Nella
mia prima raccolta di versi, “ Un po'esie ” ho usato tre forme:
quella che ho chiamato esametri, il sonetto e il tanka.
La
struttura tanka è già una ripresa della forma classica giapponese
applicata a una lingua e soprattutto a un alfabeto che sono del tutto
dissimili, dunque considerazioni di carattere generale non mi
sentirei di farne. Al più si può dire che occorre molta sintesi,
soprattutto in una lingua polisillabica come l'italiano, perché è
molto difficile esprimere dei concetti in uno spazio così breve, e
ne deriva una poesia di evocazione, di allusione quasi. Tecnicamente
la struttura è l'alternanza di quinari e settenari, che può
continuare in composizioni più estese, con la conclusione di un
distico di settenari. E a volte quelle quattro sillabe di più
servono davvero per finire la poesia. Si fa anche un grande uso di
elisioni, sinizesi e sineresi ovviamente.
Come
ho già detto. L'esametro è l'estensione in senso verticale del
verso esametro della poesia classica.
La
struttura dell'esametro è _ _ _ _ _ _ _ _ _ uu
_ _ oppure _uu al posto di
_ _ ecc... _ uu d'obbligo al
quinto piede e conclusione _u.
l'accento va sempre sulla prima sillaba.
Ho
ipotizzato che per ogni sillaba lunga corrisponda un verso lungo, un
endecasillabo per esempio, e a ogni corta un verso più breve, un
settenario per esempio. Con tutte le permutazioni possibili per non
rendere lo schema troppo rigido.
Quindi:
endecasillabo
endecasillabo
endecasillabo
endecasillabo
endecasillabo
endecasillabo
endecasillabo
endecasillabo
endecasillabo
settenario
settenario
endecasillabo
endecasillabo
oppure
endecasillabo
settenario
settenario
ecc..
endecasillabo
settenario
e
tutte le permutazioni possibili.
Questi
versi possono rimare o essere consonanti, accoppiati o alterni.
Lo
schema nascerà dai versi che vengono e si ordineranno nel modo
diremmo più naturale.
Certo
la rima baciata diventa presto monotona a meno di non cambiarla per
ogni piede o per piedi alternati o a caso (cioè secondo il caso,
ossia suggerita dai versi, non ad mentulam). L'alternanza di sillaba
finale nella coppia di endecasillabi è più scorrevole.
Viene
naturale che la sillaba finale sia diversa fra endecasillabi e
settenari e che i settenari diventino un distico consonante, ma non
è una regola.
Quando
lo schema prevede endecasillabi alternati a coppia ma con lo stesso
tipo di consonanza i primi otto versi diventano un passo regolare e
il quinto e il sesto piede siano la chiosa del componimento. Un po'
come avviene nell'ottava rima: AB AB AB CC.
Quello
che gli esametri danno, motivo per cui ho deciso di continuare a
utilizzarli, è che usando la libertà delle permutazioni, ogni
poesia prende un suo ritmo musicale, che è esattamente lo scopo per
il quale era usata dai poeti classici.
L'alternanza
fra distici endecasillabi o terzine può spezzare la poesia in due
parti o immettere una discontinuità nel ritmo, una sincope si
direbbe in musica, che obbliga ad aumentare o diminuire il ritmo del
verso.
Ecco
alcuni esempi della struttura di base. Tutti gli esempi sono tratti
da “Un po'esie”
Questa
poesia nacque dagli occhi azzurri di una ragazza del passato, in cui
il battito delle ciglia mi sembrò come i remi che affondano
nell'acqua per iniziare un bel viaggio.
Qui
lo schema indica che le prime quattro coppie dei versi sono la parte
che introduce la conclusione. In particolare il quarto distico,
esordendo con un 'ma' comincia a rompere il ritmo di narrazione. Il
quinto piede e il distico finale sono resi coesi dall'uso della
stessa sillaba finale dei settenari.
I
tuoi occhi sono un mare pescoso
di
ogni delizia, e le flessili ciglia
remi
alla nave di Odisseo glorioso.
Odor
di mare, suono di conchiglia,
d’un
viaggio e d’un approdo ascoso,
gioia
mortale, ottava meraviglia.
Ma
tu, altera, mi lasci doloroso
e
uno strano sgomento mi si appiglia.
Così
resto da un canto timoroso,
spemente
e trepido
d’un
azzurro tuo sguardo
che,
come acqua, mi faccia meno roso
del
fuoco di cui ardo.
(schema:
AB AB AB AB Acc Ac)
Quest'altra
è nata da un'ape che suggeva in uno degli ultimi fiori autunnali, il
che mi apparse come un disperato anelito di vita. Lo schema vede la
stessa rima finale per gli endecasillabi e cambio di sillaba per ogni
coppia di settenari. L'endecasillabo finale cambiando di sillaba è
come un colpo di arresto per tutta la narrazione che ha il ritmo dei
2/4 musicali, nella proporzione, ad esempio, di un ottava e due
sedicesimi.
Fra
l'altro, quando nell'esametro si passa al modello trocheo si hanno
degli interessanti terzetti di parole finali: morte, fuori, colori –
sorte, pasto, vasto – smorte, piccini, ottobrini – corte, sferza,
forza – forte, ultimo, estremo.
Nell’autunno
dalle foglie morte,
vive
solo di fuori
nei
vividi colori,
l’ape
dorata tenta la sua sorte:
cerca
l’esito pasto,
ma
il mondo è meno vasto.
Nelle
corolle sempre più smorte,
fra
i fiori piccini,
fra
i rami ottobrini,
tenta
sfuggir le giornate corte,
col
sole che ancora sferza
ma
non ne ha più la forza.
Anche
il bottone è ormai meno forte:
testimone
ultimo
dello
sforzo estremo,
sboccia
e beve la vita con la morte,
mai
sazio, fino all’ultima goccia.
(schema:
Abb Acc Add Aee Aff AG)
L'ultima
che propongo è un inno vitalistico che mi è stato suggerito dai
versi da “Testa di fauno” di Arthur Rimbaud: “...Un
fauno attonito mostra i suoi due occhi / E morde i fiori rossi coi
suoi denti bianchi / Brunito e sanguinante come un vecchio vino...”
e in generale da tutta la poesia. Con l'invocazione finale verso una
dissoluzione liberatoria. Qui abbiamo che l'alternanza fra undici e
sette sillabe nei versi ripete sempre le medesime sillabe reiterando
la stessa terzina. Nonostante l'inarcatura fra il terzo e il quarto
verso ne esce un ritmo continuo a cerchi concentrici che terminano
bruscamente col distico finale che è come una terzina zoppa. Anche
qui si può fare lo stesso gioco delle parole finali e ne esce una
sorta di poesia futuristica.
Basta
guardare alla vita e gemere
aspettando
il riscatto.
Sorto
come un fauno,
con
denti di zucchero voglio azzannare,
dolcemente
matto,
l’anima
di ognuno.
Alzarmi
all’alba per vedere splendere
di
bagliore intatto
il
sole del mattino.
Contemplare
la luna brillare,
sul
tetto con il gatto,
nell’etere
notturno.
Insidiare
nudo le ninfe altere
con
il viso scarlatto,
ma
non è sangue: è vino.
Dormire,
sazio ed ebbro, finalmente,
senza
cura di niente.
(schema:
Abc Abc Abc Abc Abc Dd)
Il
sonetto è composto di quattordici versi della stessa lunghezza, il
più usato è l'endecasillabo.
Ne
esistono di due schemi quello a rime alternate ABAB ABAB CDE CDE o
quello detto alla provenzale ABBA ABBA CDE CDE c'è anche quello
shakesperiano ABAB CDCD EFG EFG che però non ho usato in questa
silloge.
Nel
primo e nell'ultimo caso le strofe sono il tessuto narratore e le
sirme, o vero le terzine, il cambio di ritmo e la conclusione. Le
terzine sono spesso usate con grande libertà ma in genere in modo
uguale fra loro. Anche qui la regola c'è ma si può benissimo
adattarla alle esigenze della poesia, se non ci si pone di rispettare
rigidamente la forma. Le permutazioni sono tutte quelle possibili.
Nel
caso in cui si adottino rime rispecchiate, come nel caso provenzale,
la prima parte della poesia sarà molto più chiusa come sotto
composizione e le terzine finali giocheranno un ruolo di fuga molto
più accentuato.
Ora
va detto che questo può essere voluto o meno dal poeta. Si può
partire con l'idea di costruire una poesia con un determinato schema.
Allora è bene fissare dei versi di imposta e riempire i vuoti con
dei versi accessori. A volte succede che il livello lirico si ottenga
di più nei versi accessori. Se invece lo schema viene da sé, solo
adattando i versi precedenti, ho già detto che con l'abitudine
l'endecasillabo è automatico nelle orecchie, allora la poesia avrà
un ritmo magari non aspettato e che dà un tono particolare alla
composizione.
La
poesia non è una scienza e molto è lasciato alla verve del poeta, a
volte il cervello ragiona da solo per noi. Regole compositive ce ne
sono a iosa ma la tendenza è a non farsi ingabbiare troppo da
queste norme che a volte sono cervellotiche come solo un letterato sa
fare. Il problema è la coerenza di quello che si fa, più che
l'abilità enigmistica di trovare la soluzione alla forma scelta.
I
due sonetti successivi hanno come tema quello della 'passante'. La
prima era una ragazza tipologicamente 'popolana' la quale,
consapevole della sua bellezza e esitando fra l'ostentazione e il
pudore risultava irresistibilmente tenera. Le prime due strofe sono
descrittive, le sirme portano il sentimento rispecchiando un'immagine
evocata con la fuga lirica. Strofe e sirme sono specchiate.
D’un
tratto mi hai riempito di colori.
Mi
fermai perché prima di me passassi,
col
viso serio più che tu non fossi,
gli
occhi bruni ed i capelli neri.
Nella
blusetta di velo a fiori
e
il seno che ti sobbalzava ai passi,
nella
gonna stretta ai fianchi mossi
eri
azzurra nube di verdi umori.
Profumavi
dolce di caramella,
uno
di quei trastulli di zucchero,
bianchi
e rossi, che s’attaccano alle dita.
Alito
rosa e porpora infinita,
come
se un sogno si voltasse in vero,
e
non sapevi tu quanto eri bella!
(schema:
ABBA ABBA CDE EDC)
In
quest'altra invece la passante non si vede, si percepiscono dei
rumori e dei profumi per cui rimanda a un'altra passante la cui
crudeltà amorosa sale in crescendo. L'alternanza delle sillabe e le
sirme in terzine dantesche propongono una narrazione continua
dall'inizio alla fine della poesia.
L’aria
si scolora di nebbia alata
e
profuma di biscotto e di cannella.
Tacchi
acuti sulla via selciata
annunciano
una donna fatua e bella.
Una
sera d’ottobre desolata
e
struggente di fragranza novella
si
anima di speranza mai sopita:
che
la donna sia la tua, che sia quella.
Ma
non c’è nulla che segua il suono.
L’eco
è solo il mostrarsi di un’assenza,
tono
falso, crudele e disumano.
Quanto
tempo che ti aspetto invano!
Che
mi presto alla tua scema violenza,
che
chiudo mesto le imposte piano.
(schema:
ABAB ABAB CDC CDC)
Il
convivio, semplicemente lo stare insieme a tavola è il tema
dell'ultimo sonetto proposto. Si sente una suggestione dai lirici
greci. Lo schema provenzale rispetta gli argomenti che sono esposti
con ordine, lo stesso avviene con le sirme che ribadiscono la loro
chiusura col distico finale della stessa sillaba.
Quando
il tempo dell’apogeo del sole
volge
al termine la stagione bella
e
lascia luogo all’epoca novella,
festa
dell’anno, l’autunno sale.
Ricchi
di vino e cibi nelle sale,
è
caro accanto al fuoco che favilla
passar
la notte dietro una scintilla
blandendo
il cuore con vaghe parole.
Chiedere
come vanno le cose,
i
soldi, l’amore e la vita ancora
e
parlare di come il mondo gira,
sapendo
che son più spine che rose.
E
intanto il tempo passa ora ad ora
e
la notte lascia luogo all’Aurora.
(schema:
ABBA ABBA CDD CDD)
R.P.
Posteris
memoria mea