mercoledì 19 agosto 2015

L'architettura della poesia 1



Quando cominciai a scrivere in poesia mi accorsi, quasi subito, che la composizione poetica ha delle affinità con la composizione architettonica, e forse per ciò mi appariva familiare. In una parola quello che le rende simili è la necessità di dire quello che si ha da dire con relativamente pochi segni e la poetica di dirlo in modo esatto. A differenza della narrativa.
È un affermazione un po’ troppo sintetica, me ne rendo conto, ma non ho voglia di argomentarla in ambito letterario, non mi spetta e non mi pagano per farlo. Nella mia esperienza è così.
Vorrei invece provare a esporre alcuni elementi di composizione architettonica e vedere se se ne possono fare dei parallelismi con la composizione poetica.
So bene che sarà un argomento che non fotterà niente a nessuno e che la maggioranza dei lettori non riuscirà a capire, probabilmente neppure gli studenti di architettura, ma non m’importa: mi va e lo faccio. Diciamo che mi ricorda i bei tempi. Non so nemmeno come verrà, ma qualcosa di interessante ne uscirà di sicuro. Parlare di composizione architettonica mi diverte e mi rilassa. In più farò contento qualche amante dell’antiquariato evocando qualcosa che non si usa più.

Prima d’iniziare faccio un breve inciso. Ho deciso di parlare di questo argomento poiché non ricevo commenti sulle poesie o sui temi letterari, dunque tanto vale che scriva di ciò che mi appassiona.
Con mia sorpresa, ho visitatori del mio blog anche dall’estero e non pochi, penso siano italiani residenti all’estero. Credo sia così perché io so scrivere solo nella mia lingua. Ebbene escludendo gli Stati Uniti, secondi dopo l’Italia, per l’ovvio motivo che è Google che attiva e archivia le pagine del blog ogni volta che sono prodotte, nei due sistemi Windows e Mac, il primo dall’estero è in questo momento la Francia. Seguono a ruota Russia e Ucraina che stanno facendo una sorta di gara, lo dico scherzando ovviamente. Della cosa, in questo momento storico, non so se essere felice o preoccupato. Manca la Spagna in modo significativo, per via della lingua molto simile intendo, ma ritengo che dipenda dal fatto che un italiano, reso disoccupato dall’euro, in questo momento vada a cercar lavoro più in Francia che in Spagna.

Partiamo. Allora, immaginiamo che un architetto debba fare un lavoro in un certo luogo. Per prima cosa dovrà analizzare e studiare il sito e la città dove va a costruire o progettare, parimenti farà le stesse cose sulla tipologia che deve progettare: residenze, fabbriche, ospedali ecc... Fin qui è tutta analisi urbana, tipologica e funzionale. In seguito ognuno deciderà cosa farne, ossia in che misura tenerne conto. Poi progetterà e non stiamo a seguire la prassi progettuale o men che meno il metodo poiché non ve n’è uno o due ma ognuno ha il suo e spesso nemmeno lo stesso per due progetti diversi.
Però nella sua composizione, benché sospinto a mille impulsi di vario genere: poetici, funzionali, tecnici, induttivi e deduttivi, immagini di architetture che ha visto via via aggiungendo fino a quello decisivo cioè come gli va con la moglie (o il marito è ovvio), dovrà sempre essere cosciente se quello che fa è utile al raggiungimento dei requisiti di ogni genere che s’è posto per il suo progetto. Non solo ma soprattutto se ogni cosa, ogni segno che mette sulla carta, non contraddica ciò che si è appena dichiarato d’ottenere. Deve avere cioè una capacità di autoanalisi e autocritica che è la dote che più identifica la composizione architettonica nel suo complesso. Ogni tratto di matita ha un valore semantico, questo significato deve essere coerente con gli obiettivi del progetto, sotto tutti i punti di vista, sia funzionali sia poetici.
È questo in fondo che s’impara culturalmente studiando la composizione architettonica e progettando l’architettura. E fra l’altro è molto utile nella vita, ma chi non l’ha provato non può capire e scambierà questa affermazione come una sparata nostalgica.
Nel far questo l’architetto ha però alcune regole che, se non gli danno la soluzione, almeno lo aiutano a controllarla e a indirizzarla.
Immaginate un architetto che sta in piedi e guarda il luogo dove dovrà costruire o osserva la planimetria del sito.
Una prima regola è stabilire se la sua composizione sarà aperta o chiusa.
Una composizione aperta stabilisce dei rapporti con ciò che ha intorno, una chiusa tenderà a negarli o a farne passare solo alcuni (anche nel caso di composizione aperta è possibile fare una selezione: sostanzialmente il progettista utilizzerà strumenti afferenti alla percezione o alle regole d’ingresso, ma ne parleremo in un altro post).
Faccio un esempio se volete un po’ banale, ma che chiarisce benissimo il concetto. Progettando un giardino vedete se intorno ha dei begli edifici, un bel panorama ecc.. se sì tenderete ad aprire la vostra composizione verso appunto ciò che c’è di bello, se invece non è così vorrete escluderli e la vostra composizione sarà chiusa, ossia si guarderà relazionandosi solo con le sue parti.
In architettura è tutto un po’ più complesso naturalmente, diciamo, per capirci, che la scelta dipenderà il più delle volte dalla stratificazione storica del sito, del quartiere e della città che avete in esame, in tutte le declinazioni possibili di questa definizione forzatamente generale.
Vi propongo un esempio tratto dalla storia dell’architettura. Ho scelto dall’architettura moderna perché spero di aiutare qualcuno a prendere coscienza della morte cerebrale in cui versa oggi la nostra arte (magari uno studente: quando stavo in Facoltà ero un ottimo tutor).
L’esempio di composizione aperta è il Padiglione Tedesco all’Esposizione Internazionale di Barcellona del 1929 di Ludwig Mies van der Rohe.
La continuazione, anche ideale, dei muri rende il concetto meglio di ogni altro esempio. Seguono la planimetria e una foto che mostra bene il principio della percezione in movimento dell’architettura moderna.




Dico subito che le immagini le ho prese googolando e ai miei tempi fra architetti era normale fregarsi le foto, se qualcuno ne ha il copyright capisca il senso disinteressato per cui le ho prese e non rompa i coglioni. Se qualcuno romperà le palle, le tolgo e ne metto altre identiche di proprietà di qualcuno con un po’ più di buon senso e cortesia.

L’esempio di composizione chiusa è il Monastero delle Monache Domenicane di Media, Pennsylvania, U.S.A., di Louis Isidore Kahn, del 1965. È una composizione chiusa indipendentemente dal fatto che sia un monastero, o forse no... Di seguito la planimetria e un plastico.




Kahn è  un architetto meno conosciuto al grande pubblico e senz’altro minore rispetto al colosso Mies, ma è un progetto che ha fatto parecchia fortuna in seguito, soprattutto quando è stato assimilato alla Villa Adriana di Tivoli (vicino a Roma: per i non italiani).

Un altro principio compositivo è la composizione sintattica o paratattica.
Nella prima, le parti del progetto tenderanno a costituire un’unità formale di livello superiore. Lo possono fare con una visibile articolazione dei volumi (caso più che piano è l’architettura organica) oppure in un corpo più compatto di maggiore enfasi espressiva. O vie intermedie naturalmente.
Nella composizione paratattica corpi di fabbrica analoghi, se non addirittura identici, si dispongono secondo una regola d’ordine (che dipenderà in genere dal sito: orografia, assi viari ecc...). Delle case a schiera sono il più immediato esempio di composizione paratattica.

L’esempio di composizione sintattica è un caposaldo dell’architettura moderna: il Sanatorio di Paimio (in Finlandia) del grande Alvar Aalto, del 1928, architettura organica appunto. Per gli addetti ai lavori è l’edificio che ha consolidato il principio della facciata laterale di sezione, gli altri chiedano se non sanno cosa vuol dire. (I Giapponesi dicono: ‘ chiedere è  la vergogna d’un momento, restare ignoranti è la vergogna di tutta una vita ’). Di seguito planimetria e una bella veduta aerea.




L’esempio di composizione paratattica è il Kiefhoef (villaggio operaio) a Rotterdam di Jacobus Johannes Pieter Oud, del 1926. Stupendo esempio di purismo razionalista dopo il parziale allontanamento di Oud dal movimento De Stijl. Come al solito la planimetria e una veduta dalla via.




Vediamo possibili comparazioni con strutture poetiche. Non metto le date perché ci arrivate da soli.

Un tipo di composizione poetica aperta è, a mio modo di vedere, la terzina ageminata che è la regola compositiva della Divina Commedia di Dante Alighieri. Lo schema è ABA BCB CDC ecc... Cioè il verso interno diventa il primo e il terzo della terzina successiva. La composizione si apre evolvendosi in teoria all’infinito.

Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita.

Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
esta selva selvaggia e aspra e forte
che nel pensier rinnova la paura!

Tant' è amara che poco è più morte;
ma per trattar del ben ch'i' vi trovai,
dirò de l'altre cose ch'i' v'ho scorte.

Et cetera...

Un esempio di composizione chiusa è la strofa del cosiddetto sonetto provenzale che ha come schema ABBA ABBA ecc... La forma speculare della strofa rimanda a sé stessa (dico subito che sono fra quelli che seguono la teoria che, differenziando se da , pensa più giusto accentare anche nella locuzione sé stesso).
L’esempio è tratto dal Canzoniere di Francesco Petrarca.

Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono
di quei sospiri ond’io nudriva ’l core
in sul mio primo giovenile errore
quand’era in parte altr’uom da quel ch’i’ sono,

del vario stile in ch’io piango et ragiono
fra le vane speranze e ’l van dolore,
ove sia chi per prova intenda amore,
spero trovar pietà, nonché perdono.

Ma ben veggio or sì come al popol tutto
favola fui gran tempo, onde sovente
di me medesmo meco mi vergogno;

et del mio vaneggiar vergogna è ’l frutto,
e ’l pentersi, e ’l conoscer chiaramente
che quanto piace al mondo è breve sogno.

Da notare che nella prima strofa sulla vocale tonica cambia l’accento: da grave (ò aperta) ad acuto (ó chiusa).

L’esempio per una composizione sia sintattica, all’interno dell’ottava, sia paratattica nell’insieme del poema è lo Orlando Furioso di Ludovico Ariosto.
Lo schema dell’ottava rima è ABABABCC e costituisce un insieme chiuso per via della ripetizione della rima alternata nei primi sei versi e del distico di chiusura in rima baciata.

Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori,
le cortesie, l’audaci imprese io canto,
che furo al tempo che passaro i Mori
d’Africa il mare, e in Francia nocquer tanto,
seguendo l’ire e i giovenil furori
d’Agramante lor re, che si diè vanto
di vendicar la morte di Troiano
sopra re Carlo imperator romano.

Ma nella composizione del poema le ottave si affiancano con schema paratattico, sono susseguenti naturalmente.

Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori,
le cortesie, l’audaci imprese io canto,
che furo al tempo che passaro i Mori
d’Africa il mare, e in Francia nocquer tanto,
seguendo l’ire e i giovenil furori
d’Agramante lor re, che si diè vanto
di vendicar la morte di Troiano
sopra re Carlo imperator romano.

Dirò d’Orlando in un medesmo tratto
cosa non detta in prosa mai, né in rima:
che per amor venne in furore e matto,
d’uom che sì saggio era stimato prima;
se da colei che tal quasi m’ha fatto,
che ‘l poco ingegno ad or ad or mi lima,
me ne sarà però tanto concesso,
che mi basti a finir quanto ho promesso.

Piacciavi, generosa Erculea prole,
ornamento e splendor del secol nostro,
Ippolito, aggradir questo che vuole
e darvi sol può l’umil servo vostro.
Quel ch’io vi debbo, posso di parole
pagare in parte e d’opera d’inchiostro;
né che poco io vi dia da imputar sono,
che quanto io posso dar, tutto vi dono.


Et cetera...

Per il momento mi pare che funzioni. Io provo a continuare e vediamo cosa sorte...