È
da un po' che mi frulla in testa l'idea di questo post.
Ho
spesso parlato dei poemi cavallereschi che sono fra le mie letture
preferite. Fra quelli che conosco, la mia personale classifica di
preferenza è questa: “La chanson de Roland” di Turoldo,
“L'Orlando innamorato” di Matteo Maria Boiardo e i poemi di
Chretien de Troyes su tutti, poi “L'Orlando Furioso” di Ludovico
Ariosto, “La Gerusalemme liberata” di Torquato Tasso e il romanzo
“Storia di Re Artù e dei suoi cavalieri” di Thomas Malory.
Infine il “Morgante” di Luigi Pulci.
Quello
su cui vorrei dire qualcosa è l'incredibile successo che questo
genere e in particolare queste opere hanno avuto nel corso della
storia della letteratura e del teatro. Dalla “Chanson de Roland”
del 1080 circa, passando per Chretien nel XII secolo, poi per
Boiardo, Ariosto e Pulci nel XV secolo, a Tasso nel XVI secolo, fino
a Malory nel XVII secolo, abbiamo seicento anni di composizione, ma
il successo di queste opere, successo letterario, di pubblico, il
mutuo condizionamento, li fa assurgere a modelli tematici fino a
tutto il XVIII secolo.
Perché
accade questo? Perché questi temi sono così importanti da impegnare
gli autori e gli uditori per secoli?
Questi
poemi narrano le storie di due gruppi distinti di cavalieri. Formano
il cosiddetto ciclo arturiano, o sia i cavalieri di re Artù, e il
ciclo carolingio, cioè le avventure dei paladini di Carlo Magno.
Malory
mette una data: “...454 anni esatti dopo la passione di nostro
signore Gesù Cristo questo seggio sarà occupato” e
Lancillotto esclama: 'Nel nome di Dio, credo che il seggio sarà
occupato proprio oggi, il giorno della Pentecoste del 454°
anno!'...” il che porterebbe molto indietro le storie del ciclo
arturiano, subito dopo la fine dell'Impero Romano del 474 d.c.
(454+33=487). La cosa sembra essere vicina alla realtà: se mai un re
Artù è esistito, ha retto le sorti dell'Inghilterra dopo la
ritirata dei contingenti romani dall'isola.
In
questo caso ci dovremmo immaginare i guerrieri di re Artù molto
diversi dai cavalieri medievali che sono descritti nei poemi di
Chretien e nel romanzo di Malory.
Ma
il poema più antico, almeno ch'io sappia, riguarda l'altro gruppo di
cavalieri, quelli di Carlo Magno, ed è la “Chanson de Roland”
del 1080 circa di cui ho ampiamente parlato nel post omonimo.
Questi
cavalieri invece sono storicamente esistiti, almeno alcuni di essi: i
cavalieri palatini (da palatium, da cui deriva il termine paladino).
Essi erano i comandanti di Carlo e il suo consiglio supremo. Infatti
si dice: il conte Orlando, da comites “inviato imperiale”.
Rutulandus o Hruodlandus,
Roland-Orlando insomma, era prefetto della Bretagna, per esempio.
Morì davvero a Roncisvalle in un'imboscata, di Guasconi e non di
Saraceni, a Ferragosto del 778, a 42 anni, comandando la
retroguardia.
La morte di Orlando |
Dal
rispetto storico è estremamente interessante notare l'attenzione in
Boiardo e Pulci, che poi collocano gran parte dell'azione in Spagna,
nell'assegnare i due feudi di Orlando e Rinaldo, cugini, Chiaramonte
e Montalbano (Clermont e Montauban) in Occitania, regione che ha la
sua parte meridionale a ridosso dei Pirenei, storico confine fra il
regno franco e i califfati saraceni di Spagna.
I
cavalieri del ciclo arturiano sono invece, sembra, del tutto
inventati, a cominciare, come detto, da king Arthur Pendragon. Non
c'è luogo dell'Inghilterra meridionale che non ne abbia, pare, la
presunta tomba o una spada incastrata in una roccia.
Fra
l'altro, non ostante come su questo re e sui suoi cavalieri la
fantasia interpretativa sia stata molto fertile, anche a livello
popolare, oggi purtroppo nelle elaborazioni cinematografiche i fatti
più importanti della vita di re Artù sono stati ridotti solo alla
famosa spada nella roccia e alla spada Excalibur. Intanto, Excalibur
non è la spada nella roccia, poi i due episodi sono appena
accennati in Chretien e in Malory. Addirittura Excalibur fa il suo
ingresso magico ma, nella battaglia appena successiva Artù combatte
con un'altra spada e di Excalibur non si dice quasi più nulla.
Chretien
de Troyes scrive nella metà del XII secolo e compone diversi poemi.
I suoi personaggi sono Tristano e Isotta, Erec e Enide, Galvano, Artù
e Ginevra e Lancillotto, Perceval, Ivano e moltissimi altri della
corte.
Artù, Ginevra e Lancillotto |
Tutto
si svolge nella Gran Bretagna: Inghilterra meridionale, Cornovaglia,
Galles, con escursioni in Irlanda e in Francia. Mentre il re Arthur
'vero' combatté contro i Sassoni e nelle lotte che si vennero a
creare dopo l'Impero Romano, nei poemi di Chretien prevale
l'attualizzazione della storia della Gran Bretagna colonizzata dai
duchi di Bretagna, cioè Francesi. Infatti anche i nomi lasciano
perplessi, non si sa come pronunciarli, richiamano a una lingua che
sembra un misto di francese e inglese.
Ora
non ho ovviamente lo spazio di raccontare tutte le vicende, del resto
non è difficile conoscerle cercando in rete o meglio, leggendo i
poemi, però molte delle avventure, dei personaggi, delle situazioni
sono riprese nel ciclo carolingio.
Molte
delle situazioni sono della tradizione celtica. Per esempio la spada
nella roccia, che ripeto è solo un piccolo episodio iniziale, sembra
la ripresa della profezia celtica fondamentale in cui una pietra
posta nel centro dell'Irlanda avrebbe urlato quando su di essa si
fosse seduto il futuro re dell'isola. Ma anche quando Orlando libera
la fanciulla destinata a essere vittima dell'orca, ebbene questo è
un mito celtico ripreso e giunto fino a Ariosto.
Per
il lettore italiano i paladini sono senz'altro più familiari e ne ho
già parlato nel post sulla “Chanson de Roland”, escludendo
Rinaldo che sembra essere personaggio di invenzione ma che ebbe un
grandissimo successo. Nelle corti italiane viaggiavano lettere fra i
nobili dell'epoca per stabilire chi fosse il migliore: se Orlando o
Rinaldo e ognuno aveva i suoi tifosi.
Proprio
la differenza di carattere fra i due cugini, uniti e separati da un
lungo amore-odio, si può introdurre l'asserzione di questo post.
Vale
solo la pena, tanto sto dimenticando solo qualche migliaio di cose,
di notare che in genere nei poemi più antichi c'è un maggiore
realismo. Per meglio dire nel ciclo arturiano c'è più realismo
perché la Chanson è di fatto una cronaca epica. Sembra che nei
guerrieri di Artù il solo fatto d'essere cavalieri basti per la
narrazione e solo in certi casi si ricorra a espedienti magici, che
pure ci sono (anche se il famoso mago Merlino esce di scena molto
presto).
Allora,
veniamo alle differenze fra Orlando e Rinaldo. Chi è il più forte?
In Boiardo, nel suo “Inamoramento de Orlando” che è il titolo
originale del 1483 e successive pubblicazioni, passano il poema a
rivaleggiare, aiutandosi solo quando è il caso. Certo il Rinaldo di
Boiardo è di grande simpatia e l'autore non sembra molto preoccupato
di celarlo.
Orlando
è l'eroe solo, triste, deluso in amore, molto pio, preoccupato di
essere sempre all'altezza della sua fama e della sua responsabilità
di conte palatino. Grande cavaliere, forte come nessun altro ma
sfortunato. Non bello, per via del naso, e strabico da un occhio per
giunta.
Rinaldo
è alto, bello, gran cavaliere ma allegro, mangiatore e bevitore e
sempre a caccia di gonnelle. Anch'egli, va da sé, cadrà vittima
dell'amore, ma si capisce subito che se ne farà una ragione molto
presto.
Entrambi
sono, per vero, sposati, ma della moglie di Rinaldo non mi ricordo se
si dica almeno il nome, Orlando è sposo fedele della sua Alda la
Bella, ma la magia lo farà cadere comunque nei lacci d'Amore. Per
altro la tradizione (secondo il detto che la Fortuna è cieca ma la
Sfiga ci vede benissimo) vuole che Alda muoia sul colpo alla notizia
della morte di Orlando. Ma questo succederà dopo tutte le avventure
che scrittori e poeti vorranno (ancora) scrivere sui paladini: tanto
è già successo nella Chanson: il primo poema che racconta la fine.
Lo
stesso si potrebbe dire delle personalità dei cavalieri d'Artù che
sono un filo più standardizzati nei comportamenti, ma anche fra loro
le indoli e le caratteristiche di personalità differenti ci sono e
anche come guerrieri sono diversi.
Questi
cavalieri stanno, in partenza, fra la Francia e l'Inghilterra o la
Francia e la Spagna, poi viaggiano in Italia, Artù diventa
addirittura Imperatore dei Romani (non di Roma) e Orlando e Rinaldo
hanno avventure sull'Aspromonte in altri poemi, in Europa poi nei
paesi saraceni, in Oriente, in Africa e persino nel Catai, che non è
la Cina, ma l'Afghanistan o qualche 'stan' da quelle parti. Quindi
Angelica è una bellissima iranica, se vogliamo immaginarcela, e non
cinese, infatti è bionda e non è stranissimo che una afghana o
tagika o uzbeka o persiana lo sia, anche perché i Mongoli non erano
ancora arrivati e dunque gli occhi a mandorla ce li avevano solo i
Turchi (di allora non di oggi). Hanno innumeri avventure in ciascuno
di questi paesi, che mescolano il gusto dell'episodio a quello
dell'esotico.
Ma
ognuno di loro rappresenta un tipo di cavaliere e un tipo umano ed è
legato a certe avventure, a certi nemici e a certe situazioni magiche
e fantastiche.
Un
caso invece di ritorno al realismo è la “Gerusalemme Liberata”
di Torquato Tasso del 1575 dove si narra della riconquista alla
cristianità di Gerusalemme da parte dei Normanni guidati da Goffredo
di Buglione durante la prima crociata finita nel 1099.
Insomma,
per non farla tanto lunga, credo che il successo di questi personaggi
stia in una necessità psicologica profonda degli uomini del Medioevo
e poi del Rinascimento, visto che i grandi poemi appartengono a
questo periodo. Questa esigenza è la costruzione di una mitologia
fondativa propria che in parte spieghi il sistema vigente di quei
tempi (il pippone di Ariosto sulla dinastia degli Estensi che
discenderebbero da Ettore ne è la forma esacerbata) e in parte abbia
la funzione di paradigma di valori etici e sia modello di vita.
Il
Cristianesimo aveva relegato la mitologia classica, quando non
l'aveva proibita o fatta sparire (ma non ci riuscì mai del tutto e
non ci riesce nemmeno oggi la scienza... e un motivo ci sarà...), a
mite riferimento letterario, anche molto elitario ed esclusivo. Il
mito diventa mite.
Era
nata sì una mitologia ufficiale cristiana che avrebbe dovuto
prendere il posto di quella classica ma, vivaddio!, tutta fatta di
santi e eremiti sempre intenti a punirsi con penitenze se non
addirittura, e preferibilmente, con il martirio! Martiri oltretutto
passivi, per far passare la visione di un paganesimo crudele e
violento: ecce agnus Dei... Modelli di fede e di mortificazione a
volte solo in parte mitigati dall'ingresso nella mitografia ufficiale
di alcune storie popolari. Casi, eccezionali anche, di abbandono
estatico a Dio, di miracoli o di lunghe cogitazioni sapienti. Insomma
: due palle...
La
vita era un'altra e si sentiva il bisogno di immaginarsi a
combattere, cavalcare, innamorarsi, morire a fianco degli eroi, com'è
giusto, come era sempre stato giusto.
Mi
verrebbe di parlare dell'iconografia del Cristo nelle prime epoche
del Cristianesimo, ma diventerebbe un altro post. Io sono uno dei
pochi che ha letto e studiato, cioè come intendo io: mangiato,
digerito e cagato, la Bibbia, il Nuovo Testamento e il Corano, anche
se non sono credente in nessuna di queste tre religioni. E vi
consiglio di leggerli così come sono senza introduzioni e note
pastorali, come ogni libro del resto: la prefazione semmai va letta
dopo. Probabilmente perderete la fede ma scoprirete dei libri storici
di grande interesse, perché secondo il senso delle parole, così
come sono scritte, sono anche libri di una certa onestà
intellettuale, nei limiti, come si dice degli spumanti. Con le note
teologiche e pastorali crolla tutto il catafalco delle religioni di
fede e del monoteismo, che non possono stare in piedi logicamente, e
diventa tutto un cumulo di menzogne e rovine.
Torniamo
ai nostri cavalieri, ai nostri eroi medievali e moderni.
Miguel
de Cervantes ha scritto il suo grande “ Don Chisciotte ” per
prendere in giro l'esagerata produzione di testi cavallereschi della
sua epoca, ma se guardate bene critica lo scarso valore letterario di
questi poemi, non tanto il contenuto simbolico della cavalleria. Un
po' come se don Chisciotte fosse così tristo per la pochezza
letteraria dei suoi amati testi. Infatti salva, fra i tanti libri di
don Chisciotte, lo “Orlando Furioso”.
Il
mio caro Casanova ne salva due: “Don Chisciotte” (questo fra
tutti i romanzi in assoluto: era sempre esagerato...) e l'Orlando di
Ariosto. Fra l'altro, Casanova, esponente quasi proverbiale del '700,
conosceva a memoria “Orlando Furioso” che leggeva ogni anno.
Non
posso finire questo post che vorrebbe avere, come tutti gli altri, un
contenuto aperitivo più che conclusivo, senza parlare della enorme
produzione lirica musicale su questo tema.
L'immenso
Claudio Monteverdi ha musicato “ Il combattimento di Tancredi e
Clorinda” della “Gerusalemme Liberata”. Ne ho già parlato: su
You Tube c'è un recital di Anna Caterina Antonacci su questo brano e
sul “Lamento di Arianna” messo in scena a Amsterdam, non
perdetevelo.
Ah,
a proposito: ho messo su You Tube i miei videini, fatte con le mie
manine d'oro e sante, per chi volesse dare un'occhiata senza leggere
i post. Come si dice: fate girare!
Il
grande Lully compose un Orlando e un'Armida e un balletto su Alcina.
L'immenso
Antonio Vivaldi fece due Orlando e un paio d'Armide.
L'immenso
Georg Friedrich Haendel scrisse in musica un Orlando, un Rinaldo,
un'Alcina, un Amadigi di Gaula.
Insomma
questi nuovi eroi della mitologia hanno costituito uno dei temi
privilegiati della letteratura e del teatro per secoli per colmare un
vuoto identitario e un riferimento, a un certo punto anche
nostalgico, a un mondo ideale.
Nel
XIX secolo prevale l'aspetto del realismo storico e il XX secolo
sembra poter fare a meno di una mitologia se non quella fra il
comico e il tragico delle dittature o D'Annunzio o quella dell'Uomo
di Marmo ecc... dei film di Andrzej
Wajda
sugli stakanovisti. O roba di questo genere che in fondo sono la
negazione dell'eroismo quanto lo sono dell'esaltazione del realismo
esasperato.
Però
oggidì è tutto un fiorire di fiction cine-televisive, film su un
medioevo molto variegato e fantasy come ogni cosa si fa attualmente e
che ha successo. Un miscuglio a uso e consumo delle nuove tecniche
digitali e dei giovini d'oggi che s'accontentano davvero di poco. È
sconfortante come la gente si faccia imbonire dalla banalità senza
opporre resistenza. Sarà l'ossitocina nei vaccini...
Forse
il problema è sempre quello di don Chisciotte.
R.P.
Posteris
memoria mea
p.s.
dimenticavo: mi raccomando, non preoccupatevi del rinfocolarsi della
tubercolosi, causata dallo smodato spostamento di carne umana
nell'infame traffico di schiavi, o di altre malattie scomparse da noi
dal primo dopoguerra (mia zia Antonietta morì di TBC a 28 anni dopo
il conflitto come tanti giovani minati dalle privazioni belliche),
nooo: preoccupatevi del morbillo...