Approfitto
di qualche giorno di fresco per mettere giù un post estivo.
Devo
premettere che non so se qualcuno lo potrà leggere perché la
censura di Google ai danni del mio blog continua. Nel mio post sulle
“Muse: il rapporto reciproco delle arti a Roma” concludevo
scherzosamente, commentando i tanti lettori dagli Emirati Arabi
Uniti, dicendo che forse mi seguivano perché stavano per mandarmi la
fatwa, e che però mi sarei aspettato prima la fatwa del PD. Bene,
anzi male, puntualmente la scomunica del PD è arrivata. La prima
flessione abnorme nelle visualizzazioni fu dopo il commento sull'atto
avventato del Presidente Mattarella quando rigettò il nome del
professor Savona come Ministro dell'Economia. La botta decisiva fu
quando scrissi il post in cui mi dicevo contento che ci fosse un
governo in cui non fosse presente né il Berlusca né soprattutto il
PD.
Vittimismo?
Il mio blog è piccolo e io non sono nessuno, come dico sin dal primo
post, ma avevo una media di alcune decine di visualizzazioni al
giorno. Dopo il post sul nuovo governo, di colpo, le visualizzazioni
sono scese ad alcune al giorno. Si sono decimate. Voi cosa direste?
Ecco
perché affermo che non so se qualcuno riesca a vedere il mio blog e
di conseguenza a leggere questo articolo: perché credo che a molti
sia capitato, digitando il link del blog, che gli sia apparsa la
scritta 'pagina irraggiungibile' o qualcosa di simile, non so come
facciano a censurare, che sistema usino.
Il
metodo è di farti incazzare, deludere e rinunciare, ma io continuo a
scrivere. Aspettando tempi migliori.
Vengo
al dunque. Sto rileggendo Orazio, che mi piace, e non potrebbe essere
diversamente, poiché ebbe il merito di riscoprire, in modo convinto
direi, i lirici greci, per me uno dei vertici della poesia. Lo leggo
in una buona traduzione dopo averlo letto in precedenza in una
pessima. Preciso che io sto leggendo: Orazio “Odi ed epodi, e canto
secolare” tradotto e a cura di Ugo Dotti, Universale Economica
Feltrinelli, 2a edizione, 2018. Ma nel testo non utilizzerò questa
traduzione perché volevo avvalermi del copia-incolla da siti senza
dovermi riscrivere tutto. Ma utilizzerò le note, dunque era doveroso
citare la fonte.
Voglio
parlare dell'epodo 13° e farci una considerazione generale sulla
poesia.
Ecco
il testo integrale.
XIII
Horrida
tempestas caelum contraxit et imbres
nivesque deducunt Iovem; nunc mare, nunc siluae
Threicio Aquilone sonant. Rapiamus, amici,
occasionem de die dumque virent genua
et decet, obducta solvatur fronte senectus.
Tu vina Torquato move consule pressa meo.
Cetera mitte loqui: deus haec fortasse benigna
reducet in sedem vice. Nunc et Achaemenio
perfundi nardo iuvat et fide Cyllenea
levare diris pectora sollicitudinibus,
nobilis ut grandi cecinit Centaurus alumno:
'Invicte, mortalis dea nate puer Thetide,
te manet Assaraci tellus, quam frigida parvi
findunt Scamandri flumina lubricus et Simois,
unde tibi reditum certo Subtemine Parcae
rupere, nec mater domum caerula te revehet.
Illic omne malum vino cantuque levato,
deformis aegrimoniae dulcibus adloquiis.'
nivesque deducunt Iovem; nunc mare, nunc siluae
Threicio Aquilone sonant. Rapiamus, amici,
occasionem de die dumque virent genua
et decet, obducta solvatur fronte senectus.
Tu vina Torquato move consule pressa meo.
Cetera mitte loqui: deus haec fortasse benigna
reducet in sedem vice. Nunc et Achaemenio
perfundi nardo iuvat et fide Cyllenea
levare diris pectora sollicitudinibus,
nobilis ut grandi cecinit Centaurus alumno:
'Invicte, mortalis dea nate puer Thetide,
te manet Assaraci tellus, quam frigida parvi
findunt Scamandri flumina lubricus et Simois,
unde tibi reditum certo Subtemine Parcae
rupere, nec mater domum caerula te revehet.
Illic omne malum vino cantuque levato,
deformis aegrimoniae dulcibus adloquiis.'
Ed
ecco la traduzione. Che ho un po' sistemato.
Un'orrida
tempesta ha chiuso il cielo
e
pioggia e neve rovesciano Giove in terra,
mare
e selve risuonano sotto il tracio Aquilone.
Su
dunque, amici, ora strappiamo al giorno
il
suo dono mentre nelle gambe ci rimane un po' di vigore
e
possiamo, svanisca dalla fronte l'ombra della vecchiaia.
Tu
porta in tavola quel vino premuto quando nascevo
e
non dire nient'altro. Allora forse un dio, benigno,
ci
riporterà il sereno. Ora fa piacere cospargerci di nardo achemenio
e
con la cetra cillenia sollevare l'animo dalle angosce.
Fece
altrettanto un tempo il nobile centauro
così
profetizzando a quel suo illustre allievo:
“Invitto
giovane nato mortale da Tetide divina,
ti
attende ormai di Assaraco la terra, solcata da gelide acque
del
piccolo Scamandro e dal veloce Simoenta:
ma
sappi che le Parche, che tessono immutabili,
hanno
ormai stabilito di spezzare il tuo ritorno.
E
neppure tua madre, cerulea dea del mare, potrà ricondurti.
Laggiù
potrai lenire ogni dolore col vino e il canto,
dolci
consolazioni all'amarezza che accora e sfigura.
Allora,
qua si legge che il poeta incita gli amici a confortarsi con profumi,
vino e cetra dall'arrivo di una tempesta. Naturalmente però colpisce
il tono molto drammatico, e viene da pensare che non sia solo
questione di maltempo. Ci sono alcuni passaggi: il riferimento alla
senilità o se si preferisce alla gioventù che fugge, la speranza in
un Dio benigno, il ricordo di Chirone, centauro maestro d'Achille,
mentre vaticina al suo allievo la morte certa sotto le mura di Troia.
Tutti questi momenti fanno pensare a una riflessione più profonda.
Forse solo da ricercare nelle sensazioni esistenziali del tempo che
passa, della forza che svanisce, della transitorietà delle cose
rispetto al destino, al Fato.
Ma
il curatore propone, sulla base della datazione del vino 'delle
grandi occasioni', come la nascita, 'quando fu console Torquato' (che
giustamente non è tradotto letteralmente perché per noi non vuol
dire nulla ma che per i Romani era una data precisa: l'anno 688 dalla
fondazione di Roma, o sia il 65 a.c.) che si possa riferire a un
episodio della vita di Quinto Orazio Flacco: il dopo la battaglia di
Filippi, del 42 a.c., in cui il poeta aveva combattuto dalla parte di
Bruto e Cassio, e aveva perso. Tornato a Roma la tempesta, la
preoccupazione, era cosa sarebbe successo. Keep calm perché dopo
conobbe e strinse amicizia con Mecenate e non gli capitò nulla. Ma
il curatore fa notare che mancano nel componimento delle indicazioni
esplicite a questo avvenimento. In sostanza solo l'epiteto di Tracio
del vento Aquilone rimanda a Filippi che era appunto in Tracia. Ma
questo appellativo di Aquilone è comune poiché la Tracia è a nord
dell'intero Mar Egeo. Troppo poco appunto.
Ma
allora questa ipotesi non la possiamo proprio fare?
La
mia riflessione è che qui ci troviamo di fronte a un caso classico
della poesia in cui la lettura letterale può coesistere con altre di
carattere intimo, esistenziale, politico. E l'una non esclude le
altre.
Certo,
se sapessimo con certezza che l'epodo è stato scritto nel 44 a.c.,
allora Filippi non potrebbe centrare, a meno che Orazio possedesse
doti predittive come Chirone, ma in tal caso sarebbe stato un fesso a
mettersi dalla parte dei repubblicani.
Il
traduttore deduce che sia una composizione fra le più antiche, ma a
ben vedere non è nemmeno necessario. In effetti Orazio partecipò
alla battaglia di Filippi a ventitre anni, più o meno all'età in
cui oggi si sottrae la tettarella. Ma se avesse composto l'epodo poco
dopo a che scopo la citazione della senescenza?
Si
può tranquillamente immaginare un Quinto maturo che alla vista dell'approssimarsi e
poi scatenarsi di una tempesta, ricordi i momenti difficili della sua
vita, e poi il tempo che è passato, il vigore giovanile che aveva al
tempo e che sente venir meno, e reagisce risolvendo che è meglio non
lasciarsi andare ai tristi pensieri, che quel che deve succedere
accadrà ed è meglio vivere il presente in cose che danno gioia e,
se hanno la forza di lenire le angosce, sono anche (a mio parere
almeno, ma credo anche al suo) uno dei sensi fondamentali della vita.
Penso
che la poesia sia questa: un ampliarsi della percezione estetica, un
richiamo fra le cose e non solo fra le parole, una sintesi
ricapitolativa di chi noi siamo. In un attimo. Attimo che a onde
cresce e si muove e chissà dove porta il poeta e il lettore. La
capacità evocativa di cui sempre parlo, l'evoluzione da una cosa
notata, magari piccola o banale, ma alla fine vista che si scatena e
produce sensazioni, riflessioni, risoluzioni. Or azioni appunto.
Ah,
non ho spiegato cos'è il nardo achemenio e la cetra cillenia o la
terra d'Assaraco perché, come ho più volte avvisato
IO
NON FACCIO PARAFRASI!
Prendete
un bel respiro e ripetete: la parafrasi è la morte della poesia, la
parafrasi è la morte della poesia, la parafrasi è la morte della
poesia, la parafrasi è la morte della poesia...
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