Cari
brutti anatroccoli del mio cuore, questa la potremmo considerare una
lezione sulle proporzioni. L'Ara pacis del titolo è in realtà
l'edificio che la contiene, progettato nel 2006 da Richard Meier. Ne
ho già parlato definendolo un edificio non così catastrofico come
in genere è descritto, ma ciò non toglie che abbia molte riserve su
di esso. Mi focalizzerò su un esempio solo, che però permette di
fare delle interessanti considerazioni.
Osservate
queste due immagini, che ho già pubblicato: uno è l'edificio di
Meier l'altro è il padiglione tedesco per l'esposizione
internazionale di Barcellona del 1929 di Ludwig Mies van der Rohe.
Uso volutamente due edifici che chi segue questo blog conosce di già.
Vi prego di osservare lo spessore delle solette, come ho evidenziato.
Mi
direte: be' ma quello di Mies è un padiglione, le strutture e i
corpi di fabbrica portano solo sé stessi. Be' perché, quello di
Meier cos'è? Il fatto che dentro uno ci sia l'Ara pacis di Augusto,
mentre nell'altro quattro avvenenti hostess tedesche, non sono solo
due buoni motivi per andare a visitarli?
Richard Meier - Edificio per l'Ara pacis |
Roma - Ara pacis |
Veniamo
al dunque. Concentriamoci sulla parte anteriore del padiglione di
Meier, l'ingresso. Anche se adesso vanno di moda tutte queste
strutture cristonate in sostanza si tratta né più né meno di un
architravatura, che ne contiene un'altra in cui tutt'al più il
pilastro circolare svolge una funzione di rompitratta. Ma il loro
significato è di fatto tutto compositivo.
Vi
agevolo uno schema, fatto dalla mie manine d'oro con Paint.
Qui
a è
la
trabeazione, b
e c sono
setti portanti, uno intonacato come la soletta e l'altro rivestito di
pietra e di maggiore spessore, d
è il pilastro circolare (che voi avete di sicuro chiamato colonna,
carissimi sgraziati anseriformi: perché non è una colonna?) e e
è una soletta di balconata.
Notate
il trittico “e e
è” che è già una poesia marinettiana in sé, ma voi siete poeti
d'oggi, che ne sapete?
Diamo
per buono che il pilastro circolare, come possibile rompitratta,
renda lecitamente minore lo spessore del setto c
rispetto
a b, parlo
di considerazioni di composizione della facciata non di questioni di
scienza delle costruzioni, lo dico per i nostri amici ingegneri
eventualmente all'ascolto. Dunque sorvoliamo su questo particolare.
Cosa si può notare subito?
Mumble mumble... (tempo di
riflessione e rumore di rotelle nel cranietto dei miei anatroccoli).
Bravi! Che lo spessore
dell'architrave è una cifra.
E perché è così spesso?
Visto che poi è contraddetto dalla soletta della cosiddetta teca che
contiene l'Ara pacis?
Mumble mumble...
Ma
stavolta la risposta non viene... Però se andate a vedere troverete
molte architetture di questi ultimi decenni che hanno elementi
strutturali o corpi di fabbrica sovradimensionati rispetto alla loro
funzione. Sopra la soletta dell'ingresso, se non ci sale Giuliano
Ferrara, non c'è pericolo di crolli imminenti. Sopra non c'è nulla,
il che che significa 'nulla'. Proprio come sopra la soletta di Mies
non c'è nulla, nemmeno i reggiseni a stendere delle hostess. E
infatti nel padiglione tedesco di Barcellona abbiamo subito un senso
di proporzione, di armonia, di leggerezza, un rapporto intimo fra le
strutture, i tamponamenti, che sono in pietra, in intonaco e in vetro
(esattamente come a Roma) e le solette.
Quello di Meier è un
inutile ingresso monumentale prodromico a un altro monumento. Che
però ha il piccolo particolare di essere un'architettura fra le più
importanti in assoluto della storia dell'arte per le conseguenze che
avrà in seguito su edifici, arredi e scultura e pittura.
Dietro i Propilei
dell'Acropoli di Atene, per fare un esempio a tutti noto, c'era la
statua di Athena Parthenos di Fidia e il Partenone di Ictino (due 'de
passaggio') oltre al resto: capite che lì forse si poteva essere un
po' ambiziosi per segnalare l'ingresso, ma occorreva farlo avendoci
le palle, e Mnesicle (n'artro de passaggio) ce le aveva.
La risposta è che Meier,
che come già dissi non è certo il Meier degli anni ottanta,
principe di linearità e leggerezza, ha fatto così perché oggi si
usa fare così, perché a certe cose non ci fa caso più nessuno,
perché l'architettura con, le sue regole di comportamento, è in
sostanza morta. Perché il committente è contento di avere un
bell'ingresso trionfale, anche se non c'entra una minchia. Poi, dice,
“stamo a Roma e un po' de pietra nun ce sta mmale”. E fa il muro
del pianto.
Ripeto e confermo però che
a petto di altre architetture questa non è delle peggiori. È che
oggi va così. 'Stamoce'... e no che nun ce stamo!
Fatta l'analisi, vi propongo
una variante, semplicissima, ma che tenga in conto delle reali
esigenze di sforzo strutturale e di un minino senso delle
proporzioni, considerando che già la scelta di un'architravatura è
di per sé impegnativa e ampollosa, fra le altre possibili, e dunque
non vi è alcun motivo di appesantirla e enfatizzarla.
Dovete fare lo sforzo
mentale di omettere la parte eccedente quella delimitata dalle linee
rosse.
Diciamo che lo spessore
della soletta è lo stesso di quella della balconata, dal momento che
non deve reggere altro che il carico accidentale di persone che
salgano per la manutenzione o di un'eccezionale nevicata, che a Roma
però... Tanto la balconata, essendo inscritta nel telaio maggiore ha
già una regola di subordinazione, senza agire sullo spessore. Al
massimo concedo che la soletta sia alta quanto è spesso il setto
intonacato, se questo è al minimo dimensionale però. Così anche il
murazzone sarà percepito come elemento plastico, come enfasi o
entasi di carattere retorico accettabile.
Poi quelli che dicono che
studiare architettura è facile...
L'insegnamento poetico è
duplice.
Per primo è che occorre
avere sempre attenzione alla metrica come proporzione del verso, come
le regole della composizione architettonica sono sempre valide. Chi
ha un minimo di esperienza avrà notato che il discorso sulle
proporzioni che ho fatto si può applicare sia su architetture
storiche di connotazione classicista sia anticlassicista, il barocco
per esempio.
Secondo: la proporzione
corrisponde al peso delle parole. Attenzione quindi alle forme
retoriche all'interno della poesia moderna: l'enfasi o la
magniloquenza possono essere disarmoniche, la citazione o la
metaparola possono essere armoniche, la desuetudine lessicale forse,
dipende dai casi.
Gli esempi poetici non li
farò perché voi ne conoscerete senz'altro più di me. E poi non ci
ho voglia di cercarli: e che? devo fare sempre tutto io?
Nuotate fino a riva
paperottoli...