Se
i due precedenti post sulla composizione architettonica vi son sembrati ostici,
vi do una buona notizia: i prossimi due saranno peggio.
Questo
di oggi tratta due temi molto sensibili per l’architettura moderna: il rapporto
con la tecnica e quello con la tipologia.
Due
precisazioni lessicali. Contrariamente a quanto succede in genere, in
architettura, in modo opportuno, non si usa la parola tecnologia a sproposito.
Almeno così mi hanno insegnato.
Tecnologia
è lo studio della tecnica, nella sua evoluzione e differenziazione, il modo per
fare una cosa è la tecnica. Sul piano etimologico mi sembra che non faccia una
grinza. Dunque si parla di rapporto con la tecnica, intendendo tutte le
tecniche che occorrono, e non rapporto con la tecnologia. È un po’ come
studiare un filosofo o una corrente di pensiero o studiare la filosofia nella
sua essenza e storia. Sono due cose molto diverse anche se sia in architettura
sia in filosofia non si può fare una cosa senza considerare anche l’altra.
Altra
precisazione. Se disegno il Partenone sto disegnando un tipo, ossia un
individuo, se disegno lo schema del tempio greco nelle sue varianti sto
disegnando una tipologia. Dunque qui non si parla di rapporto con un singolo
esemplare (anche se sono successi casi del genere, per esempio la ripresa del
tipo del Pantheon come modello per una chiesa, esempi in Italia e in giro per
il mondo durante il periodo Neoclassico) ma con la serie di tipi, aventi le
medesime connotazioni, che va sotto il nome di tipologia: a esempio il teatro,
la residenza a ballatoio (i cà de ringhera...) piuttosto che a torre o a
stecca, l’ospedale ecc...
Vi
pareva voi che fare l’architetto era mettersi lì al computer e fare il
creativo!
Se
anche solo qualcuno aprirà un po’ gli occhi e capirà ciò che c’è dietro ai
monumenti e alle architetture moderne mi riterrò più che soddisfatto. È già
successo in passato, quando lo facevo per lavoro, e potrebbe ricapitare. In
Giappone dicono che chi pianta un albero non ha sprecato la vita: bene vediamo
di piantare un altro albero.
Riguardo
al rapporto con la tecnica va detto che, se è sempre stato necessario per un
architetto confrontarsi con le tecniche edilizie della sua epoca, la questione
si è fatta via via più pressante nell’architettura contemporanea.
Altra
pedante notazione lessicale: in architettura, contemporaneo viene prima di
moderno, a differenza della terminologia storica. Contemporaneo in architettura
è, come nella storia, dalla Rivoluzione Francese in poi. Moderno si intende dal
Movimento Moderno in poi: Gropius, le Corbusier, anni ’20 del novecento
insomma. L’architettura moderna è quella. Prima dell’ottocento prende i nomi
dei periodi della storia dell’arte: gotico, tardo gotico, rinascimentale,
manierismo, barocco, tardo barocco, neoclassico.
I
motivi della crescente importanza della tecnica stanno sia nell’invenzione di
nuove tecniche costruttive sia nella maggior presenza in termini allocativi di
elementi tecnici.
Qui
si può azzardare un breve pro promemoria lessicale senza farla troppo lunga.
È
possibile sistematizzare un’architettura o anche un qualsiasi edificio secondo
due categorie: il sistema strutturale e il sistema costruttivo. È evidente che
occorrono delle tecniche per ottenere e l’uno e l’altro.
Per
semplicità consideriamo le architetture o l’edilizia prima e dopo il periodo
moderno: la prima la diremo tradizionale, la seconda appunto moderna. È chiaro
che non c’è il primo e il secondo tempo e le tecniche tradizionali sopravvivono
anche nel periodo moderno.
I
sistemi strutturali tradizionali sono il sistema architravato e il sistema
archivoltato. Nel primo ci sono degli elementi strutturali verticali (colonne,
pilastri o muri) su cui stanno ‘semplicemente appoggiati’ (è per il godimento
degli strutturisti...) delle strutture orizzontali (travi o capriate). Nel
secondo sugli stessi elementi strutturali è costruita una volta o un arco, che
possono essere appoggiati o in continuità con le strutture verticali. A loro
volta le strutture orizzontali reggono dei corpi di fabbrica (solai o tetti)
che a loro volta reggono le persone, i mobili, la neve...
Il
sistema strutturale moderno che si è aggiunto ai tradizionali è il sistema a
telaio, nel quale le strutture orizzontali sono ‘ legate ’ da vincoli doppi:
cerniere, rarissimamente manicotti e solo per corpi di fabbrica, o tripli:
incastri (sempre per la gioia degli strutturisti...). Doppio vuol dire che
toglie due gradi di libertà nello spazio e triplo tutti e tre (sempre per il
bene che vogliamo agli strutturisti...).
Se
passiamo a vedere con che materiali sono costruiti i sistemi strutturali, e in
genere l’edilizia, descriviamo i sistemi costruttivi.
I
sistemi costruttivi tradizionali sono (in ordine di apparizione) il legno, la
pietra, i mattoni e l’opus caementicium. Dopo i Romani l’opera cementizia non è
stata più usata, in sostanza per carenza di pietra pozzolanica e perché non si
può fare con la malta di calce. Quindi rimangono i primi tre, tenendo presente
che con i mattoni non si può fare una trave o una capriata. Se la trave è di
pietra si chiama trabeazione. Riassumendo: la maggior parte degli edifici
storici e contemporanei nel sistema costruttivo tradizionale sono con strutture
verticali in mattoni, o in pietra, e travature di legno.
I
sistemi costruttivi nell’edilizia moderna sono il calcestruzzo armato e il
ferro. Due materiali che permettono appunto la continuità fra gli elementi strutturali.
Va
detto che dagli studi disciplinari di perito edile o geometra in poi non è
accettabile la sinonimia fra calcestruzzo armato (giusto) e cemento armato
(sbagliato!). Con ferro si intende ovviamente l’acciaio. Come sapete il
calcestruzzo armato si fa in getti e gli elementi di ferro si uniscono con
chiodi ribattuti, viti e bulloni o saldature.
Soprattutto
con l’introduzione di strutture in ferro un altro materiale viene usato in
grandi quantità come materiale di riempimento: il vetro. Spesso infatti si
dice: un’architettura in ferro e vetro.
Quando
insegnavo queste cose le dicevo, con lo stesso spirito esplicativo, a persone
che erano variamente interessate all’arte applicata (antiquariato o restauro
del mobile) in maggioranza non del mestiere (architettonico) e normalmente
capivano: regolatevi.
Quanto
alla quantità di elementi tecnici nell’edilizia di oggi credo che non sia
necessario fare nessuna chiarificazione ulteriore. Notate quanti impianti avete
in casa o in ufficio: luce, acqua, gas, riscaldamento, igiene, televisione,
computer, allarmi, pannelli fotovoltaici, climatizzatori (li odio!) ecc...
ecc...
Detto
in una parola, a qualche architetto moderno è venuto in mente che la tecnica
potesse essere il nuovo linguaggio dell’architettura, quello che sostituisse quanto
derivato dalla storia (stili, stilemi, citazioni e decorazione). In che misura,
è appunto il determinare quale sia il rapporto fra la composizione
architettonica e la tecnica. In una certa misura è stato necessario un po’ a
tutti, dovendo operare con elementi nuovi, e anche stimolante. Alcuni lo hanno
fatto diventare la loro poetica.
Abbiamo
già visto un ottimo esempio in Renzo Piano, ottimo anche lui come architetto
intendo. In un certo senso ogni architettura contemporanea ha dovuto inserire
nelle sue categorie poetiche la tecnica: dalle prime stazioni ferroviarie alla
soluzione delle canne fumarie o degli extra corsa degli ascensori, ai
serramenti a ogni altro impianto ecc... La risposta sta nel quesito: celare o
mostrare? Sia in un caso sia nell’altro si deve procedere a includere un nuovo
volume architettonico.
Per
alcuni la poetica della tecnica è stata decisiva e molto importante. In fondo
si generalizza in modo semplicistico quando si afferma che lo scopo
dell’architettura moderna era l’eliminazione della decorazione, ormai priva di
connotazioni significative nell’Eclettismo ottocentesco: sì era uno degli scopi,
ma credo che la forma dell’architettura moderna risieda di più nelle nuove
tecniche e nei nuovi materiali.
Veniamo
ai soliti esempi, ed è dura, molto, scegliere in questo caso perché la qualità
è molto variabile. Rimaniamo alle buone architetture, in questo caso grandi
architetture.
La
prima è un esempio storico, l’edificio che ha inventato il linguaggio del ferro
vetro: il Crystal Palace di Joseph Paxton, a Londra (Hyde Park) per
l’Esposizione del 1851.
Ecco
la planimetria e il prospetto e una bella veduta pittorica.
Paxton
era un costruttore e disegnatore di serre e ne progettò in ferro e vetro. Poi
il grande capolavoro del Crystal Palace. Un caso in cui la poetica della
tecnica cambia per sempre l’architettura. Solo per dire della connotazione più
stupefacente di questo edificio: l’uso del vetro rende incerto il confine fra
esterno e interno in termini di percezione degli spazi e della luce. Per
trovare una cosa di questa portata in architettura bisogna rifarsi a certe
cattedrali gotiche o al Pantheon.
L’altro
esempio è invece una scelta contraria, ossia far prevalere gli aspetti di
linguaggio e artistici lasciando alla tecnica il compito di rendere possibile
quel linguaggio architettonico.
Si
tratta della cosiddetta Chiesa della luce di Tadao Ando, a Osaka del 1989.
Tadao Ando è stato, fino a un certo momento, uno dei massimi architetti del
secolo e forse anche più.
Ecco
la planimetria e una foto dell’interno. Progetto stupendo che meriterebbe molto
più di due immagini.
Quindi
si ha qui l’esemplificazione che si possono dare grandi architetture con
diverse e opposte poetiche.
Se
vi va di googolare fra le immagini e digitate architetture hi tech o roba
simile avrete la madre di tutte le porcherie architettoniche fatte in questi
ultimi due o tre decenni. Un avvertimento: è roba per cuori sani e stomaci
robusti.
L’altro
argomento è il rapporto con la tipologia. Una volta introdotto il senso di
tipologia è relativamente facile capire quale rapporto si instauri.
Si
può usare l’evoluzione tipologica come base della propria progettazione oppure
cercare una distribuzione diversa e specifica per quel progetto.
Il
termine distribuzione è quello che indica dove e come si progettano gli spazi
adatti a soddisfare una funzione o uno specifico requisito. Per esempio in un
appartamento sarebbe dove va la cucina, i bagni, le camere, il soggiorno ecc...
E naturalmente anche ‘ come ’. È evidente che le funzioni e i requisiti possono
essere relative alle persone che sono ospitate dall’edificio, per esempio la funzione
dormire, mangiare, igiene, rapporto con l’esterno ecc... e il requisito
superficie minima, aerazione, illuminazione ecc..., oppure dipendere dalla
tipologia. Per esempio in un museo le funzioni saranno entrare, ricezione, sale
espositive, percorsi tematici ecc... e i requisiti saranno del tipo giusta
illuminazione dei dipinti secondo le epoche di composizione, grado di umidità
per la conservazione, distanza di contemplazione in base alla dimensione ecc...
Adolf Loos sosteneva che le funzioni dell’architettura sono solo tre: entrare,
sostare e uscire, e mi sa che ci aveva proprio ragione.
Dimostrazioni
di differenti tipologie, scelte così a caso, sono le dette tipologie
residenziali, gli ospedali a padiglioni o monoblocco, i teatri lirici
all’italiana con i teatri moderni (un esempio su tutti: la Scala e l’Arcimboldi
e ognuno tragga le sue considerazioni...). le stazioni ferroviarie di testa
(Centrale di Milano, S. Maria Novella a Firenze, Termini a Roma) o le stazioni
passanti. E così via.
Per
alcuni architetti il primo approccio di ogni progetto è lo studio della
tipologia, la scelta di una variante e l’adattamento al caso di specie. È
ascrivibile, almeno in parte, all’approccio tipologico anche l’uso di una
tipologia per un edificio di altro uso. Per capirci: se un architetto volesse
disporre i suoi appartamenti secondo la distribuzione dei palchi di un teatro
all’italiana, lasciando uno spazio al centro e dando per esso un significato, o
cose del genere.
Di
più si può dire che a somiglianza degli stili anche per le tipologie si possono
verificare dei periodi conservativi e altri innovativi. A loro volta le
tipologie innovative potranno essere considerate classiche. Anche qui esempi a
migliaia. Semplificandone una: il tempio greco si evolve fino al Partenone che
poi diventa il tipo di riferimento della tipologia del tempio. Il tempio greco
passa nell’architettura romana praticamente intatto nei canoni (ionico, dorico,
corinzio) ma assume alcune variazioni (stilobate più alto e scala per arrivare
alla quota della nave, colonne binate, pianta centrale ecc...) che in seguito
saranno considerate a loro volta dei punti di riferimento. E in questo caso non
solo per la tipologia del tempio. I romani a loro volta inventeranno nuove
tipologie: la villa, le terme ecc... che serviranno per sviluppare nuove
tipologie.
Come
esempi vi propongo le planimetrie di tre tipologie residenziali: a ballatoio, a
stecca e a torre. Prendono questo nome da come è svolta la funzione di ingresso
all’alloggio. Nelle case di ringhiera è il ballatoio esterno appunto che
conduce alle porte degli alloggi, nella tipologia a stecca il vano scala è
posto fra gli alloggi (come quando andate a casa di qualcuno: scala A, scala B,
scala C ecc...), nella tipologia a torre il vano scala è solitamente centrale e
gli alloggi sono ad angolo e l’edificio ha più di otto piani (Gropius diceva
dodici minimo).
Ecco
le tre planimetrie. Purtroppo non so chi siano i progettisti e me ne scuso. La
prima planimetria è di una vecchia casa di ringhiera.
Un
pretto ‘ tipologista ’ è stato Aldo Rossi, figura molto discussa ma
interessante. Credo che il suo maggior torto sia stato quello di aver dato
lustro alla figura esiziale dell’archistar, ma credo senza volerlo. Lui e pochi
altri all’inizio: l’abominevole Norman Foster, Le Corbusier e la sua senile
idea dell’International Style, forse Oscar Niemayer (gli ultimi due sono grandi
architetti). Oggi qualunque pirla, anzi meglio se pirla, adeguatamente
sponsorizzato è un archistar. E i nomi qui sono invece moltissimi, ma siccome
gli dato del pirla eviterò di nominarli, sempre per il prosaico motivo che non
ho i loro soldi per affrontare una causa. Sono quelli che stanno rendendo
orripilanti la vostre città. La biochimica del mostro è la fusione del DNA
dell’International Style e dello Hi-tech. Googolate, googolate e qualcosa
troverete...
Del
primo Aldo Rossi vi mostro le residenze a ballatoio del quartiere Gallaratese
di Milano, del 1970. Eccone la planimetria e una veduta.
Ora
gli esempi poetici.
Come
rapporto con la tecnica ho scelto una composizione dal Canzoniere di Francesco Petrarca in cui ogni gruppo di versi
termina con la permutazione delle stesse parole. Queste e simili composizioni
si possono assimilare alla ricerca di una poetica attraverso una tecnica che
interpreta in diverso modo il darsi la regola fuori dalla rima (non fuori dalla
metrica! Sono tutti endecasillabi).
Chi
è fermato di menar sua vita
su per l’onde fallaci et per gli scogli
scevro da morte con un picciol legno,
non pò molto lontan esser dal fine:
però sarrebbe da ritrarsi in porto
mentre al governo anchor crede la vela.
L’aura soave a cui governo et vela
commisi entrando a l’amorosa vita
et sperando venire a miglior porto,
poi mi condusse in più di mille scogli;
et le cagion’ del mio doglioso fine
non pur d’intorno avea, ma dentro al legno.
Chiuso gran tempo in questo cieco legno
errai, senza levar occhio a la vela
ch’anzi al mio dì mi trasportava al fine;
poi piacque a lui che mi produsse in vita
chiamarme tanto indietro da li scogli
ch’almen da lunge m’apparisse il porto.
Come lume di notte in alcun porto
vide mai d’alto mar nave né legno
se non gliel tolse o tempestate o scogli,
così di su da la gomfiata vela
vid’io le ’nsegne di quell’altra vita,
et allor sospirai verso ’l mio fine.
Non perch’io sia securo anchor del fine:
ché volendo col giorno esser a porto
è gran vïaggio in così poca vita;
poi temo, ché mi veggio in fraile legno,
et più che non vorrei piena la vela
del vento che mi pinse in questi scogli.
S’io esca vivo de’ dubbiosi scogli,
et arrive il mio exilio ad un bel fine,
ch’i’ sarei vago di voltar la vela,
et l’anchore gittar in qualche porto!
Se non ch’i’ ardo come acceso legno,
sì m’è duro a lassar l’usata vita.
Signor de la mia fine et de la vita,
prima ch’i’ fiacchi il legno tra gli scogli
drizza a buon porto l’affannata vela.
su per l’onde fallaci et per gli scogli
scevro da morte con un picciol legno,
non pò molto lontan esser dal fine:
però sarrebbe da ritrarsi in porto
mentre al governo anchor crede la vela.
L’aura soave a cui governo et vela
commisi entrando a l’amorosa vita
et sperando venire a miglior porto,
poi mi condusse in più di mille scogli;
et le cagion’ del mio doglioso fine
non pur d’intorno avea, ma dentro al legno.
Chiuso gran tempo in questo cieco legno
errai, senza levar occhio a la vela
ch’anzi al mio dì mi trasportava al fine;
poi piacque a lui che mi produsse in vita
chiamarme tanto indietro da li scogli
ch’almen da lunge m’apparisse il porto.
Come lume di notte in alcun porto
vide mai d’alto mar nave né legno
se non gliel tolse o tempestate o scogli,
così di su da la gomfiata vela
vid’io le ’nsegne di quell’altra vita,
et allor sospirai verso ’l mio fine.
Non perch’io sia securo anchor del fine:
ché volendo col giorno esser a porto
è gran vïaggio in così poca vita;
poi temo, ché mi veggio in fraile legno,
et più che non vorrei piena la vela
del vento che mi pinse in questi scogli.
S’io esca vivo de’ dubbiosi scogli,
et arrive il mio exilio ad un bel fine,
ch’i’ sarei vago di voltar la vela,
et l’anchore gittar in qualche porto!
Se non ch’i’ ardo come acceso legno,
sì m’è duro a lassar l’usata vita.
Signor de la mia fine et de la vita,
prima ch’i’ fiacchi il legno tra gli scogli
drizza a buon porto l’affannata vela.
Pensavo
di non portare esempi di rapporto con la tipologia, bastando le poesie che ho
già proposto, quando mia sorella Antonietta mi ha fatto notare che un esempio
interessante è la comparazione del sonetto petrarchesco (o provenzale) con
quello shakespeariano (o elisabettiano). Allora ecco un esempio del primo,
sempre dal Canzoniere, e del secondo
tipo, dai Sonetti, all’interno della
tipologia del sonetto.
Solo et pensoso i più deserti campi
vo mesurando a passi tardi et lenti,
et gli occhi porto per fuggire intenti
ove vestigio human la rena stampi.
Altro schermo non trovo che mi scampi
dal manifesto accorger de le genti,
perché negli atti d’alegrezza spenti
di fuor si legge com’io dentro avampi:
sì ch’io mi credo omai che monti et
piagge
et fiumi et selve sappian di che tempre
sia la mia vita, ch’è celata altrui.
Ma pur sì aspre vie né sì selvagge
cercar non so, ch’Amor non venga sempre
ragionando con meco, et io co-llui.
(schema:
ABBA ABBA CDE CDE)
Adesso
William Shakespeare. Il sonetto
116.
Let me not to the marriage of
true minds
admit impediments. Love is not love
which alters when it alteration finds,
or bends with the remover to remove:
admit impediments. Love is not love
which alters when it alteration finds,
or bends with the remover to remove:
o no; it is an ever-fixed
mark,
that looks on tempests, and is never shaken;
it is the star to every wandering bark,
whose worth's unknown, although his height be taken.
that looks on tempests, and is never shaken;
it is the star to every wandering bark,
whose worth's unknown, although his height be taken.
Love's not Time's fool, though
rosy lips and cheeks
within his bending sickle's compass come;
love alters not with his brief hours and weeks,
but bears it out even to the edge of doom.
within his bending sickle's compass come;
love alters not with his brief hours and weeks,
but bears it out even to the edge of doom.
If this be error and upon me
proved,
I never writ, nor no man ever loved.
I never writ, nor no man ever loved.
(schema: ABAB CDCD EFEF GG)
(traduzione)
Non sia
mai ch'io ponga impedimenti
all'unione di anime fedeli. Amore non è amore
se muta quando scopre un mutamento
o tende a svanire quando l'altro s'allontana:
all'unione di anime fedeli. Amore non è amore
se muta quando scopre un mutamento
o tende a svanire quando l'altro s'allontana:
oh no!
Amore è un faro sempre fisso
che sovrasta la tempesta e non vacilla mai;
è la stella-guida di ogni sperduta barca,
il cui valore è sconosciuto, benché nota la distanza.
che sovrasta la tempesta e non vacilla mai;
è la stella-guida di ogni sperduta barca,
il cui valore è sconosciuto, benché nota la distanza.
Amore non
è soggetto al Tempo, pur se rosee labbra e gote
dovran cadere sotto la sua curva lama;
amore non muta in poche ore o settimane,
ma impavido resiste al giorno estremo del giudizio.
dovran cadere sotto la sua curva lama;
amore non muta in poche ore o settimane,
ma impavido resiste al giorno estremo del giudizio.
Se questo
è errore e mi sarà provato,
io non ho mai scritto, e nessuno ha mai amato.
io non ho mai scritto, e nessuno ha mai amato.
A
conclusione un’ultima annotazione. Si potrebbe dire che il genere della poesia
possa essere una tipologia: poesia d’amore, epica, immaginifica ecc.. Io credo
però che il genere sia più accostabile al termine di funzione nel raffronto fra
la composizione poetica e
architettonica.
Un
po’ come fa Ovidio quando negli Amori
muta l’esametro, della poesia epica, in pentametro, cioè in base alla funzione
cambia la tecnica. Sono i versi dell’incipit.
Arma gravi
numero violentaque bella parabam
edere, materia conveniente modis.
Par erat inferior versus; risisse Cupido
dicitur atque unum surripuisse pedem.
edere, materia conveniente modis.
Par erat inferior versus; risisse Cupido
dicitur atque unum surripuisse pedem.
Le armi
con un metro pesante e le guerre violente
ero pronto
a cantare, e la materia era adatta al ritmo.
Il verso
di sotto era uguale; s’è messo a ridere Cupido,
così
dicono, e ha sfilato via da sotto un piede.
Anche
oggi ho buttato un semino. Vediamo che succede, se succede...
To be (or not to be)
continued...