Questa
è la mia settima raccolta di poesie, scritte fra il 2015 e il 2016. Il titolo
allude al ripensamento col passare degli anni e al pensamento di quella che
sarà la morte, il nulla o una vita futura.
Mostro
qui tre canoni e relativo schema musicale e tre canti saffici. In ultimo ho
posto un esempio di poesia aedica nella quale provo a far coincidere gli
accenti secondo lo schema dell’esametro classico. Scrivo poche composizioni
così perché è una faticaccia e il risultato tonico e metrico non è mai certo e
soddisfacente.
Tre
canoni
Voi
alati petali d’agosto
che
siete fantasia d’era morente
vi
prego illanguidite presto,
colorate
tutto di luce gialla.
Portate
il vento fresco e l’aere vuota
che
fa rinascere dopo le Pleiadi
e
nascere alla stagione della vita,
dei
frutti, degli abbracci languidi
del
vino, degli amori, della festa.
Mutate
le ninfe esangui dell’estate
in
quelle d’autunno, i nomi, il volto,
i
fiori estremi con l’erba trionfante,
umida
della rugiada che cola,
come
la speranza mai s’invola
e
come un’eco attorno a noi fa ala.
(schema: ABAC
DEDED BAB CCC)
Noi
siamo preziosi a voi e al mondo
come
l’ultima gemma
che
ha visto l’estremo bagliore
della
vita qual era,
e
che v’ha fatti, che ci ha fatto tutti.
Indifferenti
ci lasciate morire,
con
noncuranza,
come
un fiore che più non spera
nel
giorno che avanza,
come
la foglia non apre la gemma.
Noi
abbiamo dentro, sussurrando,
almeno
il ricordo
di
chi è vissuto in tempi andati.
Che
dio non vi perdoni,
io
v’ho già perdonati.
(schema:
AbCdE CfDfB AaE le)
La
volontà si agita barbara,
le
idee dentro si confondono,
cadono
con l’ebbrezza della notte.
I
pensieri si perdono coi profumi
di
ogni fiore giunto alla sua morte,
che
si mischia con tutti gli altri aromi
in
effluvio indistinto di natura.
Bagnato
da rugiade appassite,
come
son le lacrime dei passeri,
che
gementi le anime accompagnano.
E
troppe le cose che non so:
non
so più l’odore di tutti i fiori,
non
so le lacrime dei passeri,
e
di mie non ne ho.
(schema: ABCDCDACFB g FF g)
Tre
canti saffici
Manco
da troppo da questo mondo.
Solo
rimando.
Ormai
non ricordo più i nomi o un volto,
nella
mia vita non ho che lacune
sì
che penso di non aver vissuto
fino
in fondo.
Eppure
c’erano anche belle donne
e
amici e luoghi ma ormai manca tutto.
Ho
di fronte a me terre, vaste piane,
tutto
il mondo,
il
cui nome però non m’è più noto,
né
ho coscienza di memorie alcune.
Non
ho futuro o presente o passato,
da
chissà quando.
Rimane
di me solo la mia anima.
Ma
chi la chiama?
(schema:
Aa BCBa CBCa BCBa Dd)
Ho
un sapore di rosa amara in bocca
mentre
ora parlo.
Quando
si muore, ognuno muore solo.
Continuate
a credere all’amicizia,
se
quando abbiamo più bisogno
siamo
soli qui.
Credete
ancora nell’aiuto altrui
e
nel futuro di questo mondo.
Non
so se mi fate pena o nausea.
E
non c’è scusa.
Non
fosse per il vino che sa di rosa
e
che mi lega per un po’ alla vita,
non
riuscirei a scrivere più un solo verso.
Ma
faccio finta.
(schema:
Ab BCDe EFGh HILi)
Guardo
in cielo e c’è la luna rossa.
Rossa,
vergognosa per il primo bacio,
per
una bugia detta troppo grossa,
contro
ogni sorte.
Perché
ogni suo sguardo perduto era mio,
perché
la strinsi a me troppo forte,
perché
non sosteneva il mio abbraccio
fra
i cinguettii.
Rossa
per un belletto sparso ad arte
sulle
guance rosse dai pizzicotti,
per
gli occhi volti da un’altra parte.
Scusanti
sparse.
Per
gli espliciti assensi taciti,
e
il viso rosato da abili corse,
da
un fiore in bocca, pur innocenti
come
i suoi sguardi.
E
quella volta che ardente mi morse...
ma
ho già detto troppo: basta ai ricordi:
e,
in fondo, tutto è legato a un forse,
o
forse a un mai.
(schema:
ABAc BCBd CDCe DEDf EFEg)
Un
inno aedico
Eìs Meen
Maia
vive nelle grotte, negli anfratti rocciosi.
È
Dea Ninfa delle Ninfe, l’alta signora fra d’esse.
Brilla
nell’oscurità e anche è presente oscuramente
nella
luce. Grembo ignoto di tenebra, antico quanto la Notte,
genera
tutti i concetti immateriali dal Caos.
Si
parla dell’azione a cui corrisponde una reazione,
l’equilibrio
in tutte le opere, il tempo che corre via,
della
trasformazione di ogni cosa, il mutare
sempre
continuo, il ritorno e il nuovo inizio,
dell’origine
della luce nella Notte con il buio.
Le
Ninfe sono le divinità maggiormente antiche
fra
le create da Gaia, la primordiale Dea Madre.
Sono
le Dee, fra tutte le potenti, che abitano qui,
fra
noi e dovunque ma sopra tutto sulle alte montagne,
le
cime invitte non tocche da uomo, rifugio nevoso,
scure
caverne e nelle foreste cupe e sterminate,
ma
anche sono nelle più impercettibili cose nascoste.
E
qual è il legame che unisce gli esseri più
piccoli
ai principi del cosmo, immensi, forti Dei?
Tu
la conosci la misteriosa risposta, o Maia.
Tu
infinita forma della creazione di Gaia,
pluralità
che deriva da quell’una, unica Madre,
vero
aspetto vivente di quella matrice del cosmo.
Eppure
è grande il tuo mistero, antica, magna diva.
O
Madre universale, tu hai rivelato tuo figlio,
il
Dio potente, lui, Hermes, lui, a svelare
il tuo
alto
mistero, ma egli per quanto abile sia,
quanto
sia saggio, non riesce a dire chiaramente il vero,
la
verità intorno alla sua madre gloriosa,
tanto
ella è sconosciuta, tanto fitto è il suo mistero.
Egli
solo a chi sa intendere può parlare, ma spesso no,
e
si può mal comprendere la sua parola e perciò
è
chiamato enigmatico, ché i suoi detti sono oscuri.
Tutti
gli Dei beati con le Ninfe vivono insieme.
Da
loro sono cresciuti, nutriti e accompagnati,
sono
educati e li seguono in teorie festose.
Dalle
Ninfe il potere di ogni cosa, la vita stessa
delle
cose sono le Ninfe. Nimpholeptos è colui proprio
l’uomo
che anela alle Ninfe chiedendo di essere
preso
come loro sposo, che grida alla pallida luna
a
gran voce il suo gran desiderio di essere completo.
È
quello che brama in sé di provare la vita del cosmo
che
sente crescere e palpitare e agitarsi in lui.
Egli
si è condannato a languida, dolce tristezza,
a
una struggente infelicità che solo a momenti
gli
è sospesa in attimi di felicità scivolante.
Ma
lui non se ne lamenta: perché cosa c’è nella vita
che
valga di più che il vivere per quell’oggetto amato?
Maia
appare come una donna benefica, nonna
è
detta come Dea delle Ninfe, canuta come una
candida
e saggia colomba, ma pur sempre giovane pare
quando
i verdeggianti germogli si aprono chiari
sulle
cime degli alberi o le rose sbocciano rosse
nel
suo bel mese di primavera e tutto fiorisce.
Ora
i suoi neri capelli sono incoronati di tralci
vividi
e con forza gettano i petali variopinti,
il
suo azzurro peplo si stende come cielo sereno
ed
il sorriso somiglia al vento dolce che s’insinua
fra
le foglie e le fa fremere e leggero scompiglia.
Tuoi
sono i fiori con i tepori della primavera
e
tua è la ragione giusta e pura, ineluttabile
che
porta al compimento e insieme al riposo di luce.
La
Luce del Giorno nasce dalla Notte, come tuo figlio,
Maia,
porta la luce al di fuori della grotta scura.
Là
nell’anfratto muscoso ha casa la Pleiade buona,
nei
tetti vivono le nere rondini dove l’aria
è
fina, laddove è pace e la serena concordia.
Qual
messaggera, una rondine timida ha visitato
la
mia stanza il primo giorno del tuo mese, grande Dea Maia,
e
mi chiedo cosa mi porterà: un viaggio, un passaggio,
le
onde del mare, il vento che sbatte le vele e se ne va?
O,
come sempre mi accade, sia la bramosia del tutto.