Leggo
sempre, a proposito delle cosiddette Veneri preistoriche, che
rappresentano delle Dee della fecondità e della fertilità. Vorrei
dimostrare che questa ipotesi è assurda ed è un infantile sistema
degli archeologi per non dire che non conoscono il significato di
queste raffigurazioni femminili.
Per
spiegare questa mia opinione dobbiamo rappresentarci il mondo qual
era in quei tempi. La popolazione del paleolitico era molto poca, da
qualche decina a qualche centinaia di migliaia di individui in tutta
la terra, dunque di posto ce n'era. In più l'uomo, o l'ominide,
viveva da milioni di anni nella natura selvaggia. Si sostentava
dapprima di caccia e raccolta dei prodotti spontanei del suolo poi,
nell'epoca delle Veneri paleolitiche appunto, di pastorizia e di una
primordiale forma di agricoltura, una specie di orticoltura in
verità: si sfruttava la circostanza naturale che buttando i semi in
terra nascessero delle piante dello stesso tipo, cosa a cui un
animale non pensa.
Dobbiamo
allora immaginarci un'umanità che vive da milioni di anni a contatto
con i fenomeni naturali, ne è dunque abituata e non ne prova più
paura di un qualsiasi altro animale. Questo già fa cadere la teoria
che le prime divinità rappresentassero i fenomeni naturali, che
l'uomo non comprendeva, e di cui temeva la forza. Un animale non ha
paura dei fenomeni naturali tranne nel momento in cui non ne sia
coinvolto in modo pericoloso, ma una volta finito il pericolo è
finita l'apprensione. È assurdo dunque pensare che l'uomo primitivo
vedesse il fulmine, ne avesse paura e dunque si immaginasse che
dietro al fulmine dovesse esserci un dio da temere.
Così
come è assurdo pensare che una umanità che vivesse nella natura, e
dunque fosse testimone da milioni di anni della sua rigogliosità,
pensasse che questa dovesse in qualche modo essere sollecitata a
esprimersi. È assai più probabile che l'uomo si dovesse, per così
dire, difendere da questa esuberanza: per trovarsi un luogo riparato
e al sicuro dagli animali, e per conservare questi luoghi alieni
dalla natura. Abbandonare una capanna o un grotta per qualche mese
voleva dire trovare al ritorno il luogo di nuovo fagocitato dalla
natura.
Ho
studiato in passato i villaggi primordiali, in particolare quelli
dell'Amazzonia. Per farsi un villaggio è necessario trovare uno
spiazzo nella foresta, cosa già di per sé non facile, togliere ogni
arbusto e erba, costruire le abitazioni in un cerchio che funge da
recinto e dimora, e che di solito ha al centro la casa comune, e
all'esterno suddividere il terreno in fasce: da quelle a difesa dalla
foresta a quelle coltivate a quelle subito prima del villaggio. Non
ostante tutto questo lavoro, ogni anno almeno i tetti del villaggio
devono essere bruciati perché nel frattempo è cresciuto di tutto e
si sono infestate di insetti e ragni velenosi. E qui forse sta il
busillis.
Pensare
che l'uomo primitivo avesse la necessità di sollecitare la natura a
fare il suo mestiere sembra un'idea davvero un po' comica. Quindi
quali Dee della fecondità intesa come Madre Natura? Al massimo
sarebbero state dei portafortuna.
Da
notare che l'uomo non ha nessun controllo sui fenomeni naturali (a
parte oggi i cambiamenti climatici dovuti agli interventi dei
militari) ma impetrarlo dalla Dea che con queste forze
incontrollabili, ma peraltro normalissime, si esprime è un'idea
ingenua se non balzana. E il cervello di quegli uomini era uguale al
nostro almeno da 70.000 anni fa in poi.
Obiezione:
ma se l'uomo vive in una zona povera, dove c'è carestia, siccità
ecc... ? Ma l'obiezione non tiene. L'uomo primitivo non vive su delle
terre che considera proprie se non per il tempo in cui le abita, non
ha concetto di patria o terra propria o men che meno di stato. È un
nomade o seminomade da milioni di anni, va alla ricerca di terre
ricche di vegetazione, di animali, d'acque, se non le trova se ne va.
Nessuno si ferma in terre senz'acqua e senza piante e animali da
cacciare e, tempo dopo, senza pascoli da sfruttare. Quindi là dove
si ferma è già una terra benedetta dalla divinità dunque le Veneri
potrebbero essere delle immagini che vedono la faccia benevola della
natura verso l'uomo, ma anche in questo caso nulla hanno a che fare
con la richiesta di fecondità, semmai ci potrebbe stare un senso di
gratitudine, di comunione. Forse un ringraziamento per la Dea che li
ha guidati fin lì.
Obiezione
in calcio d'angolo: ma la fecondità è quella degli esseri umani, il
' crescete e moltiplicatevi '. Allora si spiegherebbero le forme
ubertose di queste Veneri.
Anche
qui l'obiezione non tiene, a meno di prendere la glossa biblica alla
lettera o sia di pensare che le divinità abbiano dato all'uomo il
compito di riprodursi il più possibile.
Però
sappiamo che non è vero. Almeno sappiamo che gli uomini vivevano in
piccoli gruppi e il numero dei figli era contenuto nel limite di
quelli che potevano essere nutriti dalle risorse del luogo.
E
qui rimando al film “ La ballata di Narayama ” di Shoei Imamura,
del 1983, per chi ha avuto la fortuna di vederlo, quando la nonna,
essendo nato un nuovo nipotino, si spezza i denti per morire di fame
perché la zona non dà sufficienti risorse per tutti e il numero
degli abitanti del villaggio deve essere contato. A quel punto il
figlio, padre del neonato, si convince della giustezza dell'atto
della madre e l'accompagna sul monte dove l'abbandona agli animali da
preda o al freddo. E qui siamo in una fase non preistorica ma anzi
pienamente storica in cui si descrive la vita dei montanari in
Giappone nel 1860.
Stessa
storia nel film “ Ombre bianche ” (The savage innocents) di
Nicholas Ray, del 1960, con Anthony Queen che impersona l'eschimese
Inuk che abbandona la madre della moglie (dire la suocera pare
brutto) che sarà sbranata da un orso bianco, e qui siamo ancora in
una fase preistorica benché il film sia ambientato nel XX secolo.
Poi
la norma è che uomo e donna si accoppiano senza particolari
fomentazioni esterne e di sempre di norma le donne restano incinte e
fanno figli. Quindi anche qui le Veneri sarebbero dei porta fortuna e
nulla più.
Dicevo
del busillis. Un'ipotesi che potrebbe restare in piedi della teoria
della 'fecondità' o 'dell'abbondanza' è quella di far convergere il
significato della Dea tutto nel mondo umano in contrapposizione alla
natura.
L'uomo
si organizza coi suoi scarsi mezzi fisici per vivere e prosperare
nella natura, ciò gli costa fatica ma poi è premiato con una vita
migliore, allora cerca una divinità che o lo ha spinto a fare tutto
questo o che lo sostenga nella sua impresa. Come succede alla donna
che resta pregna, porta a buon fine la gravidanza, soffre il parto ma
poi è premiata dalla nascita del figlio che assicura la
continuazione della famiglia e della comunità.
Dunque,
se è vero, la Dea rappresenta la natura solo in quanto mette a
disposizione la materia e gli strumenti corroborati dall'esperienza e
dalla conoscenza perché l'avventura umana vada a buon fine.
Da
qui tutte le speculazioni esoteriche successive, che sono giuste ma,
appunto, sono successive. Quindi la divinità delle Veneri sarebbe
quella che mostra e insegna. Anzi se vogliamo non sarebbe una Madre
Terra da cui ci si aspetta la fecondità, ma dalla quale si attende
una forma di esistenza compatibile con i limiti, le esigenze e le
aspettative umane.
La
speculazione successiva di base è quella che vi dico ora.
In
sanscrito la parola bhū
significa:
il verbo essere, ma anche terra, materia, esistenza. Quindi la Terra
è la materia che esiste e che evolve. Bhumi è la Terra nel mondo
naturale, Aditi è la Materia primordiale che evolve in ogni cosa, è
l'Adya Devi. E adesso basta con le rivelazioni del mio credo. Il
resto del lavoro tocca voi come tocca a me.
Detto
questo rimane il fatto che non sapremo mai cosa rappresentano queste
Veneri, perché oggi non ce n'è più uno dell'epoca che ce lo dica.
Allora
facciamo una cosa sensata, molto più 'scientifica' che lavarsene le
mani parlando di fecondità, fertilità e abbondanza, messi che
ancora non esistevano o timore verso l'ambiente naturale:
osserviamole e descriviamole.
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Venere di Willendorf
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Sono
raffigurazioni artistiche, perché hanno tratti simbolici o comunque
astratti.
Sono
donne che hanno un corpo con connotazioni femminili molto pronunciate
nelle parti giuste: seni, fianchi, glutei. Sono donne grasse
senz'alcun dubbio, ma con delle proporzioni reali e non grottesche o
mostruose. Le possiamo senz'altro definire belle donne. Tranne che
per i nostalgici della donna grissino o per chi ama quelle di oggi
col sedere da maschietto.
A
questa precisa connotazione e riproduzione del corpo non segue una
stessa attenzione per il viso, solo il viso poiché la testa è molto
ben definita. Dunque non c'è una contrapposizione d'importanza fra
corpo e testa.
In
qualche caso la testa ha raffigurati dei riccioli e delle coroncine o
qualcosa del genere. In certi casi compare un naso o un segno per la
bocca, a volte queste coroncine o bende sono anche sui seni e sul
corpo.
Potrebbe
essere che l'assenza dei tratti del volto sia dovuto solo agli
strumenti in possesso: sono sculture in cui una pietra più dura
modella una pietra più morbida. Però non mi sembra sufficiente a
meno che l'artista abbia reputato inaccettabile il risultato che si
poteva ottenere facendo delle incisioni per gli occhi e la bocca e
ogni altro particolare. Questi segni, se esistono, sono appena
accennati.
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Venere di Dolni Vestonice
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Apro
una parentesi. C'è una raffigurazione indiana di una Devi
primordiale in cui sono evidenti il sesso, i seni, la posizione del
coito, e dei loti che ella tiene in mano e che ci sono al posto della
testa. Ciò è bastato per definirla subito 'la Dea senza testa'. In
realtà si vede bene che la testa originaria è andata perduta in
seguito a una rottura, accidentale o voluta, ed è stata sostituita,
nello spazio esiguo rimanente, con il fiore che la connota più
intensamente. Un po' come fece Michelangelo col Mosè.
Insomma,
la cosa più importante sembra essere la dimensione del corpo, le sue
proporzioni. Non sono certo ritratti di una persona specifica ma di
un tipo di bellezza.
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Venere di Laussel
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Che
sia proprio questo il senso? Che siano queste sculture un inno alla
bellezza della donna. In fondo la bellezza femminile è uno degli
argomenti più importanti dell'arte in ogni luogo. E partendo dalla
contemplazione della bellezza si possono fare le più svariate
considerazioni sul cosiddetto eterno femminino.
A
volte si trovano statuette maschili che hanno il pene eretto, ma
forse è l'unico modo per far capire, nella forma sommaria della
scultura, che sono uomini e non fanciulle magre.
Ci
si può spingere a pensare alla bellezza femminile come a qualcosa da
contemplare mentre quella maschile risiederebbe nell'azione.
Dunque
per quanto ne sappiamo le Veneri potrebbero essere delle pin up da
ammirare e desiderare un po' come quelle che i camionisti si mettono
appese nel loro veicolo.
O
degli studi di nudo femminile. O ancora un preciso gusto nella
bellezza di una donna.
Quello
che gli archeologi e paleontologi non fanno è di spiegare come mai
queste raffigurazioni si trovano un po' dappertutto. Vanno da qualche
centinaia fino a qualche decina di migliaia di anni fa e sono distribuite in
tutta Europa e nel Mediterraneo. A tutti è venuta la stessa idea,
nello stesso momento, per lo stesso periodo di tempo?
R.P.
posteris memoria mea
renatus in aeternum