggiungere qualcosa sulla natura della mia poesia.
Me ne ha mandate in totale dieci  e le mostrerò tutte, anche quelle che non saranno oggetto di un post dedicato.
Chi volesse saperne di più sul lavoro di Laura Caligiuri e vedere le foto in un formato più grande può andare sul sito www.lauracaligiuriphotos.com  o FB: Laura Caligiuri Photos.  Attualmente Laura espone presso il locale “ Cagiada ” a Monza con la mostra “ W.hat a W.onderful W.orld ” che raccoglie immagini, soprattutto ritratti, scattati nei suoi numerosi viaggi.
L’idea è nata quando le ho detto che la mia poesia era soprattutto d’evocazione d’immagini e realtà nascoste o possibili e che, per me, la fotografia d’autore faceva la stessa cosa su quella che si definisce la ‘realtà’.
La mancanza di delucidazioni sul perché delle sue foto, perché quelle intendo, significa che vuol sapere cosa ne penso io.
Col che m’invita a nozze. Se ci sono due cose delle quali posso dire di essere uno che sa, esse sono la composizione architettonica, vecchia disciplina in uso fin quasi alla fine del XX secolo, e l’interpretazione iconografica. Dunque mi è naturale aver qualcosa da dire su un dipinto, una scultura, un’architettura, una fotografia ecc...
Fra le foto di cui sono in possesso una subito mi ha colpito ed è questa:


In questo bosco in veste autunnale appare, come sovrapposta, la nuvola di foglie rosse, che galleggia come una nebbia, qualcosa che nasce e si posa in parallelo al resto della vegetazione. Se si osserva bene si vedono, ovviamente, i tronchi degli alberelli che hanno le foglie rosse, ma tutti gli alberi sono di fusto snello e, complice il chiaroscuro del bosco e la luce mutevole, i ramoscelli che portano la nuvola rossa non si percepiscono più. S’immagina che percorrendo il bosco si attraversi, senza saperlo, la nuvola rossa come una sorta di realtà parallela che nasce ed è fatta della stessa natura delle altre piante, ma se ne differenzia per essere in un altro spazio parallelo o meglio compresente.
Cosa sia questo spazio possibile lo si capirà forse solo attraversandolo, ma non lo si potrà fare con il corpo fisico ma con una qualità che è ancora da scoprire.
Si potrebbe osservare che in effetti esiste oggettivamente uno spostamento fra le foglie rosse e quelle verdi che s’arrampicano sui tronchi o con quelle che non ci sono più. Alcune sono lì vive, altre c’erano, queste appaiono mostrando una dimensione diversa, che è il tempo che passa. Allora la nuvola rossa diventa testimone dello scorrere del tempo: attraverso di esse siamo sicuri delle foglie morte e di quelle vive. Ma non sono un luogo di memoria poiché sono presenti nello stesso tempo che però è già un altro, in uno spazio che immaginiamo come ugualmente  presente ma altrettanto eterotopico.
Questo è l’argomento che riprenderò a proposito della mia poesia.
Naturalmente l’analisi iconografica accademica di un’immagine non si fa così.
Per prima cosa avrei dovuto osservare la composizione generale della rappresentazione fotografica facendo notare che la struttura compositiva delle linee verticali dei tronchi, paralleli o ortogonali ai limiti del quadro, ne confermano la certezza cartesiana di realtà oggettiva, a differenza, ormai non troppo originale (verrebbe da dire da mo’ non troppo originale) delle foto tutte storte e ‘ sperimentali cioè d’avanguardia, un zacco alternative... ’. È dagli anni cinquanta che l’inquadratura non in bolla è comune nel cinema o nella fotografia: non vi viene il sospetto che l’arte d’avanguardia stia facendo e rifacendo le stesse cose da un bel po’? che forse un ritorno, critico e consapevole, alla tradizione sarebbe molto più rivoluzionario?
Poi avrei dovuto far notare che il piccolo ruscello taglia il quadro secondo la diagonale seguendo un classico schema compositivo delle nature morte, ma non solo, del barocco, ad esempio la “ Canestra di frutta ” del Caravaggio:




Dove il tema è appunto il ‘ tempo che passa ’: le foglie avvizzite, l’uva più o meno matura, la frutta bacata... Ma anche ‘ l’universo parallelo ’: il ramo che continua fuori dal quadro, la mancanza di ombra sul muro, mentre c’è sotto la canestra, lo spazio bianco per metterci quello che si vuole ecc.. ecc..
Infine la mancanza di linea, la raffigurazione a macchie in un terreno in bilico fra il pointillisme e la pittura non oggettiva.
Oltre a tutta una serie di notazioni storiografiche di comparazione critica di opere dell’autore e dell’epoca. Ma qui sono sul mio blog e faccio come mi pare.

Ciò che mi preme far notare è la considerazione che facevo prima: in uno spazio fisico dato possono esserci luoghi altri in cui avvengono realtà possibili.

Allo stesso modo non rendo nei miei versi delle realtà immaginifiche che costruisco, magari con parole astruse e desuete, che instaurano subito un rapporto gerarchico, autoritario nel senso pasoliniano, di chi si pone in cattedra e fa sentire inadeguato, attraverso appunto l’uso di lemmi artefatti il lettore.
Parto sempre da un’immagine reale che per prima cosa va colta nella sua realtà, da lì comincia, se sono almeno un ciccino bravino, il viaggio attraverso il quadro, il bosco, quello che rappresenta al di là della sua raffigurazione e poi la sterminata interiorità o alterità della percezione.
Spesso questa realtà potenziale è interpretata nei miei versi da una donna. Una raffigurazione antropomorfa della Natura, una ninfa, un aspetto dello spirito vitale che agita le cose o quello che volete. Ognuno appunto deve farsi le sue figurazioni a partire da quelle suggerite dall’autore. Naturalmente si possono fare anche considerazioni concettuali. L’importante per me è che l’approccio sia eminentemente estetico in  senso etimologico di sensazione (aisthētikós: che concerne la sensazione).

Se Laura voleva darmi un’immagine a supporto della mia poetica non poteva darmene una più giusta e troppe sarebbero fra le mie poesie quelle che potrei indicare come esempi: praticamente tutte.
Quella che mi è venuta subito alla mente è quella che ho dedicato a Cyrano de Bergerac e che è nelle pagine del blog ma per comodità la riprendo. Fra l’altro il 6 di marzo è il compleanno di Cyrano, nel 2019 cadranno i quattrocento anni dalla sua nascita.
Eccola. È tratta dai madrigali di “ Madrugada ”:

Per Cyrano de Bergerac

Ma che razza di alba è questa? alba chiara?
Il cielo è così basso,
la terra così densa…
la nebbia li lega troppo vicino…
Rami d’alberi nudi
s’alzano verso il cielo.
Non sembrano più uniti alla terra,
paiono radicati
in cielo e pendono in giù.
Potrei salire, passando da un ramo,
nel cielo della Luna
fra ampolle di rugiada.
La Notte eterna che contiene il Giorno,
l’oscurità che è madre
di ogni luce che splende.
Rumore di ciottoli mossi ancora
nell’acqua d’un torrente
dal moto immobile
che rispecchia gli alberi così calmo:
se allungo la mano
posso toccarlo, il cielo.
Eh sì, il cielo è sempre, e non da ora,
più sotto di dove l’immaginiamo!

(schema: Axx Bxx Axx Cxx Bxx Axx Cxx DD)

Vale la pena di dire, per chi non lo sapesse, che l’alba chiara del secondo verso non è una citazione di Vasco Rossi, ma del “ Don Giovanni ” di Lorenzo Da Ponte, quello di Mozart, per la precisione nella note scenografiche della Scena quarta: ‘ Strada. Alba chiara. Don Giovanni, Leporello, poi Donna Elvira in abito da viaggio ’.
Nello spartito Mozart cambierà con ‘ Notte ’.
Vale la pena di specificare la citazione, di questi tempi non si sa mai...

Altre tre fotografie di Laura Caligiuri che riprendono il multiforme mondo degli alberi, mondo che gli ruota attorno mentre loro sono fissi, sono queste.


Dove qui si può dire l’esatto contrario dell’aspetto cartesiano dei rami rispetto al quadro, ma qualcosa del genere rispetto alla neve che sostituisce fisicamente le foglie ma proviene dal cielo e non dall’interno dell’albero cioè dalla terra. Ma la neve è un fenomeno atmosferico che nasce sempre nella bolla esistenziale della parte viva del pianeta Terra, quindi il cielo nasce dalla terra (e non viceversa) e il ciclo ricomincia. E non siamo più sicuri di ciò che è in alto e ciò che è in basso.


Questa.


I rami nodosi si potrebbero ricollegare al radicamento degli alberi nel cielo di cui parla il madrigale e dell’aspetto antropomorfo che suggerisce un popolarsi della natura di presenze.


E quest’altra.


Dove invece appare, almeno a me, un’inquietante discesa negli inferi e forse ci dice dove vanno le foglie che non ci sono più sugli alberi. Benché Pippo ci ammonisca come una discesa vista dal basso somigli a una salita.


A un prossimo post la continuazione sulle foto che ho ricevuto e sulla lettura comparata fra l’iconografia oggettiva e l’iconografia poetica.

Preciso che le fotografie non sono di pubblico dominio e il loro uso non è possibile senza l’autorizzazione dell’autrice.