domenica 13 dicembre 2020
L'orgoglio d'essere Italiani
giovedì 26 novembre 2020
Libertini o liberisti?
lunedì 19 ottobre 2020
Fenomenologia, etica ed epistemica del Risotto alla Milanese
Pieter Bruegel il Vecchio - " Banchetto nuziale " 1568 |
Fra la cultura va inserita anche la gastronomia e la culinaria. Si può considerare un'arte applicata, un po' come il mandala di sabbia buddhista che una volta completato e utilizzato per il rito è consumato, confuso e distrutto. Così il cibo.
Comincio con un riassunto della ricetta consolidata del Risotto alla Milanese. La do per conosciuta ma ne descriverò i passaggi data la barbarie dei nostri tempi. In seguito farò delle considerazioni le quali mi hanno portato alla mia ricetta di risotto alla milanese. Molti rabbrividiranno come sono rabbrividito io nel vedere certe ricette di risotto alla milanese in certi video di grandi chef o in quelle di poveri pisquani alla ricerca del risotto attuale secondo la moda bistornata e corrotta dei tempi moderni.
In un tegame a bordi alti si rosola nel burro della cipolla tritata fino al punto di prima coloritura, indi si aggiunge del midollo di bue e poscia il riso che si fa tostare ben bene. La tostatura del riso è un'operazione fondamentale e va prolungata. Il tipo di riso da utilizzare è il Carnaroli. Si fa sfumare un bicchiere di vino bianco e si comincia ad aggiungere, mestolo dopo mestolo, il brodo di carne di manzo. Si porta il riso a cottura al dente in modo che resti molto cremoso, si dice ' all'onda ' .
Considerazioni critiche alla ricetta consolidata. La cipolla deve essere il tipo milanese dorata o bianca. La cipolla andrebbe secondo la tradizione fatta ' palpare ' ossia ammorbidire senza colorire, ma io non sono d'accordo perché rischia di prendere in cottura il sapore di cipolla bollita. D'altra parte se si parte con la rosolatura e poi si mette il midollo, tostando il riso la cipolla tenderebbe al bruciaticcio. Dunque vi è una contraddizione nella ricetta tradizionale. In ogni caso la rosolatura va fatta col burro: un risotto con la cipolla rosolata nell'olio è una bestemmia per un milanese. Molti accentuano l'acidità data dal vino, che era rosso in origine e poi bianco per non sporcare il colore del risotto. In effetti è meglio anche nel gusto: usare il vino rosso è da paesani anche se non sbagliato in sé. A me un risotto troppo vinoso e acidetto non piace.
Ne approfitto per dire che tutte le stupide novelle sull'origine delle ricette o dei nomi dei piatti milanesi, ma temo non solo, sono delle solenni baggianate.
Alla fine si manteca con BURRO! Mantecare con olio d'oliva o panna è inammissibile. Se si vuol fare un risotto bianco mantecato con panna, o un formaggio o quello che volete, si può fare, non siamo più un paese democratico ma questo si può ancora fare: MA NON È UN RISOTTO ALLA MILANESE.
L'aggiunta di una spolverata di pepe, benché appartenga ai gesti della cucina milanese, a me non piace perché ammazza il sapore delicato dello zafferano. Al vostro gusto comunque. Un'altra cosa: non fate quei risotti anemici, mettete doppia dose di zafferano.
Fatta la premessa e le relative considerazioni passo alle mie riflessioni e alle mie modifiche del Risotto alla Milanese. Fateci il caso che volete, non m'interessa. In questo blog non devo insegnare a cucinare agli sprovveduti, ma fare cultura.
Il Risotto alla Milanese nasce come zuppa, o sia era più brodoso dell'onda, anche se tutte le zuppe milanesi sono dense e appena si può si ispessisce il brodo: per esempio schiacciando le patate nel minestrone. Per fare il brodo si usava il cervellato. Un salume che ho fatto a tempo a mangiare ma che non si trova più da decenni. Il salumiere vicino a casa, dove andava mia nonna Rosetta, si chiamava Andreino, ma il cervellato lo faceva solo lui che io sappia.
Traggo dal libro della Perna Bozzi due ricette di cervellato: quello milanese e quello monzese. Sono tratte dal libro “ Il cuoco milanese ridotto all'ultimo gusto e perfezione ” di ignoto, stamperia Sirtori, Milano, 1791.
« Cervellato milanese
Una libbra di panzetta di maiale fresca, altra libbra di midolla di manzo e grassa, tridato ben fino, unitevi un'oncia tra cannella, garofano e noce moscata in polvere e un'oncia di sale, mezza libbra di formaggio grattugiato, sbattete il tutto e riducetelo come una pasta, se sarà d'inverno unitevi un bicchiere d'acqua bollente sbattendolo ben assieme, pulite i budelli di bodeno, coloriteli con poco zafferano dandogli un bel colore giallo all'esterno, empite i bodelli di detta pasta passandoli al cornisello, divideteli nella lunghezza di sei dita, tortigliateli e servitevene per le minestre. »
« Cervellato ad uso di Monza
Una libbra di grassa di maiale sotto la tettina e pestatela fina, unitevi una quarta di formaggio, mezz'oncia di sale, mezz'oncia di drogheria e poco pepe rotto, impastate il tutto, se è d'inverno ponetevi mezzo bicchiere d'acqua bollente sbattendolo bene ed insaccatelo nel budello come sopra. »
Era dunque un brodo di salume, quindi di maiale. E se vi pare strano sappiate che il brodo cinese è fatto con costine di maiale. A Milano si filtrava prima di usarlo per il risotto o le zuppe, e infatti nel Risotto alla Milanese non c'è la salsiccia come nel Risotto alla Monzese. Siccome il cervellato milanese era avvolto nello zafferano, prendeva il colore giallo come il sole (suvarnavarna in sanscrito: letteralmente ' il colore del bel colore '). Allora si buttava il riso e con l'amido e il grasso del cervellato la zuppa era già bella densa. Una bella formaggiata un po' di pepe e via. Infatti i vecchi milanesi, quando si era già trasformato in un risotto, lo mangiavano ancora col cucchiaio.
A Milano non si trovano risotti con dentro altri ingredienti, come invece è normale in Brianza o nella Bassa Padana o Pavia e Novara, nemmeno i funghi anche se ormai sono ritenuti un classico dai più, ma sbagliano perché il fungo lascia molto evidente il suo sapore.
Piccola digressione sia per gli italiani sia per gli stranieri: i rumeni sono convinti di aver inventato loro la polenta, come se per far cuocere della semola di cereali nell'acqua ci voglia Einstein. Nell'Italia del nord da Bergamo fino in Piemonte, cioè nella Pianura Padana occidentale, la polenta si fa dura e si tagliava col filo in fette. Da oriente della Bergamasca fino al triveneto si fa molle. Nel nord Italia l'umido si mette sopra e non si mescola dentro la polenta. A Milano si usa la farina di granoturco bergamasca, la Bramata oro, evitate di usare il Fioretto che la fa troppo collosa. Non fate quelle porcherie all'americana mischiando farina di mais con semola di grano. La parola polenta viene dal latino puls (pultis...) fatta col semolino è una pappa da bambini. O da cucina di poveri.
Detto questo espongo la mia ricetta di Risotto alla Milanese che mi pare di aver legittimato storicamente.
Dunque prima preparo il brodo utilizzando al posto del cervellato della lüganega, che è la classica salsiccia milanese. Il nome non deriva dalla Lucania, come si dice, ma dallo spagnolo longaniza. Ne esiste un tipo classico e uno al finocchio. Si userà il tipo classico. Le verdure sono meno importanti: aglio, cipollotti col verde, alloro, spezie (pepe, cannella e noce moscata) e due o tre chiodi di garofano. Nelle minestre e nei risotti viene più buono aggiungendo un fondino di prosciutto cotto. Lo lascio raffreddare e lo sgrasso filtrandolo. Tosto il riso a secco più che si può. Nel tegame a bordi alti rosolo le cipolle tritate (o i cipollotti, che sono ancora più delicati) nel burro o se ne ho nel grasso d'arrosto. Il grasso d'arrosto è la parte grassa del fondo dell'arrosto fatto in casseruola. Se non se ne ha si può far rosolare a parte nel burro della pancetta tesa o della lüganega con aglio, salvia e rosmarino e spezie. Poi si filtra e si usa solo il burro.
Non ho mai provato, ma si potrebbe fare il brodo con della pancetta di maiale fresca e lüganenga. Se il brodo di maiale vi sembra greve, a me non pare, anzi, fatelo col solo fondino di prosciutto. Non uso il midollo di bue perché non mi piace. Preferisco sfumare un vino liquoroso secco come dovevano essere i vini spagnoli del passato, per esempio il Madera che si usa nelle scaloppine, per cui va bene il Muscatell, ma per il riso usate il Madera classico. Per tradizione si contano due pugni di riso a testa come nel charukarma che si usa nel Sacrificio nel Fuoco (Agnihotra) indiano ma dipende: se dovete mangiarlo da solo come primo o se deve accompagnare umidi o intingoli, e anche dalla fame che avete. Uso il doppio della dose di zafferano come ho già detto e vi invito a fare altrettanto.
Si accompagna con vino bianco o anche rosso secondo la tradizione, se usate il rosso andate cauti: un rosso non troppo impegnativo. Se servite assieme un umido, scegliete il vino rosso in base alla ricetta della pietanza.
Servitelo all'onda e buon appetito!
Devi Annapurna la " Piena di cibo "
R.P.
Renatus in aeternum
Posteris memoria mea
domenica 6 settembre 2020
Necroscopia del cinema
In questo articolo vorrei spiegare perché i film da qualche decennio a questa parte fanno schifo. Ne darò un taglio di quadro, di ripresa, di scelta compositiva dell'immagine e dunque della scena. Non considererò le carenze di soggetto, scrittura, sceneggiatura, recitazione e scelte fotografiche. Non è questo il mio campo, non sono un fotografo e rispetto al piano letterario si dovrebbe analizzare ogni opera. E poi bene o male queste sono operazioni che può fare chiunque.
Allo stesso tempo non mi soffermerò sugli attori e sulla recitazione, non tanto intendendone la bravura quanto indicando come l'espressività sia cambiata anche in ragione delle scelte di ripresa e, come già detto, di inquadratura.
Pure non ritengo responsabile la televisione nella regressione del cinema: alcune serie televisive sono anzi fra i pochi superstiti del cinema, sono poche e una serie non può avere la coerenza di un film, anche perché spesso i registi si alternano, ma in qualcuna (pochissime) di esse si è fatto vero cinema. Similmente nemmeno la pubblicità è la causa dello scadimento del linguaggio cinematografico per il semplice motivo che lo scopo della pubblicità è mostrare bene il prodotto e questo ha le sue regole, che però non starò a esaminare (anche se è cambiato il modo di considerare il consumatore così come è avvenuto nel cinema).
Sull'influsso malefico della grafica computerizzata (i videogiochi) non ne sono per nulla a conoscenza e dunque non posso affermare niente. Qualcuno in passato me la indicò come causa, ma davvero non ne so abbastanza.
Va premesso che ciò che dirò brevemente non è qualcosa che prima non esisteva, ma oggi (con oggi va inteso un paio o anche tre decenni almeno) si utilizza acriticamente e con una regolarità disarmante.
Dunque mi soffermerò sul quadro della ripresa.
La prima cosa che si nota è che la macchina da presa non è mai ferma ma continua a essere spostata nelle varie direzioni, anche in modo infinitesimo. Mi riferisco alle inquadrature fisse che appunto non sono più tali: la macchina trema. Questo è fastidioso da un punto di vista percettivo e, mentre dovrebbe produrre una specie di stato di tensione continua, dà dei sintomi tipo mal di mare. Lo scopo sarebbe quello di dare l'impressione di essere in mezzo alla scena o agli attori, ma se io sono in mezzo ad altre persone non li guardo muovendo continuamente la testa, a meno che non sia affetto da malattie degenerative del sistema nervoso centrale. È un caso in cui per simulare una 'spontaneità' un 'realismo' si induce l'accettazione di una convenzione patologica.
Cosa ancora più grave è la combinazione di questo effetto con un altro ancora più pernicioso. La macchina si muove mentre si muovono gli attori, preferibilmente più velocemente o in senso opposto. Vedremo nel primo caso la ripresa che sorpassa gli attori per poi riprenderli aspettandoli oppure girerà intorno fino a fermarsi in un altro punto di ripresa di solito scelto ad mentula canis. Faccio un esempio.
Un gruppo scende da un'automobile, quindi già da punti e direzioni diverse, e la macchina da presa, come fosse uno di loro, li riprende prima da una parte e poi schizza facendo un giro opposto a riprenderli da un'altra posizione. Sarebbe come se lo spettatore fosse parte del gruppo, dunque lo scopo è quello di aumentare il senso di appartenenza all'azione (ma poi è corretto che lo spettatore sia in mezzo ai personaggi?) ma di fatto lo fa muovendosi in modo da intralciare lo scorrere dell'azione o dando l'impressione di doversi levare per dar luogo alla scena. Il massimo dell'irrealismo convenzionale del cinema.
Questa fissa per la simulazione dell'appartenenza alla realtà ripresa, che è convenzionale nel cinema ma supposta vera in un documentario (è un'altra forma di convenzione in effetti), potrebbe derivare dai giochi al computer. L'effetto però è che, non avendo un ruolo attivo, lo spettatore è considerato come un deficiente a cui, se non fai credere che quello che succede lo riguarda, accadrebbe infallibilmente di distrarsi.
Spesso poi, in quasi tutte le scene c'è troppo movimento, o di azione proprio o qualcosa che si agita eccessivamente o richiama il senso di qualcosa che si muove. Anche qui, par di capire, altrimenti lo spettatore si distrarrebbe. Come quando si agita qualcosa di fronte ai bambini per attirare la loro attenzione.
Passando all'analisi del quadro di ripresa si nota che la quinta di fondo contiene sempre delle righe rettilinee, orizzontali o verticali, per enfatizzare l'instabilità della bolla della macchina da ripresa o il movimento di cui si è detto sopra.
Altro elemento che non manca mai, sempre sulla quinta di fondo, è una fuga indefinita che va nel nulla o comunque risulta indeterminata. Espediente molto usato per i film gialli o horror per dare l'idea che da lì esca qualcosa o trasmettere il senso dell'ignoto dietro 'quella porta', ma che evidentemente non può essere usato sempre per ogni tipo di film o scena.
Molto di frequente qualcosa si sovrappone ai visi degli attori, una cancellata, un velo o anche della luce a linee o degli oggetti in modo di formare un gioco di 'ti vedo-non ti vedo' che annoia presto e implica la presenza di ombre portate sul viso e sul corpo degli attori. Questo comporta lo spezzarsi dell'unità del corpo del personaggio.
Poi c'è sempre una fonte di luce all'interno del quadro che interagisce con gli attori: davanti, dietro, di lato, non importa basta che ci sia: candele, luce radente da finestre o lampade ecc... ma deve essere in evidente contrasto con l'illuminazione di scena e senza una distinzione di piani di lettura, ma tutto sovrapposto a casaccio.
Molto di frequente, sempre per dare il senso di essere dentro il film, la ripresa è troppo chiusa, tagliando pezzi di testa o provocando addirittura la scomparsa di un soggetto se la scena è d'azione.
Nei dialoghi poi ci deve essere sempre, sempre, almeno la sagoma dell'interlocutore del personaggio ripreso (leggi: perché se no lo spettatore crede che l'attore stia parlando col muro, cioè non capisce che l'altro è sempre lì, cioè in pratica lo spettatore è un minorato). Questo si faceva anche prima ma non 'sempre' ma a maggior errore oggi si preferisce che un attore o la sagoma dello stesso impalli il personaggio ripreso direttamente. La mania delle sovrapposizioni.
Così, per contraddizione, avviene che in un gruppo anche di soli tre personaggi dopo una battuta l'inquadratura si stacca su uno o anche tutti separatamente per mostrare la reazione. Lo spettatore è preso per un ritardato che non riesce a notare la reazione importante se deve vedere ben tre personaggi contemporaneamente.
Per concludere indico due vere patologie iconografiche. La prima è l'uso fuori luogo di qualche effetto speciale, anche minimo, ma che serve per imbottire meglio la lasagna e creare movimento, tensione, confusione, richiamo per il bambino distratto.
La seconda è l'esposizione volutamente sbagliata per cui da una parte è troppo scuro e dall'altra troppo chiaro e in genere non sono soggetti i protagonisti ma parti del paesaggio e oggetti di scenografia di nessuna importanza con la narrazione. A volte si arriva allo sfuocamento voluto e enfatizzato del soggetto e alla messa a fuoco di una parte del quadro a caso.
Naturalmente a tutto questo vanno aggiunti la scelta del luogo, la 'location', fatta per motivazioni puerili o davvero a caso, gli scorci che più sono strani più 'è interessante', le riprese rigorosamente da sotto o da sopra o di lato o sghembe.
Il bello è che tutte queste cose che ho detto sono già state usate, per ragioni dettate dalla trama o dal momento del film o anche come sperimentalismo da sempre e si sono espresse, ma sempre con una logica, soprattutto negli anni sessanta. E oggi sono spacciati per novità. Per dare una mano di vernice nuova al cinema che ormai annoierebbe tutti altrimenti.
La ragione sembrerebbe la patologica incapacità dello spettatore di mantenere la concentrazione per più di pochi minuti o la convinzione che una cosa quanto più sia complicata tanto più sia colta e interessante.
Va notato a questo proposito il volume della colonna sonora che è quasi sempre più alto della voce dei dialoghi. Segno controproducente sulla qualità letteraria del dialogo o di stima che allo spettatore le parole non interessino ma solo il coinvolgimento emotivo di musica, effetti, rumori e colori esagerati (e qui i videogiochi c'entrano qualcosa sicuramente).
La ragione strutturale è che il cinema passa da espressione artistica a divertimento e infine a intrattenimento. Ma questo è un altro discorso che può fare chiunque.
Insomma un'enormità di addizioni e vezzi inutili in una sorta di horror vacui che rende parossistica la visione del film annullando ogni altro codice narrativo. Soprattutto quella sedimentazione di regole e convenzioni che hanno costruito il cinema dalla sua invenzione ai massimi capolavori.
R.P.
Posteris memoria mea.
Renatus in aeternum.
mercoledì 5 agosto 2020
domenica 28 giugno 2020
Prometeo, Epimeteo e i giovani d'oggi
Heinrich Fueger - Prometeo |