Della
cultura romana si dà un giudizio ambivalente. Da un lato la si considera
inferiore a quella greca, dall’altro la si magnifica oltremodo. È vero che le
vette del pensiero greco non sono state nemmeno sfiorate da quello romano, che
gli deve tutto, ma l’interpretazione latina della cultura ellenica ha in molti
campi dato una svolta alla storia europea e di riflesso mondiale. Basti
pensare che ancora oggi nelle Facoltà di
Giurisprudenza si studia il diritto romano, il quale, attraverso il Codice
Giustinianeo, è riscontrabile alla base della civiltà giuridica europea. E se
c’è un campo in cui i Romani hanno ampliato l’eredità che i Greci gli avevano
lasciato, e da loro assunta in un primo momento acriticamente, questo è proprio
l’architettura.
L’ellenizzazione
della cultura romana avviene in una prima fase in modo indiretto attraverso la
cultura etrusca. Del resto Roma fu, nell’ultima fase del suo periodo
monarchico, una città etrusca: i suoi ultimi tre re furono, Tarquinio Prisco, Servio Tullio e Tarquinio
il Superbo. Il secondo era un etrusco e il suo vero nome era Mastarna, ma il
popolo lo conosceva come uno schiavo di un Tullio, era quello che nel medioevo
si sarebbe definito il maggiordomo della gens Tullia. Non il capo dei
domestici: il rettore dei beni e degli interessi della gens. Come i Merovingi
lo furono del Re dei Franchi. Gli altri due erano conosciuti col nome della
città da cui provenivano e avevano sposato due patrizie romane molto
altolocate. Tarquinio il Superbo approfittò un po’ troppo della sua posizione e
fu deposto dalla rivoluzione repubblicana che sancì anche la fine dell’egemonia
etrusca sulla città.
Nei
secoli precedenti i re furono espressi, alternatamente, dai due popoli di cui
in effetti era composta la popolazione di Roma: Latini e Sabini. Per esempio
Numa Pompilio era un sabino e a lui si deve la sistemazione religiosa e
liturgica dei Romani.
Per
curiosità ricordo, giacché sono notizie poco note, che i Latini erano un popolo
di origine balcanica come molti altri giunti nella Pianura Padana attraversando
il Passo del Predil, in Friuli, il più comodo per superare le Alpi. Quando un
popolo giungeva nelle terre Enete (antenati dei Veneti) e decideva di muovere
verso sud, cioè verso gli Appennini, oggi è definito dagli storici un popolo
italico. Nella Pianura Padana di allora c’erano i Liguri, nella zona
occidentale, e gli Eneti in quella orientale. In seguito arrivarono come si sa
i Celti che si fusero coi Liguri nella zona dell’attuale Piemonte, Lombardia e
Emilia (in Romagna correvano già allora in moto...) dando origine alla civiltà
celto-ligure. Nella pianura orientale invece i Celti convivevano separatamente
cogli Eneti e si spinsero fino alle Marche settentrionali: Senigallia è la
città che porta nel suo toponimo ancora oggi il ricordo di quei fatti.
I
Sabini furono uno di quei popoli italici conosciuti come Sabellici che
originarono dalla zona corrispondente all’attuale Molise e si diffusero in
tutta l’Italia centrale, dapprima sul versante adriatico e poi scollinando
anche nel Lazio ed entrando in contatto appunto con i Latini.
Quando
i Latini arrivarono nella regione che poi porterà il loro nome, vi trovarono un
popolo già presente: i Siculi. I Latini scacciarono i Siculi che scesero a sud
stanziandosi in Sicilia, che naturalmente prese il nome da loro e non si
chiamava ancora nemmeno Trinacria, nome che ebbe dai Greci molto dopo: ‘
l’isola dalle tre punte ’.
Un
altro popolo italico furono gli Etruschi, detti dai Greci, Tirreni. Sembra sia
vero che un decisivo apporto per la civiltà di quel popolo venne da popolazioni
anatoliche, forse proprio Troiani. Gli Etruschi si espansero sia verso sud (appunto
il confine fra Etruria e Lazio fu per molto tempo il Tevere, e in un certo modo
anche dopo ci fu sempre Roma e Trastevere) sia verso nord arrivando a fondare
città vicino al santuario celtico padano di Milano (Mediolanum: Terra di mezzo):
Mantova, che in qualche modo fu la loro capitale nella pianura del Po, Melzo e
probabilmente anche Bergamo. Chissà se l’aspirata che sostituisce la S nel
dialetto bergamasco deriva dalla lingua etrusca? perché è certo che
l’aspirazione della CH toscana è eredità di quel popolo.
In
mezzo a tutta questa gente c’erano altri popoli, il maggiore dei quali furono
gli Umbri, che parlavano una lingua di oscura origine, ancor oggi non
decifrata, e coprivano un territorio molto più vasto dell’attuale regione detta
poeticamente il ‘ cuore d’Italia ’ (per i non Italiani: è detta così perché è
una piccola regione non bagnata dal mare, dunque racchiusa all’interno della
penisola).
Mi
scuso se non ho menzionato tutti i popoli che abitavano la Penisola Italica,
uno solo va aggiunto per l‘importanza storica: i formidabili Sanniti che
dall’attuale Basilicata si espansero per gran parte delle zone montuose
dell’Appennino meridionale.
Per
finire, i Greci popolavano vaste zone dell’Italia meridionale e questo si sa,
ma anche avevano degli empori fino in Pianura Padana, lungo il Fiume Po, lo
attesta il mito di Fetonte. I Greci conoscevano il Po col nome di Eridano e si
dice che Adria, che allora era sulla costa e diede il nome al Mar Adriatico,
fosse una colonia greca.
Poi
ci si chiede perché l’Italia sia stato un paese così eccezionale: con tali
antenati!
Tornando
all’architettura romana, essa è ineludibile per almeno quattro ragioni.
L’ampliamento
tipologico rispetto a ogni altra architettura precedente, e di questo si è già
detto qualcosa nei post sull’architettura della poesia.
Le
innovazioni tecniche sui sistemi costruttivi, e anche di questo si è accennato
e verrà qui ripreso.
L’importanza
della composizione che parte dagli spazi interni, correlata al primo punto
delle innovazioni tipologiche, ma con un’attenzione del tutto particolare e
originale.
E,
per continuare dritto dritto le cose dette sugli stilemi greci, le novità
originali in merito al linguaggio architettonico. Questo è l’argomento di
questo post al quale porre maggior attenzione.
Riguardo
al primo punto mi limiterò a ricordare che l’architettura romana vede un numero
maggiore di tipologie, nel senso che queste sono trattate a scala monumentale.
In Grecia gli edifici monumentali sono i templi (compresi i propilei ossia gli
ingressi al temenos), i portici e poi i teatri. Il resto degli edifici non era
poi molto differente, sia nella concezione sia nella qualità costruttiva, dai
comuni edifici per abitazione o lavoro. Solo in epoca ellenistica poi le case
divengono oggetto di qualche attenzione. A Roma le case sono già di diverse
tipologie e quelle patrizie o di persone facoltose bellissime e raffinatissime.
Poi ci sono le basiliche che svolgevano
un ruolo polifunzionale (commercio, giustizia, politica, cultura ecc...), le
terme, le biblioteche, le ville, i fori, i mercati, i circhi e gli ippodromi, i
templi, i portici e i teatri costruiti in un edificio chiuso.
Per
il secondo punto si vede che, a parte le colonne, gli archi e le volte (assenti
nell’architettura greca) ancora in pietra, le strutture verticali sono per lo
più costituite da muri. I Greci conoscevano l’arco e la volta, ma non ritennero
mai di doverli usare. L’invenzione dell’arco e della volta è molto antica in
area siriana da dove poi si è utilizzata in tutta l’area mediorientale e
mesopotamica.
Le
tecniche costruttive dei romani per costruire i muri portanti erano due: l’opus
latericium, ossia il muro di mattoni di argilla cotti o di pietra (travertino),
e l’opus caementicium cioè i muri in conglomerato. A volte i muri di mattoni
costituivano le casseforme per il getto del conglomerato e risolvevano la
decorazione di faccia. Ce n’erano di vari tipi: opus testaceum con mattoni di pietra, latericium con mattoni di argilla, reticolatum con blocchi di pietra a sezione romboidale, incertum con pietre di dimensione e
forma irregolari, spicatum con
mattoni a spina di pesce e l’opus mixtum che
riuniva due o più disposizioni per scopi decorativi.
Opus testaceum, reticolatum, latericium |
Opus mixtum |
Il
conglomerato (o calcestruzzo) era composto di acqua, pietra pozzolanica
polverizzata e inerti (sassi e sabbia). La pozzolana è una pietra calcarea che
ha la proprietà di fare la reazione di presa e indurimento con l’acqua. È
importante sapere che i Romani non armavano il calcestruzzo e dunque non
potevano fare strutture come pilastri e travi. Avevano intuito che mettere
qualcosa di metallo annegato nel calcestruzzo avesse un’utilità, ma non
elaborarono mai una tecnica completa. Per la verità il calcestruzzo armato è
stato ideato a fine ottocento e usato normalmente solo nel novecento.
I
mattoni erano disposti come ancora si fa in file alternate (sempre per il
benedetto sforzo di taglio) e a volte avevano degli inserimenti decorativi in
pietra o laterizio di diversa forma. Erano connessi fra loro con malta di calce
(acqua, calce e sabbia). La pozzolana è sempre stata poco abbondante e dunque
era usata solo per fare il conglomerato di muri e volte. La malta di cemento
(acqua, cemento e sabbia) non esisteva e non esisterà per molti secoli fin
quando nell’ottocento non si trovò il modo di ricavare quantità di cemento a
volontà da pietre calcaree.
Con
l’esaurimento della pozzolana (si chiama così perché le cave maggiori erano a
Pozzuoli) l’opus caementicium cadde in oblio (anche perché dal medioevo non
sapevano più come costruire con il calcestruzzo) perciò quando vedete un muro
di mattoni di un qualunque edificio storico pensate che la malta usata è di
calce.
Gli
elementi in pietra che costituiscono gli stilemi sono sovrapposti al muro e
hanno un puro valore di linguaggio. Ripeto: escluse le colonne che sono in
pietra e a volte gli archi, che possono ancora essere in pietra per tutta la
storia dell’architettura ma molto spesso sono in mattoni anch’essi, tutte le
strutture verticali e le volte sono in mattoni (in definitiva: meno le colonne
e quasi sempre gli archi). Anche le trabeazioni se stanno sopra a colonne sono
in pietra ma se sono elementi della facciata sono sovrapposte al muro.
È
importante saperlo per comprendere appieno tutte le discussioni che dai Romani
in poi si fecero sugli elementi di linguaggio architettonico. Considerazioni
che faranno la storia dell’arte. Faccio un esempio di quest’ultima affermazione
che forse non è comprensibile a tutti di primo acchito. Osservate un dipinto
rinascimentale e troverete molto spesso, per non dire sempre, elementi di
architettura o di linguaggio architettonico. Ho già mostrato e commentato la “
Scuola d’Atene ” di Raffaello, esempio fra i più fulgidi di quanto vado
dicendo. Ora mostro gli “Sposalizi della Vergine” di Raffaello Sanzio e
Pietro Perugino col tema appassionante del tempio a pianta centrale.
Perugino - Raffaello |
L’attenzione
dei Romani per gli spazi interni è la loro connotazione forse più meritoria
nell’architettura, ma di questo si è molto parlato ed è uno di quegli argomenti
che dovrebbero essere trattati a parte per motivi di spazio. Ne approfitto
invece per mostrarvi una casa e per precisare una cosa sulla decorazione
muraria che spesso è fonte di imbarazzanti minchiate da parte anche di storici
dell’arte.
Pompei - Casa dei Vettii |
Le
pitture su un muro si possono fare in due modi: a secco e a fresco. Nel primo
caso il colore è steso direttamente sul muro asciutto. Nel secondo il colore è
aggiunto all’intonaco (non alla malta!) di calce che viene steso a comporre ciò
che si vuol dipingere, poi si dipinge a pennello sopra l’intonaco ancora
fresco: da qui il nome affresco.
Cioè:
non tutte le pitture murarie sono affreschi. La pittura a fresco è una tecnica
tipica del Rinascimento, prima sono solo dipinti a secco.
I
Romani usavano una tecnica particolare che poi è divenuta rara. Sul muro
asciutto era dipinto il soggetto o le decorazioni. Il pigmento poteva essere
sciolto con della cera ed era in sostanza una tempera. Una volta asciugato il
dipinto si procedeva all’encausto che consisteva nello stendere della cera fusa
sopra il muro in modo da fissare il dipinto e poterlo poi lucidare.
Pompei - Villa dei Misteri |
Adesso
vorrei mostrare le innovazioni del linguaggio architettonico dei Romani.
I
primi templi romani sono derivati da quello etrusco: un portico che dava adito
a tre celle rettangolari che ospitavano la statua di ognuno degli Dei di una
triade. Dopo la guerra civile fra Gaio Mario e Lucio Silla nel I secolo a.c. si
afferma definitivamente in Roma la cultura greca che i Romani assumono
acriticamente. Così anche nell’architettura dove templi e edifici prendono tali
e quali i canoni greci.
In
seguito i Romani elaborano degli stili propri derivandoli dagli ordini greci.
Dalla fusione dello ionico e del corinzio formano l’ordine composito, che
diverrà un po’ lo stile normale della colonna romana. Dal dorico traggono il
tuscanico, confrontandolo con la regola della colonna dei templi etruschi. Il
tuscanico è una sorta di dorico senza scanalature. Infine elaborano lo stile
rustico che però è usato solo in casi particolari. Vi mostro un disegno
riassuntivo di tutti gi ordini usati dai Romani col quale potete fare i
confronti con quelli greci del post precedente.
Come
vedete la colonna romana poggia su di una base molto più alta di quella greca. Un’altra
innovazione nelle colonne è l’uso di scanalarle solo fino a una certa altezza e
continuarle lisce fino al capitello. Oppure di riempire le scanalature con una
modanatura in controforma: concava la scanalatura e convesso il riempimento.
Un’interessante
novità, che ebbe molto successo nella storia dell’architettura, sono le colonne
binate, cioè due colonne appaiate. Uno dei primi esempi fu l’arco di Augusto a
Aosta.
Aosta - Arco di Augusto |
Un’altra
innovazione, che ebbe il suo maggior esempio nel Colosseo, è la disposizione
verticale degli ordini greci: dorico al piano terra, ionico al primo, corinzio
al secondo. Vi consiglio di ingrandire la foto al massimo.
Roma - Anfiteatro Flavio |
Per
gli altri elementi non si discostarono mai dagli ordini greci e in genere nella
forma generale dei templi con l’unica aggiunta a volte di uno stilobate molto
più alto e di una conseguente gradinata per arrivare alla quota della nave.
Gli
elementi del linguaggio architettonico greco e romano sono detti classici e la
loro ripresa indica uno stile neoclassico. Più o meno questi elementi giocano
in tutti i periodi della storia dell’architettura, escluso l’ampio intervallo
gotico, e per questo motivo è utile considerarli e averli sempre presenti per
comprendere gli stili posteriori e tutto il dibattito che si è svolto attorno a
essi.