Lascio
a mia memoria un utile esempio di come si analizza un’opera architettonica a
chi fosse interessato all’argomento. Farò delle analogie riportando le
considerazioni in ambito letterario sia per la prosa sia per la poesia.
L’opera
che guarderò con occhio compositivo è un capolavoro dell’architettura di ogni
tempo: la Villa Farnesina a Roma, del 1512, di Baldassarre Peruzzi.
Baldassarre
Peruzzi nacque a Ancaiano (Siena) il 7 di marzo del 1481 e morì a Roma il 6 di
gennaio del 1536, costruì la Farnesina fra i venticinque e i trentun’anni.
Di
seguito proporrò un edificio della stessa tipologia e sostanzialmente coevo: il
Palazzo Marino a Milano, del 1563, di Galeazzo Alessi in cui compaiono alcune
particolarità anche queste degne di attenzione.
Galeazzo
Alessi nacque a Perugia nel 1512 e morì nella sua città il 30 di dicembre 1572.
Cominciamo
con la Farnesina.
È
un edificio noto ai più perché ospita affreschi di Raffaello Sanzio, ma è di
estremo interesse architettonico per le innovazioni compositive e per la
straordinaria eleganza.
Ricordo
che Sanzio non è il cognome di Raffaello ma la latinizzazione (Sanctius, forma
singolare) del nome di famiglia che era de Santi. Erano tutti pittori.
Il
primo e fondamentale consiglio per partire col piede giusto nell’analisi
dell’opera è di stabilire se l’edificio ha un volume certo. In ogni caso
analizza (:o tu lettore/trice interessato/a all’argomento) sempre prima i
volumi. Se non vi è un volume certo scomponi in volumi parziali.
Questo
vale per l’architettura, l’arredo, ma anche per la scultura e la pittura e, se
mi segui, anche per la letteratura, della quale costituisce l’architettura
interna. Come sceneggiatura vale anche per teatro e cinema. Naturalmente in
architettura e in scultura si tratterà di volumi veri e propri, in pittura di
volumi rappresentati o ‘volumi di colore’
(Mondrian a esempio evidentissimo) ossia pesi compositivi su due
dimensioni. Per la letteratura immagina
che un volume possa essere il numero di volumi (appunto) nei quali è ideata
l’opera o i capitoli, i paragrafi, o ancora le strofe o le stanze, le sirme, l’uso
di caudati ecc. in poesia.
Guardando
la foto, ometti mentalmente la piccola torretta che non era prevista nel
progetto originale.
Questo
edificio è portatore di una nuova tipologia che consiste in un volume centrale
affiancato ai due lati opposti da ali che escono dal filo del corpo di fabbrica
centrale. Attenzione: escono di due moduli sui cinque di lato del corpo
centrale dunque troppo poco per essere definita una semicorte. Lo scopo infatti
è di muovere il volume complessivo definendo uno spazio di accesso alla loggia
in funzione di progressivo passaggio fra l’edificio e il giardino della villa
suburbana. Ho già parlato delle regole d’ingresso e questo è un tipico caso.
Siamo dunque in presenza di un volume composito, ma precisamente definibile dal
punto di vista geometrico.
Motivi
di carattere funzionale possono essere il movimento di carrozze di fronte
all’ingresso e un certo riparo dagli agenti atmosferici per la loggia
affrescata (ometti anche i vetri della loggia, non era nemmeno immaginabile di
poter ottenere delle lastre di quelle dimensioni). La larghezza delle ali è di
due moduli e corrisponde a quella delle due parti laterali rispetto
all’ingresso. Dunque le parti in aggetto sono dei quadrati.
Passiamo
ora alla planimetria.
Si
può apprezzare la grande eleganza distributiva in cui la loggia è molto di più
di un elemento necessario per il disimpegno delle stanze, ma costituisce un’ulteriore
graduazione del rapporto interno-esterno. È notevole osservare che almeno nella
loggia e nella Sala di Galatea compare l’uso di elementi di linguaggio
architettonico anche per gli ambienti interni, non posso dire se per la prima
volta ma di sicuro si tratta di una
novità ricca di sviluppi futuri. In genere nell’architettura rinascimentale
solo le cornici interne delle finestre o delle porte sono trattate
secondo gli elementi di linguaggio significanti per le facciate di moda (‘alla
moda’ è un modo di dire proprio del periodo rinascimentale in ambito
architettonico, negli arredi si diceva di foggia o sfoggiato se usciva dalla
consuetudine). In seguito, dopo appunto applicazioni come la Farnesina, si
comincerà a trattare gli interni con la stessa attenzione delle facciate.
Va
da sé che nelle chiese questo è stato subito fatto ma la spiegazione è
abbastanza semplice e immediata: i luoghi di culto, dai templi romani in poi,
sono sempre stati visti soprattutto come spazi interni e come invasi di
raccolta dei fedeli. Non a caso molte chiese hanno ricevuto una facciata solo
nel XIX secolo (e quasi mai è stata una buona idea...).
È
evidente nella planimetria la composizione a corpo centrale e ali laterali, con
progressione della sala d’ingresso dalla via, l’imboccatura delle scale e la
Loggia.
Per
intenditori, alcune piccole varianti nel trattamento plastico dei muri, per
esempio fra i lati corti della Loggia e della Sala di Galatea, funzionali alla
decorazione pittorica e a cui forse si può pensare non sia stato del tutto
estraneo Raffaello stesso, così come in generale sugli elementi di linguaggio
usati all’interno. Si potrebbe fare un confronto stilistico con i dipinti di
architettura, come la Scuola d’Atene già mostrata, o la pianta che Raffaello
progettò con squisita raffinatezza (giudicata troppa per quella chiesa così
magniloquente) per la basilica di San Pietro in Vaticano.
Sulla
linearità e chiarezza dei percorsi non credo ci sia da dilungarsi. Puoi
disegnarli tu stesso/a passando attraverso le porte... Sarebbe piuttosto da
fare una riflessione sulla linearità dei percorsi all’interno di un romanzo.
La
trasposizione letteraria di una tipologia del genere potrebbe essere una
classica struttura di romanzo in prologo, trama ed epilogo. Oppure nel cinema
l’inserimento di due flashback. In poesia per esempio un capo e una coda di
metrica differente dal corpo. Per le arti figurative ci arrivi da solo/a.
Per
comodità ripropongo la veduta d’insieme del prospetto sul giardino.
L’edificio
è a due piani. Il modulo è scandito da lesene tuscaniche, nella luce delle
lesene ci sono eleganti finestre con una
semplicissima cornice e cimasa a modanature. Scelta molto opportuna visto il
carattere di leggerezza della villa in ambito suburbano e con piccolo giardino
di delizie. Nel corpo centrale, in corrispondenza della Loggia, vi è un
altrettanto semplice arco, sostenuto da
ribadite lesene tuscaniche, per l’intera luce e reiterato per cinque moduli
come detto. L’arco centrale indica l’ingresso, il che fa dell’insieme una
loggia e non un portico.
Come
è normale nell’architettura rinascimentale il primo ordine deve dare un senso
di solidità. Qui, date le dimensioni ridotte dell’edificio tutta la
composizione tende a una certa verticalità che in genere non è preferita dagli
architetti rinascimentali, ma ormai siamo alla fine di questo periodo iniziale
del Rinascimento e questo edificio ci introduce con estrema leggerezza nel
periodo successivo detto Manierismo.
Allora
nota che le lesene del primo ordine poggiano su uno stilobate piuttosto alto in
modo che le lesene siano proporzionate secondo quell’elemento di solidità. Lo
stilobate è alto come le balaustre che fanno della Loggia una loggia.
La
base della lesena determina un marcapiano che coincide con la quota delle
aperture. Questa modanatura diviene una specie di legame fra tutte le finestre
accentuando la direzione orizzontale della fascia dei vuoti.
La
lesena tuscanica non pone nessun problema d’angolo e il risultato è molto
bello.
La
trabeazione del primo livello è tuscanica senza nessuna enfasi.
Molto
interessante è la soluzione di continuità fra primo e secondo ordine ottenuta
attraverso un cornicione aggettante. Soluzione direi classica nel Manierismo ma
comunque notevole come separazione fra i piani. Ma tutto questo ha un
significato. Sul cornicione appoggia (non in senso statico, l’ho già detto nei
post sul linguaggio architettonico greco e romano: “Anatema” e “Caput mundi”)
lo stilobate del secondo ordine di lesene, più ridotti rispetto al primo e ne
costituisce una sorta di appoggio a terra. Anche questa è una maniera solita
nell’architettura rinascimentale ossia di alleggerire man mano che si sale di
piano.
Il
coronamento dell’edificio invece riserva le migliori novità della nuova tendenza
manierista. Su una trabeazione ridotta all’osso si imposta un coronamento di
una certa altezza e decorato a putti reggenti dei festoni. Questo tipo di
decorazione fu derivata dagli ornamenti interni delle case patrizie romane e
sono conosciute come grottesche. Si chiamano così perché per poterle vedere e
rilevare occorreva insinuarsi nei primi scavi archeologici nei monumenti semi
sommersi dell’antichità romana. Un cercatore di grottesche fu Donato Bramante.
Raffaello
fu un grande rilevatore di antichità romane, fece una collezione di rilievi per
un editore di Venezia che fu per molto tempo la maggiore raccolta di antichità
romane.
Conclude
l’alzato della villa un cornicione a dentelli e mensole di notevole aggetto.
Questa
è una soluzione molto felice nel corso dell’architettura manierista. Il più
famoso è senz’altro il cornicione di Palazzo Farnese a Roma (oggi sede
dell’ambasciata di Francia) di Michelangelo Buonarroti, del 1546, il quale
aggetta, cioè sporge, di più di due metri. Siamo ai limiti statici per la
pietra, ma per meno il maestro non si sarebbe scomodato.
In
senso generale questa soluzione compositiva è uno dei capisaldi di quella che
si definisce resa plastica della muratura e dell’architettura in genere, ovvero
quando gli elementi del linguaggio architettonico sono trattati come sculture.
Non è lo stesso di trattare le architetture come sculture! Questa frase è un
autentica bestemmia, lascialo dire e
fare agli amanti delle idiozie architettoniche come Frank Gehry.
Nota
anche le aperture quadrate in alto, in asse con le finestre, per dare maggior
luminosità senza intaccare la proporzione fra pieni e vuoti nel modulo della
facciata. Si nota di più al piano terra perché al primo piano le aperture sono
comprese nella fascia del coronamento. Si vede che le aperture quadrate
mitigano un po’ la parte piena sopra le finestre riportando la stessa
proporzione, in maggior misura elegante, che si ha al piano superiore che è più
basso di altezza.
In
seguito, nel Manierismo e soprattutto nel Barocco, queste aperture rivelano che
dietro c’è un piano mezzano di servizio. Qui hanno lo scopo compositivo che ho
detto.
Questa
è la Loggia vista dall’interno. Questa foto ha un copyright che ho preferito
lasciare per correttezza. Non penso ci siano dei problemi, in ogni caso posso
cambiarla.
Tralascio
per brevità e evidenza il differente trattamento degli interni, a marmi e
affreschi.
Faccio
solo notare due cose. La prima è che la medesima lesena tuscanica è adottata
anche all’interno e, come continuo a ribadire, è un puro elemento di linguaggio
che non porta nulla, a parte sé stessa e l’intonaco che gli è immediatamente
sopra. La struttura portante sono i setti di muro e gli archi impostati sopra.
Questo anche per finirla con la querelle fra lesena e parasta che sono
sinonimi: quello che è portante è sempre il muro di mattoni pieni.
Sul
piano decorativo nota le grottesche dipinte nell’intradosso degli archi,
particolare innovativo tipicamente raffaellesco.
La
porta non è il massimo, ma non si può avere tutto nella vita...
Se
vuoi fammi sapere se questa lettura della Farnesina ti convince e se hai notato
le differenze con la classica esposizione da manuale di storia dell’arte o da
documentario televisivo. O se vuoi un mio parere su un’opera d’arte.
Ora
vorrei passare al Palazzo Marino di Milano che presenta delle analogie e delle
differenze con la Farnesina la quale è una pietra miliare della storia
dell’architettura. L’intento è anche di mostrare uno dei tanti bei monumenti
che si possono vedere a Milano e che non sono debitamente conosciuti. Questo
magari un po’ di più perché si vede spesso nei telegiornali essendo la sede del
municipio.
La
storia di Palazzo Marino è travagliata. Fu edificato su commessa del banchiere
genovese Tommaso Marino (era banchiere anche Agostino Chigi che commissionò la
Farnesina). E l’ingresso non era da piazza della Scala com’è oggi. La piazza è
stata ricavata nel XIX secolo. Si entrava dalla strettissima via Marino
(attuale ovviamente) che sarebbe quella vietta che passa lungo la Galleria per
andare dalla Scala a San Fedele.
Dopo
la morte di Tommaso Marino la famiglia andò in malora in poco tempo e il
palazzo fu inglobato, nel corso dei secoli, in tutta una serie di edificazioni
caotiche che riempivano tutto lo spazio dell’attuale piazza della Scala.
Il
restauro e, per quanto riguarda la facciata sulla piazza, il vero e proprio
rifacimento furono affidati alla mano sicura di Luca Beltrami. A lui dobbiamo
molto. In qualità di senatore del Regno d’Italia si oppose alla demolizione del
Castello Sforzesco e alla lottizzazione residenziale speculativa già prevista e
la piazza d’armi della fortezza divenne l’attuale Parco Sempione.
Va
detto che Beltrami non si è inventato nulla, ha completato la facciata ormai in
gran parte perduta basandosi sui tre lati superstiti. Possiamo quindi
considerare la facciata sulla piazza come originale. Fra l’altro, come molti
monumenti milanesi, ha dovuto subire un restauro dopo le distruzioni belliche.
L’ultimo restauro di ripulitura dallo smog ha fatto nascere molte polemiche,
come al solito, ma a me sembra molto ben riuscito perché riporta la matericità
dei materiali originali. Ma io non sono un architetto restauratore e me ne
guardo bene dall’entrare nelle polemiche dei restauratori...
Insomma
oggi Palazzo Marino ha l’ingresso originario sulla via omonima, il retro su via
delle Case Rotte (cosiddette perché c’erano le case della famiglia Della Torre
distrutte quando i Visconti divennero signori di Milano), la facciata su piazza
della Scala e l’altro fianco su piazza San Fedele.
Quindi
i quattro lati di piazza della Scala sono: Palazzo Marino, il retro della
Galleria, il Teatro alla Scala e l’orribile sede della Banca Commerciale
Italiana (tipico esempio di tronfio edificio post unitario), ahimè dello stesso
Beltrami, tanto bravo nei restauri quanto negativo come progettista in questo
caso.
Ultima
notazione da guida turistica è che Galeazzo Alessi è l’autore dei finestroni
sulla facciata del Duomo (al di là della Galleria). Mi spiace vedere i turisti
che fotografano la facciata del Duomo che è un completamento ottocentesco, né
bello né brutto, sulla brutta piazza dell’ingegner Mengoni, l’autore della
Galleria (bellissima copertura in ferro e vetro, passabili i prospetti interni,
orripilanti gli ingressi sulle due piazze del Duomo e della Scala). La parte
stupenda del Duomo è quella più antica: la zona absidale, e poi anche i
fianchi. E tutta la foresta di guglie e l’interno ovviamente.
I
finestroni e le cinque porte sono le uniche cose rimaste della incompleta per
secoli facciata del Duomo.
Comincio
con la planimetria di Palazzo Marino, in un disegno storico. Nota che sul lato
di piazza della Scala (cioè a sinistra di chi guarda) si vede un ingresso e
alcune finestre ma tutto è già molto confuso e approssimativo per la presenza
di altri edifici finitimi.
In
questa planimetria storica ho evidenziato la corte perché sia più evidente che
ci troviamo di fronte alla stessa tipologia con corpo centrale e ali laterali,
nella declinazione urbana di palazzo al posto di quella suburbana di villa di
delizie.
Data
la strettezza di via Marino è impossibile fotografare quella che in origine era
la facciata principale. L’ho evidenziata in questa foto d’insieme presa da
piazza della Scala.
Si
intravedono le due ali laterali fra le quali c’è il cortile.
Come
vedi l’edificio presenta i tratti dell’architettura manierista. Sono
enfatizzati tutti gli elementi architettonici, c’è abbondanza decorativa,
compare il grande cornicione e in alto c’è un coronamento a balaustre,
potrebbero anche esserci delle statue, qui no a motivo della presenza di
cariatidi a sostegno del cornicione. Sono interessanti, per via dello sviluppo
successivo, le centine spezzate sulle finestre del primo piano e di uno dei due
portoni.
Stupendo
è il cortile dove si possono vedere tutte le connotazioni dell’architettura
manierista. È un eloquente esempio del cosiddetto ‘horror vacui’ del
Manierismo, ossia la completa ricopertura dei pieni murari con elementi
decorativi.
Ho
evidenziato il tema compositivo che risolve il cortile. Al piano terra
costituisce un portico e al piano superiore un loggiato.
Questo
tipo di apertura composto da tre luci, di cui quella centrale archivoltata e
quelle laterali architravate sono dette serliane, per il fatto che Sebastiano
Serlio le disegnò nel suo trattato di architettura che pubblicò dal 1537 e
seguenti della sua vita in vari volumi, ma si devono a Raffaello e sono uno dei
più felici fra quei recuperi di architetture romane di cui ho accennato sopra.
Un esempio di serliana lo puoi vedere nell’affresco delle stanze vaticane
‘L’incendio di Borgo’ di Raffaello stesso, del 1514.
Vale
la pena notare che la scelta delle
serliane riprende il tema compositivo dell’intero edificio con parte
centrale e ali laterali ed è per questo che appare così naturale non ostante la
complessità del ritmo di quelle aperture. Mi permetto di dire che questa ultima
considerazione compositiva è da annoverarsi fra la categoria ‘i dettagli che
fanno la delizia dell’intenditore’ ed è da queste considerazioni che si
capisce, scusa l’immodestia, chi sa di architettura e chi no.
Nota
le due soluzioni d’angolo, con pilastri binati al piano terra e stondatura
dell’angolo ottenuta con la decorazione.
I
temi decorativi sono i più classici del manierismo: cariatidi, targhe, festoni,
protomi leonine, teste teriomorfe, nicchie, vasi floreali, puttini, balaustre
ecc...
Eppure
tutta questa ricchezza decorativa non intacca la purezza della classicità delle
serliane che sono sempre perfettamente leggibili.
Un
esempio di trasposizione letteraria di questa composizione potrebbe essere un
racconto o un romanzo che fosse costituito da elementi di esordio, episodio,
esito nel quale le due parti iniziale e finale si legassero all’episodio
successivo. Una roba tipo “Le mille e una notte”.
Finisco
questo breve confronto con un’immagine del prospetto su piazza San Fedele.
Si
vede uno scorcio di Palazzo Marino e la facciata originale della magnifica
chiesa di San Fedele di Pellegrino Tibaldi del 1569, una delle cose più belle
da vedere a Milano. Non ne parlerò in questa occasione, dirò solo che è al di
là della sua bellezza, ma devi entrare, un esempio tipico di chiesa della
controriforma.
Fra
i due si intravvede la brutta Banca Commerciale Italiana (che invece non è una
delle cose da vedere a Milano ma è impossibile non vederla...).
Chiudo
con una nota storica. Il monumento che vedi al centro è a Alessandro Manzoni.
Egli abitava poco più avanti in piazza Belgioioso (dove, oltre casa sua, si
possono ammirare i due Palazzi Belgioioso, il più vecchio e bellissimo del XVIII
secolo, di Piermarini, e quello più recente del XIX secolo), dunque San Fedele
era la sua parrocchia. Il giorno della Befana del 1873, all’uscita dalla messa
don Lisander scivolò sui gradini innevati batté la testa e morì in seguito a
questo banale incidente il 22 maggio dello stesso anno.