giovedì 19 marzo 2015

venerdì 13 marzo 2015

La poetica delle immagini 3


Credo di essermi spiegato a sufficienza con i due post precedenti sulla natura della mia poesia. E sul tema della poetica delle e per immagini.
Con questo post vorrei fare un’operazione che richiede una partecipazione più attiva da parte di chi legge.
Utilizzerò le ultime quattro fotografie che mi ha inviato Laura Caligiuri (www.lauracaligiuriphotos.com ; FB: Laura Caligiuri Photos) e che hanno come motivo comune l’acqua, per abbinarle ognuna a una delle mie poesie, semplicemente una a fianco all’altra per vedere che effetto fa in ciascuno che vede. Sapendo che le fotografie non sono state scattate conoscendo le poesie e le poesie non sono state composte vedendo le fotografie.
Comparando quindi dei materiali indipendenti come genesi e storia, ma ponendosi nell’ottica di osservare quali relazioni, analogie, stati d’animo l’insieme delle due creazioni artistiche possono produrre.
Io non avanzerò nessuna ipotesi: massima libertà a chi legge. Sarebbe interessante sapere cosa ne salta fuori attraverso i vostri commenti, lunghi o brevi che siano. Su, non siate timidi o pigri! Una fotografa e un poeta vi propongono dei loro lavori perché diciate una parola su di essi.

Comunque ecco di seguito le fotografie di Laura seguite dalle mie poesie relative.

 1



Tanka da “ Un po’esie ”.

Pan tera

L’oca si ferma
su un’isola di canne
presso la riva,
ma non c’è mai sosta
per le acque del fiume


 2

 

Tanka da “ Versi liberi ”.

 Sedie di cucina n° 1

Onde sul mare
si inseguono uguali
una all’altra
ma poi, all’improvviso,
una si alza e si frange.

 3


Canto saffico da “ Epea Pteroenta ”.

Boccioli nei campi e pesci nei mari,
macchie di luce su uno sfondo glauco,
la terra si incorona di fiori
cinta di bianco

Onde, dune mobili per un’eco,
prati, mare calmo di tremula erba,
vento che stilla come in uno speco
linfa acerba.

Voci che corrono, tuono che rimbomba,
pioggia che fugge in mille rivoli,
poi silenzio come in una tomba,
lasciati soli.

A piedi scalzi, nudi e così belli,
sulla sabbia asciutta e poi bagnata,
freddo, fragore e battiti d’ali.
L’alba è levata

(schema: ABAb BCBc CDCd DEDe)


 4




Sonetto da “ Un po’esie ”.

I migratori partono in frotte,
astri neri, chiari, rapidi in volo
che ingombrano le case del cielo
come le stelle fanno della notte.

E gabbiani su cui il sole si mette,
mentre girano alti o verso il suolo,
a dorare le loro penne in volo
su cui la rosea luce si riflette.

Gli uni abitano le vie del cielo,
gli altri le sponde sozze dei navigli:
entrambi sono puri come gigli.

Sia che volino guardando il sole
o che lascino i loro nascondigli,
nulla c’è che di bello gli somigli.


(schema: ABBA ABBA BDD CDD)



Ringrazio ancora Laura Caligiuri per l’invio delle sue fotografie.

 Mansey


 La vita cos’è
se non non far svanire,
testardamente,
la scia di una barca
che scivola sull’acqua.

(Tanka da “ Epea pteroenta ”).


Ricordo che le fotografie non sono di dominio pubblico e la loro utilizzazione è soggetta all’autorizzazione dell’autrice.

Comunicazione di servizio: se qualcuno è esperto di blog della piattaforma blogspot.com mi può dire perché quando seleziono invia notifica in una pagina esce un messaggio di errore che dice difficoltà a connettersi al server?

lunedì 9 marzo 2015

La poetica delle immagini 2



Continuando sempre nella lettura delle immagini che ho iniziato nel post precedente, analisi che mi serve sia per fornire una mia chiave di lettura della poetica sottesa alle fotografie che sto presentando, almeno a quella che esprimo io, e quindi a fornire un esempio di possibile cascata analogica di forme e sensazioni a partire da un’interpretazione soggettiva autoriale, sia per continuare e concludere con questo e con il prossimo post, che verterà sempre sulle fotografie di Laura Caligiuri (www.lauracaligiuriphotos.com ;FB: Laura Caligiuri Photos ), la definizione di una traccia, non vorrei dire interpretativa, quanto piuttosto esplicativa, diciamo delle istruzioni per l’uso, rispetto alla natura della mia poesia.
La fotografia che ho scelto, che bene invera i due scopi, è questa. 


Scatto più fortemente connotativo di quello del post precedente. Mentre là vi era una sorta di indeterminatezza, di vaporosità, qua persino la nebbia acquista un corpo e uno spessore di grande matericità.
Penso che l’immagine che viene in mente a tutti è quella delle grandi cattedrali gotiche, proprio per la forte fisicità degli oggetti raffigurati. La pietra scavata dagli agenti atmosferici, l’aspetto impervio dei due bastioni rocciosi, lo slancio delle conifere a guglia verso l’alto. Come l’architettura gotica essi trasmettono sia un grande peso, una solidità di impianto, sia uno slancio prometeico verso l’alto.
Detto di passaggio, ché altrimenti sconfineremmo, andrei sempre cauto nell’attribuire il carattere di leggerezza all’architettura gotica solo perché prevalgono i vuoti sui pieni o per le strutture composite.
Altrettanto evidente il carattere di fierezza, di ‘porsi di fronte’, che i due strapiombi esprimono. Ugualmente evidente l’individualità di ognuno di essi, con la nebbia, appunto, a fare da mezzo di esistenza dello spazio compreso fra le due masse, un po’ come il vapore dell’incenso riempiva il vuoto dell’invaso della cattedrale. Fumo denso, odoroso, che indicava una presenza e una direzione: il divino e la salita verso l’alto.
Certo, la mancanza delle vetrate colorate, se seguite il mio esempio, porta a vedere le due cattedrali come rovine, ruderi di antiche cattedrali sparse per la campagna francese prima dei restauri e della canonizzazione del neogotico operata da Eugene Viollet Le Duc. A me non dà questa sensazione ma concedo che sia possibile e abbia senso. A parte che è perfettamente legittimo provare la sensazione che si vuole, ma io qui cerco di mantenere una certa oggettività.
Vediamo un po’ questi aspetti nel dettaglio.
Notate la pietra scoscesa e scalpellata dalla pioggia e dal vento nella quale è possibile divertirsi a vedere volti antropomorfi o teriomorfi o figure intere come statue di santi o demòni infernali. Nasi, bocche, occhi espressioni fra Arcimboldo e Notre Dame.


Giuseppe Arcimboldo “ Rodolfo II d’Absburgo ”, XVI sec.



Notre dame de Paris, ‘ Gargoyles ’

Questo mi fa pensare anche a un elemento dello Shinto, laddove si dice che lo spirito vitale dei morti ritorna nella natura. Qui sembra che questi esseri non ce la facciano a restare celati e si manifestino ognuno con la sua personalità.
Ce ne sono davvero molti. Nella roccia a sinistra, non so perché, mi appaiono personaggi donchisciotteschi. In quella di destra ce ne sono di più ancestrali e una grossa fenditura che appare un’enorme edicola per una statua colossale tipo quelle dei Buddha che vengono collocati in alloggiamenti scavati nella roccia, se non c’è l’islamico di passaggio che si diverte a farli saltare con la dinamite.
Capite già dove si può andare a finire nella contemplazione in quella che io chiamo la  cascata di immagini.
Gli abeti, o quello che sono, rappresentano le guglie, o sia il maggior segno di tendenza verso l’alto. Anch’essi però stanno in un posto che sembra loro assegnato, e sarà anche così,  per una ragione o un insieme di ragioni che ci sfuggono. Certo è che sia le guglie sia le statue delle cattedrali sono poste in equilibrio in punti precisi. Ciò nonostante un santo deve continuare a fare il santo anche a cinquanta metri da terra e in una nicchia appena sufficiente per posare i piedi. Allo stesso modo questi pini devono farsi bastare il pugno di terra che la roccia e il vento concedono loro. Ma lo fanno con la più grande naturalezza.
I contrafforti rocciosi potrebbero essere anche i due campanili laterali delle cattedrali gotiche, le più antiche sono in Francia, e lo spazio fra d’essi è la navata maggiore.



Cattedrale di Reims, XIII sec.

Qui la nebbia svolge un ruolo di indicazione di un’altra direzionalità, non solo gotica, di un edificio religioso: il percorso fra l’entrata, cioè il confine o, come si dice in termini della composizione architettonica, la regola d’ingresso, fra esterno e interno, e il percorso della processione sacra che porta al presbiterio. Fra le due rocce, seguendo la nebbia in uno spazio che non è compreso nella fotografia, si procede verso un luogo di contatto fra il mondo umano e divino. Per farlo è necessario entrare nell’immagine e questo dà l’elemento di profondità che riequilibra, a livello compositivo e poetico lo ‘ stare di fronte ’  di cui parlavo prima.
Voglio aggiungere che un pregio delle fotografie che Laura mi ha inviato è che rifiutano l’approccio: ‘ potevamo stupirvi con effetti speciali ’ e non tendono a far più bello ciò che è già bello così com’è.
Fra le mie poesie due mi sono sovvenute vedendo questa fotografia, le trovate entrambe nel blog ma, al solito le riprendo.
Una è questa che fa parte degli esametri di “ Epea pteroenta ”.

Ora cavalca per sempre nei prati
del cielo, insieme ai venti,
e vuota è la tomba.

Corre come l’aria tra i fili d’erba
color mela acerba
e ha una nube da amante.

Come l’acqua che sale nelle piante,
linfa e umore vivente,
si scioglie nella vigna.

O è un pezzo di ghiaccio su una montagna
e la neve lo bagna,
così intatto e lindo,

dimentico del male del mondo
vive beato, giocando
con l’eternità stessa

e non gli importa del tempo che passa,
e vive anche qui, ancora.

(schema: Aab Bbc Ccd Dde Eef Fg)


Questa poesia mi venne quando stavo scrivendo un romanzone su dei cavalieri dell’anno Mille.
Mi chiedo dove finisca lo spirito vitale che ci anima dopo la morte, quando in un attimo sono annullate tutte le cose che ci apparivano importanti e che da quel momento non lo saranno più. O finisce tutto nel nulla oppure su ciò che succede poi dobbiamo farci delle ipotesi. La poesia ne fa alcune senza particolare ordine di importanza se non quello generale di dissolversi in un vita più ampia. Come appunto fa un pezzo di ghiaccio sulla montagna. I ghiaccioli della foto hanno un’evidente forma di madri primordiali ed è a un tipo di ghiaccio simile a cui mi riferisco nella poesia, non certo a una neve che si può sciogliere o mischiarsi ad altra.
Ma ho già detto in un precedente post che le poesie non vanno spiegate perché si sciupano. Piuttosto bisogna abbandonarsi e vedere quel che accade.
E un altra composizione è proprio un tanka che si chiama “Sedie di cucina n° 3” ed è tratto da “ Versi liberi ”.

Sedie di cucina n° 3


Giù dal dirupo
tutti hanno paura
fino a guardare,
ma il pino isolato
ci vive, addirittura.

Immagine che mi venne osservando le venature del legno delle mie sedie in cucina, ma non preoccupatevi: non avevo preso niente di strano.
I tanka ovviamente non si spiegano, si vivono.
L’osservazione del reale è più che sufficiente per innescare la catena di immagini che possono portare a una poesia o a una sua diversa lettura.

Preciso di nuovo che le fotografie non sono di pubblico dominio e il loro utilizzo necessita dell’autorizzazione dell’autrice.