Ho
avuto abbastanza di recente l'ennesima prova dell'ignoranza assoluta
che le persone hanno dell'architettura, e della loro presunzione di
parlarne anche se digiuni della materia. Dubito che il medesimo
atteggiamento lo abbiano con altre discipline cosiddette 'difficili'. Ma si sa, l'architettura è semplice, è una specie di ingegneria
' più facile ' per gente che pensa solo alla figa e basta, e quindi
chiunque può dir la sua. Scatta dunque l'allarme cultura che mi
impone di intervenire.
Ho
chiamato questo articolo “ Quando si cambia stile ” perché
voglio insegnare quali sono state le cause che hanno determinato il
cambiamento di linguaggio architettonico nella storia e in che misura
è avvenuto questo cambiamento. Ho usato nel titolo la parola ' stile
' perché è la più comunemente diffusa per indicare una mutazione
del linguaggio architettonico o artistico in genere.
Cercherò
di essere il più chiaro possibile in modo che chi ha qualche
cognizione della materia o un sincero interesse possa capire. Gli
altri continueranno a far la figura degli idioti senza saperlo.
Se
consideriamo le civiltà antiche, e qui premetto che mi riferirò
all'architettura occidentale per comodità e maggior conoscenza,
siamo di fronte a una sorta di unico stile che connota quella
civiltà. Le ragioni possono essere la lontananza storica e dunque
una conoscenza parziale dovuta ai ritrovamenti archeologici, ma
senz'altro dobbiamo sospettare una minore sensibilità per il
linguaggio architettonico. Ciò può dipendere dal fatto che si
attribuiscano allo ' stile nazionale ' delle significanze sovrumane.
Molto è dovuto naturalmente ai materiali disponibili e al sistema
costruttivo e anche all'interesse o meno per il manufatto edilizio in
genere.
Fatta
questa premessa e al netto delle differenze nella decorazione
scultorea o ai cambiamenti religiosi, o sia della simbologia, quando
ci troviamo di fronte a un'architettura sumera o egizia ci sembra
d'essere innanzi a una specie di invarianza. Avremo dunque colonne di
un certo tipo, muri, tetti ecc... che portano una specie di marchio
di fabbrica. Oltretutto questa architettura arcaica influenza assai
poco lo sviluppo di quella che possiamo chiamare l'architettura degli
stili o del linguaggio.
Allora
facciamo un bel salto in avanti e arriviamo all'architettura ' madre
' di tutte le altre successive: quella greca. Fatto il salto in
avanti, facciamo un passo di gambero subito. L'architettura greca non
nasce certo dal nulla ma si forma su altre precedenti della stessa
area.
È
stato notato per esempio che mentre il tempio greco ha il tetto a
capanna le abitazioni lo avevano a terrazza, ed è stato ipotizzato
un incontro fra architetture continentali, dove acqua e neve rendono
necessario il riparo a falda, con altre di tipo mediterraneo.
Mettiamo anche che questo sia vero, giusto per fare un esempio.
I
Greci prima di essere tali erano pregreci, micenei e cretesi, e prima
ancora popoli indoeuropei nomadici. Quindi solo dopo la
trasformazione stanziale si possono avere edifici stabili, anche
nella forma intendo. La forma con cui possiamo leggere l'invarianza
dell'architettura greca è identificabile con la sala quadrangolare
ipostila.
Ma
la tradizione non stanziale si farà a lungo sentire nella città
greca, sia per un certo modo di vita (era normale dormire sotto un
portico pubblico) sia per i siti più rappresentativi che partono
sempre da un luogo sacro e non necessitano per forza di edifici.
Sull'influsso
che l'architettura cretese ha svolto su quella micenea e poi greca ci
sono prove solide. Sull'influsso che quella egizia abbia svolto su
quella cretese possiamo presumerlo per gli stretti rapporti fra le
due civiltà.
Abbiamo
dei tipi micenei di difficile collocazione come la tholos o le case
attorno all'acropoli palaziale. La prima potrebbe subire forti
influssi simbolici dalla grotta e per le seconde abbiamo resti troppo
indeterminati.
Lo
spazio in cui per primo possiamo trovare degli elementi del
linguaggio greco posteriore è il megaron. Esso è una grande sala
rettangolare con al centro quattro colonne che reggono un tetto dal
quale esce il fumo del fuoco posto al centro dello spazio. Attorno
alle pareti ci sono dei sedili e intorno al fuoco si svolgevano
diverse attività. Tutto questo è già presente nell'architettura
palaziale cretese da cui quella greca probabilmente deriva. Ma quello
che si sa è di carattere ipotetico e i restauri non ci aiutano
perché troppo intensamente interpretati da Evans.
Però
cominciamo ad avere sicuramente alcuni elementi su cui possiamo
focalizzare l'attenzione. Per esempio qui la teoria del tetto a
capanna o piano potrebbe andare a pallino: la falda avrebbe la
funzione pratica di permettere di avere uno spazio fruibile e
protetto dagli agenti climatici esterni cosa che a Creta non sembra
la cosa più urgente.
Passa
molto tempo prima che questi elementi si trasformino in una tipologia
sulla quale si innesta il dibattito cosciente sull'importanza del
linguaggio architettonico, o per lo meno del quale si abbia una
conoscenza relativa ma non del tutto ipotetica.
Abbiamo
già visto che il tempio, costruito nel temenos, compare nel VI sec.
a.c.. però qui abbiamo un fenomeno di cui prima non abbiamo
esperienza o prova inconfutabile: ogni tempio cerca di migliorare il
tipo precedente e lo fa attraverso quegli elementi che abbiamo
imparato a chiamare, come in effetti si chiamano, di linguaggio
architettonico.
Certo,
la domanda nasce naturale: perché questo avviene? e perché proprio
ora?
La
risposta, come spesso accade, è che non lo sappiamo. Potrebbe essere
un'identificazione più forte della propria cultura, dunque una
volontà di essere a un tempo riconoscibili e affermare la propria
originalità nella formazione degli spazi simbolici e poi, con molta
calma, anche quelli privati. Può essere una crescente importanza
dell'arte come veicolo per affermare concetti, ideali, realtà
sociali di tipo prettamente umano, una sorta di laicizzazione per dir
così. Può, senza contraddizione, interpretare una diversa teologia
nel rapporto fra uomo e piano divino: il Dio ha bisogno di una casa.
Perché
ora. Il periodo è quello delle tirannidi e del grande flusso
migratorio colonizzatore verso l'Anatolia e l'Italia, fenomeni che
hanno connotato i Greci e li hanno posti come protagonisti della
storia, a sostituire le antiche civiltà ormai in fase di
museizzazione di sé stesse o anche l'hanno posta come antagonista
con le civiltà mediterranee che, seppure molto antiche, continuavano
nella loro opera di espansione, dico i Fenici su tutti.
Insomma
a un certo punto i Greci hanno sentito il bisogno di essere tali
anche nell'espressione artistica, e lo hanno fatto prima di quella
filosofica per la quale essi sono giustamente famosi.
Ma
quello che più interessa è che viene meno, quasi di colpo,
l'elemento dell'invarianza del linguaggio, anzi la ricerca è
violentissima in questa direzione, segnando il destino
dell'architettura e in genere dell'arte occidentale.
E
qui possiamo entrare nel vivo della questione di partenza: quando si
cambia stile.
Il
linguaggio greco aveva influenzato tutte le civiltà con le quali era
venuto in contatto soprattutto nell'occidente: Etruschi e popoli
italici, fra questi chi farà propri i canoni dell'architettura greca
saranno i Romani.
Qui
si apre una interessante questione. I Romani, i Latini in genere,
utilizzano gli ordini greci aggiungendone alcuni che sono
l'ibridazione fra quelli greci dell'epoca ellenistica e quelli
derivati dagli Etruschi. In più l'architettura romana utilizza con
notevole frequenza la volta, che i greci conoscevano ma non
utilizzavano (se non nella forma abbozzata della tholos ricordata più
sopra). Si può dunque parlare a questo proposito che il passaggio
dall'architettura greca a quella romana sia un mutamento di stile?
La
risposta è no. Gli elementi compositivi dell'architettura romana
permangono gli stessi di quella greca: colonne, trabeazione,
capitello, timpano... Muta solo, a volte, il trattamento scultoreo di
questi elementi. Lo stesso si può dire per i muri.
Ma
nemmeno per la volta si può parlare di mutamento di stile poiché la
forma della volta determinerà in seguito i cambiamenti di stile.
Inoltre nell'architettura greca la volta non esiste dunque non può
esistere il suo mutamento.
Si
dovrà parlare propriamente di innovazione nel sistema strutturale e,
nel caso della volta in calcestruzzo, di innovazione anche nel
sistema costruttivo.
Vediamo
dunque che nell'architettura romana, benché si connoti in modo
affatto suo particolare, non si può parlare di mutamento di
linguaggio architettonico.
L'uso
degli elementi classici (greco-romani) continua fino alla fine
dell'Impero Romano d'Occidente. Poi avviene un cambiamento di stile?
La
risposta è no ancora una volta. A parte che nell'Impero Romano
d'Oriente si continua a usare lo stesso tipo di linguaggio, anche in
Occidente la tradizione romana continua mutando solo le soluzioni
scultoree e in genere formali dei medesimi elementi: colonna,
capitello, trabeazione, muri ecc... Che poi nel medioevo ci sia un
impoverimento della produzione di manufatti edilizi non di legno non
inficia minimamente la conclusione poiché gli edifici lignei non
hanno mai avuto in generale la conformazione dei canoni classici.
Certo,
dal punto di vista della forma scultorea, del gusto, della
decorazione o dei cromatismi la differenza è notevole ma non
comporta l'uscita dal consueto sistema di riferimento. Prova ed
esempio ne sono quegli edifici di costruzione parca al limite della
povertà dove un muro o una porta sono solo l'assemblaggio di mattoni
o pietre e relativi infissi e non compare alcun elemento di
linguaggio architettonico.
Chi
è arrivato a questo punto e sta ancora confondendo la decorazione
con gli elementi di linguaggio è pregato di liberarsi subito di
questo errore, che è ' l'errore ' dell'ignorante, soprattutto se
hanno già letto i molti post sull'architettura che ho dedicato a
questo tema in questo blog.
Tornando
agli edifici semplici cui accennavo prima, notate che non appena le
possibilità economiche lo concedevano subito si arricchivano di
elementi di linguaggio, e questi erano ancora quelli classici.
E
passano i secoli. A un certo punto in Italia, nell'epoca gloriosa, e
troppo dimenticata, dei liberi comuni compare un nuovo stile: il
Romanico.
Nuovo?
Be' già dal nome non si direbbe... poi gli elementi di linguaggio
architettonico sono sempre gli stessi: colonne, capitelli,
trabeazione... Tenete presente che nel tardo medioevo la conoscenza
dell'architettura classica non aveva quel carattere sistematico che
avrà dal Rinascimento in poi, tutto quello che avevano e vedevano
nelle loro città e nelle campagne era classificato, senza alcun
dubbio e con ragione appunto, romano. Così anche dopo, quando
apparirà il Gotico: quello che non era gotico e non ancora
rinascimentale era romano.
Il
Romanico è quindi il tentativo di riportare a una nuova purezza
quello che noi oggi chiamiamo tardo-romano o bizantino in alcuni
casi. Quindi tutt'altro che novità ma ritorno alla tradizione più
pura come erano in grado di fare o forse come volevano fare essendo
alieni dal classicismo della replica acritica, della ripresa tale e
quale.
Del
resto, riflettendo, non sarebbe stato possibile altro che così: i
Comuni si strutturavano avendo per modello, ideale e pratico,
l'organizzazione di Roma, per contrapporla al sistema aristocratico
feudale. I magistrati più alti dei comuni si chiamarono Consoli. Il
Podestà e il resto vennero solo dopo.
Ridendo
e scherzando vediamo che, mutatis mutandis, l'architettura classica
degli ordini o canoni parte dal VI sec. a.c. e arriva fino a tutto il
XII sec. d.c.. Sono diciotto secoli di continuità. Un'invarianza
paragonabile all'architettura egizia, per dire.
Nel
corso del XI e XII secolo nelle foreste del massiccio centrale
europeo, prima in Francia poi altrove, si comincia a costruire con un
nuovo sistema strutturale. All'inizio gli elementi compositivi sono
sempre quelli, ma l'arco (e la volta di conseguenza) sono a sesto
acuto, la colonna è sostituita dal pilastro polistilo, il capitello
si adatta sempre più alla mutazione fino a scomparire, la
trabeazione non esiste più, perfino il muro è sostituito da grandi
vetrate (portando una innovazione nel linguaggio in termini di
proporzione e rapporto fra pieni e vuoti).
Suonano
le campane (infatti i campanili sono di solito due): nunc est
bibendum! Dobbiamo brindare al primo cambiamento di stile della
storia dell'architettura europea e occidentale.
Così
comincia l'epoca del Gotico, dapprima nelle chiese, ma da subito
anche negli annessi monastici, poi anche nelle architetture civili.
Ho già parlato sui motivi della nascita del Gotico nel post “ La
casa di Dio ” a cui rimando chi fosse interessato. Diciamo che
questo stile rappresenta al meglio sia la nuova aristocrazia,
consolidata dalla Constitutio de Feudis del 1037, che rende ereditari
i titoli feudali e infeuda le pievi (ossia i fondi agricoli della
chiesa), sia la nuova classe nascente della borghesia mercantile.
L'unanimità
su questo stile è comprovata dal fatto che esso si diffonde in tutta
Europa.
Anche
qui si possono trovare dei sotto-stili, sia dovuti alle differenti
epoche sia ai luoghi geografici. In Italia per esempio l'eredità
classica è più sentita e abbiamo delle modificazioni fra questi
sotto-stili. Però non si può parlare di mutamento dello stile
poiché gli elementi compositivi rimangono gli stessi: arco ogivale,
pilastro polistilo, archi rampanti, vetrate ecc... Cambia il
trattamento scultoreo degli elementi, i cromatismi ecc... Una
differenza notevole si ha nello sviluppo dei volumi che possono
essere considerevolmente diversi, ma a volte è il caso della
preesistenza di manufatti del periodo antecedente, a volte è solo
l'adattarsi del nuovo stile a esigenze tipologiche o funzionali (il
Palazzo Pubblico per esempio).
La
durata del gotico è molto variabile. Mentre in Europa continua dal
XII sec. al XVI sec. e anche oltre, in Italia e solo qui la nascita
dello stile rinascimentale lo sostituisce, con tempi differenti e
sempre progressivamente, dalla fine del '300. Quindi abbiamo una
durata di cinque secoli o più in Europa e di meno di trecento anni
in Italia.
Perché
accade questo? Per lo stesso motivo per cui sono scritti i poemi
cavallereschi, credo di averne già parlato. Il ciclo arturiano vede
nelle vicende subito dopo la fine dell'Impero Romano l'origine
nazionale inglese, così i poemi norreni più antichi compongono coi
più recenti il corpus del senso nazionale e identitario germanico.
Il ciclo Carolingio conferma l'influsso francese sulla cultura
europea ma pone le basi per una letteratura nazionale che poi diviene
tout court europea col Sacro Romano Impero. Porta all'interno della
letteratura europea anche la Spagna. In breve, è un ciclo che è
universalmente riconosciuto come lo è, per forza, il Sacro Romano
Impero, la sistemazione feudale carolingia e i regni che derivano da
essa. Per questo motivo è ambientato anche in Italia. È anche il
ciclo della lotta secolare contro l'espansione islamica.
E
in Italia? Be' i Franchi sono alla base dell'identità europea contro
il mondo musulmano, problema nascente in quei tempi. Prima il popolo
germanico che occupava la penisola italica erano i Longobardi i quali
avevano i cicli del nord: l'Edda o i Nibelunghi o il Reno ecc... ma
non avevano prodotto un ciclo epico come Longobardi divenuti
italiani. Il cantore dei Longobardi sarà Manzoni nello '800. Dunque
in Italia si poneva il problema di quale letteratura fosse alla base
del sentimento nazionale e identitario. Gli Italiani dunque non hanno
fatto che andare indietro nel tempo fino a trovare i poemi che
raccontassero l'identità italiana. Hanno trovato l'Eneide e di
conseguenza Omero. Quindi si sono detti: non abbiamo bisogno di un
ciclo cavalleresco poiché i nostri poemi sono quelli dell'antichità
classica. La forma in cui la cultura classica si era espressa in
Italia per più tempo era quella Latina e a questa architettura
fecero riferimento.
Si
potrebbe dire: ma anche il resto d'Europa era Romana. Infatti fu
proprio così che andò ma negli altri paesi europei l'identità con
differenti momenti epici era molto forte e ci volle più tempo. In un
certo senso la guerra fra stili identitari arrivò al punto che anche
quando tutti i popoli europei furono d'accordo che le origini erano
quelle classiche, la Germania scelse l'architettura greca e non
quella romana, per farne un nuovo stile. Vedremo meglio a suo tempo,
ma il motivo stava nel fatto che ormai il gotico era fisiologico per
loro e visto come stile nazionale dai Francesi e dagli Inglesi oltre
che dagli altri popoli germanici. Oltretutto era chiaro per loro che
sarebbe stato molto arduo recuperare il ritardo e riuscire a comporre
i capolavori che il classicismo romano aveva prodotto nel
Rinascimento d'Italia.
Si
era verificato un altro mutamento in Europa con origine proprio in
Italia. Mentre il gotico è lo stile della formazione dei grandi
regni nazionali: spagnolo, francese, tedesco, il ritorno al
classicismo segna la trasformazione della borghesia mercantile
italiana in alta borghesia finanziaria. In sostanza la grande
politica continentale era dettata dai grandi regni in cui si era
diviso il Sacro Romano Impero, o meglio: che avevano defezionato
dall'impero, più il regno spagnolo e portoghese della Reconquista,
ma spesso chi finanziava queste imprese erano i banchieri italiani.
Fate caso che in pratica non esiste nessuna città europea, con
importanza mercantile, in cui non esista una via dei Lombardi (poiché
coi Lombardi erano stati identificati tutti i banchieri o forse
perché in generale l'Italia era la ' Longobardia ').
Fatta
questa debita premessa siamo arrivati al secondo cambio di stile
della storia dell'architettura europea. Prima in Italia e molto dopo
e pian piano altrove, si operava il ritorno, la riscoperta dei canoni
classici. Secondo brindisi... Alla fine, vedrete, non saranno poi
molti.
Il
periodo rinascimentale, che si definisce classicista proprio perché
riprende gli elementi di linguaggio e compositivi dell'architettura
classica con consapevolezza, vede per la prima volta, in modo che
possiamo verificare e rintracciare, un costante lavoro e un dibattito
sulla maniera di riacquistare la purezza classica e allo stesso tempo
di affermare la propria novità di stile.
Dai
primi tentativi di Brunelleschi abbiamo poi la ricerca di Leon
Battista Alberti per il quale il purismo delle forme è essenziale
tanto da portare il suo studio verso la riproduzione di un arco
trionfale romano. Arco che poi porrà davanti alla chiesa di
Sant'Andrea a Mantova.
Alberti
sceglie l'arco di trionfo sia per motivi pratici: è un manufatto
grande e alto dunque ancora in gran parte sopra il piano di campagna
del suo periodo, ma anche per il fatto che era forse l'unico edificio
che non avesse addossate tutte le case che gli altri monumenti romani
avevano. L'architettura romana era conosciuta soprattutto per gli
interni; al di fuori, a parte lo spoglio di materiale che era normale
nel medioevo, gli edifici romani quasi scomparivano dietro
l'edificazione dei secoli successivi. Inoltre Alberti aveva capito
una cosa essenziale: l'arco di trionfo non serviva a niente di
pratico. Dunque poteva essere ragionevolmente sicuro che lì avrebbe
trovato l'architettura romana più pura. Non c'era nessun motivo per
modificarlo, nessun uso nuovo.
Il
Trionfo romano, che spettava ai generali vittoriosi in qualche
campagna bellica notevole o in una battaglia decisiva per le sorti di
Roma, era la riproduzione del percorso che Romolo avrebbe fatto
tornando dopo la vittoria sui Ceniniensi. Egli era entrato in città,
aveva percorso alcune vie ed era arrivato al Campidoglio dove gli era
stato tributato, per la prima volta, il Trionfo. Col Trionfo si
celebrava un uomo che era partito dalla città e l'eroe, il semidio,
che tornava per farsi consacrare. Dunque nel suo itinerario passava
attraverso alcuni punti sensibili per la storia topografica di Roma
che erano poi diventati altrettante stazioni del processo di
divinizzazione (che avveniva sempre dopo la morte, questo va
ricordato sempre per evitare errori come: l'Imperatore era un dio e
cose simili).
Perciò
questo tipo non poteva aver subito molte manomissioni e rispondeva ai
precisi canoni dell'architettura. Averlo messo come ingresso per una
chiesa riprendeva a un dipresso il significato originale di passaggio
attraverso una soglia.
Intorno
a questa architettura romana ritrovata si dibatté a lungo e molte
furono le modifiche sia d'uso compositivo, sia di forma scultorea,
tanto che oggi parliamo normalmente di linguaggio rinascimentale,
manierista, palladiano o barocco. Ma è come se parlassimo di diverse
pronunce dello stesso linguaggio che resta immutato.
Voltare
sulla colonna, l'ordine doppio del manierismo, le colonne girate di
45° del barocco, per fare degli esempi, sono sempre all'interno del
medesimo linguaggio architettonico. Che il muro sia dritto o curvo
non fa molta differenza per i fini che sto indagando.
Nella
lezione sul Barocco “ Leggere un'opera d'arte: Schönbrunn
” ho enumerato i diversi tipi di questo stile, secondo le zone o
altri motivi, ma spiegavo che sempre di Barocco si trattava.
Ho
dedicato parecchi articoli sul linguaggio rinascimentale e dunque non
mi diffondo ulteriormente, anche perché ci avviciniamo ai secoli
nostri.
Il
momento decisivo è il periodo tardo Barocco. Abbiamo visto che nel
Manierismo a volte gli elementi di linguaggio erano allusi da alcune
parti che sostituivano la totalità, essi richiamavano per così dire
tutto il discorso, spiegato nell'articolo su Palazzo Farnese “
Composizione architettonica e poeti: archi, timpani e centine ”.
Questa
tendenza prosegue nel tardo Barocco dove in più prevalgono alcuni
elementi funzionali su quelli di linguaggio, uno per tutti la
dimensione delle finestre per dare luce agli interni. È evidente che
gli elementi di linguaggio, quando erano usati, venivano sempre dal
classicismo. Essendo però le esigenze funzionali ad avere spesso la
predominanza, la formazione degli spazi interni per esempio, spesso
l'attenzione andava soprattutto a questi aspetti. Per gli esterni la
soluzione poteva essere di varia natura: la citazione della
classicità come simbolo (Fischer von Erlach), lo scatenarsi di
fantasia senza porsi particolari problemi, o una composizione
tranquilla che desse rilievo soprattutto alle novità tipologiche o
funzionali (le mansarde a esempio o le gallerie vetrate).
Naturalmente
non appena questa libertà o relativo disinteresse apparsero ' strani
' ci fu chi si ripropose di tornare a un classicismo purissimo,
questa volta si scelse la Grecia e nacque il Neoclassicismo. Il
riferimento era ai tre canoni greci e alla ricerca di purezza sia nel
linguaggio adoperato sia nella linearità delle forme. E anche qui ne
ho già parlato a proposito del Palazzo Reale di Milano.
Da
quel momento la traccia neoclassica prosegue imperterrita fino ai
primi decenni del XX sec,
Intanto
però comincia a farsi strada un nuovo ragionamento: così come noi
consideriamo classiche le architetture greco-romane, così sono
classiche per loro quelle egizie, assire, cinesi e via dicendo,
dunque possiamo ritenerle classiche anche noi. Questo ragionamento
di relativismo culturale ha due tare: la prima è che non è vero che
le architetture storiche siano ritenute classiche dalle attuali
civiltà degli stessi posti geografici (per esempio l'architettura
egizia non influenza quella islamica), secondo è che questo
linguaggio architettonico non lo può essere per noi. Abbiamo
visto come il la ricerca di linguaggio, architettonico come
letterario, è una ricerca identitaria per sua natura. È banale
dirlo ma il linguaggio grammaticale identifica appunto un popolo.
L'assunto
che qualunque forma di linguaggio architettonico si potesse usare,
tanto quello del tempo quanto quello storico geografico, a parte che
magari non è una trovata particolarmente geniale, fa scadere gli
elementi di linguaggio in elementi di decorazione. Sopra
ricordavo di non fare mai questa confusione, che però spesso è
fatta anche da storici dell'arte e spero mai da storici
dell'architettura o architetti, ma non ci giurerei.
Comincia
quello che è conosciuto come il periodo dell'Eclettismo. Qui si
cambia linguaggio? Boh... a volte sì a volte no... Sarebbe troppo
lungo vedere caso per caso se il mutamento riguarda solo la forma
degli elementi compositivi oppure proprio il linguaggio. Per esempio
una colonna neo-persiana è un cambiamento di linguaggio o solo di
conformazione plastica? E se in un edificio sono presenti più
elementi appartenenti a stili di zone diverse, o a epoche diverse?
Una colonna neo-medievale in laterizio è solo un'uscita dal canone,
se lo è, o è anche un uscita dal linguaggio? E via dicendo.
Il
problema si fa insostenibile quando appunto i vecchi elementi di
linguaggio divengono solo decorazione. Una società che cambia, che
non ne può più di improbabili accrocchi di tutto, che è esempio
politico, sociale, economico per le altre zone del mondo può
esprimersi con un linguaggio così frivolo e arbitrario? Peraltro con
tutta la pesantezza e il sussiego tipici dello '800.
Lo
fa per molto tempo, e siamo appunto coi calici vuoti a mezz'aria
perché non sappiamo se è avvenuto il terzo cambiamento di
linguaggio. Personalmente non saprei proprio se sia il caso di
festeggiare.
Fatto
sta che negli ultimi decenni del XIX sec. e i primi del XX sec.
coesistono il neoclassicismo, il neo-tutto-qualcosa e i primi
tentativi di ricerca di una nuova forma degli elementi compositivi
dell'architettura o di nuovi elementi compositivi.
Gli
anni '20 del novecento segnano l'affermarsi del Razionalismo e del
Movimento Moderno. Alziamo i calici e brindiamo perché è giunto a
compimento il terzo cambiamento di linguaggio architettonico: quello
moderno.
Qui
non solo viene bandita la decorazione architettonica in quanto
degenerazione del linguaggio architettonico, ma sia il sistema
strutturale (dal semplicemente appoggiato al telaio a incastro o nel
caso dell'acciaio alle cerniere) sia il sistema costruttivo (da
quello tradizionale in laterizi e corpi di fabbrica in legno a quello
del calcestruzzo armato o dell'acciaio) entrambi cambiano. Non
abbiamo più colonne, trabeazione, capitelli ecc... ma pilastri,
travi, setti portanti ecc... Certo, qualcuno potrebbe notare che
qualcosa del genere si era già fatto nello '800 con l'acciaio,
infatti ho scritto che gli anni '20 ' segnano l'affermazione ', non '
sono l'inizio '.
Con
Movimento Moderno si intendono tutte le avanguardie di questo
cambiamento, di cui il Razionalismo è stata la più ampia
teorizzazione.
Per
la verità ci sono stati tentativi di far coincidere la modernità
con la tradizione evitando una rottura formale e concettuale che,
appunto, non è compresa nemmeno oggi, in cui stiamo già forse
uscendo da questo linguaggio moderno.
Il
problema però è stabilire se ' queste cose qui di oggi ' sono
architetture o manufatti di altro genere. Sapete che mi ritengo un
anatomopatologo perché per me l'architettura è morta allo spirare
del millennio scorso. Quindi non mi porrò il problema. Il design è
cosa diversa dall'architettura a meno che non ne voglia far parte.
Conformare un oggetto come si voglia, a capriccio uterino dei '
creativi ' o degli archistar, non è proibito dalla legge ma esce
dalla disciplina architettonica.
Tornando
al discorso dei tentativi chiamiamoli non traumatici di
modernizzazione dell'architettura va reso il giusto omaggio all'Art
Nouveau. I risultati estetici e formali sono sotto gli occhi di
tutti, in più è estremamente importante la voglia di far coesistere
la produzione industriale con l'intervento artigianale (solo questa
ragione basterebbe a porre l'Art Nouveau fra i grandi gesti
costitutivi dell'architettura contemporanea e ne dà tutta la valenza
moderna e quasi profetica), e così dobbiamo considerare la
sperimentazione plastica sotto il discrimine delle scienze percettive
e empatiche, l'espressività della forma come modo di fusione delle
arti. Insomma un grande tentativo perduto.
Perduto
per un motivo semplice e ovvio: la società nascente è una società
industriale che ha bisogno di essere rappresentata ed espressa da
un'arte di frattura col passato, un'arte che prefiguri e disegni il
mondo dell'avvenire e non il legame col passato. L'Art Nouveau non
poteva essere il linguaggio della massa coinvolta nella grande
trasformazione industriale.
Il
linguaggio architettonico moderno non cambierà più fino alla morte
dell'architettura. Ma fare architettura moderna non è facile, non
vuol dire semplificare con delle linee rette quello che prima era
curvo o fare le case come scatole coi buchi o eliminare la
decorazione. Occorre una lunga e difficile ricerca estetica che
può esistere solo se l'intenzione è eccelsa e la voglia di
raggiungere grandi traguardi è vista come una necessità dello
spirito.
Il
mondo dell'ultimo decennio del XX sec. vi sembra sospinto da questo
anelito? E il nuovo millennio? Ahi lasso! Ma tutto era cominciato
prima.
Mentre
si elaborava l'architettura moderna, sia nei movimenti prodromici a
cavallo dei due secoli sia dagli anni '20, qualcuno si preoccupava di
estrapolare o selezionare alcuni di elementi di linguaggio necessari
per avere, se non un canone che sarebbe stata una contraddizione in
termini (il MM è un'avanguardia e non può nascere da canoni!),
almeno alcuni punti di riferimento per cominciare a delineare le
norme del linguaggio, insomma una sua sintassi.
Alcuni
invece si posero il problema di come questa architettura, dalle
valenze simboliche così ampie, potesse diventare l'espressione di un
mondo nuovo, un mondo in cui le differenze si annullavano nel nome
della modernità.
Uno
che tentò di fare entrambe le cose fu, con la solita supponenza, Le
Corbusier.
Dopo
la seconda guerra mondiale si impose, laddove non fosse presente il
modello collettivista, il capitalismo internazionale e la sua
rappresentazione artistica, per i nostri fini quella architettonica
dello International Style.
Gli
edifici, le tipologie, le forme dovevano esprimere l'adesione al
mondo nuovo, indipendentemente dal luogo in cui erano costruiti.
Be',
a molti potrà sembrare strano ma proprio l'indifferenza al luogo
storico e geografico di progettazione e costruzione potrebbe essere
un elemento abbastanza grave da far intendere questo linguaggio,
detto International Style, come un vero e proprio cambiamento di
linguaggio.
Il
discorso è molto ampio e non ha come oggetto quello di questo
articolo, ma l'ipotesi è più vera che falsa. Rimando al post “
Come è morta l'architettura ” e a successive riflessioni che potrò
fare.
Se
l'ipotesi fosse vera, e i risultati estetici e linguistici
sgrammaticati o addirittura analfabetici degli edifici odierni
sembrano confermarlo, saremmo al quarto cambiamento di linguaggio
in duemilacinquecento anni di storia dell'architettura occidentale e
cinquemila di quella conosciuta. Se non fosse che questo
cambiamento è quello in exitus.
Per
concludere: abbiamo visto come i cambiamenti di linguaggio
architettonici siano molto rari e quando ci si riferisce a uno stile
si intendono le mutazioni di carattere scultoreo e plastico degli
elementi architettonici (quindi sarebbe una conseguenza che ha la
sua origine al di fuori della disciplina) o alle diverse
relazioni fra elementi di linguaggio invarianti.
Con
questo articolo spero di aver fatto un po' di chiarezza almeno fra
gli addetti ai lavori o fra gli appassionati di arte. Di spiegare
agli ignoranti mi sono stufato, tanto è inutile.
Pietro della Vecchia - Allegoria dell'Architettura |
R.P.
Posteris
memoria mea