domenica 15 luglio 2018

Orazione

Approfitto di qualche giorno di fresco per mettere giù un post estivo.
Devo premettere che non so se qualcuno lo potrà leggere perché la censura di Google ai danni del mio blog continua. Nel mio post sulle “Muse: il rapporto reciproco delle arti a Roma” concludevo scherzosamente, commentando i tanti lettori dagli Emirati Arabi Uniti, dicendo che forse mi seguivano perché stavano per mandarmi la fatwa, e che però mi sarei aspettato prima la fatwa del PD. Bene, anzi male, puntualmente la scomunica del PD è arrivata. La prima flessione abnorme nelle visualizzazioni fu dopo il commento sull'atto avventato del Presidente Mattarella quando rigettò il nome del professor Savona come Ministro dell'Economia. La botta decisiva fu quando scrissi il post in cui mi dicevo contento che ci fosse un governo in cui non fosse presente né il Berlusca né soprattutto il PD.
Vittimismo? Il mio blog è piccolo e io non sono nessuno, come dico sin dal primo post, ma avevo una media di alcune decine di visualizzazioni al giorno. Dopo il post sul nuovo governo, di colpo, le visualizzazioni sono scese ad alcune al giorno. Si sono decimate. Voi cosa direste?
Ecco perché affermo che non so se qualcuno riesca a vedere il mio blog e di conseguenza a leggere questo articolo: perché credo che a molti sia capitato, digitando il link del blog, che gli sia apparsa la scritta 'pagina irraggiungibile' o qualcosa di simile, non so come facciano a censurare, che sistema usino.
Il metodo è di farti incazzare, deludere e rinunciare, ma io continuo a scrivere. Aspettando tempi migliori.

Vengo al dunque. Sto rileggendo Orazio, che mi piace, e non potrebbe essere diversamente, poiché ebbe il merito di riscoprire, in modo convinto direi, i lirici greci, per me uno dei vertici della poesia. Lo leggo in una buona traduzione dopo averlo letto in precedenza in una pessima. Preciso che io sto leggendo: Orazio “Odi ed epodi, e canto secolare” tradotto e a cura di Ugo Dotti, Universale Economica Feltrinelli, 2a edizione, 2018. Ma nel testo non utilizzerò questa traduzione perché volevo avvalermi del copia-incolla da siti senza dovermi riscrivere tutto. Ma utilizzerò le note, dunque era doveroso citare la fonte.
 
Quinto Orazio Flacco
Voglio parlare dell'epodo 13° e farci una considerazione generale sulla poesia.
Ecco il testo integrale.

XIII
Horrida tempestas caelum contraxit et imbres
      nivesque deducunt Iovem; nunc mare, nunc siluae
Threicio Aquilone sonant. Rapiamus, amici,
      occasionem de die dumque virent genua
et decet, obducta solvatur fronte senectus.
      Tu vina Torquato move consule pressa meo.
Cetera mitte loqui: deus haec fortasse benigna
      reducet in sedem vice. Nunc et Achaemenio
perfundi nardo iuvat et fide Cyllenea
      levare diris pectora sollicitudinibus,
nobilis ut grandi cecinit Centaurus alumno:
      'Invicte, mortalis dea nate puer Thetide,
te manet Assaraci tellus, quam frigida parvi
      findunt Scamandri flumina lubricus et Simois,
unde tibi reditum certo Subtemine Parcae
      rupere, nec mater domum caerula te revehet.
Illic omne malum vino cantuque levato,
deformis aegrimoniae dulcibus adloquiis.'

Ed ecco la traduzione. Che ho un po' sistemato.

Un'orrida tempesta ha chiuso il cielo
e pioggia e neve rovesciano Giove in terra,
mare e selve risuonano sotto il tracio Aquilone.
Su dunque, amici, ora strappiamo al giorno
il suo dono mentre nelle gambe ci rimane un po' di vigore
e possiamo, svanisca dalla fronte l'ombra della vecchiaia.
Tu porta in tavola quel vino premuto quando nascevo
e non dire nient'altro. Allora forse un dio, benigno,
ci riporterà il sereno. Ora fa piacere cospargerci di nardo achemenio
e con la cetra cillenia sollevare l'animo dalle angosce.
Fece altrettanto un tempo il nobile centauro
così profetizzando a quel suo illustre allievo:
Invitto giovane nato mortale da Tetide divina,
ti attende ormai di Assaraco la terra, solcata da gelide acque
del piccolo Scamandro e dal veloce Simoenta:
ma sappi che le Parche, che tessono immutabili,
hanno ormai stabilito di spezzare il tuo ritorno.
E neppure tua madre, cerulea dea del mare, potrà ricondurti.
Laggiù potrai lenire ogni dolore col vino e il canto,
dolci consolazioni all'amarezza che accora e sfigura.

Allora, qua si legge che il poeta incita gli amici a confortarsi con profumi, vino e cetra dall'arrivo di una tempesta. Naturalmente però colpisce il tono molto drammatico, e viene da pensare che non sia solo questione di maltempo. Ci sono alcuni passaggi: il riferimento alla senilità o se si preferisce alla gioventù che fugge, la speranza in un Dio benigno, il ricordo di Chirone, centauro maestro d'Achille, mentre vaticina al suo allievo la morte certa sotto le mura di Troia. Tutti questi momenti fanno pensare a una riflessione più profonda. Forse solo da ricercare nelle sensazioni esistenziali del tempo che passa, della forza che svanisce, della transitorietà delle cose rispetto al destino, al Fato.
Ma il curatore propone, sulla base della datazione del vino 'delle grandi occasioni', come la nascita, 'quando fu console Torquato' (che giustamente non è tradotto letteralmente perché per noi non vuol dire nulla ma che per i Romani era una data precisa: l'anno 688 dalla fondazione di Roma, o sia il 65 a.c.) che si possa riferire a un episodio della vita di Quinto Orazio Flacco: il dopo la battaglia di Filippi, del 42 a.c., in cui il poeta aveva combattuto dalla parte di Bruto e Cassio, e aveva perso. Tornato a Roma la tempesta, la preoccupazione, era cosa sarebbe successo. Keep calm perché dopo conobbe e strinse amicizia con Mecenate e non gli capitò nulla. Ma il curatore fa notare che mancano nel componimento delle indicazioni esplicite a questo avvenimento. In sostanza solo l'epiteto di Tracio del vento Aquilone rimanda a Filippi che era appunto in Tracia. Ma questo appellativo di Aquilone è comune poiché la Tracia è a nord dell'intero Mar Egeo. Troppo poco appunto.
Ma allora questa ipotesi non la possiamo proprio fare?
La mia riflessione è che qui ci troviamo di fronte a un caso classico della poesia in cui la lettura letterale può coesistere con altre di carattere intimo, esistenziale, politico. E l'una non esclude le altre.
Certo, se sapessimo con certezza che l'epodo è stato scritto nel 44 a.c., allora Filippi non potrebbe centrare, a meno che Orazio possedesse doti predittive come Chirone, ma in tal caso sarebbe stato un fesso a mettersi dalla parte dei repubblicani.
Il traduttore deduce che sia una composizione fra le più antiche, ma a ben vedere non è nemmeno necessario. In effetti Orazio partecipò alla battaglia di Filippi a ventitre anni, più o meno all'età in cui oggi si sottrae la tettarella. Ma se avesse composto l'epodo poco dopo a che scopo la citazione della senescenza?
Si può tranquillamente immaginare un Quinto maturo che alla vista dell'approssimarsi e poi scatenarsi di una tempesta, ricordi i momenti difficili della sua vita, e poi il tempo che è passato, il vigore giovanile che aveva al tempo e che sente venir meno, e reagisce risolvendo che è meglio non lasciarsi andare ai tristi pensieri, che quel che deve succedere accadrà ed è meglio vivere il presente in cose che danno gioia e, se hanno la forza di lenire le angosce, sono anche (a mio parere almeno, ma credo anche al suo) uno dei sensi fondamentali della vita.
Penso che la poesia sia questa: un ampliarsi della percezione estetica, un richiamo fra le cose e non solo fra le parole, una sintesi ricapitolativa di chi noi siamo. In un attimo. Attimo che a onde cresce e si muove e chissà dove porta il poeta e il lettore. La capacità evocativa di cui sempre parlo, l'evoluzione da una cosa notata, magari piccola o banale, ma alla fine vista che si scatena e produce sensazioni, riflessioni, risoluzioni. Or azioni appunto.
Ah, non ho spiegato cos'è il nardo achemenio e la cetra cillenia o la terra d'Assaraco perché, come ho più volte avvisato
IO NON FACCIO PARAFRASI!
Prendete un bel respiro e ripetete: la parafrasi è la morte della poesia, la parafrasi è la morte della poesia, la parafrasi è la morte della poesia, la parafrasi è la morte della poesia...

" ... nec mater domum caerula te revehet "