San Giorgio 2017
Il Pan de mei, dolce tradizionale milanese per la festa di San Giorgio. Si accompagna con la panna o liquida, da pucciarli dentro, o montata |
Ci viene detto,
dalla critica letteraria, dei significati profondamente cristiani e morali
dell'istituzione della cavalleria medievale. Un cavaliere investito doveva
agire per la difesa della fede, della giustizia, per i diritti della vedova,
dell'orfano e del proletario... Quest'ultima cosa per la verità ce l'ho
aggiunta io, ma c'entra.
Se però andiamo a
leggere i poemi che trattano della cavalleria, e che dobbiamo immaginare la
raccontino così come essa era colta nella realtà, procedendo questi testi dalla
Chanson de Roland (già trattata in un
bel post di questo blog) a L'Orlando furioso
o alla Gerusalemme liberata, passando
per Morgante e per il meraviglioso Inamoramento de Orlando di Matteo Maria
Boiardo, essa ci appare in vero diversa.
Tutti i paladini e
cavalieri sono d'accordo in generale su una specie di codice d'onore dei
cavalieri, che in ogni caso pertiene soprattutto i loro scontri.
L'elemento che però
appare decisivo della loro azione, del loro dovere in quanto cavalieri, è
l'essere al fianco del loro signore e condividerne il destino. Morirne a lato,
per citare un bel verso di Tasso. In perfetta aderenza del carattere di fede
come alleanza politico militare, di cui s'è trattato in due post di questo
blog: uno è quello della chanson de geste già citata, l'altro in margine a
questo primo post.
Ma allora mi chiedo:
questa idea di morire per il loro signore non è la solfa che ci propinano come
etica del samurai (parola errata che andrebbe sostituita con bushi) e che
deriverebbe dall'incontro fra l'etica confuciana e la filosofia del buddismo
zen?
Noi sappiamo che
l'arte di fabbricare le lame, i giapponesi l'appresero dai cinesi e la
perfezionarono dalla conoscenza delle lame di Toledo. Fosse che anche la morale
del fiore del ciliegio (sakura), che cade senza rimpianto per il suo signore,
sia di derivazione del corrotto e ormai senza storia occidente?
Ci dicono invece che
nasce da quei giapponesi un po' sciroccati, che in nome di un Nirvana, non
meglio identificato, decidono che la vita non conta un cazzo: roba loro che non
ci riguarda. Ma che noi importiamo per fare i fighi, per atteggiarci a guerrieri,
per far vedere che siamo veri maestri di arti marziali.
Tanto: quando mai ci
chiederanno di sfiorire come il ciliegio per il nostro sire? Non succederà mai:
il nostro sire ci deve vendere gli i-phone, o come cazzo si chiamano, e
dobbiamo essere vivi e rincoglioniti per rispondere fascisticamente: presente!
E' la solita storia di fare il frocio col culo degli altri.
Ariosto era un
reazionario perché sosteneva la sacralizzazione dell'aristocrazia europea
dell'epoca, mentre Boiardo la rendeva transeunte con la lettura moderna e
libera dei suoi paladini, eroi epici di un re nudo. Che pagine letterarie
stupende i duelli fra Orlando e Rinaldo a suon di insulti, giustificati da
qualche ‘fatasone’, naturalmente… E poi c’è il coglione di turno che dice che
Boiardo usava un italiano rozzo e dialettale: che povero pirla!
E c'è da chiedersi:
con quale Estensi aveva a che fare Boiardo e con quali Ariosto?
Pro bono malus,
concludeva Ariosto e aveva ragione!
Chiudo con un fermo
immagine della mia amata Setsuko Hara in La
figlia del samurai, dolcissima teen ager, mentre si allena con un
maestro di katana jutsu difendendosi con una naginata.
Ma che ne sapete
voi?