martedì 15 agosto 2017

La Plaza de Toros de Milan - Per un ridisegno di Piazza del Duomo

La salida del toro
In questo post vi voglio mostrare una proposta di ridisegno di Piazza del Duomo a Milano che ho progettato, in scala urbana, per migliorare la piazza più conosciuta della mia città. Per molti non milanesi è l'unica conosciuta insieme, forse, a Piazza della Scala.
Anche se il disegno è una pastrugnata con Paint, sapete che io sono architetto e quando lo facevo ero piuttosto bravo. Dunque non è uno scherzo. Se mi gira il birlo potrei anche fare un progetto vero e proprio, con planimetrie e alzati. Ma non so se mi verrà mai la voglia di rimettermi a disegnare.
Procedo per punti di analisi e poi illustrerò la proposta progettuale.

Analisi dello stato attuale.
Piazza del Duomo - Planimetria
Questa è la planimetria del sito di progetto con alcune indicazioni per chi non fosse della città. Rispetto a quello che ho segnato e che è quello che serve per capire, si deve considerare anche quella grossa piazza fascista a sud, Piazza Diaz, e vale la pena di notare il Cordusio (Curs ducis o Corte del Capitano del Popolo, uno dei luoghi più antichi e importanti di Milano) che è quella bellissima piazza ottocentesca ovale in alto a nord ovest, subito dopo la Piazza dei Mercanti. Un altro monumento della piazza è quell'edificio a fianco del palazzo reale che è il Palazzo dell'Arcivescovado che non ho indicato perché non prospice sulla piazza.

La Piazza del Duomo è nata su disegno del progettista della Galleria Vittorio Emanuele II che fu l'ingegner Giuseppe Mengoni, nel 1867. L'intento del progettista era evidentemente quello di fornire alla cattedrale una piazza monumentale.
Qui sta il primo errore: il Duomo è una chiesa gotica e normalmente una chiesa gotica non ha una piazza regolare davanti a sé, anzi a volte non ha nemmeno una piazza ma solo il sagrato. Vedremo poi che, nonostante la lunghissima vita del Duomo, da basilica romana all'attuale chiesa, non ebbe mai una piazza vera e propria. E questo perché in epoca romana davanti alla basilica sulla quale è sorta la chiesa cattedrale c'era un'altra basilica: quella di Santa Tecla. Alla demolizione di questa restò uno spazio vuoto irregolare. Ma tutto questo fu assolutamente normale anche e soprattutto quando alla fine del XIV secolo, la chiesa assunse le forme gotiche.
Dunque una enorme piazza laddove non ce n'era mai stata la necessità.
La relativa qualità degli edifici che ne fanno il bordo è meno importante per definire Piazza del Duomo una brutta piazza. Guardate le foto d'insieme della piazza che ho messo verso la fine del post per farvi un'idea.
Facendo una rapida ispezione tutt'intorno, da nord a sud, troviamo questi edifici. Lato nord: la facciata dell'uscita della Galleria, decisamente brutta, come ho già avuto modo di dire, la facciata del complesso della Galleria anch'essa d'un pesante stile neorinascimentale a cui manca più che la bellezza un minimo senso di eleganza. Lato ovest: due palazzi di cui il più grande è Palazzo Carminati, d'epoca post unitaria e, come tale, né bello né brutto. Una volta c'erano appese le pubblicità al neon poi se dio vuole le hanno tolte. Lato sud: un edificio gemello della facciata della galleria di fronte, per cui valgono le stesse considerazioni sulla qualità formale, l'Arengario, (dove il Duce avrebbe dovuto tenere le sue arringhe, in senso romano, evidentemente...), di fronte al sito dell'Arengo la prima 'piazza del Duomo' ottenuta dopo la demolizione di Santa Tecla, edificio di mediocrissima architettura fascista che aumenta il senso di accozzo di stili che non c'entrano un tubo e non risolvono il senso della piazza. Poi finalmente la Piazzetta Reale con la splendida facciata di Palazzo Reale di Piermarini iniziata nel 1773. Lato est la facciata del Duomo. È il classico caso, molto comune in Italia di facciata ottocentesca di chiese cui non erano riusciti a tirarne su una in tutti i secoli di storia. Le parti più antiche sono le cornici dei finestroni manieristi di Galeazzo Alessi, che giustamente sono rimasti nel progetto finale della facciata che è neogotica, antica anche qualcuna delle cinque porte di bronzo. Come ho già avuto modo di dire, la soluzione adottata non è disprezzabile alla fine, si è cercato di legare le quote della cattedrale gotica con quella degli interventi manieristi. Fa un po' ridere vedere i turisti fotografare la parte meno bella e più recente di una delle chiese più famose del mondo e un capolavoro italiano dell'architettura gotica cosiddetta internazionale.
Ma quello che proprio non funziona della piazza è la sua enorme dimensione, circa 130 m. per 170 m. considerando la piazza vera e propria cioè la parte davanti alla cattedrale, e, per la mancanza di edifici di grande qualità architettonica in quanto Palazzo Reale è mediato dalla sua Piazzetta, il senso dispersivo, la mancanza di significato. Fra l'altro troneggia al centro il retorico monumento equestre a Vittorio Emanuele II che a quanto mi ricordi ha solo un'utilità di riferimento topografico: quando ci si dava appuntamento in Piazza del Duomo da ragazzi, data la vastità e il rischio di non vedersi, si diceva “ci troviamo sotto al culo del cavallo”. Non so se si usa ancora.
Scendendo nel dettaglio un elemento spicca come enorme errore, forse il più grave, nella concezione della piazza.
Durante il periodo fascista, che ridisegnò ingenti parti del centro della città, quasi mai bene (fa eccezione Corso Matteotti, che allora ovviamente non si chiamava così ma Corso del Littorio), ai costruttori dell'Arengario: Portaluppi, Muzio, Magistretti e Griffini, e che furono anche buoni architetti, senza esagerare e non in quella occasione, venne la sciagurata idea di mettere lo spazio fra le due torri, la Via Marconi (anche se vi sfido a trovare un milanese che sappia che si chiama così...) in asse con l'uscita della Galleria. Via Marconi finisce il suo brevissimo tratto in Piazza Diaz, su cui stendiamo un velo pietoso. Ciò istituisce un percorso fra la Galleria e Piazza Diaz che di fatto taglia la Piazza del Duomo in due, lasciando alla cattedrale il sagrato coi suoi gradini su cui i turisti danno il becchime ai piccioni e gli studenti bigiano, separandola da quella che dovrebbe essere la sua piazza. Vedete un corridoio di persone intente ad attraversare la piazza incuranti di quello che c'è a destra e a sinistra.
Nel progetto, l'Arengario è conservato per rispettare uno dei principi che mi sono dato, ossia mantenere quanto più possibile ogni testimonianza storica. Ma se decidete di demolirlo, sono d'accordo. Oggi è sede del museo d'arte del Novecento ed è collegato al Palazzo Reale, ma niente di irreversibile...

Quando venite a Milano non limitatevi a Piazza del Duomo: giratela un po', ne vale la pena.

Situazione storica subito precedente al progetto di Mengoni
Milano 1860
Questa planimetria è di Giovanni Brenna ed è del 1860, dunque lo stato delle cose subito prima dello sventramento post unitario di Mengoni (perché gli sventramenti devono essere solo fascisti?). Ho evidenziato con il rettangolo rosso l'attuale Piazza del Duomo e ho nominato gli edifici più importanti.
L'intervento di Mengoni comportò la demolizione del Coperto dei Figini, portico d'epoca medievale più volte rimaneggiato sopravvissuto a tutto tranne che alla grandeur sabauda. Il Coperto dei Figini definiva la Corsia dei Servi (il pezzo che ne rimase prese il nome di Corso Vittorio Emanuele) fino alla Piazza dei Mercanti. Quel grosso isolato di forma irregolare che definiva la piazza e quello ancora più grande dietro erano il Rebecchino, un quartiere di case popolane che era un po' la casbah di Milano. Questo genere di isolati, nei quali era facile sparire agli sbirri, e solo chi lo conosceva bene poteva muoversi a suo agio, furono spesso demoliti in epoca post unitaria, ma non per il motivo che erano dei brutti quartieri di case povere e fatiscenti, ma per la ragione della sicurezza pubblica: si volevano strade grandi in cui si potesse schierare la cavalleria o l'artiglieria contro possibili proteste.
L'edificazione della Galleria, come potete facilmente immaginare anche se non l'ho evidenziato, ha comportato un'enorme demolizione del tessuto precedente.
La Piazza dei Mercanti era tutta chiusa, ma anche adesso è sufficientemente riconoscibile come piazza.
Una notazione storica. Il centro geometrico della Milano medievale, quello da cui partivano i sei sestieri che andavano alle relative porte, e il centro storico e politico, nonché sociale e culturale, non era il Duomo ma la Piazza dei Mercanti. Al centro della quale c'è il Palazzo della Ragione, ossia il palazzo pubblico e, sul lato nord il Palazzo dei Giureconsulti (dove lavorò Cesare Beccaria, non l'ultimo degli arrivati...) e nel lato sud le Scuole Palatine, il più importante centro culturale laico della città. Fra il Palazzo della Ragione e le Scuole Palatine c'è il Pozzo degli Innamorati, detto così perché i delusi d'amore ci si buttavano dentro e spero anche perché i morosi si giuravano amore e fedeltà sulla vera del pozzo.
Il Palazzo Reale era visibile dal XVIII secolo perché erano state demolite le mura del cortilone esterno. La Piazza dei Mercanti era detta Broletto Vecchio e il cortilone del Palazzo Ducale, poi Reale dal tempo degli Spagnoli e degli Austriaci, era detto Broletto Nuovo.
Cos'era il broletto? L'etimologia è longobarda ed esce nelle parole brolo, brera, braida. Significava semplicemente 'campo coltivato all'interno della città'. Col tempo quel campo in cui erano presenti gli edifici di interesse pubblico furono detti broletti, anche se il senso originale non andò perso (vedi per esempio via Broletto, che parte dal Cordusio). Anche in altre città italiane il luogo di riunione comune è detto Campo: a Padova o a Siena o a Pisa per dire i più famosi. A Milano un campo urbano era una brera.
Val la pena di notare due cose almeno. La prima riguarda il Teatro alla Scala, ed è corretto dire anche della Scala perché prima c'era una cappella ducale voluta da Regina della Scala, della famiglia signorile di Verona, che venne in città per sposare Bernabò Visconti signore di Milano, tenete presente che all'epoca, e più nei secoli precedenti, siamo nel 1350, Verona era forse la più importante città della Pianura Padana. Milano stava prendendo il suo posto con queste alleanze fra le due città maggiori della pianura, punti di smistamento commerciale per le repubbliche marinare di Genova e Venezia. Per questo i Veronesi non si ritengono del tutto Veneti, ma anche Lombardi.
Il Teatro alla Scala esisteva già dal 1778, è quel ferro di cavallo in alto della foto e ha già la sua Piazza del Teatro. Il vecchio Regio Ducal Teatro era nel punto più a sud del complesso del Palazzo Reale, non si vede nella planimetria, si entrava da Via delle Ore.
L'altra cosa è a est la Piazza della Fontana ancora precisamente definita e con la fontana non dov'è adesso. E non si vedeva ancora il nuovo Palazzo del Capitano del Popolo, dove oggi ci stanno i ghisa (i vigili urbani...).

Proposta progettuale
Renato Pagnoncelli - Progetto di ridisegno di Piazza del Duomo a Milano - Ferragosto 2017
L'obiettivo del progetto è una ricostruzione della memoria del tessuto storico negli elementi geometrici generatori della forma che la piazza ebbe fin dalla sua prima esistenza.
Ho provato, seguendo l'intuito, a far proseguire i fili del lato nord-est del Palazzo della Ragione, quello che oggi dà su via Mercanti la quale finisce al Cordusio, del lato interno del braccio ovest del Palazzo Reale e dell'asse longitudinale del Duomo. L'intuito è stato premiato perché i tre fili si incontrano, per quello che tecnicamente si definisce un colpo di culo, esattamente in un solo punto. In questo punto dall'incredibile valore semantico ho posto una fontana che immagino a due facce: una con un getto di acqua e vasca verso la piazza e l'altro verso il giardino. La citazione dell'acqua è sempre consigliabile per una città costruita sui canali come Milano (fiumi prima e Navigli poi) e rende testimonianza che la prima canalizzazione, a scopo in questo caso di regolare le acque stagnanti nella piazza medievale, e che darà il via alla grande stagione della costruzione dei Navigli (dal 1158) che collegheranno in pratica l'intera Lombardia, parte proprio da qui. Inoltre fra la basilica di Santa Tecla e quella di Santa Maria Maggiore, il Duomo, oggi Santa Maria Nascente, c'era il Battistero di San Giovanni alle Fonti. E in più poco lontano, fra Piazza Fontana e Via Larga c'era una delle due terme romane di Milano.
Questo limite di fili riproduce la forma della piazza quando c'era ancora il Rebecchino. La recinzione potrebbe ospitare dei portici, come il Coperto dei Figini e un camminamento superiore che renda possibile una visione elevata della piazza.
Ma la cosa più importante è che così si istituisce un percorso logico e storico fra i due broletti. Questo potrebbe essere il primo di una serie di percorsi turistici a senso. Per esempio il percorso potrebbe iniziare da Piazza Fontana, costeggiare l'Arcivescovado e il Duomo, entrare nella Piazzetta Reale, ritornare sulla Piazza del Duomo, convergere verso quella che era la Corsia dei Servi (conclusione di un altro percorso da Porta Venezia, Bastioni e Giardini pubblici, Corso Venezia, Corso Vittorio Emanuele) entrare nella Piazza dei Mercanti, arrivare al Cordusio, proseguire per via Orefici e Via Dante e arrivare al Castello Sforzesco e al Parco Sempione.
La negazione del percorso Galleria - Piazza Diaz si può ottenere con la chiusura di Via Marconi edificando un nuovo corpo fra le due torri dell'Arengario. In questo modo il percorso turistico fra Teatro e Piazza della Scala (arrivando da Brera) e Piazza del Duomo attraverso la Galleria, che ha delle coperture in ferro e vetro stupende e una volta era anche uno dei posti più eleganti di Milano (del resto Mengoni era un ingegnere e faceva bene le cose da ingegnere) trova il suo sbocco naturale nella Piazzetta Reale. Il senso della Galleria è quello di unire la piazza laica del Teatro alla piazza sacra della Cattedrale: la sua fine naturale non è nell'orripilante Piazza Diaz ma nel Palazzo Reale in cui c'era il Regio Ducal Teatro. Insomma credo che il senso sia chiaro.
Ora, cosa fare dello spazio che si ottiene? Be' pensare a una grossa edificazione al posto di una grande porzione della piazza è alquanto azzardato e in fondo non è nemmeno necessario. Per istituire i rapporti detti e negare la falsa simmetria dei portici nord e sud è sufficiente definire i percorsi sopraccitati e porre un ostacolo alla percezione fra i due portici. È vero che l'altezza alla gronda dei due edifici porticati è di circa 28 m. ma non è necessario arrivare a coprirli totalmente, basta che il muro e l'Arena rendano i due edifici non più appartenenti a un unico progetto. È una questione di percezione sì, ma corroborata dagli elementi architettonici connessi.
Metto due foto panoramiche per dare un quadro generale della piazza prima di passare a descrivere la Plaza de Toros.
Piazza del Duomo - vista da ovest

Piazza del Duomo dalla cattedrale
L'idea sarebbe quella di definire uno spazio di verde, una brera diciamo, come se ne trovano ancora in molte città che hanno mantenuto l'assetto medievale. Al suo interno avevo pensato a un edificio-simbolo della milanesità o una specie di casa comune nella quale svolgere incontri. Ma tutto mi sembrava molto indeterminato. Del resto il solo ricorso al verde può essere sufficiente, ma troppo timido. Va bene che mettiamo le mani su Piazza del Duomo, ma insomma: un po' di coraggio! Degli alberi ad alto fusto sarebbero sufficienti allo scopo, ma ce ne potrebbero stare pochi e per raggiungere quell'altezza ci vorrebbero decenni (e le palme no!). E poi, se l'immaginate, non c'entrerebbero nulla e non riproporrebbero il senso del recupero dell'edificato storico. Io, per il mio gusto, avrei messo un bel tempietto di Afrodite e un boschetto sacro di cotogni... o una piazza recintata in cui poter vendere la verdura, visto che al Verziere non è più possibile...
Allora ho pensato che dato che devo apparire un folle ai più, tanto valeva fare un'ipotesi da folle. L'ipotesi è da folle per gli altri, io una Plaza de Toros a Milano la farei domani.
In più il vantaggio di edificare un'Arena è che allo stesso tempo questa può fungere da volume pieno, per i discorsi fin qui detti, ma in effetti è in gran parte un invaso (ossia un vuoto) e la sua natura è proprio di carattere agricolo come una brera.
Naturalmente immagino la Plaza de Toros come deve essere tradizionalmente (ricordate che Milano è stata una città spagnola e ancora oggi gli spagnoli hanno un debole per Milano. La cucina milanese per esempio è in gran parte riconducibile all'influsso spagnolo, partendo dal risotto allo zafferano o le mondeghiglie (mantequillas: polpette) o la mitica casöla). Quindi non sarà uno stadio qualunque con copertura in ferro come se ne vedono purtroppo in Francia e anche, ¡ay, in Spagna. Avrà i palchi in alto, le gradinate scoperte e la plaza de lidia. Con el sol y la sombra e il palco della giuria che in spagnolo è il Palco Real, ma in Italia dovrà prendere un'altra definizione oppure 'real' varrà per 'd'onore'. Ah, ovviamente la sombra è nella parte ovest e il sol in quella est, facendosi le corride, come ognuno sa, a 'las cinco de la tarde'. Quindi il Palco Real sarà nella parte occidentale.
Nella parte in marrone, a nord, e sotto il costruito ci saranno i toriles con i recinti per le bestie, il macello, gli spogliatoi per i toreri, l'infermeria ecc. Nella parte a sud il frutteto (huerto) con la fontana (fuente) che sarà accessibile da una porta dell'arena e dal porticato sulla piazza.
Nell'arena si apriranno la Porta dei Tori, della Cuadrilla (per il passo d'arme dei toreri) e la Puerta de arrastre per trascinare fuori i tori matados. La Puerta Grande per il trionfo dei toreri migliori si aprirà ovviamente sulla Piazza del Duomo. La porta d'ingresso sarà sull'incontro fra Via Orefici e Via Torino, due belle vie che a cui sono legato perché in via Torino e dintorni ci ho studiato e lavorato (altra bella zona: il Carrobbio, via Santa Marta, Via Nerino, via San Maurilio, Piazza Mentana, via Lupetta, via Stampa ecc... per dire solo i luoghi di ricordi personali). È un sito che presenta delle criticità che andrebbero risolte e il punto debole è proprio l'angolo di piazza del Duomo, chissà come mai...
Mi rendo conto di non aver detto tutto quello che andava detto, ma è già un lungo post ferragostano. Attendo considerazioni.

domenica 13 agosto 2017

Esiste!

Pensavo che la "Facciata scognomata" non esistesse per davvero...
La famosa Facciata Scognomata
 e invece...
Facciata scognomata 2
 p.s. è in arrivo un super postone per Ferragosto!

martedì 1 agosto 2017

Ama il tuo prossimo?

La teoria dell'amore assoluto, variamente riassunta in frasi come quella del titolo, o dell'amare gli altri, o amare tutti ecc... non mi ha mai convinto. Ho sempre pensato fosse una scorciatoia dell'anima per mettersi a posto la coscienza facendo al contempo un figurone.
Essa trova espressione originaria per lo più in testi religiosi e già questo dovrebbe metterci in allarme. Mi riferisco al fatto che le religioni nacquero e sono ancora in buona sostanza delle alleanze politico militari. Hanno differenti modi di esprimere questo concetto ma l'imprinting originale resta loro peculiare. Quindi l'amare il prossimo o il fratello assume un significato letterale e fattuale molto diverso dalla semplice affermazione dottrinale.
Detto questo, perché dovremmo amare tutti gli altri, l'umanità in quanto tale intesa come totalità e singolo essere allo stesso tempo a noi accomunato dalla specie ma a noi differente nell'individualità? Alcuni allargano questo assunto addirittura a tutti gli esseri viventi.
Attenzione il problema è il verbo amare. Che tutto ciò che esiste sia correlato, a volte in modo evidente a volte in modo ancora sconosciuto, sia esso un postulato o un assioma, appare evidente e incontestabile. Ma questo rende indispensabile amare? O non basterebbe un senso di responsabilità derivante dal fatto che ogni cosa compiamo ha un riflesso sul resto dell'esistente.
Si dice che l'applicazione di questo principio d'amore dovrebbe valere per tutti indipendentemente dal fatto che questo tutti sia o non sia prossimo. Troppo facile, si dice anche però, amare i Lapponi o i Maori, occorre partire con il tuo prossimo, con le persone con cui hai a che fare quotidianamente. E qui c'è già un'insanabile contraddizione. Se il mio amore deve essere totale e incondizionato perché dovrebbe contare la distanza e la percezione sensoriale?
Forse perché amare significa fare qualcosa di bene all'altro, e se questo è lontano... Sì, qualche monaco buddhista si metterà a meditare per il bene di tutta l'umanità ma questo dimostra non tanto la certezza del risultato, che è stentato diciamolo, quanto il fatto che i buddhisti tendono a volte a dare risposte meno cretine di altri, e stanno molto sul generico.
Quindi se voglio amare tutti, ma alcuni di questi tutti sono lontani, non posso, semplicemente non posso, se non a chiacchiere.
Dunque devo amare quelli che ho intorno, ma siccome ce li ho intorno, sono certo che alcuni non meritano di essere amati. Meritava d'essere amato Hitler? Merita d'essere amato Totò Riina? Merita d'essere amato chi massacra di botte la moglie? Continuate con gli esempi voi. Le risposte che otterrete di amore universale sono pure teorie, belle parole che certo fanno fare una gran bella figura e costano niente.
Approfitto per fare queste considerazioni perché non fa troppo caldo, ma fra un po' ricomincerà e dunque cercherò di farla breve.
Ho detto sopra che il problema è il verbo amare, ovviamente inteso qui, di necessità, nella sua accezione attiva. Se dicessi: amo la musica di Mozart ma non l'ascolto mai... Dovrei dire, semmai, che vivo nella contemplazione del mio potenziale amore per la musica di Mozart... Ma voi pensereste, giustamente, che ho qualche rotella fuori posto.
Il sostantivo da cui deriva il verbo amare è amore. Prima che di amore se ne occupassero le religioni, qual era il significato di amore?
Be', il primo significato di amore era il senso di attrazione sessuale per un altro essere umano e la voglia di congiungersi sessualmente. Non ve n'erano altri. E non ve ne sono altri poiché da questo derivano tutti gli altri possibili.
Gian Lorenzo Bernini - Ade e Persefone - particolare
Per spiegarmi ho bisogno dell'aiuto di uno specialista che è sempre citato quando si parla di amore, o come scrivevano gli antichi Amore: Socrate.
Alla fine della fiera cosa dice Socrate di Amore? Che un essere umano a un certo punto della vita vuole sopravviversi. La persona semplice lo fa attraverso un figlio che gli sopravviva e nel ricordo che questi potrà portare avanti, e così via di generazione in generazione. L'uomo evoluto vorrà sopravviversi con un'opera del suo ingegno. Quindi Amore è volersi trascendere, voler diventare un uomo migliore di quanto non lo fosse prima del suo atto d'Amore.
Questo, se può interessare, è anche la mia fede divina: la continua autoevoluzione, che mi porterà... non so dove, ma sarò allora migliore di quanto non lo sia stato prima.
Torniamo all'amore sessuale. Anche essere innamorato, congiungersi con la persona che si ama, il desiderio e il piacere sono stati che alterano la nostra normale percezione di veglia e ci permettono di trascenderci. Se queste sensazioni sono molto radicate e profonde vorremo fonderci con l'altra persona e dunque diventare di più di quello che siamo normalmente e prima che ciò avvenga.
Antonio Canova - Amore e Psiche
Mi sto accorgendo, di passata, che anche la mia prosa 'prosaica', ossia da dissertazione, e come la mia poesia: butto lì e lascio che il lavoro lo facciano gli altri. Forse è per questo che non piaccio ai più: perché non do la pappa pronta.
La tesi è che se sarò migliore forse potrò realmente aiutare e “amare” qualcun altro. Che se lo merita, aggiungo io. Del resto se avessi la facoltà di annichilire chi secondo me non merita di vivere aiuterei lo stesso l'umanità, ma questa è una mia opinione, e comunque non ho questa facoltà dunque è tutta roba teorica.
Allora come ci si deve comportare gli uni con gli altri se non ci si può amare tutti e non si ha la facoltà di annichilire i bastardi (se non ve ne siete accorti sto prendendo per il culo chi in questo momento in Italia vuole introdurre la censura per prevenire gli hate speeches via internet, media ecc... in pensieri, parole, opere e omissioni).
Ho sempre pensato che bastino queste parole, molto meno impegnative di “amare”, ma immediatamente operabili: rispetto, educazione, sensibilità e gentilezza. La mia libertà non finisce dove comincia la tua o dove inizia il danno, finisce quando capisco che posso fare qualcosa che potrebbe limitare la tua libertà e potrebbe arrecarti un disagio. E se inavvertitamente lo faccio, mi scuso e pongo rimedio. Del resto, a tempo e modo giusto e luogo adatto si può fare quasi tutto e non si deve rinunciare a quasi nulla, niente di indispensabile comunque. A meno che non ci si senta liberi sparando la musica a manetta di notte o giocando a pallone in strada, o facendo casino o lasciando che i figli agiscano come psicopatici. Se uno si accontenta di una libertà così raffazzonata e folcloristica è un poverino o un poveraccio.
In termini politici tutto si riassume in un concetto: 'giustizia sociale'. Non carità, solidarietà e termini analoghi che fanno tanto impegno politico e umanitario: giustizia sociale. Non solo giustizia giuridica, non solo giustizia filosofica, non certo giustizia divina. Giustizia sociale.
Diritti veri, non di carta, un diritto se non è fruibile non esiste. Non solidarietà ai perdenti o ai cosiddetti sfortunati ma riconoscimento della dignità di tutti e di ciascuno.
Equa redistribuzione del reddito e delle ricchezze, giusta retribuzione del lavoro, sicurezza e dignità sui luoghi di lavoro, diritto a un'abitazione decente, sanità e istruzione pubbliche e gratuite e efficienti. E magari possibilità di realizzarsi secondo i propri talenti e interessi.
Autodeterminazione nelle scelte politiche, partecipazione alla comunità, libertà di espressione e di dissenso. Libera espressione e condizioni che rendano massimo lo sviluppo della propria personalità e rispetto delle individualità.
Charles Frederick Naegele - Ritratto di Ragazza, da me ribattezzata La Speranza
In milanese, lingua rustica e scabra, non esiste il verbo amare: si dice “a te vöri ben” ti voglio bene, cioè voglio il tuo bene. In modo concreto. Allora forse se invece di “amare” tutti, volessimo il bene di tutti? Volere il bene degli altri non solo rimanda a qualcosa di concreto, ma porta a chiedersi cosa sia il bene nostro e da noi per gli altri, in modo razionale. Per il singolo individuo e per la collettività, senza che uno sia a scapito dell'altra. Non può essere un bene soffocante dietro il quale possiamo nascondere la soddisfazione del nostro egotismo o le nostre insicurezze. E soprattutto se passiamo dalle parole e dai gesti simbolici che non servono a un cazzo, e in genere peggiorano la situazione e nascondono spesso la malafede, dobbiamo chiederci cosa realmente possiamo fare. E la nostra possibilità di essere utili agli altri dipende linearmente da quanto siamo utili a noi stessi, come conditio sine qua non, cioè da quanto siamo capaci di migliorare.
Se ci amiamo senza sconti forse potremo “amare” gli altri.
Sempre che gli altri vogliano essere amati da noi... è ovvio.

1° p.s. se non faceva caldo non avrei probabilmente scritto un post così banale.
2° p.s. leggete i post sulla composizione architettonica, per il vostro bene, per capire di più sull'arte, perché tanto ne farò altri fin quando qualcuno capirà che la composizione architettonica è scuola di vita e di cultura, anche se ai non adepti questo sembra una battuta.
3° p.s. leggete i post sulla composizione architettonica: è un ordine!