Ti consiglio di leggere il primo post " Incipit " del 7 dicembre 2014
Per la mia formazione culturale: non sono un letterato, sono un architetto e per anni per me composizione voleva dire ‘ composizione architettonica ’, mi interessa ricercare all’interno di forme definite.
Prediligo,
nelle composizioni chiuse e definite, l’uso della rima o, per meglio dire, in
generale della consonanza, intendendo la rima pura un sottoinsieme delle
consonanze.
Rima
pura si ha quando per due versi sono identiche l’ultima vocale tonica, cioè
accentata, l’ultima consonante e l’ultima vocale cioè la sillaba finale (o le
ultime se il verso è sdrucciolo). La consonanza, o assonanza atonica, si ha
quando sono identiche le ultime sillabe di due versi e differente la vocale
tonica, o si sposta l’accento del verso da piano a sdrucciolo o a tronco.
L’assonanza
tonica si ha quando sono uguali le vocali toniche, ma mutano le consonanti e
l’ultima vocale.
Non
mi piacciono i versi sciolti perché portano troppa importanza al significato
letterale del verso e poco a quello musicale, facendo apparire la poesia una
specie di prosa elegante e aulica divisa in parti di uguali sillabe. Non mi
piacciono le assonanze toniche perché troppo sfruttate dalle canzoni pop e un
po’ troppo cerebrali: il ritmo è troppo labile per essere colto senza una
traccia musicale. E poi dovrebbero riguardare tutte le toniche del verso e non
solo l’ultima, il che è un casino fuori dalle sillabe tonali che, come detto,
in italiano non ci sono.
Mi
sembra che la consonanza alternata con la rima pura sia la strada che meglio
contempera le esigenze di una forma riconoscibile con quella di un certo grado
di libertà nell’uso delle parole che compongono un verso e possa conferire un
ritmo di sincope musicale al testo.
Per
quello che riguarda le forme chiuse, cerco di lavorare su alcuni schemi tradizionali,
come canzone, sonetto, ode saffica… in modo da far collidere fra loro le varie
regole metriche. Per esempio l’ode saffica con le terzine ageminate.
Insomma
provo a stabilire una struttura architettonica della poesia che non sia
totalizzante ma in cui si possano riconoscere le scelte compositive in modo
chiaro, scegliendo di volta in volta la regola con un certo grado di libertà
(ossia se darmi o no un certo grado di libertà). Questa regola viene dai versi
stessi o dall’argomento della poesia o dal tono o dal colore.
Forma
riconoscibile e libertà espressiva. È inutile far sempre la scelta più facile e
non è nemmeno divertente.
Come
nel progetto architettonico, l’espressione della propria poetica avviene
nell’ambito di regole che si scelgono, per le connotazioni della natura del
sito in cui si progetta e dal tipo di edificio che si compone o per
considerazioni storiche (e altre che adesso sarebbe troppo lungo elencare),
anche nella poesia la forma deriva dalle condizioni che ci si pone all’inizio,
in piena libertà ma cercando di conformare un insieme coerente. Se ci si riesce
o no è il bello di provarci, se piacerà o no è libertà di chi ci dà il
privilegio di leggerci.