Ho
visto che i post sull’architettura hanno avuto successo e ho deciso di
scriverne altri. Ogni tanto farò delle incursioni tematiche nella storia
dell’architettura che affronterò in una angolazione spero un po’ diversa da
quella da libro di testo e manuale di
storia dell’arte. La mia sarà l’ottica del progettista, un po’ come ho
fatto nei post sull’architettura della poesia. Parlerò dell’architettura
europea e occidentale come al solito.
Non
ho ancora deciso se seguirò un ordine cronologico oppure se andrò a capocchia.
Per il primo partirò dall’inizio o per lo meno da una delle fasi iniziali della
storia dell’architettura europea. Un tema che però è davvero l’origine del più
importante linguaggio dell’architettura e dell’arte in generale.
Il
primo argomento che voglio trattare è il tempio greco, le sue origini, e dire
qualcosa di cui non si parla molto: il significato dei suoi stilemi.
Quando
si parla di tempio greco si cita il Partenone (e come non farlo?) e lo si mette
nella prospettiva di tipi che, seppur più vecchi di qualche decennio, ne sono
gli ascendenti diretti: i templi dell’Italia meridionale, per esempio Paestum.
Il Partenone è degli anni quaranta del V° secolo a.C. il tempio di Hera a
Poseidonia (nome greco di Paestum) è degli ultimi decenni del VI° secolo.
È
stupefacente vedere l’evoluzione del linguaggio, in questo caso è il canone
dorico, in pochi decenni.
Tempio di Era a Poseidonia |
Partenone |
Da
lì si comincia la descrizione degli ordini greci e la loro evoluzione in quella
che è chiamata l’architettura classica. Molti
ricavano la convinzione che il Partenone sia il punto d’arrivo di un lungo
periodo in cui il tempio arcaico ha subito molte modifiche che l’hanno portato
alla vetta del tempio di Athena Parthenos sull’Acropoli di Atene.
Be’
sembra strano ma non è così. Il tempio greco più antico è quello di Afaia
(Aphaia è una divinità locale in genere assimilata ad Atena) sull’isola di
Egina del 570 a.C., cioè una cinquantina d’anni più vecchio di quelli di
Poseidonia. Prima la tipologia del tempio semplicemente non esisteva. Dunque
c’è all’incirca lo stesso lasso temporale fra i templi di Egina e Poseidonia e
fra quelli di quest’ultima e l’Acropoli di Atene.
Tempio di Era - planimetria |
Partenone - planimetria |
Se
si volesse fare un esempio più preciso per raccontare la storia del tempio
greco si dovrebbe citare, e in effetti è solitamente fatto, l’Eretteo.
In
origine il luogo di culto greco non è un edificio, ma un recinto sacro. Si
chiama TEMENOS. Si potrebbe tradurre
con ‘ ritagliato ’ perché era un pezzo di terra che era separato per mezzo di
una recinzione e dedicato a una divinità e considerato il luogo in cui era possibile
entrare in contatto con il Dio o la Dea. Il senso di ‘ separato e dedicato ’ è
l’originario significato del termine sacro. È sacro ciò che è tolto da un
insieme e diviene esclusivo per qualcuno.
La
connotazione del temenos è di essere uno spiazzo vuoto, delimitato da una
recinzione, in cui si raduna la popolazione e in cui ci sono un altare per il
sacrificio, una colonna, e una bandiera.
L’officiante
è rivolto a est e i fedeli sono alle sue spalle. La forma del temenos è dettata
dall’orografia del territorio anche se, quando è possibile, tende ad avere una
forma quadrangolare. Sull’altare è offerta in olocausto la vittima sacrificale,
che probabilmente era uccisa presso la colonna, e la bandiera simboleggia la
presenza della divinità come possessore del luogo e, in un’accezione esoterica,
manifestazione della sua energia attraverso il vento che muove la bandiera.
Lo
stesso accade per l’India, dove la bandiera si mette ancora sui templi: bianca
per Shiva o Vishnu e rossa per la Devi, mentre sembra che in Grecia quest’uso
sia decaduto in favore della raffigurazione statuaria della Divinità. Anche la
primitiva forma di raffigurazione delle Divinità nel culto dei Romani, fino in
tempi molto avanzati, erano dei pezzi di stoffa agitati dal vento.
In
sanscrito con le parole vata e vayu si intende il vento come energia, come
elemento Aria. A volte il termine vento e energia sono omonimi: vata, vayu e
prana. Insomma l’identificazione della divinità come vento-energia è tutt’altro
che grossolana. E il simbolo della presenza del Dio o della Dea attraverso
l’aria, manifestata dal movimento della bandiera, è molto suggestiva e precisa.
Nel
temenos non è necessario nient’altro. È la sua destinazione funzionale che ne
determina gli altri caratteri: luogo di scambio (Heraion di Poseidonia),
deposito di ricchezze e doni votivi (Delfi), sito oracolare (Delfi, Dodona),
spazio terapeutico (Asclepieion di Epidauro). Sono solo gli esempi più
conosciuti.
In
ognuno di questi casi all’interno dell’area sacra o vicino al recinto sorgono
degli edifici allo scopo. Fuori dal temenos, ma nei pressi ci sono le
abitazioni dei sacerdoti, i magazzini o locali di preparazione se per esempio
il culto è iniziatico.
Per
questo citavo l’Eretteo. Nonostante l’Acropoli fu ricostruita quasi
integralmente dopo la distruzione fatta dai persiani nel 480, l’Eretteo fu
riedificato nella sua forma tradizionale di temenos.
Esso
si compone della nave del tempio, nel quale era custodita la statua più antica
di Atena: un tronco di olivo. Ai lati del tempio ci sono il portico di Eretteo
(il luogo della ‘contesa’ fra Atena e Poseidone, dove c’era la sacra fonte
salmastra) e la Loggia delle Korai (kuroi e korai sono la più antica forma
antropomorfica di divinità, in genere Ninfe, o di esseri umani del loro corteo
o che li raffigurano). Ma dietro c’è ancora il muro del temenos nel quale
cresceva l’olivo che la Dea donò alla città ottenendo dal re Erittonio (o
Eretteo) la vittoria a patrona della città. In realtà lo era già prima: Athenai
(Atene) è il plurale di Athena (Atena). È probabile che in realtà la contesa
sancisse l’identificazione ufficiale fra Atena e Pallade, Dea locale della
regione dell’Attica (un bel tipino: figlia di un Gigante, è da lui violentata e
si vendica uccidendolo, strappandogli la pelle e facendosene una corazza).
I
luoghi sacri di Creta e Micenei stavano all’interno del complesso palaziale di
cui costituivano una delle tre funzioni distintive: politica, economica e
religiosa appunto.
A
un certo punto, e non sono ben chiare le motivazioni, all’interno del temenos
si decide di erigere un tempio come dimora del Dio o della Dea a cui viene dedicato,
dato in dono: anàthema, ἀνάϑημα, come dice il titolo. Si
ignora se all’inizio dentro il tempio ci fosse la statua della Divinità o se
sia stata introdotta dopo.
Come
la vittima era legata alla colonna per essere dedicata e uccisa (e anche nel
rito vedico è così solo che alla colonna erano sostituiti due pali in croce: vi
dice qualcosa?), così in seguito i doni erano appesi alle colonne del tempio.
Non
è vero che all’interno del tempio non si potesse entrare. Entravano gli
officianti e anche i fedeli per le offerte votive o per la deambulazione. È
questa la ragione delle tre navate dei templi e dello spazio dietro la statua.
Del resto in India si fa così tuttora.
I
due più antichi ordini greci sono il dorico e lo ionico, che si differenziano
un po’ su tutto: proporzioni, colonne, basi, capitelli ecc... Sono molto
conosciuti dunque ne do solo due tavole riassuntive.
Quello
che si sa meno è che i templi greci non erano in origine solo del colore del
marmo utilizzato ma, come anche le statue, erano dipinti. In bianco, rosso e
nero il dorico e con rosso, verde o azzurro lo ionico.
Sulle
statue va detto che quelle che vediamo in marmo sono quasi sempre delle copie
romane, in genere la statuaria greca classica è in bronzo fuso a cera persa. Le
statue avevano occhi di vetro colorato, capelli dorati, gioielli e a volte
persino vestiti.
L’aspetto
che hanno oggi, e che ne accentua ‘ l’olimpicità ’ è dovuto al deterioramento
dei pigmenti nel tempo e per gli agenti atmosferici.
Però
la mancanza di colore ci ha consegnato gli elementi plastici essenziali che poi
sono stati usati come stilemi in molti periodi successivi: dai Romani in poi e
non solo in edifici ma anche per mobili e persino come scelte di decorazione.
Sarà
dunque interessante vedere come stili diversi abbiano attinto a questi modelli
e come abbiano trattati questi stilemi.
Una
cosa va detta innanzi tutto. I templi greci sono in pietra portante. Dallo
stilobate (dove appoggiano le colonne) ai muri, alle colonne, alla trabeazione
tutto è in pietra piena, tagliata e scolpita in blocchi di varia forma uniti
fra loro con grappe di piombo fuso. Non è una constatazione ovvia: dai Romani
in poi l’elemento portante dell’edificio (tempio, chiesa, palazzo...) diventa
il muro di mattoni e calce (o la volta). Alcuni elementi possono ancora essere
lapidei e pieni, per esempio colonne e archi ma il sistema costruttivo è in
buona misura di laterizio (ricordate però che i Romani usavano anche l’opera
cementizia).
Quindi
gli stilemi greci, o quelli degli ordini successivi: corinzio in età
ellenistica e tuscanico, composito o rustico dai Romani in poi, sono stati
usati come puri elementi di linguaggio.
Dico
subito che non c’è una risposta univoca che spieghi la forma delle soluzioni
architettoniche dei templi greci. Per esempio nel dorico la colonna non ha base
nello ionico sì. È evidente che il capitello è un allargamento dell’appoggio
della trabeazione per ridurre la luce, cosa importantissima nelle strutture in
pietra (a motivo dello sforzo di taglio, chiedere a un amico ingegnere cosa
significa: è quello che fa spaccare la pietra con sezioni circa verticali...),
così come la rastrematura delle colonne
(più larghe in basso e più strette in alto) segue la realtà statica (sempre
all’amico ingegnere: in alto sono sicuro che lo sforzo sarà simmetrico e assiale
e alla base si allarga il terzo medio...), sulla trabeazione appoggia il tetto
di legno (capriate e manto di copertura) e le travi (sempre e solo di legno
ovviamente: la pietra ha una resistenza a flessione quasi nulla e altri
materiali non ce ne sono stati fin al XIX secolo), tutto questo è chiaro. Ma la
forma che prendono tutti questi elementi non dipende da considerazioni
statiche.
Le
due parti più differenti e su cui ci si è interrogati di più sono il capitello
e la trabeazione. Appare chiaro che nel dorico il capitello assolve alla sua
funzione statica e diviene bello proprio per questa sua essenzialità e natura
funzionale.
Nell’ordine
ionico compaiono le famose volute, più altri elementi decorativi minori (ovoli,
dentelli e palmette). Nessuno sa in assoluto da cosa derivino queste spirali.
Le ipotesi vanno da butti vegetali nell’arcaico capitello, che come tutto il
tempio era di legno in ogni sua parte, a speculazioni esoterico-geometrico di
origine orientale, da dove pare che la forma ionica arrivi in Grecia dopo la
dorica.
Io
formulo la mia che è incerta, ma almeno ha la stessa dignità delle altre. Credo
che le volute siano la cristallizzazione dei crani dell’animale sacrificato (un
ariete sembrerebbe) che erano appese in cima alla colonna e poi su tutte le
colonne del tempio, questo non impedisce, tutt’altro, che le teste fossero
decorate con tralci o elementi vegetali.
La
trabeazione ionica è continua su due fasce, una inferiore partita in due o tre
elementi orizzontali, dentellati in aggetto via via maggiore, lisce e una
superiore decorata a bassorilievo. La natura della decorazione potrebbe essere
la stessa anche per l’ordine dorico. La trabeazione dorica è scompartita in
spazi regolari dette triglifi e metope. Sono formelle: i triglifi presentano
tre scanalature verticali, le metope sono istoriate a bassorilievo.
L’ipotesi
che si fa dell’alternanza fra triglifi e metope è quella di una
cristallizzazione della sezione della trave della capriata, in cui le venature
del legno segato sono stilizzate nelle tre scanalature, i tre glifi appunto,
mentre la metopa è una chiusura del foro lasciato fra una trave e l’altra. È
evidente che poi il ritmo nel tempio in pietra non segue più quello reale delle
travi delle capriate. Allo stesso modo nell’ordine ionico, ma anche nei
timpani, la decorazione copre delle zone vuote o irregolari nei corpi di
fabbrica in legno. Poi, ripeto, il ritmo e le dimensioni hanno vita propria
nella ricerca della perfezione formale dell’ordine. Dunque gli stilemi greci, a
quel punto, sarebbero già stati considerati come tali. Da lì comincia la loro
storia come elementi di linguaggio architettonico.