giovedì 30 marzo 2023

L'importanza della tecnica

 La differenza fra  arte e tecnica è questa.
La tecnica è l'applicazione di utilità delle leggi naturali. Codeste leggi sono così in quanto tali, non sono discutibili, valgono dovunque, almeno in questa dimensione spazio temporale. Esse sono studiate dalla scienza. La loro applicazione d'uso utilitario è il compito e lo studio della tecnica. Propriamente, lo studio della tecnica è la tecnologia, anche se oggidì i due termini sono erroneamente usati come sinonimi.
L'arte non esiste in natura: è una costruzione del linguaggio. Gli scopi dell'arte sono dunque altri e in questo blog ne avete molteplici esempi su cui non mi sembra il caso di ritornare in questa sede.
Parliamo invece della tecnica. L'uomo è di fatto l'unico animale che usa la tecnica, anzi è obbligato a escogitare una tecnica per poter sopravvivere sul pianeta. Di più, egli deve modificare l'ambiente di vita per poter sopravvivere o vivere meglio.
E qui abbiamo il senso del titolo del post.
Faccio un esempio. L'uomo primitivo usa da subito, anche l'ominide, homo in fieri, adopera da subito utensili e tende a modificare l'ambiente di vita: è troppo debole fisicamente perché siano sufficienti i suoi mezzi naturali.
Ha dei sensi limitati rispetto agli altri animali, tranne forse il tatto, ha meno forza e velocità, non ha artigli e zanne ecc...
Ha di più un cervello migliore e questo lo porta a pensare e costruire gli attrezzi di cui ha bisogno. Soprattutto è consapevole di questo processo.
Questo uomo vede che quando cade un frutto da una pianta dopo nasce un albero della stessa specie, ma questo lo vede anche un animale, che infatti guardando un certo albero sa che lì ce ne saranno altri e ci saranno animali tipici che vivono presso quella pianta e, se mangia l'uno o gli altri, andrà in quel luogo.
L'uomo si comporta così per molto tempo, ma poi vuole che le bestie si riproducano e stiano tutte in un solo posto e quel posto lo sceglie lui: ha bisogno quindi di tecniche per raggiungere quello scopo.
Più tardi vuole che i semi delle piante cadano dove egli ritiene più vantaggioso e comincia seminare. Poi migliora le tecniche coltive, scava canali o inventa sistemi per trasportare l'acqua, suddivide i campi in dimensioni di giornate di lavoro per poter fare una stima di quanto gli renderà un campo, costruisce città e villaggi per difendere il campo e le bestie dagli altri.
Insomma prende le regole della natura e le piega per i suoi fini (che possono non essere quelli della natura ma questo è un altro discorso).
Qual è l'elemento di continuità di tutto questo processo storico ininterrotto?
Lo scopo di migliorare le sue condizioni materiali di vita. Una tecnica è buona e accettata se migliora materialmente la vita dell'uomo.
Spesso l'accettazione di questa tecnica comporta la mutazione della vita materiale stessa. Il senso però è che la mutazione migliori le condizioni di vita e non le peggiori. Altrimenti che senso avrebbe?
Mi sembra di aver già scritto da qualche parte che l'invenzione della città fu vista come migliorativa del tenore di vita rispetto a quella in campagna e anche di aver affermato che la città senza queste maggiori possibilità di agio non ha senso.
Cosa voglio affermare? Che la tecnica e il miglioramento della vita materiale sono inscindibili e spesso sono state la causa dei mutamenti storici, sociali, culturali più delle idee, dell'afflato spirituale e, in una parola, di ciò che è incorporeo in termini immediatamente naturali e per naturale intendo la natura fisiologica dell'uomo.
Ne “ L'arbore di Diana ” di Martin y Soler c'è un verso di Da Ponte che recita “ … essi avran dei poeti l'usanza: berran rugiada e mangeran speranza ”. Ecco, in questo senso, o sia di migliorare l'esistenza umana in senso pratico e non poetico o artistico, la tecnica modifica l'uomo e, si potrebbe dire, fa la storia.
È famosa la scuola storica degli “ Annales ” di Fernand Braudel dove si studiava la vita materiale per comprendere le dinamiche pratiche che hanno conformato la storia.
Ma bisogna rendersi conto di una cosa. Ogni inserimento tecnico nella storia ha sempre agito su un sostrato materiale, fosse esso il corpo umano, il territorio, il cibo o altro.
Può anche essere accaduto che questo cambiamento abbia avuto dei riflessi in ambito cosiddetto spirituale o culturale astratto, anzi è avvenuto moltissime volte, ma la partenza è sempre stata la materia esplicitamente concepita, senza mediazioni.
È altrettanto ovvio che l'arte ha una sua tecnica e anche direi una sua tecnologia (si pensi agli schemi poetici per esempio), ma siamo su un piano diverso. E non sto dicendo che l'arte è superiore alla tecnica: basterebbe il fatto che ho appena definito la tecnica come il principale motore della storia.
Insomma il punto centrale di questo post è di considerare la tecnica come agente, per fini di utilità, sulla dimensione materiale, sui corpi umani o delle cose usate dall'umanità.
La prova di questo è che, osservando attentamente, la tecnica cambia forma ma in certo modo si reitera nel senso e nei risultati. Alcuni esempi.
La conservazione dei cibi avviene sempre, come scorta, nella costruzione di luoghi adatti: silos agli inizi e celle frigorifere oggi, come preservazione della freschezza con l'addizione di sostanze conservanti: aceto una volta, agenti chimici oggi o il freddo. I veicoli viaggiano sempre su un supporto specifico: slitte agli inizi e ruote oggi (anche gli aerei) poi la forma delle ruote cambia in base all'uso, è ovvio. Dalla caverna in poi l'uomo vive sempre in spazi suddivisi per funzioni. Il seme è sempre messo a riposo nella terra e questa è lavorata con strumenti, sia che l'aratro sia di legno o di metallo. Altri esempi potete trovarli da voi stessi.

Sto guardando fuori dalla finestra e con questa luce crepuscolare dell'ultima giornata di ora naturale le gemme dell'acero appaiono rossicce regalandomi una insperata dolcezza autunnale. D'altra parte primavera e autunno sono stagioni crepuscolari dove è necessario avere gli occhi di lupo, mentre l'inverno è la stabilità dell'essere senza superfluo e l'estate l'illusione dell'infinità delle cose.

Quindi, ricapitolando, se è la tecnica che ha modificato la vita degli uomini, è sempre stato necessario che essa tecnica si applicasse su un corpo vivo e materiale. Che le innovazioni producessero un cambiamento nella mentalità proprio per la loro intrinseca concretezza esistenziale. Quasi, verrebbe da dire, che il tutto fosse toccato con mano e sperimentato nei suoi riflessi fisici e mentali.
Nel film di Yasujiro Ozu “ Il sapore del riso al tè verde ” (“Ochazuke no aji” del 1952) un dirigente di una grande azienda, bell'uomo e con una posizione certa, ma di origine popolare, quello che si dice un uomo che si è fatto da sé, prima all'Università e poi nel lavoro, è sposato con una bellissima donna che proviene invece dalla classe aristocratica. Ella rimprovera sempre al marito, di cui pure è sinceramente innamorata, di non avere appreso, nel fare carriera, quei modi delle persone distinte, quei modi un po' snob: lui, peraltro educatissimo, se ha fame va da sé in cucina a prendersi da mangiare e il piatto che preferisce è la zuppa al tè verde, la chazuke appunto, perché gli ricorda quando era ragazzo nella sua famiglia. Lei questo lo trova inconcepibile: perché allora pagano le domestiche?
In una delle tante discussioni su questi temi lei gli rimprovera che un uomo del suo stato dovrebbe viaggiare in prima classe. I treni di allora erano sempre gli stessi per tutti, la prima classe stava in coda, più lontana dalla motrice (a volte ancora a carbone) e permetteva di vedere meglio il paesaggio, oltre ad avere sedili più comodi. Lui le risponde che non vede la necessità di spendere più  soldi, visto  che viaggia  sempre sullo stesso treno e dice: “ se mi facesse arrivare prima allora lo farei, ma visto che arrivo comunque a quell'ora... ”.
C'è in questa considerazione il fatto di avere sempre ben presente la vita reale  e di non perdersi dietro le convenienze o le comodità che non servono a niente.
Mi ricordo che quando si cominciava a parlare di computer, molti facevano le più losche previsioni sugli effetti che l'elaboratore elettronico (allora si chiamava così) avrebbe avuto sulle persone. Io che non ero e non sono un patito della digitalizzazione riflettevo dicendo che la conseguenza più grave sarebbe stata quella di privare il soggetto del contatto con la materia, di avere tutto rappresentato ma intoccabile. Questa perdita di uno dei sensi, il tatto, mi appariva la cosa più pericolosa e lo dicevo anche nelle mie lezioni.
Ebbene credo che la mia losca prospettiva si sia avverata nell'identificazione con una vita che esiste solo sulla macchina e sulle sue propaggini. Questo ha portato anche la perdita del senso tragico della vita, in senso teatrale, per cui oggi esistono solo rappresentazioni d'intrattenimento, di svago, di gioco. La verità annoia, la serietà è inutile. La vita è quella che ci rappresentiamo e dunque che essa sia tutta una distrazione!
Intendo dire che l'unica possibilità di salvare l'umanità, che invece e non a caso si preoccupa di salvare il mondo, sarebbe quella di riappropriarsi di una tecnica che abbia ricadute certe e immediate sulla nostra fisicità. Riprendere l'effetto e le conseguenze tangibili delle cose che facciamo. Lasciare che la tecnica modifichi il nostro sistema di vita dal punto di vista corporeo, fisico, materiale e subordinare le componenti culturali e 'spirituali' al nostro dominio sensibile.
Secondo me non c'è più alcuna speranza di riuscirci ormai.




R.P.

Posteris memoria mea
renatus in aeternum