Brutti
anatroccoli del mio cuore, benvenuti alla Lezione di Composizione
Architettonica per Poeti n° 1.
Essa
ha per titolo: timpani, centine e architravi e si riferisce a una
soluzione molto diffusa durante il Manierismo.
Questa
volta con le immagini me la cavo alla grande: basta mettere Palazzo
Farnese di Michelangelo Buonarroti, Giuliano da Sangallo, Vignola e
altri, a Roma, dal 1541.
Qui
è ambientato il secondo atto di Tosca di Puccini per cui vi rimando
al post sul compleanno di Monteverdi.
Palazzo Farnese - Roma |
Vedete
che la cimasa della cornice delle finestre del primo piano presenta
la comune soluzione dell'alternanza di timpano e centina. Al piano
terra invece c'è un elemento orizzontale che possiamo chiamare ad
architrave poiché di fatto lo è.
Vi
metto qui sotto un ingrandimento dei tre casi.
Palazzo Farnese - Roma - particolare |
Nel
resto della facciata vi sono altri elementi d'interesse, sia come
connotazione tipica dell'architettura manierista sia come
prefigurazione di quella barocca.
Nel
primo caso vi sono il bugnato ridotto solo all'angolo e nel complesso
del portale, l'appoggio dei marcapiani delle finestre su mensoloni,
il coronamento decorato a rilievo e nello spirito totalmente
manierista l'enorme aggetto del cornicione. Grande finezza
rinascimentale invece nel trattamento degli intonaci via via sempre
più leggeri man mano che si sale.
Basterebbe
ciò che ho menzionato per collocare il palazzo fra i capolavori
dell'architettura e del grande maestro.
Nelle
prefigurazioni barocche si notano degli strepitosi timpani spezzati
all'ultimo livello, l'unica soluzione che unisce portale e balcone
del primo piano e l'uso di grandi targhe, ce n'è anche una d'angolo
che però qui non si vede.
Sapete
che per me Michelangelo è stato immenso scultore e architetto ma,
bestemmia delle bestemmie, non mi piace come pittore. E che ce devo
fa'...
Da
notare che mancano, ed è anche questa un anticipo del barocco, gli
elementi di linguaggio classicista espliciti: colonne, lesene ecc...
La tripartizione verticale è ottenuta con dei marcapiani di livello
molto rilevati che preparano il grande gesto del cornicione che
aggetta di più di due metri: siamo al limite della resistenza
meccanica della pietra.
Questa
considerazione sull'aspetto progressivo dei marcapiano è di quelle
da notare come i particolari che fanno 'la delizia dell'intenditore'.
Elementi
direttamente tolti dagli stilemi classicisti si trovano solo nelle
cornici delle finestre. Anche l'arco è risolto nel tema plastico del
bugnato rustico.
Potete
riprendere i post in cui descrivo dettagliatamente un edificio per
continuare da soli la lettura di Palazzo Farnese. Mi riferisco a post
sullo Spedale degli Innocenti (rinascimento), sulla Farnesina
(manierismo) e su Schönbrunn e
gli altri barocchi. Tanto so che non lo farete.
Quindi
l'esempio che vi pongo è perfetto per analizzare l'uso di timpani,
centine e architravi.
Quello
che voglio dirvi, in sostanza, è la ragione per cui esiste questa
soluzione relativa alle aperture, cioè al momento in cui si passa da
un pieno a un vuoto per capirci, punto quindi molto sensibile sia per
funzione sia per il disegno della facciata secondo le proporzioni e
moduli e quant'altro trovate su ogni testo di storia dell'arte. Ma
non trovate il perché di questa soluzione che sembrerebbe solo
formale. Cioè sembrerebbe una scelta decorativa come altre
possibili. Qui trovate considerazioni di composizione architettonica,
non descrizioni a uso del turista.
Prima
di svelarvi l'arcano occorre una premessa.
Agli
inizi della ripresa classicista, il cosiddetto Rinascimento, l'uso di
elementi di linguaggio direttamente derivati dalle architetture
romane non è andato subito in facciata e sull'intero edificio.
C'erano stati secoli di gotico, come vi ho già illustrato a
proposito di Brunelleschi.
La
prima applicazione è stata nel trattamento interno dei vuoti:
finestre e, prima ancora, porte. Sulla cornice delle aperture interne
o nella vista interna delle finestre si poteva proporre il nuovo
stile senza impegnarsi, e impegnare il padrone di casa in scelte
ancora poco comprensibili.
Se
ci pensate, non discende in modo così naturale che si ripiglino
colonne, lesene, archi ecc... da un'architettura che non esiste più
da secoli: occorre una precisa presa di posizione ideologica. Anche
perché di capolavori assoluti nel periodo gotico non ne erano certo
mancati.
In
seguito sempre le aperture esterne, i portali soprattutto, sono stati
oggetto delle prime sperimentazioni classiciste.
Dunque
esiste un rapporto compositivo diretto e di divenire storico fra
elementi di linguaggio classicista e vuoti di facciata.
Ma
perché proprio quei tre: timpani, centine e architravi? Poi nel
barocco li troviamo anche rielaborati: spezzati, a forma e
controforma, torti ecc...
Ebbene
essi altro non sono che simboli, cioè parti che richiamano al tutto,
dei principali sistemi costruttivi dell'architettura classica.
Nell'architettura
greca il sistema era architravato, le coperture a capanna
sottintendevano dei timpani e nell'architettura romana il sistema era
archivoltato per la cui costruzione era necessaria una centina che
sostenesse archi e volte in mattoni o calcestruzzo (opus
caementicium).
Dunque
l'uso contemporaneo dei tre sistemi permetteva una citazione
ricapitolativa di tutto il linguaggio.
Naturalmente
questo si poteva non fare, è una precisa scelta compositiva oltre
che poetica. Quando la si faceva si potevano omettere tutti gli altri
elementi in scala più grande come le colonne e le lesene.
Concludo
con un esempio di citazione classicista in epoca moderna: il Palazzo
dei Congressi di Adalberto Libera, a Roma (all'Eur), iniziato nel
1938. Libera è stato uno dei più grandi architetti del razionalismo
italiano, con Terragni direi il maggiore.
Palazzo dei Congressi - Roma EUR |
Come
potremmo calare questa scelta compositiva architettonica nella
poesia? A me viene in mente subito, avendo la lingua greca molte
parole di accento sdrucciolo (la cosiddetta legge del trocheo...)
mentre quella latina in maggior numero di accento piano, una
composizione che alterni versi sdruccioli e piani.
Oppure
al diverso aspetto tonale degli accenti all'interno dei versi, sempre
nella poesia classica (ho già detto che mi pare molto difficile
trasporli in una lingua tonica come l'italiano).
Trocheo:
_ UU con la prima lunga accentata. Dunque accento sdrucciolo
sulla terz'ultima sillaba.
Dattilo:
_ _ con la prima lunga accentata. Dunque accento piano con l'accento
sulla penultima sillaba.
Ovviamente
nelle facciate classiciste le aperture prescindono dalla funzione del
locale cui appartengono. Ma un altro caso a cui penso è l'uso, nella
singola parola del componimento poetico, a un codice linguistico che
non contraddica il resto della composizione, sarebbe come dire che
non esiste l'eccezione che conferma la regola.
La
stessa dimensione delle aperture fa pensare a una lunghezza di verso
identico.
La
scelta della lunghezza dei versi o degli accenti può naturalmente
variare nella poesia moderna così come le aperture dell'architettura
moderna possono variare in seguito alla funzione che si svolge dietro
di esse. Ma attenzione questo non può avvenire, nemmeno
nell'architettura moderna, a capocchia. Altrimenti...
Vi
metto un esempio circense di traduzione architettonica, una facciata,
di certe poesie moderne senza metrica né rima (presa come filo
architettonico).
Facciata scognomata |
E
non mi dite che è un bel quadro astratto ché vi tolgo il saluto.