Ebbi
modo, un paio d’anni fa, di partecipare a una serata in cui si presentava una
poetessa finlandese: Eeva Liisa Manner. La serata fu organizzata da non so chi
presso la libreria della CISL in via Tadino a Milano. Vi andai più che per la
poetessa, che non mi piace più di tanto, per la curiosità della lingua
finlandese.
In
quella occasione vi fu un’introduzione di una docente di letteratura finlandese
di cui non ricordo più il nome e me ne dispiace. D’altronde comincio ad avere
una certa età per la memoria e ho perso tutte le e-mail in un guasto del pc e
insomma, come diceva John Belushi in “The blues brothers”: il terremoto, le
cavallette, non è stata colpa mia!
Era
in questo periodo dell’anno perché ricordo che c’era il Salone del Mobile e fra
gl’invitati l’ambasciatore della Finlandia, a Milano per l’occasione del design.
Notai che nei pieghevoli di presentazione insistevano su Eero Saarinen
dimenticandosi un altro finlandese, uno dei giganti dell’architettura moderna,
caposcuola del design ma di più dell’architettura definita ‘ organica ’: il
grande Alvar Aalto. Va be’: nemo propheta in patria e anche i finnici hanno i
loro difetti di memoria.
A
parte questa circostanza, che fa intorcinare le budella solo ai vecchi
architetti come me, la sera fu molto istruttiva perché, fra le altre cose, la
bionda professoressa di lettere ci lesse alcune composizioni della Manner e
potemmo apprezzare il suono dolcissimo del finlandese. Lingua composta da
molteplici posposizioni che rendono le parole lunghissime ma facili da leggere perché,
come in italiano, a ogni lettera corrisponde un suono preciso. Infatti la
docente ci disse, un po’ vezzosamente, che il finlandese è detto l’italiano del
nord.
Sapemmo
in quell’occasione che in Finlandia è molto diffuso l’uso di comporre in versi,
così che quasi ognuno lo fa.
Io
credo che questo amore per la propria lingua, la volontà di esprimersi anche
solo per sé stessi sia un grande insegnamento che mi sentirei di suggerire
anche per il nostro paese. Soprattutto in un momento di abissale crollo
culturale come questo e di smarrimento del proprio sé, sia a livello
individuale sia nazionale.
Era
invitato alla serata anche l’ambasciatore finlandese, che giunse, dal Salone
del Mobile, con una ventina di minuti di ritardo e si scusò con una platea di
una dozzina di persone!
Immaginatevi
un assessore italiano che ritarda solo di venti minuti...
Il
momento più notevole si ebbe, a mio parere, quando chiesero all’ambasciatore
del perché in Finlandia v’era un così forte interesse per la poesia.
Egli
rispose che il motivo era da ricercarsi nella storia della Finlandia, per
secoli dominio o del regno di Svezia o dell’espansionismo della Germania (oh,
qual espressione arcaica e dunque nuova per i nostri tempi!). In questo passare
da un regno all’altro, da una cultura
all’altra, con il contraltare della lingua e della cultura lappone della
Carelia nel nord-est del paese, il popolo finlandese identificò nella lingua
del Kàlevala la sua connotazione nazionale comune.
Da
lì l’amore che i Finlandesi nutrono per la loro lingua madre, che essendo madre
a sua volta li nutre.
Be’,
lasciatemi dire del disappunto per la situazione italiana, verso un paese che
ha un’alta quota di analfabetismo di ritorno per cui aumentano le persone che
non sanno parlare o scrivere o leggere correttamente in italiano. E con la televisione
e personaggi pubblici che paiono (dubitativo retorico) assecondare questo
fenomeno e non solo da oggi. Lo dico, a esempio, con tutta la simpatia per il
bravo Troisi che affermava di ‘sognare’ (che cazzo vuol dire?) in napoletano e
stava agli altri fare lo sforzo interpretativo. Ascoltate bene invece i film di
Totò: a parte i modi di dire e i calembour recitava sempre in perfetto italiano,
non era un attore dialettale ma nazionale.
E
lo dico con tutto l’amore per i dialetti, enorme ricchezza della nostra lingua
e letteratura. Ma un conto è esprimersi in dialetto, un altro è non saper cominciare
o terminare le frasi in italiano o rifiutarsi di parlare nella lingua nazionale.
Una lingua bellissima che qualcosa ha pur significato nella cultura europea.
E
non venitemi a dire che è il solito razzismo verso il sud di uno del nord: questo
presunto ‘razzismo ’ non è che la vostra frustrazione e sta tutto nella vostra
mente.
Siamo
un popolo, abbiamo una cultura e una
lingua, siamone fieri come i Finlandesi! E viva i dialetti anche se ormai sono
una variante dell’italiano.
Pensate
come mi sento io quando traducono la locuzione milanese ‘ tri cucümer e un
peverun ’ (che significa cosa pagata o che costa poco) come ‘ tre cocomeri e un peperone ’ e
non come la vera traduzione ‘ tre cetrioli e un peperone ’ (che fra l’altro ha
più senso) e ci si sente dire: “ ma io ho sentito tre cocomeri e un peperone ”.
Ma da chi? Dove è nato? Quanti anni ha? In milanese cocomero inteso come
anguria o popone che dir si voglia non esiste nemmeno. L’anguria si dice
ingüria. La zucca si dice süca (con la s aspra) e gl’italici zucchini si
chiamano i süchett. Cucümer sono solo i cetrioli.
Conserviamo
i nostri preziosi dialetti, tenendo presente che ormai, lo ripeto, son da
qualche secolo varianti dell’italiano. I dialetti nacquero dall’incontro fra le
lingue locali, celtico, veneto, umbro, sabellico, sannitico, apulo eccetera con
il latino, lingua dei dominatori Romani (cercate cos’era la Lega Italica ai
tempi dei Romani: gli ultimi ad arrendersi furono i Piceni che scrivevano sui proietti
delle fionde al comandante romano: ‘ mentre tu combatti qui tua moglie ti fa le
corna a Roma ’). Poi furono varianti locali dell’italiano toscano che si
andava, per merito dei suoi poeti, affermando come lingua nazionale italiana. E
non ce l’ho nemmeno col romano (che infatti non chiamo romanesco): io da buon
milanese amo Roma, purtroppo non è sempre vero il contrario, ma pazienza, non
cambierò idea per quattro coatti.
Da
italiano non posso dimenticare cosa fu la Repubblica Romana e nemmeno cosa fu
la Repubblica Cisalpina e il suo tricolore, bianco rosso e verde, da
festeggiare il sette di gennaio, come fu a Reggio nell’Emilia nel 1797. Vorrei
dimenticarmi dell’annessione al Regno di Sardegna (‘ L’unità d’Italia ’!!!), di
Garibaldi, i Cacciatori delle Alpi, il lombardo-veneto, gli ‘ insorti
mazziniani ’ dei principati napoleonici, il furto del Banco di Napoli (pieno
delle ricchezze rubate dai Napoletani ai Siciliani...), l’esercito borbonico
che se ne va in Puglia a contrastare (forse?) lo sbarco degli Albanesi..., il
Plebiscito di Napoli, le ‘ province redente ’ di Trento e Trieste.
Dai,
salviamo la Breccia di Porta Pia, per carità di patria... E i progetti di
un’Italia federale di Carlo Cattaneo.
La
cultura, l’arte, gli scambi fruttuosi testimoniano della nazione italiana anche
quando non era Italia. Quanti sanno che Antonio Vivaldi, uno dei massimi
musicisti italiani, era veneziano figlio di due tintori: il padre immigrato da
Brescia, la madre da Matera?
E
esempi a non finire in tutto il mondo mercantile e culturale di scambi continui
fra le varie zone dell’Italia e, tramite le zone di confine, con il resto
d’Europa.
Recentemente
alla Scala hanno dato “ Lucio Silla ” di Mozart, opera bellissima. Avete mai
fatto caso che con tre opere: “Mitridate re di Ponto ”, “Ascanio in Alba” e “
Lucio Silla ” Milano è dopo Vienna la città in cui Wolferl ha dato più opere? E
la prima che credette in lui. Non fosse stato per l‘opposizione di Maria Teresa
l’avremmo avuto per un po’ d’anni a Milano. Ma lo sanno questo i Milanesi? O
meglio quei rettiliani mutaforma che hanno sostituito i Milanesi.
Ma
oggi ci decantano che grazie all’euro c’è l’Eurozona, l’Unione Europea e di conseguenza l’Europa! Prima infatti non
c’era: il continente era un immenso ghiacciaio inerte.
Ahimè,
è proprio vero che al male non c’è limite.
Da
popoli che hanno troppo combattuto fra loro per non amarsi oggi, a popoli che
ricominciano a guardarsi con sospetto, a darsi le colpe l’un l’altro.
Ma
non importa: c’è stata e dunque sempre ci sarà una Cultura Europea e Italiana
che non teme nessun confronto con la Storia, con la S maiuscola. E continuerà a
dispetto di chi ci vuole mettere uno contro l’altro, disponendoci in una
dimensione falsamente unitaria e dittatoriale in nome di miti monetari ed
economici.
Abbiamo
sconfitto l’aristocrazia perché abbiamo capito che la guerra fra stati era un
loro gioco di famiglia. Anche l’incubo di oggi finirà e torneremo a essere
popoli che dialogano fra di loro, e saremo anche più utili al resto del mondo:
il mondo non può fare a meno dell’Europa dopo che ne ha sposato le linee guida
del suo sviluppo. Pensateci: è una nostra precisa responsabilità. L’alternativa
è un mondo in cui il medioevo cosiddetto barbarico sembrerà una luce di
saggezza al confronto.
Ma
ero partito dai Finlandesi, che a detta di tutti sono dei buoni ragazzi, e buone
ragazze soprattutto.
Essi
amano la loro patria e identificano se stessi con la loro stupenda lingua,
perciò la coltivano con la poesia, declinata in tutti i modi. E non si
preoccupano di essere grandi poeti ma solo di misurarsi e valorizzare il loro
idioma, fosse solo per leggere le proprie cose fra di loro o al saggio di fine
anno della scuola superiore. Non solo, ma lo stesso fanno le minoranze
linguistiche lapponi, svedesi (6%) e tedesche e non credo che la minoranza
svedese bruci le biblioteche finniche o russe (altro impero ingerente).
È
vero, è un altro mondo: a un chilometro fuori da Helsinki, dove risiede la
maggioranza della popolazione, giri per una settimana e non incontri che renne
e orsi (allora l’Eden esiste!), ma le statistiche mondiali ci dicono che il
mondo si va conformando non, come ci vogliono far credere, in giganti che
lottano fra loro (USA, Europa, Russia, Cina, India ecc...) ma in stati piccoli,
sovrani e indipendenti con una popolazione media di sette-otto milioni di
persone. Avete capito bene: 7-8 milioni di persone! Meno della Lombardia! Un
paese leader dell’economia fra una ventina d’anni sarà la Corea del Sud che ha
meno abitanti dell’Italia!
Il
futuro dice che piccolo è bello, che differente è bello, che indipendente,
autonomo e sovrano è bello e funzionerà. Non è il caso che vi faccia notare che
un individuo su sette milioni in totale, vale più che uno su cinquecento
milioni del colosso europeo. 1/500.ooo.ooo è uguale a 0,000000002, mentre
1/7.ooo.ooo è uguale a 0,000000143. Cioè a un rapporto di 71,5 a 1. In mere
cifre aritmetiche e non in ricaduta sociale che sarà molto più incisiva.
Uno
dice: e questo che c’entra con la poesia? Be’ c’entra, e molto e se non lo
avete capito tornate a leggere Repubblica (e compagnia cantante) e a vedervi i talk
show di mamma Rai (e compagnia cantante).
Vi
amo Finlandesi (soprattutto le Finlandesi) che vi siete attaccati al carretto
della Germania, ma in fondo siete pochi, simpatici e vi piacciono gli orsacchiotti
e le renne, e vi amo Italici che non siete altro ma che non ostante tutto
credete ancora in questo paese glorioso e sciagurato.
Tutte le poetesse finlandesi sono così. Se non è vero: NON VOGLIO SAPERLO!