lunedì 26 marzo 2018

La ragione sociale delle arti

La ragione sociale della pittura è la rappresentazione dello spazio, della scultura è la sperimentazione delle forme, della musica è la nascita di sensazioni estetiche, della poesia l'esperienza di stati d'animo, dell'architettura è la rappresentazione della società.

In questo post vorrei cercare di definire quali siano le ragioni sociali delle arti, con ciò intendendo l'utilità che esse arti hanno per la società. Le ragioni sono verosimilmente più d'una, ma individuerò la più specifica.
Le chiamo ragioni sociali perché devono avere il requisito di essere di utilità per tutti e non solo per chi fa arte o per gli addetti ai lavori. Per esempio dire che la ragione sociale dell'architettura è la costruzione di edifici efficienti, in grado di soddisfare una finalità è senz'altro la prima delle ragioni sociali dell'architettura ma in definitiva non la più specifica. Infatti in molti periodi sono state altre le connotazioni più specificamente architettoniche, come ho spiegato nei post sul linguaggio architettonico, ma sempre si trattava di edifici in grado di assolvere la loro finalità architettonica: abitazione, difesa, divertimento, museo, teatro ecc... Ragione comune di tutte le arti poi è la celebrazione del potere che le vuole: potere economico, politico, ideologico, religioso e quant'altro.

A questo punto apro una digressione molto interessante. Alla fine dell'ottocento, primi del novecento, come reazione all'accozzo di stili dell'eclettismo prende vita la riforma dell'architettura moderna in senso lato. Si identifica proprio nelle funzione di finalità l'elemento di discrimine della progettazione architettonica. Questo porta in genere a una critica della decorazione, come ho già ampiamente detto. Però definire un'architettura 'funzionalista' ha un significato più preciso. Nel secondo dopoguerra alcuni architetti individuano in una radicale ipotesi funzionale, senz'altri contributi, la regola per una corretta composizione architettonica, mentre anche il Movimento Moderno, nel primo dopoguerra ammetteva l'intersecazione con altri elementi del linguaggio architettonico. La teoria funzionalista invece si può esprimere anche in forma di scrittura scientifica.
Un edificio appartiene a una tipologia (abitazione, stadio, chiesa, cinematografo ecc...), questa tipologia porta con sé alcune funzioni architettoniche (mangiare, dormire, guardare, muoversi ecc...), l'applicazione di queste funzioni alla tipologia e al sito definisce dei requisiti, il soddisfacimento di tali requisiti in forme porta alle soluzioni progettuali.
Cioè nell'ambito dell'insieme Tipologia la Soluzione Progettuale è funzione dei Requisiti e questa è la Funzione Architettonica.
Azzardo una formula
SP=FA(fR) T

è uno dei rari casi in cui è possibile una definizione matematica dell'architettura.
Quindi un edificio è corretto se risponde a una funzione. È come un computer: apriamo un'applicazione e la usiamo. Ma attenzione: cosa succede se in quella formula implementiamo una funzione non architettonica? Che l'edificio esiste lo stesso, perché non è sulla memoria di un computer, ma nella realtà materiale, e non possiamo accenderlo e spegnerlo quando vogliamo, tuttavia l'edificio non esprimerà più delle significanze architettoniche ma di altro tipo: di speculazione finanziaria, di massimizzazione dei profitti, di rappresentabilità e di qualunque altro genere.
Quindi possiamo dire che la morte dell'architettura è stata determinata dall'adozione del principio funzionalista, già declinato in modo globale, normalizzatore e apolidista con lo International Style, implementando una funzione estranea all'architettura così come essa ci appare nel corso dei suoi più di cinquemila anni di storia conosciuta.
Gli architetti funzionalisti definivano delle funzioni architettoniche, cosicché ne usciva un'architettura. Oggi si inseriscono funzioni aliene e ne escono soluzioni aliene all'architettura.

Ora veniamo alle ragioni sociali delle arti.
La pittura ha perso, con l'avvento della fotografia, la ragione della cronaca, dell'illustrare un momento reale. Così sarebbe banale e ingiusto attribuirle un solo valore di decorazione o virtuosismo, facendola diventare una specie di televisione. Naturalmente la ragione funzionale della pittura è commentare, esporre, dire un'opinione su un fatto, mi riferisco per esempio ai soggetti sacri o ai paesaggi ecc... Be', un po' di conoscenza di pittura ce l'ho e credo di potere dire che il contenuto più profondo, il contributo sociale, ripeto quindi per tutti, l'educazione che la pittura esercita, stia nella raffigurazione dello spazio. Ora questa affermazione ve la dovete prendere così com'è, mi rendo conto che dietro ci starebbe un trattato, ma non è un compito per un blog. E poi ve l'ho detto: se non mi pagano non faccio fatica.
Se guardo un quadro, al di là della descrizione di quello che c'è o all'apprezzamento per la tecnica e la perizia dell'artista, vedo gli oggetti disporsi secondo una visione ordinatrice nello spazio. Da ciò la mia conclusione.
Gentile da Fabriano "Adorazione dei magi" - Piet Mondrian "Composizione". Paragone fra un quadro in cui la collocazione spaziale si riferisce al tempo e composizione in cui i volumi si esprimono attraverso la superficie.
La scultura invece sta già in uno spazio reale. Certo possiamo spostarla da un luogo all'altro, ma non cambia nulla: avremo sempre il suo rapporto con l'ambiente circostante. Dunque il suo proprio contesto in qualche modo si ripiega su di sé. Nella scultura la sperimentazione delle forme è totale. Dalle proporzioni del corpo umano alla plastica di forme astratte. Non solo ma la scultura è essenzialmente fatta in due modi: o scolpendo o fondendo. Se ci pensate è la forma in positivo e in negativo, uno sta nel togliere l'altro nell'aggiungere a una matrice che definisce lo spazio che, una volta riempito, genera la forma.
Questa sua qualità di generatrice delle forme la pone al più stretto contatto con le altre forme d'arte. Sia assumendole in sé o su di sé come pittura, o contribuendo a formare l'architettura, nel rapporto di volumi senz'altro, ma di più negli elementi di linguaggio o, come accade nel teatro, a contribuire all'invaso della scena.
Policleto "Doriforo" - Alberto Giacometti "Uomo e Donna". Paragone di rapporti fra le parti di un oggetto completo e perfetto e la plastica delle allegorie fra oggetti diversi.
La musica è suono, vibrazione, anche nelle teoria esoterica si situa a un livello di manifestazione superiore, sottile. Accenno a questa teoria: percepiamo una cosa prima sentendone il rumore, senza saper e altro di essa, poi toccandola, anche senza vederla, nella cecità, infine vedendola. Il passo successivo è portarla all'interno del nostro corpo fisico, ma mi fermo qua.
Dunque la ragione sociale della musica è produrre delle sensazioni. Esse possono essere di moltissimi tipi, come purtroppo sperimentiamo ogni giorno. È l'arte che produce delle sensazioni tanto più acute quanto inconsce. Perciò sarebbe così importante socialmente avere un'educazione musicale. Del resto quando vogliamo convincere qualcuno usiamo delle parole che sono un suono anch'esse. Anche la musica veicola un senso.

La poesia evoca attraverso le parole, i versi, il ritmo, degli stati d'animo: riflessione, gioia, tristezza ecc... Attraverso questi stati d'animo la nostra comprensione si arricchisce del sentimento. Le parole travalicano il loro senso mero per aprire una comprensione superiore. Musica e poesia sono molto vicine se non le si confina nella razionalità esasperata: in musica e poesia non bisogna dire qualunque cosa, ma avere anzi molta coscienza e consapevolezza di quello che si fa.

E qui si capirà perché l'architettura era considerata il punto d'arrivo delle altre arti, un po' l'apice del cursus honorum dell'artista figurativo. Allo stesso modo il teatro lo era dell'artista non figurativo: poeta e musicista (ricordate quello che dissi di Euripide nel post sulle Muse?).
In effetti e sintetizzo, considerando ciò che ho già detto prima sulla funzione materiale dell'architettura, la ragione sociale dell'architettura è un po' fare la somma di tutte le arti, rappresentando e costruendo i luoghi sociali, la stessa società del vivere umano. Non si dà architettura, degli edifici e della città, se non vi è una società che la sostiene, che la vuole così, che si vuole così raffigurata. E questa è l'altra ragione, quella non tecnica, della morte dell'architettura dei nostri giorni.
Gropius, Stabilimento Fagus - Scheeren, Interlace. Ogni paragone fra le società rappresentate è, ahi lasso, superfluo.
Dai, ho buttato lì qualche spunto, rifletteteci.

lunedì 19 marzo 2018

Il dì di San Giuseppe dixi

Oggi è il giorno del mio cinquantasettesimo compleanno e, siccome so che non ve ne frega niente, vi parlerò di qualcosa di cui ve ne fotte ancora meno, ma che per me invece sta fra le cose importanti della vita.

Ma prima lasciate che mi faccia gli auguri questa bellissima ragazza del mio secolo. Dall'acconciatura pare una popolana e dal décolleté, in cui compare un bocciol di rosa, potrebbe essere una balia.
François Boucher - Testa di Ragazza
Vi ho messo un video di Elina Garanča nel ruolo di Sesto ne “La clemenza di Tito” di Wolfgang Amadè Mozart.
Nel video ho scritto 'recitativo accompagnato', in realtà nello spartito, dalla frase che dovete notare: “Deh conservate, o Dei, a Roma il suo splendor”, parte il quintetto con coro che termina il primo atto. Ma prima che cominci il coro è come se continuasse il recitativo accompagnato. La consuetudine voleva che alla fine degli atti le arie si susseguissero legate da recitativi accompagnati in cui, come dice Da Ponte “si canta tutto”.
Dovete notare l'incipit del quintetto per la potenza del suo ingresso, in cui la voce deve dominare sull'orchestra e lo sforzo della cantante passa per le gambe, i glutei, la schiena, gli addominali e non solo per la voce. In più ci deve essere l'autorevolezza dello stare in palcoscenico, l'allure, per non invalidare l'effetto poderoso della scena. O sia ci deve essere da parte dell'interprete quello che, con un po' di retorica, il padre di Wolferl, Leopold Mozart, chiamava 'il possesso del teatro'.
È un po', per farvi capire, un “amami Alfredo!” un momento dove bisogna mostrare subitaneamente tutta la propria presenza scenica (mi viene un 'uscire i coglioni' perché non riesco a parlare seriamente con tono ridondante). E poi fra il libretto di Traviata e quello di Metastasio non può non scappare un po' da ridere.
Ma non importa tanto quello che Sesto dice ma il momento.
La scena finale del primo atto porta il dramma a una svolta: Sesto si aggira per il Campidoglio per uccidere, istigato dall'amore per Vitellia, l'Imperatore Tito, nel frattempo scoppia un tumulto e un incendio avvolge il luogo più sacro dell'Urbe. In quel momento di tregenda comincia il grido di Sesto, che rimane isolato per l'arrivo di Annio con cui inizia un dialogo, e dunque è un enorme recitativo accompagnato, solenne, maestoso.
Ne ho già parlato una volta dei casi in cui il recitativo accompagnato può essere più bello dell'aria, quando citai l'aria di donna Elvira “Mi tradì quell'alma ingrata”, il cui recitativo inizia con “ Misera Elvira... ”, nel “Don Giovanni” di Mozart. Ce ne sono tanti in giro per l'opera lirica, in Haendel un mucchio per esempio, dove si apprezzano delle finezze espressive, delle dolcezze o amarezze estreme, dove l'arte del compositore si svela in un accordo di cembalo o in in poche note di violoncello.
Eccovi il video. Vedetelo e rivedetelo, dura solo tre ore e mezza. Scherzo: 1' 56”. La Garanča oltre che brava e con il 'possesso del teatro' è anche molto bella.

E vi metto anche lo spartito, così imparate a fregarvene dei miei video.

Il dì di San Giuseppe dixi.

domenica 11 marzo 2018

Quando è poesia

Segnatevelo sul calendario: oggi in questo blog di poesia si parla di poesia.
Ho cercato di capire quando leggendo una composizione sento d'essere in presenza della poesia.
Non vuol essere una definizione di poesia in senso filosofico, ogni definizione fuor che sentimentale non mi convincerebbe.
Se volete è una specie di confessione su quali aspetti estetici hanno su di me maggior presa e mi fanno sentire dentro la sensazione di poesia. Per me la poesia non ha molto di razionalizzabile se non in senso meramente discorsivo, cioè descrittivo.
Lorenzo Lippi - L'Allegoria
Indipendentemente se l'autore mi piace in modo particolare, ci sono due momenti nei quali provo la sensazione di poesia. Due momenti magici come si suol dire, ma un po' in fondo è vero. O meglio, due sono le caratteristiche di una composizione poetica che me la fa dapprima notare e poi amare. Oltre a essere scritta secondo una metrica, cioè con una misura, come ho già avuto modo di dire.

Il primo momento è quando sento la scioltezza, la musicalità del verso, ne basta uno, o della composizione o di una sua parte. Percepisco il fluire senza fatica dei versi i quali anzi suggeriscono un ritmo avvincente.
Può essere anche l'opposto, o sia la scabrosità di un periodo, ma di solito questa connotazione da sola non basta.
Il secondo momento è quando affiora un'immagine di forte evocazione, visiva o sentimentale, emotiva. A volte anche l'accostamento di parole, una formula verbale che colpisce come un'immagine non oggettiva, tuttavia secondo lo stesso procedimento di assimilazione. Insomma quei versi cosiddetti da 'pelle d'oca'.
Credo di poter affermare che se in una composizione mancano uno di questi due momenti, io non possa affermare di sentire la presenza della poesia.

Molti ritengono invece che il valore della poesia sia soprattutto argomentativo, cioè di cosa parli la composizione, quali argomenti appunto: se storici, politici, riflessioni, analisi ecc...
Come sapete, se mi seguite, io non sono fra questi. Per la semplice ragione che un argomento può essere affrontato con maggior efficacia con la prosa. Del resto narrativa o saggistica non hanno meno dignità o espressività della poesia. Hanno per loro stessa natura meno sintesi e ciò le rende più idonee ad argomentare e riflettere o comunicare qualcosa di razionale.
La sintesi poetica sta nel dire in una breve glossa tutto l'argomento, senza analizzarlo.
Lavorare sul linguaggio, elaborandolo, elucubrando, è un po' come farci l'anatomia, dissezionarlo alla ricerca del proiettile o del tessuto malato accanto a quello sano.
Il linguaggio è cosa viva e sana, s'ammala solo grammaticalmente e lessicalmente, ma non ha un corpo.
Questi due mi sembrano, anzi sono per me le connotazioni del sentire la poesia in una composizione.

C'è poi un altro aspetto molto dibattuto per valutare una composizione poetica: l'originalità. Fiero argomento!
È forte la tentazione di cavarmela dicendo la verità, ovvero sia che dopo Omero chi pensa d'essere originale è un pio illuso.
Ho letto da poco dei canti d'amore e morte della poesia sumera, probabilmente i testi più antichi di carattere poetico (quelli sumeri anche non poetico per la verità...). Ebbene alcune locuzioni, alcune forme si ritrovano ancora, millenni dopo nei salmi biblici o nel Cantico dei Cantici. E nella letteratura mesopotamica.
E se non vi basta Omero, dopo i lirici greci cosa c'è ancora da inventare?
Penso che l'originalità la dobbiamo ricercare nella sincerità con la quale ci accostiamo, ognuno con le sue capacità, alla poesia. Non si può inventare più nulla che non sia insincero e artefatto sul corpo del linguaggio che però, nel frattempo, ormai è morto, sul tavolo freddo dell'anatomopatologia.
Questo vale per tutta l'arte ma voglio parlare solo di poesia, una volta tanto.
Vi propongo, per concludere, una riflessione sull'originalità in poesia.
Credo che la poesia non sia originale perché non l'ha mai scritta nessuno in un certo modo, pia illusione (pia ma molto presuntuosa invero).
Tutto è già stato scritto e detto, noi possiamo solo scrivere di ciò che ci sta a cuore e con sincerità, al meglio delle nostre possibilità e questa intenzione sarà la nostra poetica.
La poesia è originale per il significato etimologico di questa parola. Se la poesia è all'origine di emozioni, immagini mentali, riflessioni, sentimenti, in una parola di sensazioni allora è autenticamente “originale”. Dà origine a quello che la prosa esplicherebbe con tutto il tempo e lo spazio che necessitano. La poesia lo fa esplodere, apparire, adombrarsi o svelarsi in pochi versi.
Originale dunque come luogo d'inizio non come mai visto prima.
Adya Devi
Mi sembra una riflessione interessante e “originale”. O no?