Secondo esempio, sempre a mia memoria
per i posteri, poiché pare che ai contemporanei non interessi, di come svolgere
la lettura di un’opera d’arte. Ancora architettonica perché l’ignoranza in questa
disciplina regna sovrana, appunto: poiché pare che ai contemporanei non
interessi. E non venirmi a dire che queste cose le sai già perché fai la figura
di quello/a che non sta capendo nemmeno di cosa si sta parlando.
Le opere d’arte che analizzerò in
questo post sono lo Spedale degli Innocenti di Filippo Brunelleschi, a Firenze,
e per affinità di tipologia d’uso la Ca’ Granda di Milano.
Filippo Brunelleschi nacque a Firenze
nel 1377 e morì nella sua città il 15 di aprile del 1446.
Gli autori della Ca’ Granda sono
molteplici nel corso dei secoli. Conoscete quel modo di dire milanese per
indicare quando una cosa inizia ma non vede mai la fine: a l’è la Fabrica del
Domm (è la Fabbrica del Duomo)? Be’ qui è una cosa simile.
Lo Spedale degli Innocenti è uno
degli edifici cardine della storia dell’architettura. Punto. Il primo forse,
senz’altro il primo compiutamente, dell’architettura rinascimentale.
L’architettura rinascimentale è la
prima grande rivoluzione in campo architettonico e si svolge dalla fine del XIV
secolo, al termine di un lungo periodo, almeno tre secoli, di architettura
gotica. Perchè dico la prima. Voglio dire che lo stile gotico viene utilizzato
per imitazione dall’europa centrale (Francia prima e poi Germania) durante una
fase di importanti trasformazioni sociali e culturali, ma non esiste una
consapevolezza del cambiamento artistico se non appunto nell’appartenenza al
mondo e alla cultura centro europea. L’architettura ancora precedente si era a
mossa in sostanza su diversi modi di vedere il retaggio romano: architettura
paleo cristiana, bizantina, romanica. Nella critica d’arte rinascimentale tutti
questi periodi erano compendiati ancora sotto la definizione di arte romana
senz’altro.
Il passaggio all’architettura
rinascimentale invece è il frutto di una precisa ideologia artistica che
consiste nel recupero del linguaggio architettonico classico come precipuo
della cultura italiana. Il rinascimento è un’esperienza soprattutto italiana in
architettura, nel resto d’Europa si continua a usare il gotico senza incertezze.
A grandi linee: solo quando in Italia si afferma il Barocco la moda
rinascimentale fa i suoi ingressi nell’architettura
europea.
Lo Spedale degli Innocenti era uno
dei primi orfanotrofi europei e forse questa sua novità avrà fatto decidere
Brunelleschi a rompere gli indugi e presentare la sua rivoluzionaria
architettura classicista. Fu iniziato nel 1419 e terminato nel 1451. Ma quello
che ci interessa in questa sede è solo una parte del complesso: il portico
colonnato che ho evidenziato nella planimetria.
Spedale degli innocenti - planimetria |
Oggi sarebbe considerato un caso di
facciatismo, ossia di intervento migliorativo della facciata, e considerato
indegno dell’architettura moderna: meno male che allora certi problemi stupidi
non se li facevano altrimenti non avremmo un capolavoro assoluto. In sostanza
l’edificio esisteva già, pure se Brunelleschi intervenne anche nella parte del
cortile.
Ti ricordi quando, parlando della
Farnesina, ti dicevo che la prima cosa da osservare è il volume? Be’ qui siamo
in presenza di un volume puro, se consideriamo solo il portico, anche se la
questione, vedrai, è molto più sottile e intrigante.
Per commentare la planimetria è importante
notare che la geometria del portico non ha che poche attinenze con lo sviluppo
complessivo dell’edificio. Brunelleschi ha fatto tornare delle aperture, porte
o finestre, in asse con le luci del colonnato, ma è evidente che il portico
appare come un corpo indipendente incastrato nel vecchio. Questo denuncia, in
un certo senso, ancora il timore della proposta di uno stile che, seppur riprendente
gli stilemi classici che possiamo pensare non fossero mai stati obliati almeno
nella conoscenza artistica, era visto come antitetico all’architettura gotica
(e in effetti lo è) ed estraneo alla città.
Siamo, in Italia, all’esito del
gotico, quel periodo artistico detto tardogotico o gotico cortese (leggi: di
corte: deriva da corte nobiliare, non da cortesia). Ti prego di non usare mai,
per gli edifici gotici di questo periodo, il termine gotico floreale o
fiammeggiante che sono delle puttanate da critico d’arte. Si definisce cortese
perché s’ingenera sul cambiamento politico, il quale è anche sociale e culturale
ovviamente, che denota il passaggio dall’età comunale a quella delle signorie.
Vedremo che per lo stesso motivo sarà concepita la Ca’ Granda, nome popolare
del primo Ospedale milanese, lustro della relativamente recente signoria
Visconti-Sforza.
Il tipo di volta che vedi in
planimetria (c’è un errore: a chi lo trova xⁿ euri in premio) è quello detto a creste e vele, dove le
creste sono le lunette perimetrali e le vele quella specie di lenzuolo gonfio
tenuto per i quattro angoli. Le vedremo meglio dopo.
Passiamo alla facciata che contiene
le principali connotazioni del nuovo stile alla moderna.
Spedale degli innocenti - facciata |
La
cosa che si nota subito e che costituisce il motivo per il quale è un edificio
che ci (duale) interessa è che usa gli archi a tutto sesto. In quei secoli si
usava l’arco a sesto acuto o ogivale che è il segno distintivo
dell’architettura gotica. Dall’uso dell’arco a tutto sesto (non a tutto tondo o
Betty piange) consegue tutta una serie di riprese derivate dal linguaggio
classico. Naturalmente quello che rende questo portico così importante è che si
ha la prima, o una delle prime, riprese di linguaggio in forma compiuta, come
vedremo in dettaglio.
Di
solito qui c’è il pippone sui moduli e allora facciamolo anche noi (duale). Ma
no, è sbagliato! Mi sono subito ripreso...
Come
vedi questa facciata è costruita su tre piani... No, non verticali: quelli sono
solo due. Tre piani di profondità, anzi quattro per la verità.
Mormorio
in sala...
L’intero
edificio è molto lungo e nella foto che ho messo non c’è tutto, ma ho
evidenziato le lesene a coppie alle estremità della facciata. Si vedono un po’
male perché c’è il monumento di quel signore a cavallo e a sinistra devi
immaginarti che ce ne sia un’altra. Sono coppie di lesene composite scanalate
con alla base quella tipica modanatura a forma e controforma di cui ti ho
parlato nel post sull’architettura romana (‘caput mundi’). Le lesene sono alla
distanza di circa una luce di portico, dunque troppo lontane per essere
definite binate. Esse appoggiano sullo stilobate a gradini e reggono una lunga
trabeazione a semplici modanature, purtroppo assai deteriorate. La trabeazione
continua per l’intera lunghezza del fabbricato.
E
questo è il primo piano di profondità della facciata.
Osserva
ora appena a fianco della lesena. Vedi che la colonna e l’arco sono arretrati
rispetto alla lesena? E lo conferma anche il tondo azzurro spezzato.
Il
portico è a colonne composite e l’arco è risolto anche qui con semplici
modanature che non mostrano i conci. Le colonne appoggiano sopra lo stilobate e
reggono la serie di archi, nove in tutto. La quota della chiave dell’arco è
compresa sotto quella della trabeazione. Si determinano così dei pennacchi che
ospitano dei tondi in terracotta azzurra con puttini in fasce, ovviamente gli
orfanelli.
Gli
elementi strutturali sia di linguaggio sia reali (le colonne) sono in pietra
serena, dunque grigia, l’intonaco è a calce, ossia bianco, i tondi risaltano
col loro bell’azzurro, e ne riparleremo.
Il
modulo di dimensionamento del portico è molto semplice e quasi obbligato direi.
Ricorda che nell’architettura rinascimentale si tende a privilegiare un
andamento generale orizzontale, per riprodurre la fermezza e la calma,
l’affermazione direi, della scelta classica. Nei manuali troveresti detto
l’armonia, ma è un’affermazione priva di senso: sono armonici anche gli edifici
gotici, della loro armonia naturalmente e non è che una sia giusta e l’altra
no. Sarebbe come dire che Bach è armonico, Mozart un po’ meno e Chopin per
niente...
Qui
il problema dell’orizzontalità è risolto dalle dimensioni dell’edificio: ce n’è
fin troppa. Però Brunelleschi non poteva, sebbene sia perfettamente classico,
scegliere un ritmo delle campate in cui la luce fosse più piccola dell’altezza
delle colonne. E perché non poteva? Perché sarebbe stata una proporzione simile
a quelle del gotico. E se per paradosso avesse deciso di fare la luce maggiore
dell’altezza, l’arco si sarebbe ribassato, cosa perfettamente classica, ma
troppo somigliante alle architetture tardo romane. Dunque l’unica strada era
fare luce e altezza uguali, vale a dire che la campata inscrive un quadrato,
fra le colonne, e un semiquadrato circoscrive l’arco. L’altezza del
semiquadrato determina quella delle finestre del primo piano. Per i precisini:
si deve intendere la luce netta: da stilobate all’intradosso di chiave, e
dall’interno della colonna, nella sezione più rastremata, all’interno della
colonna. Poi le varie parti della facciata sono ovviamente multipli o frazioni
del modulo. Se no che modulo sarebbe?
Nei
manuali troveresti: snelle colonne composite. Ma te lo devo dire io che sono
snelle? E poi, benedetta Madonna, è una facciata bassa, di due piani soli,
quindi la colonna porta un piano: non è logico che le colonne non siano
gigantesche? Brunelleschi non era un dilettante...
In
realtà manca ancora da dire una cosa ancora, ma la dirò dopo perché è molto
importante ma adesso spezzerebbe il discorso dei piani di profondità che è
altrettanto importante.
E
questo è il secondo piano di profondità.
Al
primo piano la facciata è piena con finestre a cornice e timpano in pietra
serena, che stanno su un marcapiano piuttosto aggettante posto subito sopra la
quota della trabeazione. Il muro è perciò più arretrato rispetto alla
superficie dei pennacchi del portico.
Le
aperture del primo piano sono in asse con la mezzeria della luce delle campate
e questo è perfettamente logico: ha più senso alleggerire sull’arco che sulla
colonna. Per alleggerire il carico si intende: se c’è una finestra manca il
peso del muro per la superficie equivalente al vuoto. È intuitivo che la chiave
sia il punto più debole dell’arco (se deve crollare, crolla lì).
Però
puoi fare un esercizio di immaginazione (assolutamente teorico per la verità):
sposta mentalmente, o disegna se hai voglia, le finestre sopra le colonne e
riempi il vuoto attuale. Staticamente si poteva fare, forse la colonna sarebbe
stata un po’ meno snella... non ostante il carico assiale sarebbe
diminuito. Chiedi all’amico ingegnere e concentrati su come invece ne sarebbe
stata compositivamente stravolta l’intera facciata.
E
questo è il terzo piano di profondità.
Il
quarto piano di profondità è ovviamente la quinta di fondo del portico che,
essendo appunto un portico, si vede. Qui è evidente lo scollamento fra la
composizione del portico e quella della planimetria del resto dell’edificio: ci
sono sette tipi diversi di aperture, fra porte e finestre. Questo in effetti è
strano, voglio dire questo repentino disinteresse di Brunelleschi per una parte
che appunto è visibile. Sinceramente non so dare una spiegazione esaustiva.
Forse non è stato possibile modificare la pianta e imporre una regola. Oppure
la ripresa dello stile classicista era ancora vista come elemento di linguaggio
estremo, simbolico, come citazione (sto pensando, in tutt’altro contesto, all’arco
della facciata di Sant’Andrea di Leon Battista Alberti a Mantova). O
semplicemente si riteneva che la forza del nuovo linguaggio lasciasse liberi da
una composizione interna: la sensibilità in questo campo è molto variabile
nella storia dell’architettura.
Per
ultima considerazione della facciata, ti spiego il significato dei tre piani
del prospetto. La trabeazione ha il compito di misurare tutta l’estensione
dell’edificio e non contenendo archi non entra in immediato conflitto con la
prassi esistente. È certo un richiamo classico ma non ha il compito immediato
di comunicare la nuova teoria dell’architettura. Moderna teoria che invece è
dispiegata nel nuovo corpo del portico il quale, posto in secondo piano, da un
canto ha il suo posto sicuro, potremmo dire: il luogo dell’innovazione, e
dall’altro contiene tutte le principali novità, ed è tanta roba, come si dice.
L’ultimo piano è volutamente trattato con semplicità per non ingenerare
confusione e lasciare tutto lo spazio al portico. Le finestre sono solamente
incorniciate e l’unico elemento nuovo è un semplice timpano.
Tutto
si svolge in pochi centimetri di differenza ma la scansione semantica è
perfettamente ordinata. Questo è uno dei migliori esempi di uso del linguaggio
architettonico.
Hai
visto? Sembrava un portichetto...
Spedale degli innocenti - particolari |
Passiamo
a un’immagine più ravvicinata che permette di osservare meglio le volte a
creste e vele e soprattutto di riprendere l’argomento importante che ho
temporaneamente accantonato sopra.
Vedi
che ho evidenziato degli elementi. Partiamo da quello più esterno. Fra il
capitello e l’imposta dell’arco c’è un elemento che non troviamo negli ordini
classici. Si chiama pulvino. Il pulvino compare per la prima volta
nell’architettura bizantina, uno dei periodi di continuazione del linguaggio
classico. Non ha uno scopo costruttivo essenziale: contribuisce a centrare le
componenti laterali della spinta dell’arco che però sono già bilanciate da
quelle degli archi precedente e seguente. Insomma se ne può fare a meno.
Infatti qui Brunelleschi ne disegna uno molto sobrio, quasi accennato. Ma
allora che ruolo ha il pulvino? Qui c’è un’altra raffinatezza filologica che
vale la pena di notare.
Il
canone prevede che un arco o una volta si impostino su un muro, mentre sopra
una colonna ci va la trabeazione. Insomma, sarebbe scorretto impostare l’arco
su una colonna.
Allora
Brunelleschi interpone un pulvino fra il capitello e l’imposta dell’arco.
Questo tiene il luogo del pezzo di trabeazione, che è corretto appoggiare sulla
colonna, altrimenti mancante.
Infatti,
se segui la nervatura dell’arco, vedi che dal lato del muro c’è un pulvino
uguale incastrato, dato che la forma è molto scarna l’autore ha aggiunto sotto una
decorazione che parte con due piccole volute composite e poi scende con un
elemento genericamente fitomorfo (è una specie di palmetta o se preferisci un’enfatizzazione
delle foglie d’acanto che dal corinzio erano state incorporate nel capitello
dell’ordine composito).
Fai
attenzione a una cosa che è fondamentale nel discorso che vo facendo sul
linguaggio architettonico. La nervatura dell’arco finisce proprio sopra il
pulvino, ma occhio, il vero arco, quello
portante, non corrisponde alla nervatura ma prosegue sopra e si va a impostare
sul muro, o nel muro se preferisci. Naturalmente un arco si imposta sulle due
metà e poi si unisce in chiave, ma ci siamo capiti.
Direi
che un esempio più palmare e didattico di questo, per capire il significato del
linguaggio architettonico nell’ambito dei periodi di stile, non sia facile da
trovare. E tolga ogni dubbio o incertezza su cosa sia portante o no in questi
tipi di architettura.
Ma
evidentemente questa soluzione non soddisfaceva ser Filippo che infatti arriva
alla più compiuta lettura del problema della corretta impostazione dell’arco,
quando la struttura verticale sia una colonna, nella chiesa di Santo Spirito,
sempre a Firenze, del 1444, sua ultima opera credo.
Santo Spirito - navata centrale |
Questo
è quello che si denomina il ‘dado brunelleschiano’. Questo elemento corrisponde
al pezzo di trabeazione che pertiene a ognuna delle colonne.
Se
osservi bene l’elemento a tre scalini, subito sopra al capitello, è l’equivalente
della fascia a tre aggetti della prima metà della trabeazione. La parte
superiore e liscia corrisponde alla metà superiore della trabeazione. Siccome
però non è corretto impostare l’arco su una trabeazione, Brunelleschi ha
inserito, come nello Spedale, un pulvino. Era necessario poiché mancando ci
sarebbe stata continuità, anzi fusione, fra la trabeazione e l’arco, e infatti
il pulvino è stato convenientemente accresciuto di dimensione e enfatizzato.
In
seguito il problema di voltare sulla colonna non è stato più al centro della
discussione del linguaggio architettonico classicista.
Detto
di passata, per me Santo Spirito è forse la cosa più bella da vedere a Firenze.
Qui sotto ho messo la planimetria ideale in cui si vedono i moduli quadrati
della composizione e ho evidenziato due punti, uno curioso e l’altro perché,
non ostante gli sforzi non sono riuscito a trovare una foto.
La
facciata che fu costruita realmente non è quella che si vede, a quattro moduli,
con ingresso dalle nicchie, ma, saltando tutti i primi quattro moduli, si fece
una facciata piena. Il motivo era di quelli insormontabili. Secondo la regola
liturgica una chiesa deve avere un numero dispari di entrate: una, tre, cinque,
sette, nove (anche se non ho contezza di una chiesa a nove navate...). Quattro
non sono ammesse e non ostante le insistenze di Brunelleschi non ci fu nulla da
fare.
Il
secondo punto che ho evidenziato è una spettacolare soluzione d’angolo nel
punto in cui la navata laterale si incontra col transetto. Quando ho parlato della
Farnesina, qui, ti ho detto che la lesena tuscanica non pone problemi d’angolo.
L’ordine composito, come lo ionico e il corinzio, ne pongono invece. Dovrei
avere una foto o una diapositiva mia ma chissà dov’è...
Santo Spirito - planimetria |
Vale
la pena di spendere una parola sulla decorazione dei pennacchi, fra un arco e
l’altro. La soluzione tipica di Brunelleschi, anche per la tromba delle volte,
è un tondo, il cui uso diverrà poi comunissimo. Nello Spedale il tondo in
pietra serena è riempito con delle terrecotte invetriate di Luca della Robbia
(Firenze, ~1400-1482) di fondo
azzurro con bambini in fasce bianchi. Luca della Robbia fu uno dei massimi
scultori nel settore delle terrecotte e delle maioliche, sia a rilievo sia a
tutto tondo.
Spedale degli innocenti - tondi di Luca della Robbia |
Forse
la prima città, fuori dalla Toscana, ad accogliere l’innovazione rinascimentale
fu Milano. La cosa non stupisce se si considera che in entrambe le città si
stavano affermando i nuovi ceti sociali dominanti legati al commercio e
all’attività bancaria. Ricorda che l’arte è sempre la celebrazione di un
potere, in particolar modo l’architettura che costa un botto di soldi. Queste
nuove classi dominanti erano alla ricerca di uno stile artistico che li
rappresentasse nel mondo, che li facesse individuare come la novità politica
che avrebbe portato l’Italia ai fasti della sua gloriosa antichità. Né più né
meno.
A
Firenze i Medici s’erano affermati sui Peruzzi e abbiamo già visto che a Milano
i Visconti avevano prevalso sui Della Torre o Torriani.
Una
nota di storia milanese. L’attuale emblema della città di Milano è una croce
latina di rosso in campo d’argento (sostituito ormai col bianco) ma fu il
recupero ottocentesco dell’emblema del Comune medievale, la cosiddetta Croce di San Giorgio è uno
stemma molto diffuso, per esempio la città di Genova l’ha uguale, oltre
ovviamente l’Inghilterra. L’emblema che nei secoli ha contraddistinto Milano è
il famoso biscione: un serpente in palo d’azzurro coronato d’oro divorante un bambino di rosso su campo
d’argento. Questa è l’arme dei Visconti pisani chiamati in epoca comunale a
svolgere il ruolo di capitani del popolo. L’origine dell’emblema è
probabilmente ancora più antica ed è possibile che i Visconti che si
trasferirono da Pisa a Milano lo adottassero come arma propria, incominciando
di fatto una storia indipendente dalla famiglia d’origine. Più propriamente il
serpente è una vipera che era l’animale totemico dei guerrieri longobardi, i
cosiddetti arii (uomini liberi). C’è chi opina che rappresentasse il drago
Tarantasio mangia bambini che imperava nel lago Gerundo che era la palude che
divideva Pavia da Milano nella zona di Lodi. La versione ufficiale araldica
parla del simbolo preso da un Visconti durante
una Crociata a un guerriero saraceno chiamato Voluce, ma mi sembra
un’invenzione per sostenere l’insostenibile, ossia che l’uso di mettere figure
sugli scudi cominciò nelle Crociate appunto.
La
dinastia Visconti, nel frattempo Milano si era trasformata da comune in
signoria, si fuse con gli Sforza quando l’unica figlia di Filippo Maria
Visconti, Bianca Maria, sposò il figlio di un capitano di ventura romagnolo, che
assicurava con la sua armata la forza militare alla città. Questo condottiero
era Muzio Attendolo detto lo Sforza (nato a Cotignola vicino a Ravenna nel 1369
e morto nella città romagnola nel 1424) e il figlio era Francesco Sforza. In
seguito il casato tutto prese il cognome di Sforza.
Una
delle opere che la dinastia degli Sforza realizzò per, a un tempo, celebrare il
suo potere, dall’altro per affermare la supremazia laica nella città, fu la
costruzione del primo ospedale pubblico di Milano. Prima la salute pubblica era
in mano alle infermerie dei conventi.
Il
progetto fu affidato a un grande architetto: Antonio Averulino detto il
Filarete (Firenze ~1400 – Roma 1469). Il
Filarete inserì il progetto dell’ospedale nel progetto urbanistico della nuova
città di Milano che chiamò Sforzinda.
Qui
sotto ho messo la planimetria nel disegno originale e una veduta prospettica
del fronte dell’ospedale, diciamo così, entusiastica... In effetti il buon
Filarete s’è lasciato un po’ andare in questa occasione.
Concentriamoci
sulla planimetria che presenta una clamorosa innovazione: la crociera. È uno
dei primi ospedali ad adottare questa soluzione. La prima crociera in assoluto
è nell’ospedale di Santa Maria della Scala a Siena, poi in quello di San Matteo
a Pavia.
La
crociera è una tipologia che sfrutta il principio panottico, cioè dal centro
degli assi è possibile controllare tutti i degenti che sono ospitati nei bracci.
Al centro v’era un altare in modo che i malati potessero assistere alla
funzione stando a letto o presso il loro giaciglio.
In
seguito il principio panottico fu sfruttato per osservare i malati senza essere
in loro presenza e poter rilevare i sintomi e il comportamento spontaneo.
La
crociera ideata dal Filarete era tale per cui la parte centrale svolgesse la
funzione di ‘camino’ convogliando dai
bracci l’aria viziata e facendola defluire verso l’alto e attivando un risucchio
di aria nuova all’interno, lo vedresti bene se tu trovassi una sezione. Non
solo, ma lungo ogni parete, formata da due muri, scorreva un canale di servizio
ispezionabile che finiva nel Naviglio in modo da smaltire in fretta e
separatamente le acque luride. Era l’inizio di quello che negli ospedali
moderni si chiama divisione dei percorsi del ‘lavoro sporco’ da quelli del
‘lavoro pulito’. E tante altre soluzioni davvero stupefacenti da un punto di
vista tecnico sanitario.
E
tutto con il consiglio d’amministrazione in maggioranza laico e una sola quota
di rappresentanza della Chiesa.
Un
altro particolare di questo edificio molto complesso, davvero di una Milano
d’avanguardia, era la previsione di una sezione per le acuzie mentre fino allora
le infermerie conventuali o gli ospedali erano in sostanza dei cronicari.
La
Ca’ Granda fu un ospedale fino agli anni trenta del novecento quando fu
costruito l’ospedale di Niguarda. Oggi è sede dell’Università degli Studi detta
famigliarmente la Statale.
La
Ca’ Granda si trova in via Festa del Perdono, abbastanza vicino al Duomo, non
ti posso dare dei riferimenti perché in quella zona è lei il riferimento: non è
possibile che ci passi davanti e non la vedi... Lì attorno c’è da vedere la
chiesa di Santo Stefano, quella di San Bernardino alle Ossa (con tanto di ossa
di morti appese alla napoletana), la via del Laghetto dove arrivavano via fiume
e poi naviglio i marmi per la fabbrica del Duomo e soprattutto la basilica di
San Nazario in Brolo in corso di Porta Romana, detta basilica apostolorum per delle
reliquie. Dietro , oltre la via Francesco Sforza che è sul percorso del
Naviglio medievale (i navigli li hanno coperti quasi tutti negli anni venti,
‘sti maledetti!), c’è il bellissimo, e a me molto caro, Giardino della
Guastalla, ex collegio umanitario femminile.
La
Festa del Perdono era una processione che si faceva partendo dalla cappella
dell’ospedale, passando il naviglio e proseguendo lungo la via San Barnaba fino
ad arrivare alla Rotonda della Besana, detta il Foppone (letteralmente: la
grande pozzanghera, credo fosse intesa come ‘grande fossa’), che era il
cimitero dell’ospedale. Lungo questo percorso si incontra un sacco di roba
interessante, ma non è il caso di digredire (al volo: San Paolo e Barnaba, la Sinagoga,
Santa Maria della Pace con annessi i chiostri bramanteschi della società
Umanitaria, il Palazzo di Giustizia e, nel Foppone, San Michele ai Nuovi
Sepolcri).
Il
progetto filaretiano prevedeva due crociere, maschile e femminile, collegate da
un cortile centrale.
Ca' Granda - planimetria e veduta prospettica |
Nella
realizzazione finale il cortile centrale fu progettato da Francesco Maria
Richini (nato a Milano il 9 febbraio 1584 e morto a Milano il 24
aprile 1658), gloria dell’architettura milanese, durante il periodo barocco,
nella dimensione delle crociere.
Ca' Granda - Cortilone di Richini |
Ti voglio mostrare in che stato fu ridotta la Ca’ Granda, è proprio una foto del cortile, dai bombardamenti degli alleati liberatori, che scientemente colpirono il patrimonio artistico per vessare l’animo degli italiani che era già vessato di suo (ma Togliatti era d’accordo...).
Ca' Granda - Distruzioni belliche |
Stessa sorte toccò alla Scala e a molti altri
monumenti, i più belli e cari ai milanesi. Il Duomo si salvò, eccetto qualche
vetrata, perché fu sommerso letteralmente dai sacchi di sabbia e qualcuno ebbe
la felice intuizione di mettergli sopra una colossale bandiera con la croce
rossa (in effetti c’erano ricoverati alcuni feriti).
Non parlerò stavolta del cortilone di Richini
poiché dovrei dire sul particolare tipo di barocco che ebbimo a Milano, del
tutto diverso dagli altri. Ti do un’indicazione per riconoscere che il
cortilone è del periodo barocco e non rinascimentale come a prima vista
potrebbe sembrare (ed è naturalmente voluto da Richini il rapporto con il
linguaggio rinascimentale). Guarda le finestre: hanno una copertura alternata di
timpano e centina, stilema manierista, ma spezzati entrambi, stilema barocco, e
la loro grande dimensione. Un altro indizio è la sequenza portico e loggiato
nell’altro lato visibile. E ciò basti.
Quello che interessa a noi due è la prima
crociera, che ho qui sotto indicato perché è la realizzazione rinascimentale. A
fianco c’è la parte barocca e in fondo la seconda crociera di Pietro Castelli,
del 1805, nello stile neoclassico.
Il Filarete cominciò il suo lavoro nel 1456 e
costruì i primi due livelli, il mezzo piano e il colonnato: poi ti spiego.
Lasciò Milano per Roma nel 1465 e l’ultimo piano fu affidato nello stesso anno,
in controtendenza, a Guiniforte Solari (Carona, frazione di Lugano, ~1429 –
Milano ~1481), facente parte di una famiglia di
costruttori di schietta tradizione gotica. Dico costruttore perché non si può
parlare precisamente di progettista nel periodo gotico: c’era un coordinatore
dei lavori che procedevano sicuri in base alla prassi consolidata e proposta
‘all inclusive package’ dalle corporazioni
di lavoro (i muri, i pilastri, le finestre, le decorazioni, le vetrate ecc...).
Questo dimostra delle resistenze che il pubblico
e sopratutto le corporazioni esprimevano contro ogni innovazione, esse furono
molto forti per tutto il’400.
Anche Brunelleschi ebbe problemi simili,
soprattutto nel cantiere di Santa Maria del Fiore, il Duomo di Firenze, ma lo
risolse introducendo una specie di jobs act ante litteram. Licenziò tutti i
lavoratori che erano scesi in sciopero e prese contatti con muratori
bergamaschi (eh sì, esistevano già allora... bergumasch de l’os’cia! Posso
permettermelo: il nonno Luigi Pagnoncelli era di Bottanuco nella bassa
bergamasca). Alla notizia, ai muratori fiorentini non restò che farsi
riassumere con la stessa paga dei magütt bergamaschi, che era più bassa!
I primi due livelli del Filarete sono quegli
archi che ora fanno parte del seminterrato ma che allora erano il piano
terreno, adibito ai trasporti e al raccordo col Naviglio, e il loggiato con
archi a tutto sesto e colonne, adibito a passeggiata pedonale, il primo caso
forse di separazione del traffico veicolare da quello pedonale. Questa immagine
ti dà l’idea di quanto si alzi il piano di campagna (la convenzionale quota
0,00) nel corso dei secoli: è partito quasi un piano!
Ho evidenziato anche qui il pulvino. Le
differenze fra lo stile di pura teoria di Brunelleschi e questo lo vedi da te e
testimonia la dura lotta fra il Filarete e le corporazioni di lavoro milanesi.
Suggerirei di non fare mai, però, l’equazione: non è come lo stile fiorentino
dunque non è bello. Lo stesso si dovrebbe dire del gotico italiano rispetto a
quello francese. Queste cose lasciamole ai critici d’arte (e a volte anche
storici, ahimè) che non capiscono una beneamata di architettura. La realtà
stilistica sta nel singolo edificio, eventualmente ripetuta in altri edifici
coevi e della stessa zona. Altrimenti, se la mettiamo sul purismo, siamo
costretti ad affermare che, rispetto a Santo Spirito, Santa Maria del Fiore,
con il suo bicromatismo bianco verde, connotativo discriminante del gotico
toscano, o con la sua la cupola ogivale, è una cagata. Tu te la senti? Io no di
certo.
Ma poi perché questa ossessiva volontà
autoritaria di classificare e normalizzare? Di dare patenti di purezza? Non si
capisce che un’architettura ci racconta tutto il mondo nel quale è stata
concepita e realizzata? Ho detto che il barocco milanese è diverso da quello
più noto, come Roma o Lecce o la Sicilia. È detto barocco matematico, un
esempio stupendo è il cortile della Biblioteca di Brera, a cui ti rimando
senz’altro aggiungere.
Quando il Filarete deve costruire la Ca’ Granda
dispone di operai che hanno una grande
capacità di rendere la decorazione col cotto o con l’uso dei semplici mattoni.
Guarda il coronamento del tetto o il marcapiano delle finestre. C’è una
specificità dei lapicidi di scolpire le colonne. E non è facile per lui
smuovere l’inerzia di una prassi che lavora così bene e con grandissima
qualità. Dunque l’accetta e declina il linguaggio rinascimentale alla lombarda.
Donato Bramante riuscirà a fare un passo in più (si fa per dire: è un
capolavoro assoluto) con Santa Maria delle Grazie, sempre sostituendo alla
pietra il laterizio.
Guiniforte Solari ritorna alla tradizione gotica
e vedi le tipiche bifore a sesto acuto, sempre in laterizio e pietra.
Ti
mostro un’altra visione della crociera rinascimentale. In pratica abbiamo
svoltato l’angolo e siamo sul lato corto dell’ospedale. Qui puoi notare le cose
già dette e meglio il sotto portico. La volta che vedi è una volta a crociera,
di origine gotica, qui applicata al tutto sesto rinascimentale, siccome però la
luce dell’arco del percorso pedonale è maggiore di quella dell’arco di facciata
ne risulta una volta eterogenea un po’ complicata che si potrebbe definire, in
perfetta terminologia architettonica milanese, ‘cristonata’.
All’ultimo
piano si vede che la decorazione in cotto ha coperto anche quella zona
rettangolare che racchiude di solito le finestre gotiche (a Milano intendo:
vedi le finestre delle navate di Santa Maria delle Grazie per esempio, sempre
Solari fra l’altro) fatta a intonaco di calce e polvere di marmo bianco, che
serviva per coprire i punti di disgiunzione fra le cornici delle aperture e le
file di mattoni del muro. Era un intonaco eccezionale che si doveva riparare
solo ogni due secoli. È vero, non è una sparata. Qui ne rimane solo una piccola
linea: giusto perché le finestre andavano fatte così...
Ma
non ho potuto resistere a mostrare questo lato dell’ospedale che guarda in
faccia alla parte absidale di San Nazario in Brolo, che è la più antica
basilica paleocristiana di Milano, perché è il mio luogo di meditazione
essoterica preferito. È un passaggio alberato fra largo Richini e via Francesco
Sforza. Nella prima parte è chiuso appunto fra la crociera rinascimentale della
Ca’ Granda e la parte absidale della basilica, poi continua lungo l’ospedale e
arriva all’obitorio del Policlinico, il quale sta al di là di via Francesco
Sforza. Io mi fermo, ovviamente, nella prima parte e sto lì su di una panchina,
soprattutto nelle ore che muovono al vespro. Finché il guardiano mi chiede di
uscire perché deve chiudere il cancello del piccolissimo giardino. Sono quei
piccoli luoghi dove si respira ancora un’aria milanese autentica, ci sono,
bisogna solo cercarli un po’. Un consiglio per la ricerca: andate lontano
dall’edificazione post-unitaria.
La
cosa che mi diverte di più è vedere tutti questi domiciliati milanesi, che sono
lì sostanzialmente per ‘pisciare il cane’, che passano fra due grandi esempi di
architettura di livello e importanza internazionale e non vi badano. Salvo poi
dire all’amico romano “ Ma sai, Milano non ha molti monumenti... ”. E mi
spuntano i canini... E la sera avanza...
Ca' Granda - facciata laterale |
Concludo con dei particolari che mostrano come la decorazione in cotto fosse di squisita fattura e come furono declinati i tondi nel pennacchio del loggiato.
Ca' Granda - particolari della decorazione |
Se
sei arrivato/a fin qui: ti voglio bene e ti sei fatto/a del bene.
Buon
autunno.