Ho
avuto occasione di accennare a Giorgio Caproni in un mio post e mi è venuta la
voglia di rileggermi le sue poesie. Alla fine del libro c’erano delle critiche
d’autore all’opera di Caproni e mi sono venute alcune considerazioni in ordine
sparso, con valenza spero generale sulla poesia.
A
me hanno insegnato che la realtà di uno stile è rappresentata dalla singola
opera su cui si può applicare un’appartenenza cosiddetta di ordine o, nei casi
maggiori, di canone. Invece trovo che la maggior parte dei critici letterari di
professione si sforzano di inserire l’autore in precise caselle che rappresentano
per loro delle evidenti necessità di sistematizzazione.
Per
esempio in Calvino è la tematica ricorrente, ma anche il carattere ‘ popolare ’
dunque, prima o poi, di successo fra il pubblico delle sue composizioni.
Pasolini
mette in evidenza il carattere espressionista di Caproni che giustifica il
ricorso che egli ne fa di forme tradizionali di metrica.
Ce
ne sono altre allegate nel libro ma considero solo le due citate. Calvino che
ho apprezzato per una bella introduzione allo “ Orlando furioso ” di Ludovico
Ariosto, in un’ottica da scrittore e non da critico, per Einaudi. Pasolini che
considero grande regista e architetto e urbanista, dall’occhio acuto, ma in tutta
onestà non grande poeta né critico letterario.
Cito
da Pasolini “ ... e crediamo del resto che non ci sia riconoscimento migliore
per lui che il saperlo leggere dentro questo quadro che abbiamo schematizzato:
dove si senta tutto il buon sapore del suo lavoro compiuto ai margini, quasi,
con commovente umiltà, ai piedi della nostra Letteratura... verso tecniche un
po’ abnormi... e se pure la vita spirituale di Caproni è un poco ingombrata
dalla sua forza illogica...”.
Che squallida supponenza professorale! E meno
male che erano amici...
Cito
Calvino “ ... tanto questo poeta sembra avere tutti i rari requisiti della
popolarità... bravura di versificatore, affabilità comunicativa e un
particolare suspence tra lirica e
racconto, mi sembrano siano appetibili da un gran numero di lettori. ”.
Conclude
dicendo che Caproni ha successo perché è modesto e schivo ed è strano che
essendo così popolare abbia avuto successo tardi.
Entrambi
si sforzano di spiegare la scelta di Caproni di confrontarsi con la metrica
tradizionale come trasformazione della stessa in acrobatici passaggi fra
narrazione campestre e paesana e realtà cittadina ovvero uso, a loro dire,
strumentale della tradizione considerata popolare, ma in un’ottica di
superamento modernista. E altre pippe del genere.
Io
capisco e comprendo la gergalità d’appartenenza, per averla io stesso
sperimentata nei miei anni accademici.
Mi
ricordo, alla presentazione fatta dall’allora preside della Facoltà di
Architettura di Milano, professor Lamberto Secchi, che egli ci avvertì del
fatto che avremmo sentito uno strano linguaggio tribale nelle nostre prime
esperienze in università e di non preoccuparci perché di lì a poco avremmo
cominciato anche noi a parlare la koinè architettonica e ci saremmo sentiti a
nostro agio. Con la soddisfazione di escludere i profani che bussavano al
tempio della luce.
Le
cose non andarono proprio così, mi ricordo, poiché attraverso l’attico e il
bizantinismo approdammo, io e i miei compagni di studio, a una sorta di
francescanesimo linguistico per il quale ogni progetto o proposta compositiva
si riduceva, dopo anni di bollitura alchemica, ai due aggettivi “ bello ” e “ brutto
” che contenevano in un linguaggio via che tribale, francamente di branco,
tutte le categorie estetiche sottese.
Non
state capendo niente? Ovvio: non siete del branco.
Dunque
capisco i letterati di formazione e professione, ma io non appartengo al loro
branco.
Per
esempio se trovo congrua l’analisi delle tematiche ricorrenti in un poeta come
argomento di analisi non comprendo, anzi, se devo dirla tutta, mi sembra
fallace la lettura di un poeta considerando al sua produzione come un continuum
volontario. In specie in un poeta come Caproni che ha avuto la fortuna di
scrivere per quasi una sessantina d’anni.
Uno
mi potrebbe dire: ma qualcosa dovranno pur scriverlo. Infatti non contesto,
sapete come la penso: con tutto quello che succede, litigare sulla poesia è la
cosa più stupida che si possa fare.
Però
con Caproni o un altro, ancora vivi o caldi, collocarli subito in una casella
del divenire storico della letteratura è o deformazione per addetti ai lavori
oppure vezzo gergale.
Non mi appartiene né l’una né l’altra cosa. Ma
nessuno si adonti: io sono, dal rispetto letterario, un ignorante: ho un’altra
testa. Sono ignorante, che sa di esserlo e sa anche di non essere stupido, e non
solo in letteratura per la verità ma con l’autodenigrazione può bastare così,
per il momento.
Io
ho un’intelligenza di tipo rapido e intuitivo, posso fare sforzi sistemici,
perché non sono, fino al momento, rincoglionito, ma rendo meno di quando mi
abbandono alla sottile arte dell’ispirazione. Poi, dato che non prendo una
lira, non mi sembra il caso di fare sforzi inutili rispetto a quelli che già la
mia intuizione mi fa fare: intuizione non è incoscienza.
Allora
i temi della poesia sono importanti anche se non sono ricorrenti o invarianti,
ma appartengono a un momento della vita dell’autore. Per esempio, rimanendo a
Caproni, i suoi versi “ anticaproniani ” (così da lui definiti) sono una
normale rilettura delle sue tematiche, con un po’ di sana ironia sul fatto che
non si può essere innovativi dai trenta agli ottant’anni e che capita, a noi
umani, di riflettere su ciò che abbiamo fatto.
A
me, per esempio piace, senza voler fare nessun paragone, sia il momento in cui
scrivo sia quando mi rileggo, correggo, aggiungo, tolgo, vedo l’effetto che fa.
Mi interressa l’esperienza del fare, mi nutro e mi diverto.
A
volte dico “ bello! Ma questo l’ho scritto io? ” a volte “ be’, questo non è
granché ” ma lo lascio perché odio la perfezione, ma per un solo motivo:
l’imperfezione ridà il senso dell’esperienza e questo è quello che posso
chiedere alla mia scrittura.
Tornando
ai nostri critici, dunque per loro c’è una Poesia da intenditori, alla quale
occorre accostarsi dopo aver avuto il pane spezzato della corretta
interpretazione e una poesia che è fatta di buone intenzioni, buon carattere,
pochi grilli per la testa ed è accessibile a una larga fetta di lettori che,
poverini, arrivano dove possono.
Io
faccio parte di questi lettori che fanno ciò che possono e non ritengono utile
studiare un poeta (?) come Sanguineti che alla domanda: “ La gente non capisce
la sua poesia ” rispose “ Che studino prima! ”. Be’ io non ho un cazzo di
urgente da fare, ma mi rifiuto di perdere tempo a studiare uno che mette
insieme frasi senza senso.
Pasolini
ammoniva d’essere originali. E bè’ certo, se dico che quelle cose le so fare
solo io ed è colpa vostra se non capite, sarò per forza originale. E se uso le
parole per formare proposizioni di senso compiuto avrò uno spettro di
combinazioni molto più basso che se uso le parole esistenti per comporre frasi
senza senso: è una questione matematica. Poi dirò che il senso c’è ma lo so
solo io.
Peccato
però che tutti i grandi poeti, dagli albori dei tempi, abbiano fatto grande
poesia dicendo cose di senso compiuto, con un tono che i due critici di cui
sopra definivano ‘prosastico ’ o sia raccontavano delle cose o descrivevano
luoghi e immagini.
Io
leggendo questa poesia del ‘ qualcosina in più che pop ’ Giorgio Caproni, con
la sua poesia da ‘ umile servo nella vigna della Letteratura ’ (con la L
maiuscola!), ho fatto delle, per me, importanti considerazioni su alcune
ipotesi che formulai nello scrivere la “Teogonia Vedica ”. Certo Caproni non le
ha scritte per me e giustamente non gliene sarebbe fregato nulla delle mie
elucubrazioni, ma a me invece la sua poesia è servita, è diventata attiva nella
mia mente. Credo invece che di questo sarebbe stato felice.
Pierineria
Il
Nulla, dicono,
è
il “ non essere ”.
E
allora,
come
può, allora,
“
essere ” il “ non essere ”?
È
tratta da “ Res amissa ” del 1991 (postumo), nella sezione ‘ per sezis ’. Il
testo da cui è tolta è: Giorgio Caproni “ Tutte le poesie ”, collana Gli
Elefanti, Garzanti editore, 2013 (1a edizione 1999).
Un’
ultima cosa: e lasciatemi un commento! Rispondo a tutti, a meno che non siano
insulti. Vi assicuro che non sono infettivo e non mordo e mi incazzo solo con
quelli famosi che se la tirano.
Giorgio Caproni
(Non ho potuto appurare se questa foto è protetta da copyright, se sì fatemelo sapere e o la tolgo o mi date il permesso di lasciarla e aggiungo il nome dell'autore e dei depositari dei diritti).