Oggi
è il compleanno di Haendel, nato a Halle il 23 di febbraio 1685 e morto a
Londra il 14 aprile 1759.
Georg Friedrich Haendel - ritratto giovanile |
In questi mesi invernali sono molti i compleanni da
festeggiare.
Occorre
tenere presente che per i tedeschi nati prima del 1700 valeva ancora il calendario
giuliano dunque le date sono due: quella di nascita giuliana e quella
equivalente del calendario gregoriano, cioè il nostro; in questo caso Haendel
sarebbe nato il 5 marzo 1685.
In
questo post voglio ricordare anche questi compleanni.
Antonio
Lucio Vivaldi, nato a Venezia il 4 di marzo del 1678 e morto a Vienna 28 di
luglio del 1741. Quando nacque sembrò subito scarso di salute tanto che lo si
battezzò in forma di emergenza dalla levatrice stessa e affidato al santo del
giorno.
Così
si capisce anche perché Lucio Dalla e Lucio Battisti si chiamavano così (nati
il 4 e il 5 marzo rispettivamente).
Giovan
Battista Draghi detto il Pergolese o dei Pergolesi, nato a Jesi (da famiglia
originaria di Pergole, Lucca) il 4 gennaio 1710 e morto a Pozzuoli (Napoli) il
16 marzo 1736.
Johannes
Chrisostomus Wolfgang Theophilus Mozart (il vero nome completo!) nato a
Salzburg il 27 di gennaio del 1756 e morto a Vienna il 5 di dicembre del 1791.
Johann
Sebastian Bach nato a Eisenach (Germania) il 21 di marzo del 1685 (31 marzo
gregoriano) e morto a Lipsia il 28 di luglio del 1750.
Per
ognuno di essi ho preparato un filmato come omaggio a loro e a noi.
Chi
conosca e abbia in mano le composizioni liriche di Vivaldi, Haendel, Pergolesi
e Mozart ha tutti gli strumenti per capire l’opera lirica passata presente e
futura. Potete ridere di questa affermazione e rivolgervi ai musicologi e ai
musicisti, ma io so che ho ragione. Un buon motivo a mio favore è che non ho
nulla da guadagnare nell’affermare questo o altro, circostanza che non so se
musicologi, direttori d’opera e musicisti soddisfino nelle loro affermazioni in
merito.
Vi
propongo una gemma, meravigliosa ancorché straconosciuta: il secondo movimento dell’Inverno delle
“Quattro stagioni”.
E
qui entriamo un po’ più nel merito. La
serva padrona era un intermezzo del Prigionier
superbo (opera, forse non a caso, non
bella, molto scontata, fra tutte quelle di Pergolesi) cioè era una breve
rappresentazione in due atti che era messa in scena durante gli intervalli
dell’opera maggiore. La questione nacque quando ci si accorse che gli
spettatori tornavano a vedere il Prigionier
superbo più per vedere l’intermezzo che l’opera. Il motivo era che molti
volevano vedere nel teatro italiano (come allora era chiamata l’opera lirica)
dei temi di attualità piuttosto che le solite trame a carattere storico o
mitologico. Dal 1750 in Francia, divisa fra l’opera all’italiana di Piccinni e
quella ‘nuova’ alla tedesca di Glück, divampò la ‘querelle des bouffons’ in cui
si criticava la tradizione italiana delle maschere, gli arlecchini ecc...,
sostenendo dei personaggi di senso attuale, citando appunto la Serva padrona di Pergolesi come esempio.
La
querelle des bouffons era un po’ una minchiata in realtà, una disputa sul sesso
degli angeli o una questione di lana caprina se preferite, ma ebbe il merito di
ricordare Pergolesi che, poverino, era morto di tisi a ventisei anni, nel 1736.
Credo che Pergolesi sia l’autore più misconosciuto di tutta l’opera lirica, da
cui tutti hanno attinto a piene mani senza rendergli il doveroso merito,
Paisiello e Mozart su tutti.
Vi
propongo l’aria in questione.
L’aria
che vi mostro è di un opera tarda del maestro di Halle, tedesco di nascita a
naturalizzato inglese (visse quasi tutta la sua vita in Inghilterra e gli
Inglesi lo considerano a ragione il loro compositore principale). Si tratta di Serse del 1738.
Di
Haendel si dice che in gioventù fu un bell’uomo, alto, biondo e con gli occhi
azzurri, brillante e di mondo. Con l’età divenne più cupo e cicciotto, ma non
perse il genio. Gli ultimi anni della sua vita furono tristi per questioni di
salute, fu cieco in pratica per tutto l’ultimo anno dopo una serie di operazioni
sfortunate che aggravarono la situazione.
Serse non ebbe un immediato
successo per due motivi opposti. Il primo fu l’accusa di mantenere dei ruoli
comici all’interno delle cosiddette opere serie (ah, cos’ha mai fatto il Metastasio!Il
teorico del dualismo fra opera seria e opera buffa), il secondo fu
l’innovazione dell’introduzione di arie brevi, tipo questa del platano, che non
rispettano la sequenza: aria-inciso-ripresa della tradizione.
Per
il mio compleanno mi farò il regalo dell’aria “Venere bella” dal Giulio Cesare del 1724.
Ecco
“Ombra mai fu” da Serse.
Per
me quest’aria è la sintesi dell’opera perfetta. Nel giro del primo minuto c’è
un’apertura orchestrale in cui si passa attraverso tutti gli stati d’animo
della Contessa Rosina d’Almaviva: privilegio sociale, tristezza, speranza,
rassegnazione. Indi c’è la cavatina in cui la contessa confessa sé stessa la
sua speranza e il suo fallimento. Consiglio di un folle sconsiderato: quando
ascoltate Wolferl tenete sempre presente che la sua musica è la vera regia
dell’opera e che gli archi rendono la tensione nervosa della situazione e i
fiati i sentimenti, e questo anche nella musica non operistica.
Per
finire un po’ di gossip. Mozart si firmò sempre, dal suo soggiorno in Italia,
Wolfgang Amadè Mozart. C’è chi dice che Amadè (forma dialettale di Amadeo
corrispondente del greco Theophilus) lo assunse a Milano (più probabilmente),
chi dice a Bologna.
La
cosa procede siffattamente. Mozart si lamentava di avere le desinenze in –us
alla latina: Chrisostomus Theophilus. Theophilus era spesso sostituito in area
germanica con l’equivalente Gottlieb, che era il nome del suo padrino, ma
all’epoca per un compositore con velleità teatrali il nome italiano faceva più
figo. Quindi meglio Amadeo che Theophilus o Gottlieb. Ma Amadeo era in tedesco
Amadeus... Allora decise di assumere il nome dialettale di Amadè. Nelle sue
lettere prima del fatto firmava sempre Wolfgang Mozart. Una sola volta usa
Amadeus: in una lettera alla sorella in cui, lamentandosi della desinenza in
–us, scrive Wofgangus Amadeus Mozartus. Un uso chiaramente sarcastico. Come
quando si firma cavalier von Mozart, dopo aver ricevuto il diploma della
Società dei Filarmonici di Verona e Bologna. Poi sempre, dicesi sempre, Amadè.
La
seconda e ultima volta in cui compare il nome Amadeus è nella supplica per una
pensione che la moglie Constanze invia all’imperatore Francesco II in cui si
firma “la vedova di Wolfgang Amadeus Mozart”. Per di più la lettera con ogni
probabilità fu scritta da qualche amico avvocato e solo ricopiata e firmata da
Constanze.
Sono
gli unici due casi. Ce n’è abbastanza per non usare più il nome Amadeus ma
quello che scelse di Amadè?
Secondo
pettegolezzo. Quando Mozart compone la serenata Ascanio in Alba (su libretto di Giuseppe Parini) per le nozze fra
l’arciduca Ferdinando e la duchessa Maria Ricciarda Beatrice d’Este, l’arciduca
pensa di ingaggiarlo a Milano come compositore di corte. Chiede il beneplacito
della madre, l’imperatrice Maria Teresa, la quale, sebbene abbia tenuto sulle
ginocchia il piccolo Wolferl, risponde al figlio di non fare una cosa del
genere definendo i Mozart una famiglia di girovaghi: dai sette ai dieci anni di
Wolfgang i Mozart avevano fatto la loro tournee in giro per l’Europa.
Salta
l’impiego milanese e Mozart comincia la sua vita da adulto nella musica. Sembra
incredibile dirlo, ma lo sembra a noi adesso, però va detto che Mozart fu molto
sfortunato nella sua vita professionale.
Tornando
al gossip. È certo che da qualcuno Mozart deve aver saputo del parere
sfavorevole dell’imperatrice Maria Teresa, in via confidenziale ovviamente. È
un puro caso che decide di trasferirsi a Vienna nel 1781 quando è ancora in
vigore il lutto per la morte di Maria Teresa?
Sia
pure che andava a Vienna la donna di cui era innamorato: Aloisya Weber, la
quale aveva appena perso il padre Franz Fridolin Weber, musicista e cantante
che arrotondava facendo il tiramantice per gli organisti. Aloisya l’aveva fatta
annusare a Wolfgang prima della partenza di Mozart per Parigi (trasferta
drammatica in cui perse la madre Marianna). Al ritorno del nostro gli aveva
dato il due di picche gettandolo nello sconforto. Lui aveva già progettato di
partire per una tournee in Italia e scrivere opere per lei che era un talento
della lirica...
Quando
le Weber, la madre Caecilia e le figlie Josepha, Aloisya, Constanze e Sophie,
si trasferirono da Monaco a Vienna, non appena possibile, alla morte di Maria
Teresa, le raggiunse e andò avivere nella pensione che frau Weber aveva aperto
per sbarcare il lunario.
Aloisyia
da buona artista di talento decise di sposare un impresario teatrale e attore,
gelosissimo e da cui divorzierà dopo qualche anno.
Wolfgang
ripiega sulla sorella Constanze, un po’ perché voleva sistemarsi e soprattutto
per rimanere a contatto “professionale’’ con Aloisya, per la quale scriverà
molte arie per concerto. È molto probabile che quello che la ricchezza (nulla),
il prestigio sociale (scarso) e la bellezza (eh insomma...) non avessero fatto
in favore di Wolfgang facessero il talento e il grande successo che Mozart ebbe
nei primi cinque anni di soggiorno a Vienna.
Se
dobbiamo dar fede ai ritratti (anche se Casanova ci allerta che al suo tempo i
pittori non sapevano fare i ritratti) dobbiamo dire che Aloisya era una
bellissima ragazza. Di quelle che sposano i produttori appunto.
Sophie
era ancora troppo giovane e poi Wolfgang morì.
La
prossima volta ti racconto chi davvero uccise Mozart. Non sono stati né Salieri
(balla colossale) né i massoni (molto strano) né il maggiordomo (di sicuro).
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