Ricevo
con molto piacere da Laura Caligiuri alcune sue fotografie con una sinossi
molto scarna, ovvero sia che le ritiene fra le più adatte ad appartenere a un
filone poetico.
Le
pubblico volentieri perché sono belle e mi danno la possibilità di aggiungere
qualcosa sulla natura della mia poesia.
Me
ne ha mandate in totale dieci e le
mostrerò tutte, anche quelle che non saranno oggetto di un post dedicato.
Chi
volesse saperne di più sul lavoro di Laura Caligiuri e vedere le foto in un
formato più grande può andare sul sito www.lauracaligiuriphotos.com o FB: Laura Caligiuri Photos. Attualmente Laura espone presso il locale “
Cagiada ” a Monza con la mostra “ W.hat a W.onderful W.orld ” che raccoglie
immagini, soprattutto ritratti, scattati nei suoi numerosi viaggi.
L’idea
è nata quando le ho detto che la mia poesia era soprattutto d’evocazione
d’immagini e realtà nascoste o possibili e che, per me, la fotografia d’autore
faceva la stessa cosa su quella che si definisce la ‘realtà’.
La
mancanza di delucidazioni sul perché delle sue foto, perché quelle intendo,
significa che vuol sapere cosa ne penso io.
Col
che m’invita a nozze. Se ci sono due cose delle quali posso dire di essere uno
che sa, esse sono la composizione architettonica, vecchia disciplina in uso fin
quasi alla fine del XX secolo, e l’interpretazione iconografica. Dunque mi è
naturale aver qualcosa da dire su un dipinto, una scultura, un’architettura,
una fotografia ecc...
Fra
le foto di cui sono in possesso una subito mi ha colpito ed è questa:
In
questo bosco in veste autunnale appare, come sovrapposta, la nuvola di foglie
rosse, che galleggia come una nebbia, qualcosa che nasce e si posa in parallelo
al resto della vegetazione. Se si osserva bene si vedono, ovviamente, i tronchi
degli alberelli che hanno le foglie rosse, ma tutti gli alberi sono di fusto
snello e, complice il chiaroscuro del bosco e la luce mutevole, i ramoscelli
che portano la nuvola rossa non si percepiscono più. S’immagina che percorrendo
il bosco si attraversi, senza saperlo, la nuvola rossa come una sorta di realtà
parallela che nasce ed è fatta della stessa natura delle altre piante, ma se ne
differenzia per essere in un altro spazio parallelo o meglio compresente.
Cosa
sia questo spazio possibile lo si capirà forse solo attraversandolo, ma non lo
si potrà fare con il corpo fisico ma con una qualità che è ancora da scoprire.
Si
potrebbe osservare che in effetti esiste oggettivamente uno spostamento fra le
foglie rosse e quelle verdi che s’arrampicano sui tronchi o con quelle che non
ci sono più. Alcune sono lì vive, altre c’erano, queste appaiono mostrando una
dimensione diversa, che è il tempo che passa. Allora la nuvola rossa diventa
testimone dello scorrere del tempo: attraverso di esse siamo sicuri delle
foglie morte e di quelle vive. Ma non sono un luogo di memoria poiché sono presenti
nello stesso tempo che però è già un altro, in uno spazio che immaginiamo come
ugualmente presente ma altrettanto
eterotopico.
Questo
è l’argomento che riprenderò a proposito della mia poesia.
Naturalmente
l’analisi iconografica accademica di un’immagine non si fa così.
Per
prima cosa avrei dovuto osservare la composizione generale della
rappresentazione fotografica facendo notare che la struttura compositiva delle
linee verticali dei tronchi, paralleli o ortogonali ai limiti del quadro, ne
confermano la certezza cartesiana di realtà oggettiva, a differenza, ormai non
troppo originale (verrebbe da dire da mo’ non troppo originale) delle foto
tutte storte e ‘ sperimentali cioè d’avanguardia, un zacco alternative... ’. È
dagli anni cinquanta che l’inquadratura non in bolla è comune nel cinema o
nella fotografia: non vi viene il sospetto che l’arte d’avanguardia stia
facendo e rifacendo le stesse cose da un bel po’? che forse un ritorno, critico
e consapevole, alla tradizione sarebbe molto più rivoluzionario?
Poi
avrei dovuto far notare che il piccolo ruscello taglia il quadro secondo la
diagonale seguendo un classico schema compositivo delle nature morte, ma non
solo, del barocco, ad esempio la “ Canestra di frutta ” del Caravaggio:
Dove
il tema è appunto il ‘ tempo che passa ’: le foglie avvizzite, l’uva più o meno
matura, la frutta bacata... Ma anche ‘ l’universo parallelo ’: il ramo che
continua fuori dal quadro, la mancanza di ombra sul muro, mentre c’è sotto la
canestra, lo spazio bianco per metterci quello che si vuole ecc.. ecc..
Infine
la mancanza di linea, la raffigurazione a macchie in un terreno in bilico fra
il pointillisme e la pittura non oggettiva.
Oltre
a tutta una serie di notazioni storiografiche di comparazione critica di opere dell’autore
e dell’epoca. Ma qui sono sul mio blog e faccio come mi pare.
Ciò
che mi preme far notare è la considerazione che facevo prima: in uno spazio
fisico dato possono esserci luoghi altri in cui avvengono realtà possibili.
Allo
stesso modo non rendo nei miei versi delle realtà immaginifiche che costruisco,
magari con parole astruse e desuete, che instaurano subito un rapporto
gerarchico, autoritario nel senso pasoliniano, di chi si pone in cattedra e fa
sentire inadeguato, attraverso appunto l’uso di lemmi artefatti il lettore.
Parto
sempre da un’immagine reale che per prima cosa va colta nella sua realtà, da lì
comincia, se sono almeno un ciccino bravino, il viaggio attraverso il quadro,
il bosco, quello che rappresenta al di là della sua raffigurazione e poi la
sterminata interiorità o alterità della percezione.
Spesso
questa realtà potenziale è interpretata nei miei versi da una donna. Una
raffigurazione antropomorfa della Natura, una ninfa, un aspetto dello spirito
vitale che agita le cose o quello che volete. Ognuno appunto deve farsi le sue figurazioni
a partire da quelle suggerite dall’autore. Naturalmente si possono fare anche
considerazioni concettuali. L’importante per me è che l’approccio sia
eminentemente estetico in senso etimologico
di sensazione (aisthētikós: che concerne la sensazione).
Se
Laura voleva darmi un’immagine a supporto della mia poetica non poteva darmene
una più giusta e troppe sarebbero fra le mie poesie quelle che potrei indicare
come esempi: praticamente tutte.
Quella
che mi è venuta subito alla mente è quella che ho dedicato a Cyrano de Bergerac
e che è nelle pagine del blog ma per comodità la riprendo. Fra l’altro il 6 di
marzo è il compleanno di Cyrano, nel 2019 cadranno i quattrocento anni dalla
sua nascita.
Eccola.
È tratta dai madrigali di “ Madrugada ”:
Per Cyrano de Bergerac
Ma
che razza di alba è questa? alba chiara?
Il
cielo è così basso,
la
terra così densa…
la
nebbia li lega troppo vicino…
Rami
d’alberi nudi
s’alzano
verso il cielo.
Non
sembrano più uniti alla terra,
paiono
radicati
in
cielo e pendono in giù.
Potrei
salire, passando da un ramo,
nel
cielo della Luna
fra
ampolle di rugiada.
La
Notte eterna che contiene il Giorno,
l’oscurità
che è madre
di
ogni luce che splende.
Rumore
di ciottoli mossi ancora
nell’acqua
d’un torrente
dal
moto immobile
che
rispecchia gli alberi così calmo:
se
allungo la mano
posso
toccarlo, il cielo.
Eh
sì, il cielo è sempre, e non da ora,
più
sotto di dove l’immaginiamo!
(schema:
Axx Bxx Axx Cxx Bxx Axx Cxx DD)
Vale
la pena di dire, per chi non lo sapesse, che l’alba chiara del secondo verso
non è una citazione di Vasco Rossi, ma del “ Don Giovanni ” di Lorenzo Da
Ponte, quello di Mozart, per la precisione nella note scenografiche della Scena
quarta: ‘ Strada. Alba chiara. Don Giovanni, Leporello, poi Donna Elvira in
abito da viaggio ’.
Nello
spartito Mozart cambierà con ‘ Notte ’.
Vale
la pena di specificare la citazione, di questi tempi non si sa mai...
Altre
tre fotografie di Laura Caligiuri che riprendono il multiforme mondo degli
alberi, mondo che gli ruota attorno mentre loro sono fissi, sono queste.
Dove
qui si può dire l’esatto contrario dell’aspetto cartesiano dei rami rispetto al
quadro, ma qualcosa del genere rispetto alla neve che sostituisce fisicamente
le foglie ma proviene dal cielo e non dall’interno dell’albero cioè dalla terra.
Ma la neve è un fenomeno atmosferico che nasce sempre nella bolla esistenziale
della parte viva del pianeta Terra, quindi il cielo nasce dalla terra (e non
viceversa) e il ciclo ricomincia. E non siamo più sicuri di ciò che è in alto e
ciò che è in basso.
Questa.
I
rami nodosi si potrebbero ricollegare al radicamento degli alberi nel cielo di
cui parla il madrigale e dell’aspetto antropomorfo che suggerisce un popolarsi
della natura di presenze.
E
quest’altra.
Dove
invece appare, almeno a me, un’inquietante discesa negli inferi e forse ci dice
dove vanno le foglie che non ci sono più sugli alberi. Benché Pippo ci
ammonisca come una discesa vista dal basso somigli a una salita.
A
un prossimo post la continuazione sulle foto che ho ricevuto e sulla lettura
comparata fra l’iconografia oggettiva e l’iconografia poetica.
Preciso
che le fotografie non sono di pubblico dominio e il loro uso non è possibile
senza l’autorizzazione dell’autrice.