Vorrei
precisare su un argomento che a mio avviso è spesso fonte di malintesi e di
interpretazioni sulla semantica della poesia: la differenza fra simbolo e
allegoria e immagine. O, per essere ancora più precisi, sull’uso cosciente che
si fa in poesia di queste categorie di
segni. Il tutto sempre nell’ottica di uscire dalla poesia come sfogo dell’acne
giovanile, nel tentativo di giungere a una poesia puramente, o principalmente,
estetica. Tentativo che, con tutta la mia limitatezza, cerco di perseguire. Una
poesia, intendo, libera da alcuni paradigmi di nobiltà culturale, ma anche un
po’ da paraculi, cito a caso: i monumenti romani, “ l’urne de’ forti ”, la lotta partigiana, il
‘ sociale ’, la denuncia, il linguaggio giovanile... insomma avete capito.
Ho
già detto che la mia fonte di ispirazione, anche il primo motore della voglia
di far versi, è un’immagine, e non starò a rifarvi tutto il discorso. A volte
ci sono dei riferimenti a qualcosa che potrebbe essere chiamato un simbolo. Spesso,
credo, si fa un uso troppo disinvolto o generico di questa parola. Per esempio,
non so perché, la poesia di Marina Cvetaeva è stata catalogata come simbolista.
A
proposito: siete dei cattivelli. Potevate darci una scorsa, povera Marina...
Simbolo
è una parola di origine greca che significa ‘ messo insieme ’, ‘ associato ’ e
indicava la metà di un sigillo di possesso comune con altri. Da qui il
significato di una parte che rappresenta il tutto, un tutto che appunto non è
qui ma da un’altra parte, perciò il simbolo rimanda a qualcos’altro.
Sembrerebbe
che qualsiasi immagine evocativa, se rispetta questa condizione, possa essere
un simbolo.
Ma
è vero?
Ho
una certa conoscenza di simboli esoterici e ognuno di essi rimanda a una o più
qualità, cioè a un insieme più vasto. Ma allora ogni cosa che mi fa pensare a
qualcos’altro da sé stessa è un simbolo? Forse in senso lato, ma appunto si
rischia di fare un po’ di confusione.
Il
problema è che i simboli, nel corso della storia sono certi e invarianti.
Faccio
un esempio di simboli invarianti e uno di un simbolo che petrolinianamente “ ha
variato ”.
Lo
dico per i non italiani, se ve ne sono in lettura. Ettore Petrolini fu un
comico molto bravo e famoso fra le due guerre e diceva, alludendo al regime
fascista, “ Il mondo è bello perché ha variato... ” e credo intendesse non solo
il gioco di parole fra la locuzione popolare ‘ il mondo è bello perché è
variato ’ ma anche al suono di ‘ avariato ’.
Del
resto, pare certo che mentre Petrolini aveva difficoltà con la censura del
regime, soprattutto per la sua parodia di Nerone (che arriva in bicicletta, coi
‘coretti’ greci della corte venuti “ tecnicamente proprio bene ” e il mitico
pezzo del discorso di Nerone dal balcone alla folla: Nerone (parlando di Roma):
“Tornerà più bella e più forte che pria!”; Folla: “Bravo!”; Nerone: “Grazie!”, e che nell’accelerazione parossistica della folla acclamante finiva
in: Nerone: “Grazie!”; Folla: “Bravo!”) pare certo, dicevo, che fra i suoi
estimatori ci fosse proprio Benito Mussolini, che arrivava in teatro in
incognito, con la bombetta (che non portavano più nemmeno Stanlio e Ollio) a ‘
simboleggiare ’ (forse...) che la perfida Albione non era poi così perfida e a
occhieggiare al suo amico Churchill. Ma lasciamo correre. Cosa volete che sia
rimasto oggi di quella storia nella meravigliosa Unione Europea che ci
affratella tutti?! Dal Portogallo alla Grecia, dalla Polonia all’Ucraina. Che
ci fa amare sempre più la Germania (a proposito: rispetto a qualche post fa
anche ai finlandesi hanno cominciato a dire ‘ fate skifen ’).
Per
inciso: sto usando molto le parentesi perché Umberto Eco dice che non bisogna
usarle.
Torniamo
ai simboli invarianti. Nelle raffigurazioni delle divinità hindu vedete spesso
quattro o sei o più braccia che tengono un oggetto. Ognuno di quegli oggetti
simboleggia una qualità della divinità. Sempre a caso: il cappio è il potere di
legare alla materia, il pungolo la spinta a liberarsene, la fiaccola è simbolo
lunare, le mudra (gesti delle mani e delle dita) hanno ognuna il loro
significato (benedizione, scaccia paura, meditazione ecc...), la lingua di
fuori è segno di purezza ecc... in più le armi sono specifiche per ogni
divinità, così gli animali (in sanscrito vahana: veicoli, con cui la divinità arriva
e si manifesta). Questi simboli hanno sempre il loro significato e sono sempre
quelli. Servono anche a riconoscere di quale divinità si tratti. Certo, a volte
un simbolo può apparire nelle mani di una divinità al posto o in aggiunta dei
soliti. Per esempio la Devi Parvati o Ganesha possono reggere il tridente, ma
non vuol dire che il tridente lì abbia un altro significato rispetto a quello
di Shiva. Indica semplicemente l’affinità fra queste divinità. Il significato è
invariante e appunto il simbolo è invariante.
Lakshmi, Durga, Sarasvati
Voglio dire che nella storia i simboli sono sempre gli stessi, sono ben precisi, e non sono suscettibili di esprimere un significato diverso da quello per il quale sono stati selezionati.
Quasi
sempre... Ci sono casi nei quali il significato è stato stravolto o, almeno, è
stato occultato sotto un altro nuovo e imposto.
Vi
dice niente questo simbolo?
La
croce è uno dei simboli più arcaici nella storia dell’umanità. Per diversi
millenni ha avuto molti significati (e li ha tuttora): centramento rispetto a
forze opposte, misurazione dello spazio attraverso i punti cardinali (e i loro
significati), simbolo solare (come centro),
equilibrio
fra movimento orizzontale e verticale, Cielo e Terra ecc...
Come
tutti sapete, da un paio di millenni ha anche altri significati (in realtà meno
perché i primi secoli non era un simbolo usato nel Cristianesimo o molto poco).
Anche
in questi casi però il significato tende, anche se non in maniera così assoluta
come per i simboli esoterici, a stabilizzarsi. Per quanto la croce diventi il
crocifisso solo fra XIII e XIV secolo, ovviamente dopo il de cuius.
Adesso
evoco un’immagine: un lago chiuso fra montagne. Possiamo chiederci: che forma
ha il lago? Come sono le montagne? É uno dei laghi morenici del Nord,
giustamente famosi e decantati per la loro bellezza, o è un lago vulcanico,
come il mio splendido e amato Lago di Nemi?
Vicino
a Novara, Milano, Bergamo e Verona i primi e a Roma il secondo, lo dico per i
non italiani naturalmente. Anzi colgo l’occasione per informarvi che fonti
istituzionali ormai non ci chiamano più italiani ma siamo ufficialmente
definiti gli ‘ autoctoni ’.
E
provate chiedere ai vostri amici che effetto gli fa stare sulle rive di un
lago. Si passa da rilassamento, pace, serena riflessione a cupezza, tristezza,
incubo, fobia... Provate.
E
che tempo immaginate ci sia sul lago? Sole? Nebbia? Pioggia? E che effetto fa
la pioggia sul lago? Dolcezza, languidezza, senso di appartenenza alla natura?
O depressione, freddo, umidità, spinta al suicidio?
Allora
se io guardo la raffigurazione simbolica di una stella
so
che i significati a essa collegati sono molti, ma certi: una luce nel buio, la
luce interiore, la conoscenza essoterica e esoterica, la divinità interiore, il
corpo umano, il pianeta Venere ecc... Persino chi vuole attribuire ai
significati propri del simbolo una sua interpretazione non si sogna di mutarli.
Dei luciferisti, per fare un esempio noto a tutti, avranno un loro concetto di
conoscenza diverso da quello cristiano, ma attribuiranno sempre alla stella i
medesimi contenuti, magari girandola o capovolgendola, ma il significato non
può mutare.
Un’altra
delle mie inutili passioni è l’arte araldica. Anche lì la stella ha gli stessi
sensi, in più è distintivo di parte imperiale o ghibellina. Purtroppo c’è
ancora chi fa deprecabili confusioni fra pentalfa, stella a cinque punte e nodo
di Salomone o pentacolo, ma ne parleremo in un’altra occasione, forse.
Così
la formula chimica, che ognuno conosce, H2O indica idrogeno e ossigeno e non qualunque
parola che inizi con h od o.
Proprio
l’araldica mi permette di fare il passo successivo. Sapete che lo sfondo dello
scudo si chiama campo e quello che ci sta sopra prende il nome di pezze (le
forme geometriche; per semplificare) o figure (le immagini oggettive). Le
divisioni del campo si chiamano partizioni e le pezze più antiche e importanti
si dicono onorevoli, ma lasciamo stare ché non c’è tempo e non c’entra col
discorso che vo facendo.
Un’aquila è, va da sé, un animale che indica la parte imperiale, soprattutto se di smalti naturali: argento, nero, oro, rosso. Se trovate un’aquila verde su campo oro per esempio significa che il possessore dell’arma (volgarmente detto lo stemma) ha invertito gli smalti fra campo e figura per indicare il passaggio dalla parte ghibellina a quella guelfa.
Dunque
l’aquila significa comando, autorità, potere, giurisdizione ecc... Un leone:
forza, valore guerriero, vittoria ecc... Un cane: fedeltà, guardia e così via.
Possiamo quindi dire che questi tre animali sono il simbolo di tutte quelle
qualità? Direi di no.
L’aquila
è un simbolo solare, da qui diventa sinonimo di imperio e primazia, ma l’aquila
non è simbolo di comando o giurisdizione, qualità che gli derivano dal
significato simbolico e non di per sé.
Un
leone è di sicuro forte, ma allora, allo stesso modo, dovremmo dire che è anche
simbolo di folta capigliatura.
Un
cane è fedele, ma anche no... può essere rabbioso, i branchi di cani
rinselvatichiti sono pericolosissimi. Allora dovremmo dire, allo stesso modo,
che il cane è simbolo di pericolo? Il cane è ‘ il miglior amico dell’uomo ’
allora è simbolo di amicizia? No perché è amico dell’uomo, in realtà del suo
padrone, ma come può esserlo un cane. L’amicizia umana è altra cosa.
Però
si usa di continuo di paragonare qualcosa a un oggetto o a una pianta o
animale. È forte come una quercia, si dice, ma la quercia è noto simbolo di Zeus,
è questo il suo significato invariante nella storia. Del resto un larice è meno
forte di una quercia? Veloce come un fulmine, ma anche il fulmine è simbolo di
Zeus e Zeus non è conosciuto fra gli Dei per la sua velocità.
Cosa
sono allora questi usi, che hanno un certo valore evocativo ma non sono
propriamente e letteralmente dei simboli? Sono allegorie.
Si
dice che un cane esprime fedeltà perché si rimanda a una serie di circostanze
in cui un certo cane ha mostrato questa qualità e la cosa è nota quanto basta
perché chi la legge o la sente la conosca e faccia la relazione fra il cane e
la fedeltà. Del resto si parla dei cani anche in termini molto negativi, con lo
stesso ragionamento. Oppure si usa il cane per richiamare alla mente qualcosa
senza citarla espressamente, per esempio un nemico tenace come il morso di un
cane. Quest’ultima è la originaria definizione di allegoria, la prima ne è
un’estensione.
Se
quello che ho detto è vero, almeno nella sua sostanza, ben poca poesia si potrà
definire simbolica. La si potrebbe definire allegorica, metaforica, metonimica
o come io la chiamo evocativa, visivamente e emotivamente o sentimentalmente, o
poesia dinamica perché mette in atto un processo attivo nella scrittura
(quest’ultima definizione è un po’ troppo futurista, vero...?). Come al solito,
mi tiro fuori subito dalle classificazioni di tipo logico e ancora di più
letterario: i filosofi ne sanno di sicuro più di me.
Quello
che mi premeva dire è che il termine poesia simbolica o simbolismo è, se non
errato, quanto meno fuorviante. E in generale nell’arte.
Simbolo
non è una paroletta: tutta la storia lo dimostra. Sui simboli sono costruite le
religioni, le forme di conoscenza, iniziatica e scientifica, le appartenenze
politiche e le forme sociali. Naturalmente si può ammettere l’uso discorsivo
della parola simbolo o del verbo simboleggiare (simbolizzare si riferisce solo
ai simboli matematico-scientifici), ma consiglio più riflessione quando si
cataloga qualcosa o se ne parla nello specifico.
Se
in una poesia accosto il Fuoco con la conoscenza sto usando un simbolo. Se dico
che le nuvole velano la luna o il colore delle foglie in autunno mi richiama la
forza vegetativa sopita e trasmutata, sto usando delle immagini evocative o
delle allegorie (e non mi autocito per fare l’esempio, ma state attenti che
potrei farlo...).
Chiudo
con un esempio: i famosi ‘ orologi molli ’ di Salvador Dalì. Sono un simbolo
del tempo, come si sente dire? Ma no: l’orologio è lo strumento di misurazione
del tempo (crono-metro), sarebbe come dire che il bullone è simbolo della
chiave inglese (che al massimo è una metonimia). L’orologio molle di Dalì è
un’allegoria del concetto di relatività spazio-temporale, è un immagine
evocativa del venir meno della sicurezza della nozione di tempo che è trasmessa
da un orologio: il tempo comune (non in senso musicale): lineare dal passato al
futuro, vetero-scientista. È come se dicessi in poesia: “ l’orologio si
scioglie nell’attesa di un tempo che non passa mai (o non viene mai, che forse
è più bello) ”.
Dice:
ma allora Salvador Dalì non aveva tutta ‘sta gran fantasia! Forse, però sapeva
dipingere, che non è affatto poco per un pittore.